GUIDO
MIANO EDITORE
NOVITÀ
EDITORIALE
È uscito il
libro di poesie:
DANZA CON ME – DANCE
WITH ME di GIUSEPPE BERTÒN
con prefazione di Floriano Romboli
e traduzione in inglese di Luisa
Randon
Pubblicata la raccolta
poetica dal titolo “Danza con me – Dance with me” di Giuseppe Bertòn, con prefazione di Floriano Romboli e
traduzione in inglese di Luisa Randon, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”,
Guido Miano Editore, Milano 2023.
Ritengo che a chi legge con attenzione le poesie che
Giuseppe Bertòn raccoglie in questa silloge non sfugga l’importanza del ricorso
da parte dell’autore alla tecnica formale-compositiva dell’iterazione lessicale
e sintagmatica: «Nella notte,
profonda d’oriente, / nel respiro
della notte, / tra gli alberi d’oriente, Dionisio sogna. // Poi si
accende, / sulla terra della Grecia,
/ sul mare dolce della Grecia…» (La notte, corsivi miei, come sempre in
seguito); «Nella stazione del treno,
/ ho visto un homeless / passare. / Sporco,
derelitto, perduto. // Poi la polizia lo ha trascinato fuori, / mentre sporco, derelitto, perduto, /
passava nella stazione del treno.
Nella vita…» (Homeless); «Quasi
Natale, si sente freddo. / Ma forse
non fa così freddo, / solo non siamo abituati ancora…» (Il mercato di Natale); «… Mille anni dopo, / ho sentito un
poeta dire le tue parole, / leggiadre e incantevoli. // Mille anni dopo, / ho sentito
un musicante cantare il tuo canto, / ho
sentito una ragazza respirare il tuo respiro. // Mille anni dopo, / gli stessi palpiti nel petto…» (Mille anni).
Tale opzione stilistica – corroborata e avvalorata in
aggiunta dalla predilezione dell’anafora
(«In fondo alla strada / In fondo alla sera / In fondo a quando ti penso sempre / In fondo ai tuoi pensieri / In fondo a quando non ho pace / In fondo a
una luce che si accende…», In un sospiro;
«Abbiamo visto il sole / scendere sui
tuoi occhi / (…) / Abbiamo visto la
tua anima, / vestita di tristezza, / (…) / Abbiamo
visto i tuoi fratelli / come schiavi…», Fratello)
– mi sembra indizio chiaro di una spiccata inclinazione analitica, di un abito
criticamente indagatore, di una vocazione alla ricerca circostanziata intorno
ai problemi dell’esistenza, che alla considerazione dello scrittore appare ad
un tempo affascinante e misteriosa, fatta di fremiti vitalistici
e di abbandoni deprimenti, contrassegnata da esaltazioni e da scoramenti:
«…Forse tessevi la tela, / incantevole ragazza, mentre il sole / si spandeva
sul mare, e su te. // Forse palpitavi nel petto, / ed Eros che scioglie le
membra / ti assillava la notte, // ed eri soggiogata dal desiderio e dagli
affanni angosciosi. / (…) / E supplicavi Afrodite, / (…) / E la chiamavi,
perché / aggiogando un carro d’oro venisse, / per liberarti dai tormentosi
affanni. // Un dolore antico, quasi nascosto, / nelle radici della vita, nei
tuoi occhi profondi, / attraversa ancora il nostro sguardo…» (Mille anni, cit.); «Una volta ho scritto
una poesia, / mentre attraversavo distese di pietre e sassi, / con l’anima sconfitta. // Una volta ho
scritto una poesia, / mentre camminavo sulla neve e sul ghiaccio, / con l’anima in fiamme…» (Una volta ho scritto una poesia).
L’esperienza generale del vivere e la sua
particolarizzazione individuale-personale risultano inoltre scandite da
sollecitazioni dinamiche, da intimi movimenti, e da esigenze di quiete
spirituale, da pause meditative: la compresenza contrastiva è resa attraverso
un disegno di correlazioni antitetiche,
a partire da quella primaria di “luce” e “buio”: «Il faro, sopra il mare, sulle
onde. / Sulle onde tormentate della mia anima, / che cerca un posto dove
riposare. // Questa sera il mare è meraviglioso e terribile / e scende l’oscurità, su noi, su tutto, / ad
abbracciare il nostro dolore. // Mentre siamo sospesi, / sull’abisso di noi
stessi. / Così irreale, così vero. // Il faro, sopra l’anima, / una piccola luce nella notte inquieta, /
sull’angoscia che attraversa la pelle. // Il faro, luce fioca, ancora lontana,
/ forse ci condurrà / in un porto tranquillo» (Il faro).
Il libro comprende peraltro una lirica molto bella, Il treno e il pioppo, ove tale
fondamentale opposizione conosce l’emblematicità di una densa e felice
rappresentazione metaforica. Come il
poeta medesimo suggerisce, il treno è il moto incessante, la “spinta” partecipe
ed esplorativa, lietamente sfidante, nella rapida orizzontalità, le tenebre enigmatiche
del mondo; il pioppo, nella verticalità
pensosa e lungimirante, nella salda stabilità del suo legame con la terra,
raffigura invece la “controspinta” del rallentamento riflessivo: «Lui passava sulla
sera, / colorata di magia. / Sulla notte colorata di mistero. // Correva verso
la montagna, / ancora troppo lontana, / così poteva pensare. // Lui stava così,
alto, con le sue foglie / un po’ colorate d’oro, un po’ stanche. / Così poteva
guardare lontano…».
Nondimeno le situazioni antinomiche si elidono proprio
in conseguenza della loro radicalità, a favore della condizione
intellettuale-morale del bambino, con cui si verifica l’identificazione piena
dell’autore perché questa è senz’altro significativa dello stato psicologico
ordinario di ognuno: «… Lui era piccolo, e guardandoli, / gli pareva troppo
veloce, / gli pareva troppo alto. / (…) / Il bambino giocava sotto il pioppo
alto, / e guardava il treno una meraviglia. / E rideva, e non capiva. // Coi
suoi occhi colorati di luce. / Con una foglia caduta sui suoi occhi, / colorati
di luce».
Congruente con
esso si rivela quindi la metafora della
“strada”, lungo la quale l’uomo comune – e quindi lo scrittore – cammina ogni
giorno, un passo dietro l’altro, «tra il nulla e l’infinito» (v. i componimenti
Il vestito leggero e Danza con me), ma entro limiti
spazio-temporali circoscritti, ben definiti: «Mississipi moonwalk sotto French
Quarter, scaldare le gambe. / Poi, una strada,
usciva non so dove. Correvo non so dove. / Strade
di asfalto rotto e case di colori…» (Black
on black 55.49, New Orleans); «Forse la vita si muove / per sentieri tortuosi ed incerti. / Forse la
vita si muove / attraverso passaggi invisibili…» (Sul tavolo da gioco); «…ed il sogno / è diventato vero, / vero come
un sorso d’acqua // quando corri sulla
strada / sotto il sole / e non c’è acqua…» (Prima di dirti amore); «…Nebbia leggera in fondo alla strada. / Passi silenziosi in fondo a un
raggio di luna. / Alle cinque della notte…» (Alle 5 della notte); «…Ed ora camminiamo sulla strada / bagnata dalla sera. / Mentre camminiamo, /sento che le
parole non contano. / Oh le parole non contano, / quando camminiamo / nel
riflesso incerto di una strada /
bagnata dalla sera…» (In uno sguardo).
E la vita manifesta allora la propria intrinseca
ambivalenza, divisa tra gioia e dolore («Il dolore paralizza il corpo / e
affonda la mente. // Schiaccia la vita / e resetta il cervello. // Il dolore
toglie la parola / e spegne la luce dagli occhi. / (…) / Oggi il cielo è
azzurro fitto / e miracolosamente l’anima riprende vita. // Oggi è una bella
giornata / e ho baciato il mio amore», Una
bella giornata), insidiata dal tempo,
fugace e distruttore: «Mi sono seduto, un momento, mille anni / in un giardino
abbandonato. / Ed ho visto il nostro piccolo tempo, / appena uno sguardo, /
appena un sorriso / (…) / E ci portò via, così veloce» (Il giardino abbandonato); ciò che importa è animarne e arricchirne
gli attimi di autentica tensione sentimentale-affettiva: «Sentivo lo spazio ed
il tempo modificarsi, // in qualche modo come la gravità modifica / lo spazio
ed il tempo, intorno all’universo. // Dove lo spazio è diverso, dove il tempo è
diverso. / Mentre guardavo il mio amore» (Un
giorno).
Il discorso lirico di Giuseppe
Bertòn è caratterizzato da grande linearità espressiva, da un’essenzialità che
privilegia l’ordinamento paratattico, in un contesto strofico tendenzialmente
arimico: l’uso della rima è talvolta presente con effetti di sobria eleganza:
«…E le mani sull’uscio del cuore / a
raccogliere gocce d’amore. // Ci
baceremo ancora e ancora, / come se il cuore
non conoscesse dolore, / finché una stella rimarrà / sul
palcoscenico a danzare con noi» (Danza
con me, cit.).
Anche l’impiego di altre figure retoriche, ad esempio
la similitudine («Le luci si
riflettono vaghe / sul finestrino del treno / e sui tuoi occhi // belli come
gocce d’acqua / su prati d’erba, / fitti di colore rilucente…», Fili d’erba), o del procedimento
metrico-ritmico dell’enjambement («…
La mia anima piangeva nelle / piccole strade della vita…», Le strade); «… Quando Atthis è andata
via / avevi un fazzoletto gocciolante /
di lacrime, cadute nel mare. //
Quando Cleis diletta ti ha portato / un fiore, tu hai pensato: vale / più di tutto il regno di Lidia. // Quando sul seno di una tenera / compagna hai appoggiato il viso, / il tuo cuore ha avuto ristoro…»,
Mille anni, cit.); «…Ho visto la tua
anima, / si muoveva senza mai quiete ed il
mondo / non poteva calmare il
tormento…», Vincent) non comporta mai
cadute nella freddezza della costruzione artificiosa; parimenti il riferimento
a prestigiose auctoritates della
tradizione artistico-letteraria, come il Leopardi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, si dimostra
riuscito nella sua interessante valenza esteticamente emulativa: «… Ma dimmi,
incanto degli occhi, / come fai a stare lassù sospesa? / Per favore mi racconti un sogno? / Mi piace ascoltarti, // quando
scende il silenzio / e pare tu voglia parlare con noi. / (…) / Ti ricordi il
canto, / il canto del pastore errante dell’Asia / ed il dolore che usciva ad
ogni suo passo, / sopra l’erba fresca di rugiada notturna. // Il poeta immenso
/ ha cantato di te, / perché sollevassi la sua pena, / perché gli sorridessi.
// Ma lui ancora va con le sue greggi / per valli scoscese e campi e sassi, /
con lo stesso dolore negli occhi…» (Alla
luna).
Floriano Romboli
Giuseppe Bertòn, Danza con me – Dance with me, pref. Floriano
Romboli, trad. in inglese di Luisa Randon, Guido Miano Editore, Milano 2023,
pp. 108, isbn 979-12-81351-06-6, mianoposta@gmail.com.
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