venerdì 26 agosto 2022

RAFFAELE PIAZZA LEGGE: "IL FASCINO DELLA LETTERATURA" DI FLORIANO ROMBOLI

 


Floriano Romboli

 

IL FASCINO E LA FORZA DELLA LETTERATURA

VOL.1

Saggi su Dante, Tasso, Graf, Zola, Fogazzaro, Pardini

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

Il libro che prendiamo in considerazione in questa sede, a partire dal suo titolo, pare essere espressione dell’assunto secondo il quale la letteratura stessa eleva la mente umana e la lettura di romanzi, poesie e saggi è benefica per l’anima e la psiche del lettore come espressione del pensiero divergente che diviene esercizio di conoscenza prezioso e necessario.



È incontrovertibile che leggere ottimi libri ristabilisca l’equilibrio interiore come l’effetto di un’oasi nel deserto soprattutto nel tempo della pandemia e della guerra e che la cultura letteraria è un valore fondante nel mare magnum di una società superficiale nella quale il consumismo e l’avere prevalgono sull’essere.

Non a caso uno slogan televisivo di qualche anno fa faceva vedere il disegno di un uomo che leggendo un libro diviene più alto fisicamente ma soprattutto interiormente e il discorso complessivo si connette con quello di una pedagogia della gioia.

Quanto suddetto si collega alle considerazioni sul libro classico, quello cartaceo, che è sopravvissuto al fenomeno internet, fenomeno che d’altro canto ha rafforzato la letteratura stessa nell’avvicinare alla tradizione nuove modalità di fruizione del piacere dei testi con la nascita di siti e blog letterari e con il proliferare dei PDF e degli e-book e quindi la letteratura stessa è sempre più viva nella nostra liquida ma anche affascinante contemporaneità.

Originale e intrigante la scelta degli autori da analizzare e certamente non casuale per la stessa coscienza letteraria di Romboli acuta e profonda per il fatto di spaziare dalla cattedrale Dante Alighieri, poeta medievale, fino a Nazario Pardini, poeta e critico vivente.

Questo procedimento dà all’opera in toto un carattere accattivante e movimentato e per un’analisi profonda servirebbe uno scritto delle dimensioni di un saggio vista la complessità e la profondità del discorso esauriente e ricchissimo di acribia portato avanti da Floriano.

E c’è da mettere in rilievo come affermava Focault che la letteratura stessa è figlia del tempo in cui viene prodotta, della società nella quale si trova ad essere contestualizzata e quindi lo stesso Dante è figlio del Medio Evo come Pardini è figlio del postmoderno occidentale e come, per esempio, Torquato Tasso è espressione della mentalità del Seicento.            

Come scrive Enzo Concardi nella premessa la critica letteraria dovrebbe assolvere all’importante funzione culturale e sociale di avvicinare “il lettore comune” alla letteratura, alla conoscenza e all’approfondimento degli autori e delle loro opere. Per realizzare tale fine dovrebbe porsi il problema del linguaggio, ovvero del come comunicare senza formule esoteriche e criptiche – che andrebbero riservate agli addetti ai lavori – e senza nel contempo rinunciare al rigore dell’analisi, i contenuti delle sue interpretazioni in modo quindi accessibile al nostro “lettore comune”. Il volume presenta anche una prefazione dello stesso Nazario Pardini.

Nel capitolo “Incontri con Dante e la Commedia: la lettura critica di alcuni interpreti di grande autorità culturale” scrive l’autore che la più evidente peculiarità di un classico della letteratura è nella capacità di resistere al tempo, imponendo infine la persistente attualità del proprio messaggio ideale e culturale – artistico.

Caratteristica peculiare del volume è il fatto che, oltre alle sue osservazioni, Romboli riporta su ogni autore analizzato le considerazioni di altri critici importanti come per esempio Gianfranco Contini.

Raffaele Piazza

 

 

Floriano Romboli, Il fascino e la forza della letteratura, vol.1, saggi su Dante, Tasso, Graf, Zola, Fogazzaro, Pardini, prefazioni di Enzo Concardi e Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 148, € 12,00, isbn 978-88-31497-72-5, mianoposta@gmail.com.

 

ANITA MENEGOZZO: "STRAPPATI..."

 

Strappati che avrà i rami

 così come divelte le radici 

non ci sarà bufera

che cambi ciò che eri in chi non sei 

Sia che tu sia fra quelli

che van correndo  

contro i quattro venti

che i peggio sono i suoi 

o non piuttosto un cacciator di baie

un fuggitore di albe troppo incerte 

di incagli di perigli e di correnti

Insospettatamente 

sarà proprio nei tempi delle brezze

che tu potrai vederti senza pari 

che non sei né fra questi né fra quelli

e finalmente riconoscerai 

qual cucitor di nubi tu saresti

 

FULVIA RITA FAZIO: "CANZONE" DI EZRA POUND

 Attenzione Nazario,

ho rinviato l'e-mail della poesia di Ezra Pound: autore e testo completo. Non è mia. Può sistemare sul blog il 29 luglio? Grazie di aver postato sul blog la poesia: Canzone di Ezra Pound. 

 

Canzone di Ezra Pound

Ama il tuo sogno sogni interiore amore disprezzando,
ama il vento ed accorgiti qui
che solo i sogni possono esistere veramente,
perciò in sogno a raggiungerti m’avvio.

 

 

martedì 23 agosto 2022

CARMEN MOSCARIELLO: "FRATELLI TUTTI"



 Carmen Moscariello, con la sua scrittura netta, coinvolgente, amena, suasiva si lascia andare in questo libro di amore e di prosa: un vero capolavoro dove l’anima scorrazza in qua in là,  il popolo tuareg, lasciando tracce del suo passaggio: Charles de Foucauld, fratelli tutti Una incredibile storia vera. La narrazione netta fluente e morbida coinvolge per il contenuto ma soprattutto per la scioltezza della scrittura. IL LIBRO SI APRE CON UNA PRESENTAZIONE  DAL TTITOLO SIGNIFICATIVO: Un viaggio abitato da tanti viaggi. A firma di Marcello Carlino. Già dall’esergo iniziale siamo trascinati, dentro il contenuto con una malizia narrativa di tutto rispetto. Le antiche rotte dell’Ahaggar continua l’amore di Carmen per questo suo viaggio. Segue il Piccolo Fratello Universale: la strada che mi ha condotto a Charles Foucauld. A seguire la poesia dei canti maestra del’incontro con popolo tuareg. Quindi: ritrovarsi?.l’acqua che parla e il capitlo1: Miraggio- l’asrrivo a Fez. Capitolo 2: Come l’ombra della luce, Il silenzio della preghiera, Una parabola, Il sesiderio di vivere poveri. L’insieme di immagini e di documenti attrae l’attenzione anche dei meno sprovveduti e il tutto è contornato dall’amore per la natura per gli animali, per il viaggio di cui Camen è protagonista. Un vero gioiello per narrazione e immagini. Tutto è bello, interessante, attraente fino alla fine dove La Beatificazione de Foucauld, Maria Pia Mastena e Maria Crocifissa Curcio, compmpletanto l‘opera. Non è di sicuro esagerato dire che il libro è attraente per  armonia e contenuti, per immagini e capacità di selezionare argomenti e tracce che lasciano i  lettore di stucco.

MARIA RIZZI SU "A MUSO DURO" DI SIBYL VON DER SCHULENBURG

 

Maria Rizzi su “A muso duro” di Sibyl von der Schulenburg – Golem Edizioni

Ho letto il romanzo della cara Sibyl von der Schulenburg, nostra referente lombarda, “A muso duro” edito dalla Golem Edizioni, volto a supportare il Progetto Genny per donare una sedia a rotelle di ultima generazione superleggera in carbonio con ruote in lega inclinate, a uno o più portatori di disabilità. Il plot narrativo ha una struttura che procede per analessi o retrospezione, riavvolge la sequenza cronologica della storia su se stessa, raccontando in varie occasioni eventi che precedono il punto raggiunto dalla vicenda. L’Autrice narra in terza persona, mettendosi super partes e lasciando che gli accadimenti investano il lettore come fiume in piena. La cifra stilistica è dura, forte, senza remore di alcun genere. La Nostra scava nel granito del linguaggio, rompe gli schemi, scrive con l’inchiostro e con la rabbia, e d’altronde se non si respira, non si urla, non si piange attraverso la scrittura, non vale la pena di farlo, alla nostra cultura non serve. Leggendola ho pensato a Ennio Flaiano, che asseriva: “la parola ferisce, la parola convince, la parola placa”. Il protagonista del romanzo è un trainer, che lavora in una struttura equestre e alleva i cavalli con lo scopo di farli gareggiare. Un uomo molto affascinante, consapevole di esserlo, che usa la propria avvenenza per sottomettere e ferire le donne e Markus, socio di maggioranza e trainer di grande umanità, convinto di vivere una storia d’amore con lui. Sandro e l’amico americano sono campioni di western pleasures, competizione nella quale i bai, i corsari, gli Appaloosa, devono esibirsi nelle tre andature: passo, trotto e galoppo in modo armonioso e naturale. Il reining, deriva dal verbo to rain, guidare di redini e trae origini dal lavoro svolto dai cow boy. In seguito a un grave incidente avvenuto in un box con la cavalla Moara il protagonista riporta una lesione vertebrale che lo rende paraplegico. Il carattere dell’uomo peggiora e gli scatti d’ira che lo contraddistinguono aumentano sia verso Lisa, addestratrice e vittima del trainer da sempre, sia verso i cavalli nei confronti dei quali adotta metodi di addestramento spietati. La von der Schulenburg descrive le violenze senza remore, talvolta mostrando come si possono invertire le parti. Commovente il passaggio nel quale il castrone Glorius, costretto a un addestramento violento, vedendo il trainer, che nel tentativo di montarlo cade a terra,  invece d vendicarsi “Si spostò indietro di un paio di passi, si girò tirando con sé l’uomo e lo depositò nella carrozzina”. L’Opera si può definire senza ombra di dubbio sconvolgente per il coraggio mostrato dall’Autrice nell’affrontare un universo sconosciuto ai più e nel trattare senza falsi moralismi tematiche forti, spietate, perverse. Markus è partito per l’America, dopo aver subito, come tutti i personaggi del romanzo, la rabbia di Sandro, ma continua a inviare denaro per il centro ippico; Lisa recupera la dignità affidandosi a un’ottima terapeuta; Tina, la commercialista, e Jasmine gravitano intorno alla struttura e per motivi tanto misteriosi quanto umani, in passato hanno subito il fascino malato dell’uomo. Sandro pur ‘ruotante’, come viene definito più volte nel testo, perché legato alla carrozzina, non perde la boria, è convinto di tornare a camminare e si dedica al sexting, attività di carattere sessuale tra utenti del web, che si scambiano messaggi, audio, immagini e video. Nel romanzo, che ha carattere corale, le figure di spicco credo siano l’inquietante Angelica, bellissima trentaquattrenne rossa, figlia di un grande imprenditore disposto a soddisfare tutti i suoi capricci, e la carrozzina Genny. La donna si invaghisce di Sandro, ostentando una sorta di sindrome della crocerossina. Coinvolta sin da piccola nella vicenda dei cugini affetti dalla distrofia di Duchenne, convince l’uomo della sua buona fede e crea una struttura equestre di lusso. Acquista nuovi cavalli, affida Sandro a un centro fisioterapico specializzato di proprietà del padre, gli regala una macchina e compra tutti i tipi di carrozzine, tra cui Genny, che cambia la vita dell’uomo. Lisa, che resta la trainer valida, dotata della capacità di sussurrare ai cavalli come Markus, e di addestrarli con la dolcezza, sospetta che l’atteggiamento di Angelica rispecchi “Una delle facce del volontariato: la ricerca di gratitudine, il bisogno di sentirsi al di sopra del più sfortunato, per poi stancarsi del giocattolo e cercarne un altro”. Sandro non è innamorato della sua benefattrice, e sente che anche lei mostra un atteggiamento deviato, diverso dal sentimento puro. Così l’Autrice introduce nel romanzo la figura dei devotee, ovvero delle persone attratte da soggetti con amputazioni, paraplegie o tetraplegie. Si tratta di “una parafilia, una preferenza sessuale, che può avere radici nel vissuto degli individui che la praticano, ma è considerata lecita e legale se si verifica tra adulti consenzienti”. Angelica non mira a migliorare la condizione fisica di Sandro, supportata dal medico della famosa struttura fisiatrica, che si vende alla figlia del grande imprenditore Modiali. L’interesse dei devotee è tenere gli oggetti del desiderio in carrozzina e indebolirli con psicofarmaci, che ne alterano la personalità. Devo dire che, a mio umile avviso, l’atteggiamento della donna ricorda molto la sindrome di Munchausen per procura, che consiste nella simulazione da parte del ‘caregiver’, ovvero della persona che svolge attività di aiuto, di una malattia sempre più grave dell’assistito, della quale provoca egli stesso danni o peggiora la condizione. Di fatto Sandro perde la rabbia, che lo motivava a credere nella guarigione, e perde la forza di montare in sella. Il vero grande amore dell’uomo si rivela Genny: “chiamarlo ‘sedia’ era riduttivo - prometteva di diventare l’appendice inferiore del corpo di Sandro, in molte circostanze più rapido e veloce delle gambe”. La gara sognata da Angelica sul puledro Luxor non riesce a portarla a termine lui, ma Lisa, che con il tempo acquista un nuovo aspetto agli occhi del trainer, si rivela forse l’unica persona verso la quale prova qualcosa di simile a un sentimento… fino alla rivelazione della vendetta compiuta dalla donna la notte dell’incidente. I veli di Maya che il protagonista vede cadere sono numerosi e determinanti alfine dello svolgimento della storia. Comprende le intenzioni di Angelica di peggiorare il suo stato, ricorda la notte dell’incidente e, con l’aiuto di una terapeuta, compie un viaggio nei territori dei ricordi alla ricerca dei genitori, della propria identità. L’avventura senese, nel luogo di nascita, risulta folgorante e drammatica. L’uomo prende coscienza di molte verità, ne cerca altre… e d’altronde la sua avventura nella memoria comincia molto prima che decida di intraprenderla e non finisce mai, dato che il nastro del passato continua a scorrergli dentro per sempre. Rappresenta un virus selvaggio. E il testo rivela, una volta di più, quanto una famiglia disfunzionale possa generare nei figli problemi di salute mentale. Ma le disgrazie e i veli che cadono uno dopo l’altro hanno il potere, nel tempo, di permettere a Sandro di trasformare i punti di debolezza in campi di forza. L’Autrice caratterizza in modo eccellente i personaggi e la realtà dei maneggi, delle tecniche di addestramento e ogni altro aspetto del romanzo, dimostrando che nello scrivere, come ella stessa precisa nell’epilogo, è  necessario documentarsi. Lei si distingue nel panorama letterario perché “sfoglia un’intera biblioteca per concepire un libro” - Samuel Johnson - Il titolo ispirato alla celebre canzone di Pierangelo Bertoli, è dannatamente adatto al romanzo, il cantautore costretto a vivere sulla carrozzina componeva autentiche poesie nelle quali al ritmo andante della musica faceva da contrasto l’icastica denuncia dell’ambiente messo in ginocchio dall’irrefrenabile desiderio del potere economico, la necessità di riconciliarsi con la natura e di stabilire empatia con tutti i miracoli del creato, nel caso del testo i cavalli, ma anche e soprattutto il border collie Sentan, che rivela un’anima commovente e ama incondizionatamente Sandro, anche quando quest’ultimo lo abbandona per vivere nel ranch di Angelica. Le parole della canzone “A muso duro” che chiudono il libro mi hanno fatto venire i brividi e pensare che dopo la lettura di un simile romanzo di bruciore di fiamma, sono fatta anch’io di tormento e di sangue, di sentimenti inconfessati, di un groppo in gola, di mani che mi prendono e mi inchiodano al muro. Ho vissuto una vertigine e sono in equilibrio sulla fune delle parole.

 

Maria Rizzi   

 

 

IMPERIA TOGNACCI: "LA META E' PARTIRE": "

 In esergo: la meta è partire da G. Ungaretti. Sarebbe già sufficiente questo verso ad aprire la pagina della poetica di Imperia Tognacci. Una poesia snella, veloce, di euritmica andatura che dà tutta se stessa a questa antica e nobile arte con padronanza di forma e contenuto. Qui pathos e logos si aiutano a vicenda per  esaltare in maniera esponenziale la poesia il suo messaggio, la sua armonia, e la sua connessione, insomma ogni spazio utile a ché l’animo umano si moltiplichi per farsi universale, oggettivo, plurimo e plurale in questa vicenda che è la poetica di Imperia.   L’autrice offre tutta se stessa ad un percorso di undici  capitoli che alimentano il suo tracciato con snellezza e profondità. Partire da una poesia incipitaria significa andare da subito a fondo nella struttura formale e significante di questa scrittrice. “Una notte di stelle innamorate/nel respiro dell’estate./ La strada si protende al paese/  assonnato  nella calma della  sera… “. Una corsa a perdifiato verso sinestetici ricami che sfiorano con malizia e sensualità la forma che si alimenta di note poetiche in questo tracciato di estrema simbologia. I molti azzardi simbolici si fanno concreti in questa successione di elementi che reificano un animo tutto volto a rappresentarsi  oggettivamente per dare spazio alla vita del canto e del suo armonico contorno. Capitoli. Perché capitoli? La scrittrice lascia lo spazio necessario al capitolo e al suo significato a ché il tutto acqusisca  il senso della prosastica andatura senza intaccare la liricità del poema che tocca vertici di alta rìlevanza in questo studio di articolato impegno costruttivo. Leggere la poesia dell’amica Imperia significa emozionarsi e imparare da subito gli accorgimenti tecnico formali che alimentano il suo poema.  Il messaggio è spontaneo, diretto, immediato, estemporaneo senza ricorso a tecnicismi retorici che potrebbero indurci a falsi giudizi. Ed è veramente costruttivo il suo linguismo che alimenta con immediatezza  il senso della poetica universale.   Importante è partire come ci dice il grande Ungaretti, partire in questo viaggio di estrema naturalezza. Un viaggio lungo le coste del mare, dove è facile imbatterci in trabucchi e scogli. La Nostra continua imperterrita il suo viaggio, anche su una asse scampato,  perché conosce a memoria la sua navigazione e il suo miraggio è il porto di approdo dove troverà al fine la serenità dell’anima poetica, quella serenità che le permetterà di avvicinarsi al poema con animo spontaneo e armonico, sapendo che importante è partire, iniziare, come ci scrive il poeta: La meta è partire, senza alcun tentennamento o indecisione.                      

RITA FULVIA FAZIO: "L'AMORE PER LA PAROLA E LA RICERCA DELLA LUCE"

 

RITA FULVIA Fazio: l’amore per la parola e la ricerca della luce.

 

 

… E lo sbiadito riverbero di luce

Ingorga speranze!

Bastasse un sospiro,

denso di grazia,

a quell’ultimo granello della clessidra,

girata ancora e ancora,

per aggiungere giorni

di giorni fecondi…

Bastasse

All’acqua di fonte,

riversa nel fiume della notte

che hai in sorte,

la misura e la breccia d’incanto

nel sentirsi , perlomeno,

pienamente se stessi!

Bastasse!

 

Fulvia Rita Fazio. Verso la luce. Silloge inedita.

 

 

Iniziare da questa poesia incipitaria significa andare da subito a fondo nel mare magnum della poetica di Fulvia Fazio, dove si incontrano i vari momenti del suo pensiero, della sua anima poetica:

 

Luce spirituale.

Voglio essere nel tuo cuore.

Voglio essere nel cuore dell'Amore.

Voglio essere Amore.

Voglio

<Alessandro Manzoni da I Promessi Sposi:

non c'è mai anima in cui non rifulga

 un qualche barlume di Dio, una qualche

 luce spirituale.>>

Eros e thanatos, spiritualità, cuore, amore, barlume di Dio, luce. Tante occasioni meditative, in cui la poetessa mischia la sua anima e dove i vari momenti  si assembrano per dare note di grande levatura euritmica.    

Dieci poesie da prefare, da introdurre: poesie intense, scritte da una poetessa versatile, eclettica, innamorata dell’arte poetica, della funzione artistica della parola. E la Nostra lo sa e lo conosce il valore del verbo, l’importanza della sua  nomenclatura, tanto che lo cura, lo rielabora, lo medita per tradurlo con grande partecipazione. Il contenuto scorre fluente e emotivamente suasivo, la parola è asciutta e veloce in questo insieme di subbugli emotivi. Fulvia ama la parola, la contorna, la raffina, la reifica in visioni   concrete e visive. Il suo  tatto e il suo stile sono efficaci, tanto che il verbo si allunga o si scorcia per seguire le ondulazioni dell’anima, per concretizzare in campi semantici un animo tutto preso dall’amore del canto.  Giusta parola in giusto verso. Ibi omnia sunt: l’amore per la vita, l’inquietudine del fatto di esistere, la coscienza della precarietà del vivere, l’onirico, il memoriale, e soprattutto il sintagma, lo stilema,  che fanno della scrittrice una vera cesellatrice. Dieci composizioni che ci aprono il mondo della Nostra, il suo modo di vedere, di intendere, di vivere  in questo tempo tanto turbolento e buio. Dalla sua scrittura emerge una filosofia positiva sull’insieme dei contatti umani. E’ fiduciosa la Nostra, anche se in qualche momento del suo percorso viene fuori una certa malinconia  che non guasta  il contenuto, anzi gli dà quella carica umana da renderlo più vicino al nostro modo di vedere  e di intendere. Insomma Fulvia immette  nel suo canto tutti quegli input emotivi che sono il sale e il pepe della poesia. Un dire vicino al vivere di ogni giorno, all’amore che ci lega a questo segmento esistenziale. D’altronde la vita è una e la Nostra lo fa capire in queste sue composizioni che sprigionano un alto sentimento di elaborazione umana e sovrumana,  una grande escatologica sensazione di effetto vicissitudinale che le rende vere e concrete.   Amare è il dono più grande che il Creatore ci abbia fatto, e Fulvia ne è cosciente, tanto che il suo dettato poetico lo sprizza da ogni poro.

Amore per la vita, gli umani, il mondo, la natura, gli esseri, insomma per tutto ciò che la vita stessa ci propone  in questo breve tratto prestatoci dalla morte. Una filosofia semplice ma umana, complessa, se si vuole, ma sincera schietta, che rende l’autrice spontanea e diretta nel suo dire, che spesso si avvale della natura per reificarsi, per costruire il suo messaggio non solo umano. Silloge, quindi, intensa epigrammaticamente avvincente dove i raggi del sole penetrano la tenebra e danno luce al buio della notte:

 

Luce spirituale.

Voglio essere nel tuo cuore.

Voglio essere nel cuore dell'Amore.

Voglio essere Amore.

Voglio

<Alessandro Manzoni da I Promessi Sposi:

non c'è mai anima in cui non rifulga

 un qualche barlume di Dio, una qualche

 luce spirituale.

Nazario Pardini

 

DAL TESTO

 

È d'oro.

Solo oro accorda l'udire:

sinfonia di cuore e ragione.

La sua sfolgorante bellezza

svanì calda, evanescente lacrima

e donò brillio di voce in chiarità:

s'avvolse ai cuori la ragione.

Travolti nella riposta passione,

promisi, cullata d'amore.

Scelsi l’oro

nel vitale ascolto.

 

Angel.

Oh, se avessimo in cuore

la cura nuda

a culla del battito d'ali

e le ali

ad innalzarci nel blu,

Amore mio grande!

Avessimo le ali,

il lume dell'intelletto

trasmuterebbe in passione

e la gioia,

trasparenze di piume vestirebbe.

Ed eccoci:

Amore mio bellissimo,

superbamente candido,

lo sguardo brilla

il riflesso d’agata del mare

e il bacio afferra e affranca eternità;

sicché, lassù, noi siamo

e, senza ali,

sbirciamo nel cuore.

 

Senza fine.

Non c'è più tempo

in questo tempo

d’indizi sepolti d'oltre tempo.

E si, non so che dirti …

Però, so che dirti

ti Amo

non è sbagliato!

E ti Amo

per la luce

ch’effondi d’incanto,

d'Amore divino.

O sì, non c'è più tempo d'ascolto

al nostro ascolto:

ma potrai rifrangere nel tuo

quello che è stato il mio,

Amore senza fine,

nel regno privilegiato

d'ascolto reciproco.

 

Aura celeste.

Lasciatemi, assente,

al dolore della vita,

vi chiedo.

Lasciatemi all'estate

che reca primavere di felicità

quando è sole,

aura celeste

il tuo nome, uomo.

Quando, al mormorio del vento,

distilla suoni d'aria,

soffusi e lucenti,

il tuo abbraccio.

Appagato spazio e tempo.

Il mio mondo lussureggiante,

la mia isola splendente

non lambisce terre

di presagi funerei;

non guada acque melmose;

la mia bianca casa

ha radici d’intelligenze pure,

evocazioni simboliche,

equilibri tersi;

compagna ha l'ombra dei cipressi:

refrigerio eterno d’alterità d’anime

sul sentiero etereo della luce.

Trasmigra il pensiero magico

all'utopia di austera morte,

vestigia policrome

ai segreti degli altari paradisiaci.

Lasciatemi, allor, vi prego,

senza compagnia di vita,

sopravvivere al dolore.

 

Esser-ci.

Tutto è al posto:

l'intero, nell’aereo azzurro.

Non v'è onda salsa

a narrare la malinconia

di un giorno

di un cielo

di un verso

di un sospiro

di una voce

di uno sguardo

 -mestizia del passato-

nel vento saturo

del respiro del esser-ci.

Non c'è assenza

né abisso

né confine

non il nulla investe

l'alchimia muta

della parola santa

-dilatazione celestiale-

 della vertigine Azzurra:

l'Amore.

 

 

Metamorfismo

Distratta dal senso dei vivi,

la morte, leggera,

diceva:

principio, non fine:

principio e fine.

Ti ascolto, distratta dal senso dei vivi

e accorta ti dico:

se la fine è principio,

l'accetto

poiché, quel senso di vita

è senza senso:

d'umano civile travaglio

è lo sbaglio.

Poltrone, diritti, doveri…

Folli folle impugnano

la guerra dei ciechi pensieri: intrighi, passioni.

Del superfluo, l'urlo,

lamenti pur veri: equivoci, Inganni, menzogne,

come fossero inni ai cieli.

O sbaglio, disumano.

O morte: annullalo!

Che sia principio la fine

senza fine.

 

 

Luce e libertà.

O, oh insensatezza,

tu violi il confine precario

di un senso di vita

d'armonia assoluto.

Ti innalzi,

come piuma al vento,

sulla brezza marina

nell'aria rosata della sera

e al crepuscolo avvolgi disattese

con in cuore la notte.

Ma sappi:

c'è una terra di cielo,

lassù, ad attenderci,

in fede e speranza,

per respirarci

luce e libertà;

noi, con il cuore l'Amore.

 

 

In un cielo di memoria.

E se il solo fulgore di cielo

bastasse a rompere

il silenzio chiuso dentro…

Ma l'eco fa eco a tanti,

troppi silenzi.

Se la neve sciogliesse

il grigiore del mondo…

Ma lei, ambigua,

rifulge grigiore

su ogni filo d'erba verde.

E quella luce di cielo

fa eco e monito

all'oblio schiuso nel cuore:

aggancia brandelli di ciglia abbassate,

di verità negate,

voci esangui immemori

d'oblio racchiuso nel cuore:

eccesso d’accesi lamenti.

E la sospesa aerea trasparenza

del levante,

al passo, alla soglia

s'arresta, crèpa nel cielo di voglie…

E lo sbiadito riverbero di luce

ingorga speranze!

Bastasse un sospiro,

denso di grazia,

a quell'ultimo granello nella clessidra,

girata ancora e ancora,

per aggiungere giorni

di giorni fecondi…

Bastasse

all'acqua di fonte,

riversa nel fiume della notte

che hai in sorte,

la misura e la breccia d’incanto

nel sentirsi, perlomeno,

pienamente sé  stessi!

Bastasse!

 

Luce spirituale.

Voglio essere nel tuo cuore.

Voglio essere nel cuore dell'Amore.

Voglio essere Amore.

Voglio

<Alessandro Manzoni da I Promessi Sposi:

non c'è mai anima in cui non rifulga

 un qualche barlume di Dio, una qualche

 luce spirituale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                   

 

ANGELA AMBROSINI: "JORGE LUIS BOEGES, EL MAR"

 

Jorge Luis Borges, El mar

 

Antes que el sueño (o el terror) tejiera
mitologías y cosmogonías,
antes que el tiempo se acuñara en días,
el mar, el siempre mar, ya estaba y era.
¿Quién es el mar? ¿Quién es aquel violento
y antiguo ser que roe los pilares
de la tierra y es uno y muchos mares
y abismo y resplandor y azar y viento?
Quien lo mira lo ve por vez primera,
siempre. Con el asombro que las cosas
elementales dejan, las hermosas
tardes, la luna, el fuego de una hoguera.
¿Quién es el mar, quién soy? Lo sabré el día
ulterior que sucede a la agonía.

 

Ben prima che il sogno (o il terrore) ordisse

mitologie e cosmogonie,

ben prima che il tempo coniato fosse in giorni,

già il mare, il sempre mare, c’era ed era.

Chi mai è il mare? Chi è quel violento

essere avito che erode colonne

alla terra e uno è e molti mari

e abisso e barbaglio e sorte e vento?

Chiunque lo guardi lo vedrà per la prima volta,

sempre. Con lo sconcerto che le cose

primordiali serbano, le leggiadre

sere, la luna, il fuoco di un falò.

Chi mai è il mare, chi sono io? Lo saprò il giorno

appresso all’agonia.

 

(Traduzione italiana di Angela Ambrosini)                                                                             

                                                                             

 

Una poesia a tema marino, non sorprendente per un autore nato a Buenos Aires, metropoli sulle sponde del Rio de la Plata, anticamera dell’Oceano Atlantico, anche se fu piuttosto l’habitat urbano a irretire maggiormente la curiosità intellettuale del grande scrittore argentino. Ma, si sa, la letteratura talassica è solo un involucro, un pretesto per parlare di altri concetti e l’ossessione filosofica del tempo come eterno ritorno, come pancronia, come percezione dell’infinito nell’attimo, è spina acuminata nel fianco di Borges. Tutta la sua ponderosa, vertiginosa produzione sia letteraria che critica, si dipana intorno a pochi concetti chiave, cardini del pensiero filosofico, così onnicomprensivi da costituire un vero e proprio macrocosmo nel microcosmo, come ben delineato nel suo ben noto racconto L’Aleph. In questa poesia, Il mare, ennesima dimostrazione della perforante capacità speculativa di Borges rispetto ai tratti descrittivi che in molti poeti avrebbero sicuramente fagocitato ogni altra componente, la categoria dello spazio ci proietta in quella del tempo. Il mare rievoca l’infinito soprattutto in senso temporale, o meglio, atemporale, come categoria dello spirito quasi preesistente all’uomo. “Il mare, il sempre mare, già c’era ed era”, laddove in spagnolo si contrappongono sapientemente i due verbi estar e ser, usati nella loro accezione predicativa e non copulativa. Il senso di immobilità, di eternità prevale sulla sensazione dell’incessante movimento marino, del panta rei, assimilando il mare al tempo, sempre uguale a sé stesso pur essendo costantemente in fieri. In poesia, più spesso che in prosa, capita che non ci sia identità, sovrapposizione, tra tema e argomento, del quale il tema è a volte solo un elemento accessorio. Il tema della lirica è, come dicevamo, marino, ma l’argomento vero è il senso del tempo o meglio, la concezione ciclica dell’universo, qui materializzata nel mare: “Chiunque lo guardi lo vedrà per la prima volta, sempre”. Tale affermazione ci propone un’altra coppia di verbi sinonimo, “guardare-vedere”, nei quali si enfatizza la capacità di visione rispetto a quella di semplice, abitudinario riconoscimento. Cifra concettuale, più che stilistica, dello scrittore argentino è proprio questa reiterazione di atti e situazioni che si traducono, sul piano tematico, nella sua ossessione per la molteplicità e moltiplicabilità del reale, simbolizzata nei motivi ricorrenti del doppio, dell’alter ego, del labirinto, della biblioteca-universo, della presenza frequente di un manoscritto affiorante oltre il testo stesso che l’autore sta scrivendo, elementi tutti indicativi di una percezione della realtà come “reminiscenza platonica” che investe lo stesso processo della scrittura. “Quando scrivo qualcosa, ho come la sensazione che questo qualcosa sia preesistente”, ebbe a dire in una delle sue magistrali conferenze, accattivanti come racconti. Parallelamente, nel suo racconto L’immortale, rincara la dose (filosofica): “Non c’è cosa che non sia come persa fra infaticabili specchi. Nulla può accadere una sola volta, nulla è preziosamente precario”.

Non solo la sua labirintica prosa, ma anche la poesia di Borges (non certo più distesa) è avvinta alla filosofia in connessione tenace. Nel saggio Filosofia e poesia, la poetessa e filosofa spagnola Maria Zambrano enuclea concetti fondanti sulla relazione fra queste due discipline in apparenza antitetiche. “Poesia e filosofia sentono sé stesse come una rivelazione trascendentale (…) Il filosofo parte a vele spiegate verso la ricerca del proprio essere. Il poeta se ne sta tranquillo in attesa del dono. La libertà onirica del poeta non è dalle cose ma nelle cose, non è libertà che si stacca dal mondo, ma in esso tenta di vivere. (…) Il filosofo si dirige verso l’essere che si cela dietro le apparenze, il poeta invece resta immerso nelle apparenze stesse (…) La poesia coltiva la disdegnata molteplicità. Il poeta, innamorato delle cose, vi si attacca e le segue attraverso il labirinto del tempo, del mutamento”.

La complessa cosmovisione borgesiana è racchiusa proprio nella molteplicità (qui espressa dall’affermazione “uno è e molti mari”) nelle sue opere sovente sorretta, non a caso, dal procedimento linguistico dell’ossimoro, tentacolare espediente di epurazione di ogni antinomia per avvicinarsi alla conoscenza. In chiusura della lirica la domanda che l’autore formula assimilando la sua stessa identità di uomo a quella del mare (“Chi mai è il mare, chi sono io?”) consegna alla morte il disvelamento ultimo della verità, una morte preconizzata come “agonia”, cioè strenua lotta (e strenua e violenta è l’azione perpetua delle onde marine) per il possesso di una verità negata allo sguardo miope dell’essere umano. Altrove, in un’ardita e ardente identificazione con altri elementi della natura, il grande argentino riflette sulla condizione del tempo: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma sono io quel fiume; è una tigre che mi dilania, ma sono io quella tigre, è un fuoco che mi consuma, ma sono io quel fuoco. Il mondo purtroppo è reale; io, purtroppo, sono Borges”.

 

Angela Ambrosini