sabato 27 luglio 2019

MARCO DEI FERRARI: "I LIBRI E IO"

Marco dei Ferrari,
collaboratore di Lèucade










I LIBRI e IO

Impilanti scaffali di parole
legni d'architetti a strisce
titoli spalmano nomi di cognomi
silenzi solitari a me innanzi tomi
sfumose storie pagine intonse
umori distratti sottendono quadrangoli
Io innanzi cumulo problemi temi stilemi...
capienze di cumuli ciechi
uno per uno contro per altri a favore
rivoltano guerre di paci per semi e petroli
poveri e ricchi a giocarsi olocausti
di bene in male crescenti algoritmi
Dizionari, Guide, Summae sentenziano
maestri del nulla disperse cronache
in giorni qualunque senza percosa
rispondono scienze poemi romanzi disegni...
a condurci illuse chimere
credersi viventi incoscienze
insulse storiche invadenze
libri... tracce cromale tarlate sapienze
ipocriti torrenti aridamente gonfi
impetuosi allinei tra premi e fiere
Io innanzi...
tentando credulo e muto approcci vani per sapermi qualcosa...

Marco dei Ferrari

venerdì 26 luglio 2019

ANTONIA IZZI RUFO: "I RACCONTI DI LUCIO I"





Antonia Izzi Rufo esprime in questi racconti tutto il suo bene e tutto il suo fascino per i bambini curiosi, vispi, amorosi, intelligenti, affettuosi simboleggiati nella figura di Lucio I. Rifacciamoci a ciò che scrive nella sua bella prefazione: “Com’è, chi è Lucio?... Lucio è un bambino di due anni e mezzo. Ha un personalino armonioso, perfetto. Ha i capelli biondi, ondulati, gli occhi neri, dolci e vispi, la pelle chiara… Si esprime benissimo e,  incredibile!, quando parla usa termini ed espressioni propri…  se qualcuno lo rimprovera, per qualcosa di cui egli non si sente colpevole, fa il broncio… basta poco a farlo ritornare calmo, sereno, allegro (baci, carezze, abbracci, qualche scherzetto). Io gli voglio bene, tanto bene…  È attratto, in particolare, dall’attività dei pompieri. Gli piace ascoltare racconti, favole, fiabe, fatti realmente accaduti. E non solo, le storielle le inventa e le  narra con molta mimica.   
Quanto sto per raccontare è per lui, per tutti i bambini del mondo.”. Ed è così che si dipanano storie affascinanti e intricanti in un linguismo fluente e scorrevole, paratattico e suasivo. 28 racconti che si susseguono uno dietro l’altro con il ritmo narrativo di una scrittrice adusa alla scrittura;  all’analisi, al verso. Insomma una scrittrice versatile e polivalente, proteiforme che dà tutta se stessa  al mondo della cultura. Da Volare, “per finta”, da L’”eroe”, da Sulla luna, da Il cagnolino, fino a Lucio racconta, a Magia, a La storia di Igor, è un susseguirsi di vicende frutto di una creatività che spazia dai fantasmi ai ladri, dai carabinieri al gatto con gli stivali: una fantasia che avvince e cattura, che inventa e adatta, che scopre e dona, che alimenta e diffonde. 
Questo libro non è solo e soltanto per bambini o ragazzi, ma anche e soprattutto per grandi, disposti ad apprendere le cose buone, semplici, e poeticamente acchiappanti  del mondo dei fanciulli, di quel fanciullino di cui tanto bisogno ci sarebbe in questa terra  troppo adulta.         

MAURIZIO DONTE: "INSONNE GIRO..."


Maurizio Donte,
collaboratore di Lèucade

I
nsonne giro e tutto il mondo osservo
dall'alto colle, amore, e te sospiro;
e dubitando vado del respiro,
chiedendo ai lumi in cielo a che mai servo,

se del destino mio scoperto è il nervo,
e tutto fugge ormai verso il ritiro
nell'ultimo domani di cui inspiro
l'ombra sua vana, e il divenir protervo

dell'angoscia che dentro il cuor si pone 
e] mai s'allontana. Mistiche fragranze
aspirai in me: soavi effluvi e fiori,

essenze di quel dì che decompone
ogni momento avuto, e le speranze
nate nel dubbio, e perse nei dolori.

Maurizio Donte 24 luglio 2019



giovedì 25 luglio 2019

MADDALENA LEALI: "HAI VESTITO LA NUDITA'" AL MARITO CESARE CANUTI

COPERTINA DUE OPERA DI CESARE CANUTI ORIGINALE

Il 23 giugno, dopo tre anni di terribili sofferenze, se n'è andato il compagno di vita di Maddalena Leali, Cesare Canuti;  grande, geniale e nel contempo umile Artista. A distanza di un mese Maddalena ha scritto della sua nudità di fronte alla morte, quella di un uomo che ha dedicato la vita all'arte fino all'ultimo respiro nella totale consapevolezza della malattia, continuando  comunque ad amare questa vita sempre così difficile, e al contempo tanto bella.
In quei giorni la casa ha tenuto le porte aperte e ha visto il passaggio di centinaia di persone che gli hanno lasciato in modi diversi gioiosi tributi di affetto e ammirazione.
Cesare, pochi giorni prima di andarsene, ha "ordinato " di non essere tristi perché lui non lo era mai stato, incazzato sì, ma triste mai. A Maddalena Leali vanno tutte le nostre sincere condoglianze; e a Cesare, che dall’alto ci vede, questa bella e profonda poesia che la moglie gli dedica, commossa dalla bellezza della sua anima.

Hai vestito la nudità

Hai vestito la nudità della morte
e come già un tempo per i nostri padri
non posso difendere la tua esistenza.
Vorrei la distruzione della Storia
con i suoi piccoli grandi eventi
misura dell’incedere di civiltà,
spazzar via dal Cielo astri da guardare,
divine origini di pensieri inquieti
e sempre incerte magre filosofie.
Hai voluto vestire la nudità
della morte come un giorno il padre mio,
come ogni uomo nascendo nudo smania   
d’essere nell’ora del respiro ultimo.
Che potrei fare per trattenerti qui
per rivestirti di vita e di colore
sconfiggendo questo tempo inesistente?
La bellezza dell’anima si prolunga
t’invade il corpo, si riflette negli occhi
e la luce si fa intensa armonia,
potente. Bella creatura dallo sguardo
indifferente, perdi il tuo slancio,
tu, in un piccolo soffio consenziente.
Resti vocazione, opere incompiute.
Qui, la vita ti restituisce esile
l’ ultimo sussulto della tua anima
fatta d’avorio e ali di farfalla.

Maddalena Leali

23 luglio 2019



GUIDO MIANO EDITORE: "QUANDO FINISCE LA LUCE" DI FRANCESCO TERRONE


GUIDO MIANO EDITORE – NOVITA’ EDITORIALE
E’ USCITA LA MONOGRAFIA “QUANDO FINISCE LA LUCE”: poesie di FRANCESCO TERRONE accostate a riproduzioni d’arte. Prefazione di NAZARIO PARDINI Pubblicata la monografia QUANDO FINISCE LA LUCE. Un felice connubio tra la poesia di FRANCESCO TERRONE in abbinamento con dipinti di vari artisti tra cui il pittore STEFANO DONATI, edito GUIDO MIANO EDITORE, luglio 2019, nella prestigiosa Collana PARALLELISMO DELLE ARTI diretta da Michele Miano.


Nella collana “Parallelismo delle Arti” l’intento è quello di accostare per somiglianza un gruppo di poeti con la scelta di loro testi più significativi attraverso fonti di ispirazione parallele con altrettanto gruppo di artisti. La monografia “QUANDO FINISCE LA LUCE” è un felice connubio tra i testi poetici di FRANCESCO TERRONE con vari dipinti, e sculture di artisti significativi. In particolare, la copertina del volume e della collana riporta l’opera “Fiumi di colore” di STEFANO DONATI confermando la volontà di condividere il progetto editoriale di questa casa editrice in una visione più ampia. L’obiettivo è quello di rafforzare la tensione a comuni intenti tra autore e pittore, dove le tematiche del poeta sono messe in parallelo alla fonte di ispirazione dell’artista: il tema dell’amore, della natura, della memoria, del dolore, della solitudine.
L’arte come strumento di verità per lasciare il proprio messaggio nella caducità e precarietà del nostro vivere terreno. Arte come anelito di vita e giustificazione alla nostra breve esistenza. Arte come strumento che giustifica il significato del nostro breve esistere. Arte come scrittura, arte come raffigurazione pittorica, ma anche fotografica. In ciò risiede il profondo significato della collana “Parallelismo delle Arti”: una poesia supportata, impreziosita,incastonata, valorizzata da riproduzioni artistiche vive, palpitanti, nel segno della condivisione dei valori imperituri di tutte le arti. Poesia come pittura e pittura come poesia.
Scrive il prefatore Nazario Pardini: “Un sogno non muore / quando è guidato / da ali d’amore. / Le rondini volano in aria / alla ricerca / di piccoli insetti/ che volano anch’essi nell’aria, / ma il loro volo, / pur essendo utile, / è fastidioso e senza speranza: / finisce / quando finisce la luce.” (La rondine e la zanzara). Quando finisce la luce, il titolo di questa raccolta editata per i caratteri di Guido Miano Editore nella Collana Parallelismo delle Arti. Partire da qui significa immergersi da subito nella profondità del mare poetico di Francesco Terrone. Tutto è legato alla grande luce che la donna amata effonde attorno; un lucore di vita di cui il Poeta vive e si alimenta; la sua fine sarebbe morte, buio assoluto, assenza totale, aridità.

QUANDO FINISCE LA LUCE, poesie di FRANCESCO TERRONE, prefazione di NAZARIO
PARDINI, nella collana Parallelismo delle Arti, GUIDO MIANO EDITORE, pagg. 88,
con riproduzioni a colori, luglio 2019.
GUIDO MIANO EDITORE – UFFICIO STAMPA - VIA EMANUELE FILIBERTO 12 - 20149
MILANO - 023451804 - 023451806 - mail: mianoposta@gmail.com

mercoledì 24 luglio 2019

ANTONIO SPAGNUOLO LEGGE: "I DINTORNI DELL'AMORE..." DI N. PARDINI


Antonio Spagnuolo,medico, poeta, critico letterario, 
saggista, blogger
DAL BLOG POETRYDREAM DI ANTONIO SPAGNUOLO


Nazario Pardini : “I dintorni dell’amore ricordando Catullo” – Ed. Guido Miano – 2019 – pagg. 120 - € 10,00 

“Lettera ad un’amica mai conosciuta” apre quest’opera ultima di Pardini, introducendo immediatamente l’amore quale faro luminoso di sentimenti variegati e palpitanti. Chi non ha tentato più volte di ripetere, magari anche soltanto sussurrando , i famosi versi “Vivamus mea Lesbia, atque amemus” donando mille, e cento, e ancora mille baci alla propria amata? Con questo invito scorrono le poesie per un tragitto che all’amore volge ogni intendimento, tra le esperienze traforate di ricami esistenziali e l’immagine della donna che coinvolge ed appassiona “quando si oscura il bosco/ e morde l’aria il cielo senza sole”. Il mondo intero aleggia tra memorie, per un trascorso che riesce a confondere leggenda, mito, realtà, storia, e che riemergono nel ritmo del verso tra “ rosse luci, profumi acuti/ in mezzo ai nostri luoghi;/ tu sorridevi,/ mi avevi sempre avuto,/ anche se ormai lo sguardo,/ segnava un volto muto”. Il poeta inebriato si attarda “tra i pini di salmastro”, tra “il rossastro velluto dell’olivastro alloro” ed accarezza la speranza di nuove carezze, rivivendo i tratti del corpo femminile al “tepore delle mani”.
Un’armonia delicatamente sottesa riunisce i testi delle tre sezioni in cui si divide il volume: “I dintorni dell’amore ricordando Catullo”, “Di vita, di mare, di amore”, “Canzoniere pagano”, ricalcando in quest’ultima parte figure e immagini di trascorsi vissuti, dal vecchio mulino che alla sera riflette i colori del fuoco al tempo tardo delle cene familiari, dalle ombre che affollano la fiaba al sogno di ninfe e antichi dei.
Rigorosa la tessitura che distingue il bagaglio culturale del poeta, raffinata e profonda sensibilità che realizza un canto di armonica complessità.
Chiude questo libro un’antologia essenziale della critica.

ANTONIO SPAGNUOLO 


NAZARIO: "IL PORTICCIOLO. SOSTE DI VIAGGIO". DALL'INDIA A LAMPEDUSA DI E. CECERE





Ester Cecere. Dall’India a Lampedusa. Soste di viaggio. Racconti. Wip Edizioni. Bari. 2019

Ester Cecere,
collaboratrice di Lèucade
Scrivere sulla prosa o sulla poesia di Ester Cecere non è semplice. O meglio lo è se si tenta di fare una distinzione. Il fatto sta che la sua anima è sempre sul campo di battaglia, lì, attanagliata; non molla la preda: fa suo ogni angolo di cielo o ogni frammento di luce od ogni palpito di natura. Poi dopo una lunga decantazione rinnova il materiale che, generoso e disponibile, collabora per essere tradotto in canto o in narrazione. Perché difficile per un critico? Perché in lei tutto si fa poetico, tutto immensamente vasto e ontologico. Per cui la sua prosa si confonde spesso con la sua poesia. Ciò che le separa, naturalmente, è la diversità dell’aspetto scritturale. La poesia è il frutto di una sintesi di tutto ciò che di umano e oltre pizzica l’Autrice. La prosa è ampia, larga, più vasta, atta a contenere le vertiginose scosse emotive che ha maturato nei suoi continui viaggi. Sì, perché è importante; Ester viaggia dal nord al sud, nei paesi più impensabili, e tutti le offrono gli spunti necessari a riempire la saccoccia a cui attingere. Ed è così che la prosa si fa fluente, armoniosa, simpatica; io la direi prosa poetica, tanto scivola via come un ruscello chiaro verso il mare. Tanta realtà, tanto sociale, tanta immissione emotiva, e tanta capacità di osservazione. E la sua è un’osservazione mirata, voluta, calcolata dacché sa che da essa dipenderà l’esito delle sue opere. Ma tutto è reale, autobiografico, strettamente simbolico; i personaggi in questione sono veri, dacché la scrittrice non si avventura mai in voli fantasiosi; ha bisogno di toccare con mano, e si fanno avanti nomi che vivono e operano nel suo entourage. Ad esempio dell’India ha tenuto dentro folcrore, volti, paesaggi, abitudini, magagne sociali e bellezze esotiche. Tutto quel groviglio di fattori, tutto l’ensemble che ha giocato un ruolo determinante per la formazione di un libro dedicato proprio a quel popolo. Una perla, un gioiellino a cui resti aggrappato sino all’ultimo verso. Questo fa Ester: reifica immagini, sentimenti, impressioni raccattati durante i suoi viaggi; e di questi vive, di questi si nutre. Si potrebbe affermare, senza dubbi di smentita, che per lei prosa e poesia si inanellano in un gioco di grande respiro poematico: pochi sono coloro che riescono a fare della vita un‘opera d’arte, Ester ci riesce. Tutto è poesia, e là dove l’intervento di Calliope non è  sufficiente a definire l’immensità della sua vicenda, interviene la prosa, mantenendo i soliti battiti cardiaci, le solite scosse emotive, i soliti intenti epigrammatici. Si integrano, facendo della sua attività letteraria un crogiolo di input esistenziali, che, direttamente o simbolicamente, mettono a nudo la sua generosità contenutistica e formale. Quella stessa che salta fuori, con ampie inclusioni partecipative, dalla nuova pubblicazione data alle stampe per i caratteri di Wip Edizioni, di Bari.  La narrazione fluisce morbida e paratattica, senza perifrastiche addizioni o aggiunte epigoniche, tutto è franco e personale. Mi piace riportare un lacerto tratto dalla sua ultima intervista per Michele Bruccheri:   Dall’India a Lampedusa. Soste di viaggio” è la nuova opera letteraria della scrittrice pugliese Ester Cecere. Sono diciotto racconti brevi, ma intensi e coinvolgenti. Sono storie, parole, ma soprattutto sono emozioni, sentimenti, frammenti di vita. Firma la prefazione Domenico Pisana. “Mi ha onorato di una prefazione profonda, erudita, puntuale, esaustiva - racconta a La Voce del Nisseno (versione online) -. Egli non ha solo recensito l’opera ma ha anche indagato nel mio animo, cercando i motivi che mi hanno spinto a scrivere questa raccolta e mettendo in evidenza il mio stato d’animo e le mie emozioni durante i viaggi, come il senso di disorientamento e interdizione, il mio immenso amore per gli animali, il desiderio di inculturazione nella realtà dei luoghi, sul quale non mi ero assolutamente soffermata…”. Nella sua nota introduttiva, l’acuta e sensibile autrice tarantina scrive: “Anni prima, Fernando Pessoa così mirabilmente aveva sintetizzato il pensiero di Antonio Tabucchi: ‘La Vita è ciò che facciamo di Essa. I Viaggi sono i Viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo’”. Qui c’è il senso del suo viaggiare, alla ricerca di sé stessa e degli altri. E lo fa con determinazione, dolcezza, grande senso di umanità.
Ester Cecere, sessantenne di Taranto, è una ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Si occupa di biologia marina, è sposata e madre di due figli. Scrive libri importanti e interessanti, capaci di stimolare una profonda riflessione. Pubblicazioni che aiutano a crescere, libri che diventano carezza e sostegno morale…”. Diciotto racconti, appunto, che nascono  dai viaggi di una vita. E quella di Ester è folta, intensa, plurale volta ad un mondo còlto da un occhio che lo vorrebbe migliore ma che ne sa apprezzare gli angoli più nascosti, quelli facilmente tramutabili in narrazione poetica; in miraggio sociale; in ritratti alla cezanne, che non mirano a una mera rappresentazione della natura, ma ad afferrarne l’essenza. Questa la nuova pubblicazione della scrittrice che si snoda su un percorso narrativo sul filo del romanzo: dallo shock di Alessandra agli splendidi colori di Taj Mahal, dalla festa di Diwali ai tetti a forma di tronco di piramide, fino alle parole con cui il piccolo Emanuele si rivolgeva a colui che in realtà era il suo nonno. Una serie di vicende tenute insieme magistralmente dalle occhiate di Alessandra e Michele, e di altri personaggi vicini al mondo di Ester; tutti attenti osservatori e commentatori di paesaggi antropici  e naturali; di psicologiche riflessioni sulla vita reale.  Non vi resta che acquistare il libro; ne trarrete esperienze umane e culturali di grande valenza etica.  D’altronde il compito del critico è quello di introdurre e  non di svelare. A voi la lettura.

Nazario Pardini 

MARIA RIZZI: "LASSAMME FA' A DIO" DI SALVATORE DI GIACOMO

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade


Salvatore Di Giacomo... e su questo magico blog torna davvero l'infanzia, l'adolescenza vissute a Portici, in provincia di Napoli. Trovai un suo libro. Ero piccola. Forse otto -nove anni. Non si parlava il dialetto in casa, ma mia nonna era un'esperta. La lirica mi fulminò, tant'è che volli impararla a memoria.
La riporto per intero, sperando possa essere un dono:

Lassamme fa' a Dio
di Salvatore Di Giacomo

'A dummeneca 'e Pasca
d' 'o mille e noveciento, 'o Pateterno
(ca s' è susuto sempe 'int 'e primm' ore)
di buonissimo umore
se scetaie mmerz' 'e sette
fece chiammà san Pietro e lle dicette :
- Pie', siente, stammatina
è na bella iurnata
e ll' aria è fina fina :
vurria fa' na scappata
'n Terra. Che te ne pare?
- Mah ! - dicette san Pietro -
(santo napulitano e, mparaviso,
capo guardapurtone)
mah... Lei siete il padrone!
Vulite vedè 'a Terra? E fate pure...
Però... vedete... francamente, 'a Terra
è nu poco afflittiva.
V' avesse disgustá!...
- Ma che ! Che dici !
Su, vèstiti! Scendiamo!...
Dove ci fermeremo? Dove andiamo?. ..
Napoli ! . . . Che ? Ti pare ?
- Eh ! Sissignore :
se dice : Vide Napule e po' muore ! -
E senza perder tempo, llà ppe llà,
san Pietro se vestette comilfò
nu pantalone inglese a quadrigliè,
nu gilè (comm' 'o pòrteno 'e cocò)
tutto piselli verdi in campo blu,
cappiello a tubbo, cravatta a rabá,
scicco stiffèlio di color rapè,
e un piccolo bastone di bambù.
- Sto bene? - Elegantone ...
Andiamo dunque! - E ghiammo...
Quanto mme piglio 'e guante...
Ed in un batterdocchio eccoli a Napoli,
in mezzo piazza Dante.
0 Patre Eterno vutaie ll' uocchie attuorno
scanzaie nu tramme, se mettette 'a lente,
e proprio come un semprice murtale
(ma però con accèndo forastiero),
dice : - Sai, caro, ma l' è mica male
questa vostra città ! Mi fa piacere
assai di rivederla :
ci mancavo dal secolo passato. . .
Ma proprio ha molto, molto migliorato .
La statua qui davante
cosa l' è? L' Aligherio?..
No, dicette san Pietro, questo è Dante...
Grand' uomo!. E questa sulla mano destra
è la famosa chiesa 'e San Michele :
quello è il Liceo Vittorio Emmanuele :
piú sopra c' è il Museo. Questo, rimpetto,
è il caffè Diodati.
Ce vulimmo assettá diece minute?
- Entriamo pure. - E 'o Signore trasette
in quelle belle sale ornamentate,
e san Pietro dicette al cammeriere :
- Favorite due mezze limonate. -
Erano 'e ddiece e mmeza
e 'a iurnata era bella. A mille a mille
passiàveno 'e ggente
pe mmiez''a strata e ncopp''e marciappiede
e vedive mmiscate
femmene, uommene, gruosse e piccerille,
nutricce, serve, priévete e surdate...
- Oh, qual vista gentile !
(dicette 'o Pateterno
pusanno 'o cucchiarino)
ma com' è che si dice
caro quel mio Pierino,
che la Terra è infelice?
Ma guarda, guarda un po' che movimento,
che scena pittoresca e che allegria!
Via, son proprio contento!...
Be'?.Pietro?. E parla, vecchio brontolone!
Non sei della mia stessa opinione?
- Sì,rispunnette 'o viecchio e opera vosta
è certamente tutta chesta ccà :
certo: chi 'o ppò negá?..
Però... Vi siete presa 'a limunata?...
- Si, ho finito... - Embè, usciamo.
Signori, a tutti!...- Buona passeggiata!
-Dunque dicevi? E c' aggia di'?.Guardatel
Tenite mente attuorno!... Che bedite?
Che ve pare?... Dicite.
Dio guardaie spaventato. Mmiez''a strata,
stuorte, struppie, cecate,
giuvene e bicchiarielle,
guagliune senza scarpe,
vicchiarelle appuiate a 'e bastuncielle
scartellate, malate,
e ciert' uocchie arrussute
chine 'e lacreme - e mane
secche, aperte, stennute...
-A carità !...
Sta voce '
e voce a centenara
sentette, a tutte parte,
disperate, strellà:
e quase lle parette
dint' a n' eco e 'a luntano,
sentì 'o stesso lamiento :
- 'A caritá!...
Cu na resella amara,
e allisciannose 'a barba 'a franciscana
san Pietro suspiraie :Nun c'è che fa' !...
Mo nu' ve frasturnate
sentite a me: mo iammuncenno a ccà:
piuttosto quando siamo in Paraviso
se ne riparlerà...
- Come?... Non ho capito... -
'0 Patre Eterno
capuzziava, parlava isso sulo,
teneva mente in aria... Tutto nzieme
fece segno c' 'a mano. E nu lenzulo
scendette sulla Terra lentamente,
lo stendettero a terra in piazza Dante
nu centenaro d' angele
tutte vestute 'e velo -
nce ammuntunaino, dinto, 'e puverielle,
e s' 'e purtaino ncielo...
Figurateve nu poco
sta mappata ca pe ll' aria
ogne tanto s' abbuffava,
se sbuffava - e viaggiava
ncopp' 'o viento - chiena 'e strille,
chiena 'e ggente. - Cchiù de mille !
Figurateve nu poco
che nzalata e c' ammuina !
Chi chiagneva, chi rereva,
chi alluccava : - I' mo mm' affoco ! -
Chi cantava - chi chiammava :
- Neh, Totò!... - Peppì!.. Giovà!...
Donn' Anié! - Don Ferdinà!...
- Mo addó iammo?. - E ba' nce 'o spia!..
- Chi s' 'a fatta 'a pippa mia?...
- Prufessó!... - Pronto!... - Addó state?
- Sto cchiú ncoppa.. - A voi! Sapete,
abbarate addó sputate!...
- Ma che ghiammo 'int' 'o pallone ? ! . .
- Pe', tenisse nu muzzone?...
- Bu! bu! bu!. - Chi è?!. Passa llà!...
- Nun buttà!... - Sode cu 'e mmane!...
- Neh, chiammateve a stu cane ! . . . -
Appena miso pède mparaviso
l' angele mmiez' a ll' erba 'e na vallata
se fermaino mparanza
e pusaino 'a mappata,
ca pe dduie tre minute se muvette,
ruciuliaie pe terra e, tutto nzieme,
s' arapette essa stessa. E se sentette
'a voce 'e n' ommo ca diceva a ll' ate :
- Uscite, miei signó, simmo arrivate!...
Mmiez' a nu scampagnato, addó nasceva
vicino 'a viuletta 'a margarita
ncopp' a ll' evera corta, ca luceva
comm' 'o velluto nfuso
quattro tavule, pronte
e apparicchiate a ll' uso
d' 'e meglie risturá,
pareva ca dicessero : - Venite !
Favurite a mangià! ... -
E che ce stava esposto ! 'A meglia carne,
'o meglio pesce, 'e frutte cchiù assurtite,
chiù gentile e cchiú ffine :
a mela, 'a pera, 'o fenucchiello, 'a fava
a nanassa, 'o mellone
ll' uva, 'e nnoce, 'e bbanane,'e mandarine
e tutto 'o bbene 'e Dio fore staggione.
Vine paisane, e vine mbuttigliate
col sùvero d' argento e l' etichetta,
liquori delle frabbiche premiate,
curassò, strega, cúmmel e anisetta:
e in mezzo a questi (pe fa na surpresa
a quacche puveriello furastiero)
preffino il vischisodo a marca inglesa !..
Avite ntiso maie
Miseria e nubíltá?
Ve ricurdate quanno Sciosciammocca
e chill' ati stracciune
con l' acquolina in bocca
guardano ncopp' 'a tavula 'e mangià
chella bella zuppiera 'e maccarune?
Non vi dico altro. Pe quase mez' ora
ato nun se sentette
(mmiez' a tutta sta gente
ca mangiava, bbeveva,
e sciglieva a piacere)
ca 'o rummore d' 'e piatte e d''e furchette
e'o ndrindrì d'e butteglie e d'e bicchiere.
E all' úrdemo d' 'o pranzo
(nu poco fatto a vino)
s' aizaie nu cecato
e na trentina d' anne.
Doie tre vote tussette,
s' adderezzaie, sputaie, fece n' inchino,
e stu brìnnese, a voce auta, facette:
- Cumpagne e care amice ! Premmettete
c' a stu bello signore,
ca nce ha fatto l' onore
e ce mmitá ccà ncoppa
a bèvere e a mangiá,
io gli rivolgio nella sua presenza,
come attestato di ricanoscenza,
quatto parole p' 'o ringrazià!
Grazie, grazie, signo'! Grazie! Vv''o dico
a nomme 'e tutte chiste sfurtunate
ca se so' saziate
e ca p' 'a primma vota,
senza stennere 'a mano,
mmiez' a ll' aria addurosa 'e stu ciardino
hanno pruvato 'o broro,'a carne,'o vino!
Ccellenza ! E cumpatite sti pparole,
ca so' napulitane
e nun so' ttaliane
comme ve mmeretate !
Io nun aggia pututo sturiá !
Nun me pozzo applicà !...
Guardate!Io nun ve veco!'A che so' nnato
io nun beco a nnisciuno!...
So' cecato, guardate... So' cecato!..
Ccellenza, e che piatá!
A voce lle mancaie. Chiagneva... 'A mano
ca teneva 'o bicchiere
s' acalaie chiano chiano
e 'o pusaie ncopp' 'a tavula. Isso stesso
comme si 'o vino 'o fosse risturbato,
se chïaie lentamente int' 'e ddenocchie,
e, cadenno assettato e abbandunato,
fissaie dint''o bbaccante
'o ghianco 'e l'uocchie...
- Oi Suonno, Suonno!...
Suonno, ca te ne parte 'a ll' uriente,
e nun t' abbence prencepe o rignante,
oi Suonno, e vienetenne lentamente,
e, mponta 'e pède, férmete ccá nnante..
E, si si' piatuso e si' putente,
stienne sta mano, e adduorme a tuttuquante. . .
Te manna san Giuseppe 'a Bettalemme,
e, sotto 'a porta, chi te mmosta 'a via
cu nu ramo 'e viole,
è 'a Vergene Maria...
(E chi te chiamma ccà,Suonno, tu'o ssaie
so' chille ca cuntente
nun se scetano maie...)
Vienece, Suonno !...
(E tu nchiudele ll' uocchie doce doce,
comm'e nchiudiste a Giesù Cristo ncroce.)
'O Suonno s' accustaie. Ma n' ombra nera
lle cammenava appriesso,
n' ombra longa e liggiera
- c' appena isso 'a vedette e se fermaie -
s' acalaie, ll' afferraie
s' 'o strignette 'int 'e bbracce forte forte
e, cu nu filo 'e voce,
le dicette : - Vatténne !
Famme passà. So' 'a Morte...
- E mo che dice?... - dicette a san Pietro
o Patre Eterno - guarda!
Nun è meglio accussì! Tutta sta gente
turmentata e nnucente,
mo ncopp' 'a Terra che turnava a fa'? . .
Doppo n' ora felice c' ha passata,
guarda, e' passata 'int' a l' eternitá...
- Lá!. Guardate!. Là. là!- c'a mano stesa
e trattenenno 'o sciato,
san Pietro lle mmustaie ca quaccheduno
ch' era rummaso aizato
mo se vutava attuorno - e se muveva...
- Là!... Na femmena!... -
E chella,
comme fosse mpazzuta,
cammenava, curreva,
nciampecava e cadeva,
s' aizava... E fuieva...
- Chiammàtela! Addó va? !. . .
- Zitto!.- dicette 'o Padre Eterno zitto...
Lass' 'a fa'... lassa 'a fa'... -
Curreva, fuieva
pe nnanz' 'e cumpagne passanno
(ca nun se muvevano cchiù),
sperduta, - abbeluta,
chiagnenno, tremmanno,
mpauruta, - sbattuta,
curreva, curreva 'int' a ll' ombre
e dint' 'o silenzio d' 'a sera
Nannina 'a pezzente...
E, senza sapé cchiù addò ieva,
curreva, curreva..
Nfi' a che - tutto nzieme -
uh Dio ! . . . se sentette
mancà sott' 'e piede 'o tterreno...
E 'a cielo cadette...
Scinne, scinne, puverella
ca - 'int' 'a notte chiena 'e stelle -
na palomma 'e notte pare
cu nu trièmmolo 'int' 'e scelle...
Scinne nterra, palummella,
passa 'e monte, passa 'o mare,
vola, sciúlia, scinne... Va,
ll' aria è 'a toia. Te porta 'o viento
si te stracque e t' abbandune...
Quanta miglie staie facenno?
Nu minuto e nne faie ciento -
e quant' ate, p' arrivà ! : .
Ma mo luceno, 'a luntano,
luceluce a mmeliune. . .
E so' lume!... E 'a luna, 'a luna
già fà 'o mare nnargentà...
Scinne - scinne... Si' arrivata...
Guarda... 'A i' llà... Napule! 'A i'llâ!...
Nanninella' 'a pezzente
guardaie ccà, guardaie llà, s' urizzuntaie,
e truvaie finalmente
'a via d' 'a casa soia. Sunava ll' una
a Sant' Eliggio. E dint' 'o vico scuro
sciuliava ncopp' 'o muro
nu raggio 'e luna.
- Ninno !
Ninno !
Sto ccà!... Mamma è turnata!... -
E 'a porta, mez' aperta e meza nchiusa,
'e nu vascio vuttaie cu na spallata.
Trasette 'e furia. Currette addó steva
nu piccerillo dint' a nu spurtone...
S' acalaie... Chillo povero guaglione
c' appena appena teneva nu mese,
sennuzziava, cu 'e manelle stese...
Nanninella 'a pezzente
ll' arravugliaie dint' a nu sciallo viecchio
s'o pigliaie mbraccia s'o strignette mpietto
e dint' 'o chiaro 'e luna
e asciuttannose ll' uocchie a 'o mantesino
lle dette latte - e s' 'addurmette nzino...
. .

Io la trovo stupenda. E ricordo che mio padre mi raccontò di quanto fosse famoso come drammaturgo, poeta e autore di canzoni, infatti molte sue liriche   vennero musicate, come quella postata nel blog... Il padre del Nostro pretese che si laureasse in Medicina, ma Di Giacomo svenne nell’aula di anatomia e seppe ribellarsi al volere del genitore e scegliere la strada che lo ha reso uno dei più importanti Artisti napoletani. Ebbe coraggio. Seppe scegliere, in tempi in cui si veniva schiacciati. E ci ha lasciato una grandissima eredità. Bellissimo trovare uno spazio dedicato a lui. Grazie!

Maria Rizzi



martedì 23 luglio 2019

NAZARIO LEGGE: "OLTRE LA SOGLIA" DI S. MENICHETTI




OLTRE LA SOGLIA 
La ricerca del bello con sguardi che aliano nel cielo, sul mare, o tornano dentro per un meditativo riposo

OLTRE

No, a te non basta
appoggiare lo sguardo.
Delle ombre
non ti accontenti.
Il dubbio è sciame
d' api che punge
la carne.
Il mistero tesoro sepolto
da cercare.
Senza rimpianto
attingi alla brocca
del tuo tempo.
Spezzi le catene
dall'apparenza.
Perfori barriere.
Senza timore
T'immergi negli abissi.
Per cercare occhi di luce
.
Oltre la soglia, il titolo della nuova fatica letteraria di Serenella Menichetti, che, divisa in due sezioni (Oltre e Un’occhiata alla NOE), si distende su uno spartito contenutistico-formale vario e articolato vòlto a significare la complessità diacronica di una ricerca stilistica: dalla euritmica sonorità di valenza lirica della prima si passa alla prosastica descrizione di una realtà non contaminata da influenze biografico-memoriali della seconda.
Iniziare da questa poesia eponima significa andare da subito a fondo nella sua poetica; nei meandri del suo esistere che con tutta la loro energia evocativo-simbolica danno voce ad un’anima alla ricerca di se stessa; del suo stare in questo mondo tanto problematico; e soprattutto del suo ambire a un orizzonte che vada oltre i limiti del suo soggiorno; delle ristrettezze del dove e del quando: inquietudine, spleenetica angoscia esistenziale, baudelairiani voli compensativi. Le cose si fanno sempre più collaboratrici in questo percorso epigrammatico: ora oggettivazioni di sentimenti e sensazioni, ora trame all’apparenza asettiche, ma in definitiva sempre partecipi di interrelazioni comunicative. L’uomo fa parte di un gioco inquietante di fronte all’estensione del cielo o del mare. Si sente piccolo, infinitamente inesistente e i dubbi lo assalgono e lo tormentano, pur essendo, egli, un tutto di fronte al tutto che lo assedia: “Cos'è un uomo nella Natura?/ Un nulla davanti all'infinito,/ un tutto davanti al nulla,/ qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto”  (Pascal). È così che (ti immergi) si immerge negli abissi per occhi di luce vòlti a quel faro che illumini un braccio, almeno un braccio, di quella immensità. Tanti gli interrogativi che l’autrice si pone nella speranza di trovare una risposta plausibile, o almeno in parte soddisfacente, di fronte al mistero del tutto; di fronte al rapporto fra il nostro essere e l’infinito sguardo del cielo: “... Oltre il tuo mondo/altri inesplorati/ti attendono”. Per questo il suo stile è in continuo movimento, alla ricerca forse proprio di quell’isola che resta vietata alla nostra inadeguata navigazione. È là che mira, e anche se il suo copyright resta inconfondibile, anche se il timbro del suo dire è sempre riconoscibile, in questa silloge si presenta con una scalata verso montagne con scarpe ora chiodate, ora agevoli a seconda dei cammini. Scomodando Eraclito si può affermare che: “L’armonia delle cose sta proprio nel perenne mutamento generato dal polemos tra gli opposti…” “E nel mutamento le cose si riposano”. Uno stile in progress radicale, che da  lirico-intimistico si trasforma in oggettivo-realistico, tipo spersonalizzazione alla NOE (nuova ontologia estetica):
L’orologio del campanile segna le dodici e quaranta.
del 26 Maggio 1950.
-Niente zucchero filato- dice Patty a Jennyfer -è l’ora
di pranzo-
La signora con la veletta e le guance incipriate
che stacchetta sul pavimento della piazza
la saluta calorosamente.
Emilie ha la borsa colma di frutta fresca,
acquistata al piccolo chiosco di Mary.
Carolina si ferma a guardare i conigli nani.
Un vociare di bambine con la collana
di nocciole al collo le passa accanto.
I cavalli della giostra le scorrono dentro gli occhi.
Pierre succhia con gusto una menta
dai colori pastello.
Le lancette si sono appisolate
sulle 12 e quaranta... (UN MOTIVETTO),


C'è un vuoto riposante nella mente.
Il fumo delle sigarette sale.
Nemmeno una nuvola.
Le mie scarpe hanno i lacci blu.
Non le avevo mai guardate.
Le unghie devono essere levigate.
Metterò i guanti per pulire i carciofi.
C'è un tramonto calmo
(MATTINO),

spesso, in narrazioni di ecfrastica valenza che, tramite una autoptica sequenza descrittiva, traggono dalla dialettica dei contrari l’alimento primo di una visione etico-estetica della vita. Una tendenza letteraria distante da ogni propulsione poetica dato che la vera poesia chiede il mondo, le peripezie, o il passato macerato da tempo in un animo caldo e generoso. Ma la poetessa non si stacca mai dal suo essere. Non c’è rottura fra la realtà che la circonda e ciò che ella è, dato che si porta dietro il palpito che vive e che vivrà. E le cose respirano, hanno il suo profumo;  sono esse che tratteggiano la sua indifferenza, il suo disincanto o la sua malinconia. Certamente è bene e proficuo cercare nuove strade, nuovi percorsi; è così che possiamo indagare meglio sulla profondità del nostro esistere; senza dubbio! Ma non è che cambiando stile uno possa fuggire da ciò che è. Il suo è un andare umano, fortemente umano, teso ad un viaggio di concretezza inquietante, ma anche di meravigliose scoperte che la vita le offre:

Danzo la morte che scompare.
Danzo la vita che riaffiora.
Danzo per tutte le vite passate.
Danzo per le troppe violate.
Danzo per questi parti
così dolorosi
così contrastati.
così indispensabili.

Dal seme dell'angoscia: 
ancora una volta mi partorisco
(DANZO LA VITA),

di contagianti sorprese di fronte alla esplosione della primavera:

Pure il merlo, stamani gode delle neonate viole.
Occhi festosi e becco semiaperto.
Spettina i capelli del prato con le zampe
e agita le corvine ali.

Schegge di sorriso d’uccello
penetrano l'anima delle foglie.
Sorride l’albero.
Risa trillanti, s’odono in ogni chioma.

Delicato il sapore della felicità,
in sorriso declina.
Tutto è piuma stamani!
E questo cielo attende voli.
(LE VIOLE),

pur sempre volando su orizzonti di oltre misura; con ascese oltre la vita in seno al tanto che questa nasconde o manifesta, dacché è dalla natura che trae ossigeno per il suo canto.
Un racconto totale, plurale, proteiforme che ci tiene dagli inizi alla fine: vita, amore, solitudine:

Sono chiuse alla via dell'amore
le tue finestre.
Un'altalena vuota cigola
nella solitudine della notte.

Nelle mani:
la sabbia del deserto
(DESERTO),

saudade, spiritualità, abbrivi di panica contaminazione:

E soffia ancora tra i capelli
il vento.
Lo smeraldo dell' erboso manto
increspa.
Ondeggia la tua vita.
Pur nel supplizio del morbo,
la maestosa palma
ancora oscilla le sue verdi ali.
Fanno da sentinella:
due magnolie di raso
(NEL MIO GIARDINO),

vertigini allusive, sintagmatiche inclusioni, ritorni onirici,  affondi sinestetici di ampia positura lirica con questioni sul poeta e la poesia: “... In un percorso piano/  dove i concetti possiedano la semplicità dell’acqua./ E la sincerità dello specchio./ Chissà:/  se possa servire un poeta./ -----------------------------------/ Oppure no”. Tutto questo nella nuova plaquette di Serenella Menichetti, che si distende su uno spartito di rinnovato ardore ispirativo. Su di lei ho già avuto occasione di scrivere in altra prefazione “…poetica plenitudinis vitae.  Ci sono le radici, simbolo del nostro vivere ed esser-ci; simbolo di una storia in cui ogni ambito, ogni piccolo oggetto ha la sua ragione di essere; c’è il passato, il presente, ognuno con la propria identità, col proprio sacco di immagini, con la propria portata di sentimenti; c’è il futuro “complessa operazione in perpetuo mutamento”. Ma soprattutto c’è il volo, questa voglia di aprire le ali per un’avventura che ci elevi al di sopra del contingente, spesso folto di delusioni. E ambire all’oltre è umano, fortemente umano; è dell’uomo cercar di svincolarsi dal terreno per azzardare sguardi oltre la siepe…” (da Nota Introduttiva a Serenella Menichetti: Fiore di loto. Gemignani Editrice. Cascina (PI). 2015). Questo ho scritto e credo che sia  pertinente,  prodromico alla lettura di questa nuova avventura; partire da qui significa rimarcare l’amore che la scrittrice nutre per il canto. Per lei la poesia è cosa seria, non si può scherzare su confessioni dirette, su armoniche sensazioni, che, pescate durante il tragitto dell’esistere, si fanno preziosi beni da conservare e rinchiudere in robuste casseforti. Ed è ciò di cui ci illumina la Nostra: il rapporto con il tempo, l’attesa:

L’attesa è un treno in ritardo.
Alla fermata dell’alba salgo
sul primo raggio di sole
che passa.
E’ proprio lei!
La tocco.
Poi furtiva l’assaggio
(ALLA FERMATA DELL’ALBA),

le sue preziose memorie:

Chiamalo ricordo.
E’ il prezioso lenzuolo in lino del tuo corredo
conservato al buio di una cassapanca tarlata.
 Tu sulla soglia seduta
 lo osservi mostrarsi in tutte le sue pose (SEQUENZA DI UN RICORDO),

le considerazioni sul fatto di esistere:

Il viaggio scivola verso quel nulla
senza frontiere. 
L’immagine va oltre sé stessa e la memoria
nell'ignoto s’annega
(TEMPO INTERNO),

le quotidiane occasioni che ci capitano vivendo, o il dilemma che tanto ci riguarda su Eros e Thanatos e sul mistero del vivere e del morire:

Concetti al veleno ti immobilizzano.
Lo sguardo cerca la rosa.
S’aggrappa a gemme
nascoste.
Verità contrastanti
Spingono la morte
un passo più in là
(DOLE/AMARO),

Il mistero della morte
prematura mi cinge
con catene di chiodi (MISTERO).

E lo fa con un linguismo maturo e prezioso; prezioso nel senso di una semplicità che luccica come un punto luce; alla ricerca di sintagmi e iuncturae che appaghino le esplosioni meditative. I suoi accorgimenti etimo fonici, o sinestetico-significanti sono frutto di un animo  lontano da ogni rocambolismo etimologico, da ogni forzatura espressiva, da ogni epigonismo o ambiguità semantica. “… Un risveglio senza gabbiani,/ un foglio accartocciato./ Una poesia scabra:/ né trucchi, né orpelli./ La regina è nuda”. E anche le figure stilistiche o la contagiante metaforicità del suo percorso fanno parte di una stesura grammaticale spontanea e netta; della voglia di dare corpo a un sentire che preme, che scalpita per vedere la luce: “Quando scrivo apro la porta di un sogno. /Entro in punta di piedi,/ solo dopo inizio a camminare speditamente./ No, non hai capito non è propriamente un sogno/ Certo, gli assomiglia./ È una situazione quasi paranormale/Non posso uscire per accendere il gas. /Lavare l'insalata...”. Tutto scorre liscio, tutto è leggibile e fluente, come un ruscello che, ritmando, fluisce dalla sorgente al piano, dal piano alle pinete, dalle pinete al mare, arricchendosi ora con le ombre delle acacie, ora con i guizzi dei tramonti, ora coi profumi di ragia, ed ora con i brividi finali di una foce che tutto ingoia. Configurazioni che in lei si fanno simbologia di una esistenza di suggestioni e meraviglie; di melanconie, anche, che il fatto di esistere si porta dietro con naturalezza, senza intercessioni, dacché la vita è piacere, è consapevolezza di un bene irripetibile, ma anche coscienza di un stato di precarietà, dato di fatto che ci sfugge giorno dopo giorno. Scrivere della sua poesia significa indagare nel profondo del suo animo, nella preziosità della sua storia spirituale, dacché vita e arte si completano: “La vita è l’arte dell’incontro”, affermava  Vinicius De Morales, poeta brasiliano amico di Ungaretti, “e vita e poesia sono la stressa cosa”. Mentre Thomas Mann sulla creazione artistica: “conoscere in profondità e rappresentare in bellezza”. Due citazioni che sembrano fatte apposta per la Micheletti, che, con tutto il suo amore per il canto, vive osservando, sorprendendosi delle cose belle, emozionandosi davanti ai cromatici linguaggi di una natura ora esplosiva ora decadente. È da là che trae l’ispirazione per il suo “Poema”.  Ma non meno dai fatti della vita, da una calda stretta di mano, da un avvenimento che la scuote e la addolora, dallo sguardo di un bambino che la riporta al valore della semplicità. Ella conosce in profondità il mondo che la circonda e, con forza emotiva, lo traduce in bellezza. “Spesso ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare” afferma Victor Hugo. E Serenella ha piena l’anima di cose assorbite durante il suo viaggio. Ne ha fatto cumolo; le ha mantenute a decantare nella sacca dell’esistenza, finché, pronte e mature a puntino, chiedono con forza di tornare a vivere. Sensazioni e realtà che si sono tradotte in immagini, nuove, feconde, desiderose di vedersi in poesia. La Nostra cambierà pure stile, cercherà nuove strade da percorrere, perché l’uomo è nato per scoprire, per avventurarsi in mari senza orizzonti, in cerca del suo esistere in una perpetua corsa verso il sapere, ma nessuna parola, nessun tramaglio di realistiche aggressioni potrà mai dividerla da se stessa; non si perderà mai in un oceano estraniante dacché “Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est” (Seneca) “A colui che ignora il porto a cui è diretto nessun vento è favorevole”:
(...)
Mentre sogno
di attraversare il ponte
che conduca al di là
di questo vuoto di colori,
di questo immenso gelo:
paziente, attendo la primavera,
riscaldandomi alla fiamma
dell'invidia, per la marmotta e l’orso.

Nazario Pardini