mercoledì 30 novembre 2016

AURORA DE LUCA SU "NINO FERRAU' DI DOMENICO DEFELICE"


Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade

Aurora De Luca su NINO FERRAÙ di Domenico Defelice, Il Croco, Novembre 2016, «Pomezia-Notizie»


Sono belli questi Crochi perché sono animati dalla voce e dalla poesia: dalla voce perché, negli scambi epistolari, si possono sentire anche le inflessioni roche del discorso; dalla poesia perché essa è il centro.
Defelice ha amici che gli somigliano, che come lui amano la terra, che come lui amano la vita e che hanno un profondo naturale rispetto per la poesia e per l’arte. Sono, per questo spirito irriducibile, dei combattenti e degli innamorati: «non si consuma/ di pianto né di fuoco, / ma quando poi sentiamo di bruciare, / la fiamma ci distrugge a poco a poco/ ed è l’amor che insegna a lacrimare».
Sono belli (I Crochi e i due poeti, Defelice e Ferraù) perché non si confondono nel baccano che c’è dentro alcuni salotti e fuori in certe piazze, ma piuttosto fanno come fa la poesia e cioè non si lasciano addomesticare, né comprare, né diminuire, fedeli a quella cosa che non ha mercato. Per questo sono salvi dall’invidia e possono provare veri entusiasmi per i meriti altrui: «Chi mi uguaglia lo sento fratello, chi mi supera lo riconosco maestro».
Domenico rende a Nino un libricino che è un abbraccio fraterno e, nel contempo, «ossigeno per coloro che sono ancora innamorati dell’arte e della poesia». Il mondo cantato da Ferraù è un mondo “pieno di spine e rose” ove regna, seppur non vista, la forza della poesia: «io sono la poesia seppellita sotto la cieca forza del materialismo invadente e che tuttavia continua a rinascere su di esso, come la ginestra sulla lava».
Non può scindersi la dolcezza dalla tristezza, né l’andare dal tornare, come un lento languore rivolto alle cose amate e che non possono essere più raggiunte. Ma Ferraù è una nave che non può stare al molo e che imbarca su di sé tutte le contraddizioni della vita, quelle dell’umano e dello Spirito.
Ho incontrato Ferraù in questo Croco, il direttore di «Selezione Poetica», il poeta delle pietre di fiume, del pensiero sofferto, l’ho incontrato intimamente, nelle passeggiate amicali, negli incontri che non si sa più quanti siano stati, perché Defelice ha concesso al ricordo d’un sodalizio di non essere perso.
La poesia, quella no, non può perdersi né morire.
«Ho letto il tuo volume Canti d’amore dell’uomo feroce e vi ho trovato il mio stesso mondo fatto di tenerezza e di sdegni, di dolcezza e di ribellione, di intimità famigliare e di tormento cosmico» (Nino Ferraù, Lettera del 9 Agosto 1978).


Aurora De Luca 

martedì 29 novembre 2016

NUOVA PUNTATA DI "VISIONI DA CAPTALOONA"


Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade

Nella nuova puntata di Visioni da Captaloona intervistiamo Ida Cimmino, presidente del centro studi Alto Molise, parliamo della poesia di Marco Maggi, presentiamo "Il filo di lana" di Paolo Jorio e diamo voce ai vincitori del concorso! Buon ascolto!

 Claudio Fiorentini

lunedì 28 novembre 2016

DIANORA TINTI: "IL PIZZO DELL'ASPIDE"

Da qualche giorno è uscita la nuova edizione e.book (riveduta e corretta, compreso copertina) del romanzo IL PIZZO DELL'ASPIDE  di DIANORA TINTI

Questo è il link, per chi fosse interessato ad una bella (e VERA!) storia d'amore:



PAOLO STEFANINI PRESENTA "IL BUIO E LA FARFALLA"


A NOCETO: "PREMIO LETTERARIO NAZIONALE"

2 ottobre Festa dei Nonni

La data del 2 ottobre è stata ufficialmente riconosciuta dalle leggi dello Stato come giornata dedicata ai Nonni. Le istituzioni hanno così voluto sancire il ruolo che essi rivestono nella nostra società ove rappresentano un importante punto di riferimento, una risorsa di grande valore, un patrimonio di esperienza e saggezza cui attingere, oltre che un concreto ed indispensabile aiuto nell’educazione dei giovani all’interno delle famiglie di appartenenza. Noceto ha avuto una parte fondamentale nell’iter di istituzionalizzazione della giornata dedicata ai nonni, avendo adottato già nel novembre 2004 un atto deliberativo – poi trasmesso alle più alte sedi istituzionali – nel quale veniva proposta la celebrazione della festa a livello nazionale in data 2 ottobre anziché 26 luglio, come originariamente indicato nel disegno di legge.

Il Comune di Noceto

Il Comune di Noceto nell’ambito delle iniziative promosse in occasione della “Festa dei Nonni”, bandisce La 12ma edizione del concorso PREMIO LETTERARIO NAZIONALE “La storia si scrive a Noceto …parola di Nonno ”

Regolamento

1 – Il concorso è aperto a tutti quanti abbiano compiuto il 18mo anno di età. La partecipazione è gratuita
2 – Si partecipa inviando un elaborato un elaborato di propria creazione, in lingua italiana, inedito e mai premiato.
3 - L’elaborato può essere di un massimo di n.4 Cartelle (formato A4, con 1800 battute ciascuna), ove vengano rievocati i ricordi che la legano a qualche particolare momento di vita vissuta, ad una persona cara, ad un evento significativo.
3 – Il contenuto delle opere dovrà essere legato alla propria esperienza per consegnarne la memoria alle future generazioni.
4 – Il tema scelto per la 12ma edizione del 2017 è: “Emozioni in viaggio: ricordi delle vacanze con i nonni”
5 – L’elaborato potrà essere corredato da foto, cartoline, illustrazioni, lettere. ( anche in fotocopia).
6 – Il materiale inviato non sarà restituito e potrà essere utilizzato per realizzare l’Antologia del Premio.
7 – La giuria sarà composta da persone appartenenti al mondo della cultura, della letteratura, del giornalismo e dello spettacolo e sarà resa nota al momento della premiazione.
 8 - Gli elaborati debbono essere inviati in unica copia, solamente in formato elettronico (files in formato pdf e/o word) al seguente indirizzo: concorso@lafestadeinonni.it
9 – Il termine di presentazione delle opere è fissato per il 30-06-2017
10 – Per eventuali informazioni, telefonare a: Simona Sansuini 0521/622128 Giuliano Bortolotti 0521/622123 Gianluca Ancorati 0521/622131 oppure consultare il sito: www.lafestadeinonni.it 11 – La partecipazione implica la piena accettazione di tutte le norme contenute nel presente bando. I dati anagrafici e tutte le informazioni riguardanti i partecipanti saranno utilizzati esclusivamente per il Premio e saranno tutelate dagli organizzatori ai sensi della Legge n.196/2003

Premi Ai vincitori:

1° classificato - €uro 500,00;
2° classificato - €uro 300,00;
3° classificato - €uro 200,00.


I finalisti riceveranno in omaggio due copie dell’antologia. Gli elaborati premiati e finalisti saranno inseriti gratuitamente nell’Antologia del Premio, che verrà divulgata su tutto il territorio nazionale. La cerimonia di premiazione avrà luogo a Noceto (PR) Domenica 1 Ottobre 2017 Domenica 1 Ottobre 2017 alle ore 15,00. Gli esiti del Premio saranno consultabili su Internet, al sito: www.lafestadeinonni.it www.lafestadeinonni.it www.lafestadeinonni.it 

domenica 27 novembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "INEDITI" DI EMANUELE ALOISI



Una poesia di esistenziale consistenza dove  il verbo s’insinua in una architettura metrica di epigrammatica valenza. Il piccolo Zaccheo;  il tentativo di  vedere Gesù salendo sui rami del Sicomoro (albero usato, per la sua resistenza, anche dagli Egizi per i sarcofaghi)…; i riferimenti al Vangelo di  Luca: tutti indizi che ci fanno da antiporta alla comprensione della poetica di Emanuele Aloisi. Ma è Montale, il suo rapporto coll’aldilà, ad offrire lo spunto ai versi della prima lirica; è il pessimismo di natura dostoevskiana della poetica montaliana. Cultura, letture, realtà fenomeniche, che offrono ad Aloisi la possibilità di dire in maniera indiretta di sé e del suo travaglio interiore, della sua scalata verso la luce; è sufficiente che “… le orme del Signore/ impreziosisca(o)no il tappeto all’uscio,/ dopo che il varco vi ha trovato aperto/e dentro casa vi ha lasciato il verbo”. Questo è il messaggio dell’Autore, un messaggio di fede e di serenità che attenua o sconfigge i dubbi o le incertezze da cui l’uomo è attanagliato di fronte all’imperscrutabile senso del tutto; di fronte agli orizzonti infiniti che vanno al di là del potere umano, del  senso eracliteo della vita, contrapponendosi al pensiero escatologico dei versi di Montale, con un saldo credo “…Anche restando sulla terra/ e ritrovando, tra le zolle, fede/ un uomo o l’edera ai suoi piedi/ può riscoprirvi convertita essenza…”. E la natura con tutta la sua potenza iconica fa da supporto ad una fede di forte entità teologico-filosofica: si raggiungono vette di metempsicotico lirismo;  di vero impatto emotivo  quando “Il mare ha le mie mani,/ … ti stringono sui fianchi/ e di carezze ti accarezzano la pelle,…”. E anche se il poeta vive momenti di risentimento verso una terra non sempre amica “… Tu/ mia amata terra.../ or mi cospargi di miseria,/dell’ira tua funesta,…”, il suo malcontento deriva pur sempre da un amore incondizionato verso essa, dacché si aspetterebbe di essere contraccambiato dalla sua generosa offerta di Bellezza e di amore. Ma è alla fine che il “Poema” si fa più umano; nel momento in cui l’Autore si abbandona ad uno sperdimento naturistico di forte significanza  vicissitudinale “… lì dove il battito di un vento/ e il suo respiro arcano,/ sussurrano i sorrisi d’altra terra,/ la luce ad esaltare l’ombra/ di un calice, di un faro, un campanile/ o di un sentiero ad indicar la rotta”. Quella rotta verso cui ambisce ogni vivente in cerca di se stesso, di quella isola che non esiste, di quella terra che sempre abbiamo sognata, che, al fin fine, rappresenta l’alcova di ogni poeta. Ben distribuito il verso che con i suoi ritmi di effetto contrattivo dà risalto ad endecasillabi di euritmica sonorità; è così che l’incatenarsi  di differenti note dà luogo ad uno spartito atto a concretizzare le fasi intellettivo-sentimentali dell’esistere.

Nazario Pardini


dai versi di Montale:
<<Si tratti di arrampicarsi sul sicomoro
per vedere il Signore se mai passi.
Ahimé, non sono un rampicante ed anche
stando in punta di piedi non l’ho mai visto.>>

In cima a un sicomoro

Non serve a nulla un sicomoro
o arrampicarvisi fino alla cima,
quando Zaccheo, o qualunque uomo
comunque incredulo rimane e
ahimè, non scorge alcun passaggio.
Di un albero son vani gli occhi
se gli concedono una scala,
superbe fronde verdeggianti
ad ombreggiare un cielo terso,
senza scrutare della luce, i raggi.
Anche restando sulla terra
e ritrovando, tra le zolle, fede
un uomo o l’edera ai suoi piedi
può riscoprirvi convertita essenza,
quando le orme del Signore
impreziosiscono il tappeto all’uscio,
dopo che il varco vi ha trovato aperto
e dentro casa vi ha lasciato il verbo.


Un’odissea d’amore

Il mare ha le mie mani,
quando ti stringono sui fianchi
e di carezze ti accarezzano la pelle,
i pori vi respirano i respiri
e con la polvere dei suoi coralli
rivestono le nude zolle,
e dei granelli te ne adornano capelli
slegando i nodi di dolori.
Madide le alghe sparse
s’impregnano di gocce di sudore,
dell’eco del segreto pianto
riecheggia voce nelle orecchie,
nelle conchiglie dell’abisso.

Tu
mia amata terra...
che mi respingi a tradimento,
non ti accontenti di esiliarmi
e nell’ignoto allontanarmi,
nelle risacche dell’oblio.
Dimentichi i ricami delle onde
e di Nettuno le lenzuola bianche,
le orme sul mio corpo stanco
e dei tuoi figli le memorie,
gli scrigni di promesse
di un’odissea d’amore.

Tu
mia amata terra...
or mi cospargi di miseria,
dell’ira tua funesta,
veleno di relitti accatastati
a tormentare le mie vene,
a prendermi le membra in grembo
e ad abortire nel tuo fango,
nell’omertà delle tue crepe!



All’orizzonte
(dal dipinto di Claude Monet: La chiesa diVarengeville e la gola di Les Moutiers)

La sfumatura all’orizzonte,
lì dove il mare abbraccia il cielo
e lacrime...
le nuvole di spume,
pare fuggire da una terra
dove vi gemono le fronde,
sbiadite nei colori le ginestre.
I grembi desolati delle zolle,
i fremiti di un’erba logorata,
si affacciano con gli alberi alle sponde,
lì dove il battito di un vento
e il suo respiro arcano,
sussurrano i sorrisi d’altra terra,
la luce ad esaltare l’ombra
di un calice, di un faro, un campanile
o di un sentiero ad indicar la rotta.



venerdì 25 novembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "DONNA" DI NADIA MILONE


Un sonetto che con la sua (ABBA, ABBA,  CDE, EDC) perfetta gabbia metrica dà consistenza ad un pathos di forte valenza esistenziale: rimanere in disparte, camminare a piedi nudi per non  disturbare, chiudersi in una stanza al minimo rumore: segnali di inquietudini e sofferenze per amori finiti, per sottrazioni di gioie e sicurezze, per perdite di solide realtà, per abbandoni a memorie di fresche primavere; parole semplici e fattive che con il loro potere di empatica sonorità fanno un po’ da ossimorico contrappunto al disagio intimistico del contenuto. Le speranze si spengono nel pozzo dell’anima assieme all’illusione d'un uomo vero; solo il senso di schiavitù della paura sembra vincere sul tutto; una paura che prende sempre più consistenza, giorno dopo giorno: il dolore, il rimpianto, la malinconia hanno buon gioco. Il bello sta nel saperli esprimere con una verbalità che non scada mai in sentimentalismi di bassa lega. Ciò che la Nostra sembra fare.

Nazario Pardini

DONNA

Rimani tutto il giorno un po' in disparte,
cammini a piedi nudi per timore
di disturbare, e al minimo rumore
ti chiudi nella stanza. La tua parte

sai recitare, quasi fosse un'arte.
Ma poi non sempre basta, e quel gonfiore
che con il trucco mascheri, nel cuore
ha già tracciato i segni. Tra le carte

e i fogli tuoi nascondi anche i pensieri
che mai potrai gridare ai quattro venti,
e soffocando dentro le speranze,

t'illudi che il tuo mostro avrà sembianze
d'un uomo vero, un giorno, ma diventi
delle paure schiava, più di ieri.

Nadia Milone




VALERIA SEROFILLI LEGGE "L'ALBA DEI PAPAVERI" DI A. BIAGIOLI SPADI


Valeria Serofilli, docente, scrittrice, critico letterario.
saggista

L’ALBA FIORITA ED ELABORATA DI ADUA BIAGIOLI SPADI
Nota di lettura di Valeria Serofilli al volume L’alba dei papaveri (La Vita Felice Edizioni 2015) di Adua Biagioli  Spadi



“Stringerai un'immagine di me/ fra le dita tue spietate,/ ma sceglierai?”. Sono questi i versi iniziali della lirica “L'immagine di me” e costituiscono una delle possibili chiavi di lettura del libro L'alba dei papaveri che Adua Biagioli  Spadi ha pubblicato  nel 2015 per i tipi de La Vita Felice . Si correlano in modo diretto e immediato al sottotitolo del volume, vero e proprio codice di accesso per comprendere gli intenti e i significati più intimi di questo testo: “Poesie d'amore e identità”. L'amore genera passo dopo passo il modo di essere di chi lo vive, sia come oggetto che come soggetto. Cambia le prospettive, gli orizzonti, muta esternamente ed internamente. È il termine di paragone, spesso spietato nella sua sincerità, come le dita a cui si è fatto cenno nei versi citati in apertura.
In questo suo volume l'autrice indaga con sincerità su se stessa, ma non in generale e in modo astratto  in quanto esplora la sua identità in rapporto al più possente e stravolgente dei sentimenti.
Il linguaggio adottato è lineare, in apparenza semplice. Ma è utile per descrivere in modo nitido i tempi e i modi, i mutamenti che sono generati dal modo di sentire e di rapportarsi con il mutare dei tempi nei confronti di ciò che si ama e di chi si ama. Mostra in modo esplicito e sincero ciò che resta e ciò che cambia. Facendo riferimento ancora ai versi della poesia “L'immagine di me”, si nota, nel finale, un bilancio che non lascia spazio a incertezze: “fino a che riprendi la parte che ho più intatta/ che fuggita/ nel tuo abbraccio si consuma”.
       Anche nelle liriche più descrittive, come quella che dà il titolo al libro, “L'alba dei papaveri”, la descrizione della natura non è meramente estetizzante, non c'è esclusivamente l'esaltazione dei colori, delle forme e delle bellezze paesaggistiche. Tutto è finalizzato all'esplorazione, allo scandaglio della propria interiorità, in rapporto al suo desiderio e al suo pensiero fisso e ricorrente, l'amore, il suo amore: “rapita dalle accese memorie/ allo scandaglio di me quasi sposa, / quasi dall'amore intimidita”.
       L'amore qui va inteso in modo ampio, non esclusivamente riferito al rapporto tra sposi o compagni. Si parla anche dell'amore familiare, e alcune delle liriche più intense sono proprio quelle dedicate alla madre e al padre, ad esempio. Quest'ultima, una delle migliori e delle più intense del libro, è sospesa tra realtà e sogno, o meglio di un ricordo così vivido che sconfina nei territori onirici per poi ritrovare la forza e la nitidezza della realtà. E non è un caso che la lirica stessa evochi parole, quelle dei racconti che il padre faceva all'autrice. Favole o comunque storie di fantasia che, rivissute nell'ottica degli anni e nell'ambito dell'affetto profondo, sono viste, alla fine, come le sole realmente vere:

“E’ un libero sapore il tuo,
sapore di equilibrio.
Poi inventi nei colori e dentro ai quadri
anche il mio nome,
il cuore acceso.
Unico
è anche il cielo senza sole
quando parli
coi miei sogni
di tutte le storie,
di quelle che sembrano
le uniche vere.”
(A mio padre)

Possiamo dire che questo episodio personale, intimo, individuale, assume anche una valenza simbolica e metaforica: anche nell'amore ciò che realmente conta e quello che davvero esiste è la fantasia generata dall'affetto profondo e poi rafforzato da gesti concreti e reali. La dimensione concreta viene sublimata ma poi rafforzata e alla fine resta ciò che davvero conta e resiste agli anni: un legame che non muta, esclusivo, in grado di resistere agli assalti del tempo e alle ferite della sorte.
Un libro che si legge in modo gradevole, la cui forza è quella di parlare di eventi e sentimenti personali in modo così schietto e sincero da assumere una valenza più ampia. Pur nelle differenze dei tempi e dei destini ognuno può riconoscersi in questi versi sinceri, in cui si “racconta” un'evoluzione, una crescita. I versi mimano un romanzo di formazione in cui la discriminante sono gli affetti, le illusioni, le delusioni, i momenti di condivisione, i ricordi e i sogni. Un modo per parlare di sé senza pretendere di imporre verità e lezioni ma semplicemente indicando che il potere dell'amore condiziona tutto. Da lui siamo condizionati. Ma possiamo anche condizionarlo, o perlomeno riconoscerci nel suo dominio, tracciare ciò che realmente siamo, la nostra identità reale. Come ha fatto in questi versi, Adua Biagioli Spadi proponendo questo suo ritratto individuale in cui ognuno può riconoscere parte di se stesso e della propria vicenda individuale.
                                                                                                  Valeria Serofilli

Caffè storico letterario dell’Ussero di Pisa, 25.11.2016

giovedì 24 novembre 2016

AURORA DE LUCA LEGGE: "DARK" DI ROBERTO DE LUCA

Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade



Roberto De Luca

Aurora De Luca su DARK – Roberto De Luca – Editrice L’Erudita […]

Si posso recepire delle sensazioni mai avute prima e, in base ad esse, cambiare il modo di vedere la vita. Ciò può anche essere pericoloso, può sfuggire di mano […] Questa è una parte dell’incipit del primo racconto eponimo, DARK. I racconti sono in tutto undici, undici storie, undici visioni apparentemente l’una sciolta dall’altra, apparentemente…  se non fosse che, in effetti, un tema di fondo esiste: ed è un continuo domandare. I protagonisti, che variano molto gli uni dagli altri per fisionomie e caratteri – tanto che alcuni sono presentati in terza persona, altri in prima persona, senza che ciò coinvolga necessariamente la biografia dell’autore – vivono la vita non per grandi esperienze o seguendo curiosità sui massimi sistemi, essi sono immersi nel quotidiano gioco del tempo, che scorre nel modo più imponderabile dentro e fuori di loro. E dunque, si trova qui il fil rouge, poiché esso è un orizzonte, l’orizzonte unico cui guardano questi undici racconti: guardano al superamento; il superamento di uno stallo, di una paura, di una fantasia proibita, di un ricordo tormentoso, il superamento (cito) «delle incognite del vivere moderno [le quali sono] il risultato della corruzione dei costumi e dei pensieri, il concentrato fisico degli abissi presenti nella società. […] (– che vuol dire nero –) prov[iene] dall’esterno e piov[e] sul mondo inzaccherandolo tutto […]» - Dark, p.8.
Si tratta quindi di un ventaglio di occhi che guardano alle comuni cose giornaliere, a quei fatti che formiamo stando insieme, alzandoci ogni mattina come in un loop, che in informatica significa: successione reiterata di istruzioni compiuta nell'elaborazione, fino al conseguimento dei risultati prefissati. D’un tratto i protagonisti si accorgono, pur per moti diversi, (cito) che «le loro vite avevano bisogno di essere smontate e rimontate». Vi è superamento anche in Madame Écriture, il secondo dei racconti; qui la donna fisica si sovrappone spesso alla ‘donna-scrittura’, fino a non distinguerle più: (cito) «Nell’infinità della notte mi apparve davanti la sua figura statuaria, che si stagliava limpida e ingioiellata nel buio luminescente. Sembrava una musa, con il vestito di seta blu oltremare e i capelli neri e lucenti […]» – Madame Écriture, p.16. Madame è una donna misteriosa, eterea eppure tangibile, che l’io del protagonista, di cui non abbiamo nome, tenta di sedurre e accattivare riuscendoci alle volte, vedendola sfuggire in altre: «[…] la mia dolce compagna spariva dalla mia vita per una decina di giorni poi si faceva risentire o, più spesso, ero io che l’andavo a cercare […]». Madame è una donna passionale, che vuole rapporti di carne estremamente coinvolgenti ma che, subito dopo, scaccia il suo amante, che è un uomo estremamente coinvolto, che sa d’essere soggiogato, che vuole reagire e ciò nonostante, immancabilmente, cede. Madame però, come al solito, si fa trovare. Cos’è che viene superato? Un tabù? Una paura? (Cito) «Avevo paura che la situazione peggiorasse e che io venissi inghiottito […]». E quindi cos’è che viene accettato? Dal racconto Una strana avventura: tre livelli di sbronza, che è il terzo, cito un estratto e lo lascio sospeso così, nella sua chiarezza e nella sua bellezza: «Quella sera dimenticarono la loro vita, i loro dubbi, le università, i rami che Fabio voleva prendere, suo nonno; quell’esperienza aveva scombussolato il loro mondo e aveva messo tutto in discussione. Sentivano come se il piatto che gli si presentava davanti composto da pietanze di vario genere a un certo punto fosse stato lanciato in aria da quella donna e quel che prima era aggregato, a un tratto si era scomposto in centinaia di piccoli pezzi che ora galleggiavano in aria». – Una strana avventura: tre livelli di sbronza, p.31. Mostrerò solo un altro passaggio, in cui il superamento fa click come una molla, per poi lasciare a voi il piacere di ulteriori scoperte: «Il ciglio della strada sul quale camminavamo sembrava sprofondare nel pendio sottostante, dove le punte degli alberi erano all’altezza della strada e le mie scarpe scarlatte incespicavano velocemente sui sassi, mentre le mie agili caviglie, nella foga di quel momento, sembravano non voler reggere all’eterno divenire di quell’attimo. Qualcosa di pazzo era al di sotto della strada e noi dovevamo stare attenti a non lasciarci inghiottire in quelle fauci verde smeraldo fatte di intrecci inestricabili di rovi e vitalbe». – Lisergic situation, p.93. A rendere i racconti emanazione di uno stesso centro, ci sono quei motivi di fondo che si ripetono, come sonorità reiterate: la declinazione varia di parole ricorrenti, ‘pensare’, ‘dissertare’ o ‘domandare’; il movimento nei termini di camminare, viaggiare, andare, tornare – i protagonisti sono tutti ‘instabili’; la presenza della memoria che riemerge sotto forma di profumi e sensazioni, ricordi letteralmente rivissuti e studiati, analizzati quali chiave per aprire il futuro e risolvere gli interrogativi. Il tutto, racconti, motivo centrale e motivi di fondo, sono narrati con una inalterabile calma, una esposizione chiara e dettagliata, esplicativa, risolutiva. Spesso l’autore ha bisogno di spiegarsi dopo un’affermazione, e non perché l’espressione risulti oscura o mal espressa, ma proprio per sfamare il desiderio di scendere ancora più a fondo nelle parole che sono il concetto, per aprirlo meglio senza però complicarlo. Come a voler superare un’ambiguità, a tentare quanto meno. Questo modo di narrare, sciolto e semplice, si lega al tempo della narrazione, che è un tempo vario per epoche e ritmi, e che quasi  sempre si accavalla. Prende colorazioni diverse, noir, naif, pank, ma quasi sempre questo viaggiare nel tempo porta a superare degli ostacoli, dopo luminose rivelazioni. Dark è dunque un viaggio che punta a superare, è dialoghi fra più voci (oserei infatti dire che i protagonisti sono per lo più delle voci) e in fin dei conti un monologo con la propria coscienza, che pone al sé stesso allo specchio quelle domande per le cui risposte c’è bisogno di superare sé stessi. «Comunque, che si tratti di altalene, di treni o di scale, la vita e le sue cose recheranno sempre con loro qualcosa di segreto e insoluto e forse, alla fine, quelle che più contano sono proprio le esperienze…[…]». Una strana avventura: tre livelli di sbronza, p.34.


Aurora De Luca

mercoledì 23 novembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "IL FIUME" RACCONTO DI EDDA CONTE



Leggere i racconti di Edda Conte significa tuffarci in un mondo quasi fiabesco sia per il fascino dei contenuti che per l’armonia e la fluidità del linguismo: un mondo redento dalle aporie del quotidiano; ripulito dal dolore; un mondo che raggiunge tale magia partendo dalla metaforicità del vissuto, dove bene e male, luce e buio, si fondono in un simbiotico mélange che sa d’amore, di purezza, di innocenza, di generosità umana. Ed è il dolore, lo spleen, la sofferenza dell’esistere a richiedere un tappeto di velluto su cui far scorrere il memoriale spesso fattore di inquietudini e mancanze. In questo caso il fiume si fa metafora di una catarsi epifanica; di una ascensione verso il bello; verso la totalità del creato a cui ambisce l’uomo cosciente delle sue ristrettezze vicissitudinali. Un fiume, quindi, in cui Memo ri-trova se stesso, la sua straordinaria essenza, la sua simbologia di luce e di vita rinnovata, e si tuffa nelle sue acque come Saffo, dalla rupe di Lèucade, nel mare della dimenticanza per ovviare alle pene d’amore. Alla fine l’armonia è raggiunta, oltre all’immensità degli orizzonti imperscrutabili del mare, l’isola si trova ad ospitare quel fiume, oggettivamente più a dimensione umana, in cui torna a dominare l’innocenza nella veste di bambini che vi possono sguazzare e giocare.

Nazario Pardini


Il FIUME  
1
C'è un fiume. Un fiume che scorre lento lento.  Un fiume senza colore, senza rumore....dell'acqua  non ha né il colore  né la trasparenza né la densità.
A vederlo così immobile, sempre uguale.....mah!.
 Le piogge non lo ingrossano, i venti non lo increspano, non è soggetto né a piene né a secche. Non ci sono pesci, non c'è barca che  lo navighi , non c'è  un ponte che lo attraversi.  Quel fiume sembra che non abbia né origine né  sbocco.
 Nessuno osa bagnarvisi o perfino passeggiare sui suoi argini, e lui continua ad essere....quello che sembra : un fiume . Ma un fiume anomalo, inutile, una manifestazione della Natura insolita, unica, misteriosa.
C'è chi lo paragona alla vita, una vita spenta, dicono. Una vita che ha lasciato un ricordo di sé, forse.
Ma perché lasciare un ricordo che sa di morte? Un ricordo che suscita sospetto, dubbi, paure...
 Per molto tempo lo strano fiume è motivo di chiacchiera, che poi finisce nel nulla per mancanza di argomento, come accade sempre quando la cosa di cui si parla non interessa veramente. Così quel fiume , da tutti dimenticato , prende il nome di Fiume della Dimenticanza , e come tale continua a viversi nella sua non -vita.
 Un giorno compare sull'isola un uomo particolare : una figura alta più del normale, un po' curva, con enormi orecchie e una lunga barba candida e folta che gli copre tutto il viso, lasciando vedere soltanto  due occhi nerissimi e lucenti.
 Uno sguardo non certo da vecchio, come a prima vista  potrebbe sembrare.
Gli isolani, sempre schivi ma in fondo curiosi, si mettono ad osservarlo, chiedendosi chi è, che cosa è venuto a fare  e dove andrà ad abitare.
Ma dopo la prima apparizione , passano i giorni e dello strano individuo non si ha notizia. C'è  chi dice di averlo visto alla baia del Faro, seduto sulla roccia del Delfino, e chi sostiene  di averlo visto più volte correre sull'argine  del Fiume, sempre alla prima luce del giorno.
 Dicerie . Lo straniero  sembra essersi dissolto nel nulla.
 Ma l'accostamento, sebbene appena accennato, del suo nome con il  Fiume, proprio quel fiume che in definitiva tutti vorrebbero ignorare, ha innescato la punta di un sospetto.  Perché l'uomo dalla lunga barba , quel vecchio-non vecchio è scomparso? Eppure l'isola è piccola!

..................

Un giorno, proprio  nell'ora centrale della giornata, quando tutti sono fuori casa a passeggiare,, accade il fatto straordinario che nessuno dimenticherà più.
Sotto gli occhi dei passanti  l'uomo dalla lunga barba si immerge  lentamente nel Fiume della Dimenticanza.
Un ah ! di stupore  misto a orrore si blocca sul viso degli isolani  presenti...
L'uomo non emerge più.
 Il Fiume non si è mosso, l'acqua  ferma, immota e misteriosa sembra che l'abbia inghiottito senza un sospiro.
Molte persone, curiose o preoccupate, si fermano e aspettano, senza fare commenti, ma con  il terrore dipinto in faccia..
 Passano le ore, viene la sera. Il buio aumenta il senso di mistero che sale dal Fiume.
Il Fiume ora appare come un nastro nero.
La gente si ritira e chiude ben bene porte e finestre..
Domani non mancheranno commenti su commenti...ciascuno vuole dire la propria opinione sullo strano accaduto.
C'è ancora chi spera di  vedere ricomparire il vecchio, ma la voce comune è " lo abbiamo sempre detto che quello è un fiume stregato".


2

L'uomo misterioso dalla lunga barba bianca e dalle grandi orecchie ha nome Memo, così per scherno è conosciuto , perché non ha memoria , e di conseguenza non ricorda neppure come si chiama.
Si racconta  che Memo, da giovinetto, fu colpito da un fulmine mentre usciva dall'acqua del mare, e da allora è smemorato.. Però la grande energia del fulmine se anche gli ha tolto la memoria gli ha dato in cambio un grande potere: udire  i rumori  i suoni le parole , a distanze illimitate. 
La vita per Memo è diventata  molto pesante, si accorge di non avere un attimo di quiete, e con ciò ogni giorno di più si fa nemico del mondo.
- Il Fiume della Dimenticanza fa al caso mio, pensa Memo, e decide di andare sull'isola per saperne di più.
 Ma all'isola scopre per prima cosa la curiosità  e i commenti  degli abitanti  , che non sono affatto amichevoli . Troverà da solo che cosa si nasconde dietro l'anomalia di quel corso d'acqua.
Prende a camminare sugli argini, osserva la stranezza del Fiume, comincia a parlargli, a dimostrargli attenzione e simpatia. Niente.
Il Fiume della Dimenticanza è forse  smemorato come lui, non ha parole, non ha suoni perché non ha ricordi. Insomma è morto.


Finché un mattino, mentre un raggio del sole nascente strappa scintille lungo la riva, Memo dalle grandi orecchie percepisce un suono lontano, una specie  di mormorio che un fragore confuso immediatamente ricopre.
Memo si mette in ascolto e infine prende  la sua decisione.
Quel giorno davanti a tutti si  immergerà nel Fiume della Dimenticanza.


...............

3

E' un attimo. Un tempo al di fuori del Tempo. Poi il Grande Silenzio, lo sconosciuto  silenzio..
Memo è dentro il Fiume. Ora è il Fiume stesso, con la sua morte  e la sua vita.
 Non ha ricordi, è tutt'uno con la smemoratezza del Fiume.
Ma Memo conserva intatte tutte le altre sue umane capacità sensoriali. Le sensazioni nell'attimo in cui è penetrato nel corpo del Fiume si sono potenziate, come se la Natura stessa volesse ricompensarlo di un atto nuovo e grandioso.
 Ora Memo percepisce il Tutto, privo della memoria ha però l'innocenza dell'attimo primo in cui si aprono gli occhi sul mondo.
Il suo corpo è trasportato  da forze misteriose  ... ha la visione di tutta la bellezza che il Fiume non conosce più.
 In quel momento Memo non è più Memo, ma è ormai colore albero fiore uccello aria profumo... Bellezza pura.
I sensi, tutti i sensi, trasmettono alla mente l'idea della Felicità.
Attimo irripetibile.
Ma è tutto come un battito di ciglia, e la memoria torna improvvisa con tutto il corredo del Tempo vissuto.
 Poi il Grande Vuoto lo avvolge,  il Fiume gli è nemico e vuole vendicarsi di torti subiti. Il Fiume della Dimenticanza tenta di serrargli gli occhi e la bocca, vuole distruggere tutto di lui, insieme con la memoria.
Il Silenzio non è più quiete, è terrore....
Memo non si arrende, lotta con tutte le forze che gli restano, confida nel Potere delle  sue grandi orecchie che raccolgono tutti i suoni i rumori le voci a distanze illimitate..  E la Conoscenza arriva a colmare il vuoto del Silenzio.
 Dalle Grandi Lontananze gli giungono armonie di conchiglie che l'onda trasporta sulla sabbia...giunge il rumore del risonante mare, le voci nel sole...
E' questo il momento che annunzia un fragore di acque limpide che sgorgano dalla terra ...e scorrono , scorrono e si ingrossano....si fanno fiume...
 Memo è salvo.
Nella forza dell'acqua che scorre è avvenuta una catarsi.
 .............

Epilogo

Sull'isola non c'è più solo il mare, oggi c'è anche un fiume, che scorre tranquillo fino  al mare. Un fiume dalle acque limpide anche se non copiose, un fiume che non inaridisce neppure in piena estate.
I bambini ci sguazzano e giocano felici senza correre alcun pericolo...
Gli abitanti dell'isola l'hanno chiamato Memo.

Edda Conte