domenica 28 febbraio 2021

MACABOR EDITORE: "LIBRO DI POESIE D'AMORE", AIUTIAMO GLI ANIMALI

BELLEZZA SENZA VANITÀ. POESIE D’AMORE PER GLI ANIMALI

Un libro per aiutare molti animali in difficoltà.

I proventi del libro andranno al “Parco Rifugio” di Udine.

 

Se qualcuno ama la poesia e ama gli animali vuol dire una cosa soltanto: è una persona sensibile alla Vita costantemente al volante di quella macchina umana che è il solo mezzo per cui l’anima e la mente si connettono con il mondo.

Macabor Editore ha accolto con entusiasmo l’idea di un libro di poesie d’amore per gli animali che oltre al piacere di una buona lettura potesse poi contribuire a una nobile causa.  È nata così “Bellezza senza vanità. Poesie d’amore per gli animali” (a cura di Claudia Manuela Turco), un’antologia di molte voci poetiche (Dacia Maraini, Milo De Angelis, Alessandro Fo, Elio Pecora, Paolo Ruffilli e tante altre).  Con i proventi del libro, infatti, sarà possibile aiutare molti animali in difficoltà, sostenendo il “Parco Rifugio” di Udine.

Appoggiare questa nobile causa è facile: basta acquistare il libro, richiedendolo all’indirizzo email di Macabor Editore: macaboreditore@libero.it  (una copia costa 15 euro. Naturalmente, sarà possibile che venga convogliato in direzione del Parco Rifugio solo il ricavato delle copie acquistate direttamente presso l'editore).

 

PARCO RIFUGIO UDINE

https://www.enpaudine.it/notizie.php

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sabato 27 febbraio 2021

PIETRO RAINERO: "DEBITO PUBBLICO"

DEBITO PUBBLICO                                                                

 

Pietro Rainero,
collaboratore di Lèucade

“Numerosi libri sono stati dedicati alla ricerca della vita intelligente nel Cosmo; uno di questi, uscito se ricordo bene pochi anni fa, si intitolava Se l'Universo brulica di alieni ... dove sono tutti quanti?”

Chi pronuncia questa frase ai microfoni di alcune delle più importanti emittenti televisive italiane, e con l'aria di chi è cosciente che le sue parole passeranno alla Storia, è niente di meno che Giuseppe Trevalli, ministro delle Finanze del Governo Tenzi.

Se pensate che la frase sia più consona ad un suo collega, magari però della ricerca scientifica, è solo perché non avete ancora sentito il resto del discorso.

“A parere degli esobiologi” continua infatti Trevalli “è possibile che svariate civiltà tecnologicamente avanzate siano presenti nella nostra galassia, ma è sicuramente molto probabile che la più vicina si collochi a decine e decine di anni-luce da noi. E, comunque, grazie alle sonde automatiche che hanno esplorato in lungo e in largo il nostro sistema, è assodato che la vita, come la conosciamo noi, è assente dal Sistema Solare, ovviamente ad esclusione della Terra”

“Ma, ministro, mi scusi...” chiede Carlo Morandi, cronista delle pagine economiche del “Sole 24 ore”, che, nonostante il nome riportato nella testata, non si interessa generalmente di quel che capita tutti i dì, nell'arco della giornata, al Sole e ai suoi pianeti “L'intervista che Lei ci concede non dovrebbe essere dedicata all'annoso problema del nostro debito pubblico?”

“Ed è appunto di questo che sto parlando!”

“Non mi pare proprio, sembra di sentire il discorso di un astronomo o di un filosofo”

“Giovanotto, se mi lascia finire l'importantissimo discorso che ho appena incominciato a delineare, vedrà dove voglio andare a parare”

“E va bene, ministro, sono tutto orecchi”

“Dunque, come sapete e come ha ricordato testé il vostro collega, questa riunione è stata indetta per un importante comunicato del Consiglio dei Ministri, e mio in particolare quale responsabile del dicastero dell'Economia e delle Finanze, riguardante il debito pubblico italiano e le polemiche che su tale argomento si sono susseguite nelle ultime settimane sulla scena politica nazionale. Bene, il quadro dei conti pubblici è presto fatto: per l'anno in corso stimiamo che il prodotto interno lordo cresca dell'uno virgola uno per cento, che il deficit di bilancio sia  del meno due virgola tre per cento del PIL e che il debito pubblico si attesti al 132,7 per cento del PIL. Per i prossimi anni le previsioni sono più rosee, ad esempio, per il debito pubblico, pensiamo che fra tre anni sarà intorno al 127,2 per cento, con un calo dunque del 5 per cento. Ma in ogni caso....”

“Diciamo la verità, ministro, neanche voi del Governo credete a queste proiezioni, vero? In passato le previsioni positive dei vari esecutivi sono sempre state smentite dai fatti, e non può negarlo”

“Beh, non è proprio così, comunque.... comunque, anche se lei avesse ragione, non avrebbe nessuna importanza”

“Come, non avrebbe importanza!?  E tutte le raccomandazioni della Commissione Europea di non sforare i parametri comunitari stabiliti? Non dirà sul serio!!”

“Ecco, proprio qui si inserisce la parte iniziale della mia argomentazione, parte che ho dovuto interrompere per le domande di voi cronisti. Posso proseguire, ora?”

“Certo”

“Bene, stavo dicendo che la vita extraterrestre è assente nel Sistema Solare. Potete trarne voi le conseguenze, non credete?”

I giornalisti si guardano increduli, non riescono proprio a capire a quale conclusione il politico voglia condurli.

“E questo cosa centra con il debito pubblico dell'Italia?” chiede poco dopo l'inviato de “Il secolo XIX”.

“L'Italia fa parte del consesso mondiale, ovvio. E la luna è di tutti, non è proprietà di una singola nazione, giusto? In futuro spedizioni internazionali colonizzeranno le parti più esterne del Sistema del Sole, che è proprietà di tutta l'umanità: è casa nostra, non ci sono altre civiltà. I nostri discendenti atterreranno su comete, asteroidi e pianetini pieni zeppi di miniere di metalli preziosi e materiali rari.

Questi piccoli corpi celesti sono come delle cassette di sicurezza dentro a banche cosmiche, dove noi umani custodiamo gli averi: sono le nostre casseforti! A cui attingere in futuro. Noi in realtà siamo ricchi, ricchissimi. Considerate uno solo, per esempio, di questi mondi, che si trova nella caotica fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Si chiama 16 Psyche ed è fatto di ferro e nickel, oltre ad un mix unico di metalli rari, fra cui oro e platino. E' il più grande tesoro di sempre: un primo calcolo attribuisce a questo macigno cosmico un valore di circa 10 mila quadrilioni di euro, quando tutto il PIL della Terra è stimato intorno a 70 mila miliardi di euro.

Facendo la proporzione fra gli abitanti, ad ogni essere umano spettano più di un miliardo e trecento milioni di euro. Siamo tutti ricchi come sceicchi arabi o magnati russi. Proprio da questo forziere, come da un caveau che contenga riserve d'oro, derivano le garanzie che in futuro il debito pubblico potrà essere ripagato! Ecco il perché dunque delle importanti, storiche, decisioni prese ieri dal Governo. Nei prossimi mesi saranno emessi titoli di Stato per svariati miliardi di euro, ad un tasso di interesse del 10 per cento, certamente molto appetibile visti i tempi. Inoltre si è deciso di abolire totalmente l'IVA e che per almeno cinquanta anni i cittadini italiani non dovranno pagare le tasse sui loro guadagni. Ci sarà una crescita esponenziale dell'economia, un'esplosione di enormi risorse per il commercio, i mutui, la ricerca, le grandi opere, lo sviluppo di nuove tecnologie. Ci indebiteremo, alla faccia della Commissione Europea, ci indebiteremo per ottenere un progresso straordinario delle condizioni di vita dei nostri connazionali. Questo debito sarà pagato poi, in un futuro più o meno lontano, da 16 Psyche!!”

A questo punto i giornalisti presenti, ancora a bocca aperta per lo stupore, febbrilmente cercano di riportare  fedelmente sui taccuini l'ultima parte del discorso, ringraziando il cielo di essere stati, proprio loro, scelti dai rispettivi quotidiani per partecipare all'intervista, quell'intervista così stupefacente da essere ricordata sicuramente per sempre e grati anche, logicamente di tutto cuore, a 16 Psyche, chi avrebbe cioè colmato, a tempo debito, tutti i debiti loro e dei loro figli e nipoti.

Riconoscendo anche, dopo aver ruminato nella mente le parole di Trevalli, che le sue argomentazioni non fanno una grinza, non una che è una!

E finalmente, a questo punto, il cronista inviato dal “Corriere della sera” chiede:

“A chi dobbiamo questa folgorante e geniale pensata, che cambia le consuete, canoniche vecchie credenze economiche e che frutterà di certo al suo genitore un Nobel per l'economia?”

 “Al sottoscritto,  e ne vado molto orgoglioso. Ad un italiano, ovviamente!”

“Già, perché noi italiani siamo fantasiosi, creativi, inventivi, vero?”

“Esatto! E' una indubbia prerogativa del nostro popolo, no?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 26 febbraio 2021

PIETRO RAINERO "COSE STRANE E MERAVIGLIOSE"




Pietro Rainero,
collaboratore di Lèucade

Pietro Rainero, collaboratore da lunga data di Lèucade, si affaccia alla scena  letteraria con un nuovo libro di narrativa che mantiene le medesime caratteristiche delle sue pubblicazioni: inventiva, realtà scientifica, conoscenze paradigmatiche e fantasia. Il testo ben fatto ed editato per i caratteri di Convivio Editore, con in copertina una elaborazione grafica su immagine libera Pyxabay, e in quarta note  biobibliografiche dell’autore, è composto di dieci racconti che scorrono fluenti e armoniosi su un piano paratattico di invadente epistemologia. Si legge con piacere, si apprezza per la realtà comunicativa ma soprattutto per l’inventiva di cui Rainero si dimostra un grande maestro. Dieci racconti che rinnovano le abilità di ricerca di un professore di fisica che mette le sue conoscenze, impepandole di una non comune espansione fantastica, a disposizione dei suoi lettori: La nera notte del grande Nero, Sangue blu, L’isola dell’essere, La donna inglese, Storia di una mela, Come ti inganno Archimede, Gli ultimi metri, Neò, colui che mai annegò, Il giardino delle mele, Telepatia. Questi i racconti, dove la narrazione si fa elastica, concisa, affabulante, e dove seguiamo con passione il ritmo della  stesura  che con dovizia di intendimenti descrittivi, introspettivi, e narrativi ci pone su un piatto d’argento un discorso interessante e nuovo.    

 Nazario Pardini


MARCO SABATINI: "ARCOBALENI A TRATTI"


 


MARCO SABATINI ARCOBALENI A TRATTI

 

Poesia chiara, linda, ontologicamente avvincente, questa di Sabatini: un canzoniere d’amore, dove il verso con ritmo incalzante si dipana su uno spartito di euritmica sonorità; e dove la versificazione, moderna e spezzata, ci offre misure brevi e scattanti, secche apodittiche; qui il verso può essere composto anche da una semplice parola; si rifiutano iuncturae di natura prosastica, e tutto è demandato a reificare sogni e stati d’animo che il poeta vive realmente in questo patema erotico-esistenziale:  

 

Scrivimi

dal prossimo

amore

che avrai.

Senza alcun impegno.

Ti risponderò

dal mio,

raccontandoti

di ciò

che ancora

ci unisce.

Le memorie, la vita, gli affetti, i sogni, la realtà, vengono vissuti con sentimento mai scontato, semmai il poeta affronta la sua storia con un certo distacco, mai troppo passionale, troppo partecipato, anche se i versi si susseguono in maniera alterna, secondo un diagramma musicale che tanto reifica il fluire dei giochi amorosi.

Resto qui

 

Non piango,

non inseguo più.

Resto qui e rido,

anche di me stesso,

trovandoti

più buffa

delle altre

che hanno cercato

di uccidermi

prima di te.

Un certo sarcasmo, una certa ironia, un gioco non troppo nascosto guida il dettato poetico col sorriso di un autore che “resta qui e ride”; trovando più buffa chi ha cercato di ucciderlo prima, di sicuro metaforicamente.

Fino all’ultima poesia a chiusura del testo che si mantiene sullo stesso registro ironico in un linguismo nuovo e disarticolato, fresco e originale:

   Mattutino

Lei sonnecchia

ancora,

abbracciata

al mio collo.

La amo

sicuramente

per molte ragioni,

ma non ne ricordo alcuna

quando la guardo dormire.

Forse siamo

un semplice istinto

senza memoria.

O, forse,

siamo solo

petali lucenti

nel bisogno fisico

di pelle contro pelle.

Non lo so.

In verità,

io non so un cazzo,

ma sono sempre qui

al suo risveglio



LUIGI MANZI: "UN POETA SCONOSCIUTO"




Ecco un poeta pressoché sconosciuto in Italia, ma di grande rilevanza e straordinaria biografia. L' avevo proposto ad altro editore, ma non ne ha compreso l' importanza. Se credi posso vedere di fartelo inviare, se possibile, da Salvatore Mugno, che è l' autore, o dall' editore stesso. Un caro saluto, e buona giornata, Luigi Manzi

 



 

giovedì 25 febbraio 2021

LOREDANA D'ALFONSO LEGGE: "IL SENTIERO DEL MARE" DI MARIA RIZZI

 Loredana D’Alfonso su “Il sentiero del mare” di Maria Rizzi

 

Loredana D'Alfonso,
collaboratrice di Lèucade

Il sentiero del mare” è il secondo romanzo giallo della trilogia scritta da Maria Rizzi, che si chiude con “Il mare invisibile”. Questa seconda, ottima Opera dell’Autrice, edita dalla Pegasus Edizioni nel 2016, riparte dal finale di “Anime graffiate”, prima prova dell’Autrice come giallista, con la quale si è guadagnata il prestigioso Premio “Garfagnana in giallo”.

Con “Il sentiero del mare” la scrittrice, ancora una volta, sa condurci per mano dagli abissi fino alle stelle con la sua capacità di scandagliare in profondità  l’animo umano.

Il commissario Segni, protagonista del primo romanzo, è diventato ispettore e non è più “d’azione”, avendo subìto un trapianto cardiaco, ma conserva il carisma e l’intuizione dei grandi investigatori.

Più volte, nel corso delle presentazioni di “Anime graffiate”, l’Autrice ha affermato che  l’amato commissario, onesto, infaticabile, capace di portare sulle spalle il mondo, assomiglia molto a Maria Rizzi.

Questo non deve sorprendere, i giallisti, alla pari di altri scrittori, amano le loro creature a tal punto da generarle trasmettendo loro un tratto ereditario.

Nel corso della storia il protagonista ci prende la mano, va da solo, ci sorprende, non ci appartiene più, ma è del lettore che, a sua volta, ne dà una sua personale  interpretazione.

In quest’Opera Segni è l’anima del distretto di polizia, che Maria dipinge come una comunità affiatata, dove si condividono rispetto reciproco,  lavoro di squadra, complicità, dove le “vecchie volpi” di Segni, Tanzi, Del Noce hanno imparato “l’arte di resistere”.

Il protagonista maschile è il commissario Severi.

“I colleghi sono al corrente della sua situazione familiare. L’uomo è sposato da alcuni anni  con una donna affetta da seri problemi psichici”.

Il commissario  si è arreso a “trascorrere i fine settimana nell’alloggio di servizio, da solo”.

Le storie personali dei protagonisti si intrecciano e fanno da sfondo ad una serie di omicidi seriali: le vittime sono ragazze giovanissime e molto belle.

La protagonista femminile del romanzo è Luisa Martelli, l’ anatomopatologa, una figura moderna, assolutamente credibile, intrisa di quella solitudine dignitosa e insieme lacerante che hanno tante donne nel mondo attuale.

Luisa ci riporta alla mente Kay Scarpetta della Cornwell, intelligente, capace di grandi sentimenti, nonostante il suo lavoro la porti costantemente a contatto con morti violente.

La donna ha una relazione, o meglio, una serie di incontri con Roberto, un medico di otto anni più giovane, una storia fatta di “patti” a senso unico, a uso e consumo dell’uomo.

“Silenzio. Roberto non c’è. L’avranno trattenuto in ospedale”.

La relazione con il medico l’ha allenata a non fare domande, ma l’ha svuotata dai sogni.

I silenzi, le assenze prolungate, e quegli “accordi” mai firmati da Luisa fanno emergere nel corso della vicenda l’inconsistenza di un’ intimità mai raggiunta e di una storia di coppia mai decollata.

Luisa e Roberto sono solo due “camici” che si incontrano di notte. Ma il commissario Severi è sullo sfondo, cura Luisa con lo sguardo, non la perde mai di vista.

“Tra le trame degli sguardi tutto il non detto”.

Gli omicidi non danno tregua, le piccole ucraine dai visi di bambola di “Anime graffiate” sono sostituite da ragazze stuprate e uccise evidentemente da un maniaco che ha tutti i connotati del serial killer, una figura tipica del romanzo americano moderno, di autori come Patricia Cornwell o Michael Connelly.

Le ragazze di questo secondo romanzo di Maria non sono le reiette della società come le ragazzine dell’Est costrette alla prostituzione, ma sono ugualmente vittime.

Perfette, belle, giovani, di ottime famiglie.

Alle loro spalle, muti testimoni delle loro morti, famiglie distanti e genitori estranei.

Dagli interrogatori emergono le non-famiglie, dove l’assenza totale di dialogo permette al disagio psichico di annidarsi nelle menti dei ragazzi più fragili.

Tecnica, fiuto, conoscenza della psicologia umana.

Maria Rizzi è sempre nella dimensione della pietas ma la sa dosare “per chi la merita” e sa guardare ad occhi bene aperti i germi della patologia psichica.

Nel primo romanzo Maria Rizzi scendeva agli inferi con il suo adorato commissario Stefano Segni, in questo indossa un’armatura, impugna la spada e accosta l’umana perversione in modo più adulto e consapevole.

Non possiamo procedere oltre  perché non si svela il segreto di un giallo, tra l’altro così ben congegnato, possiamo solo affermare che si tratta di un romanzo giallo classico e, come tale, ha un finale che risolve.

Alla fine della vicenda c’è una soluzione anche per Luisa e il commissario Severi, due anime provate dalla vita destinate ad incontrarsi e a percorrere un altro tratto di vita “da scoprire insieme”.

Perché esiste, Luisa, fuori e dentro di noi. Ha ciottoli bianchi, profumo di ginestre e conduce sempre, inevitabilmente, al mare”.

Il mare di Maria Rizzi, cangiante, onnipresente, che non smette mai di stupirci e di regalarci emozioni.

 

Loredana D’Alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FRANCESCO CASUSCELLI LEGGE: "ALLA VOLTA DI LEUCADE"


Francesco Casuscelli,
collaboratore di Lèucade





È primavera; ormai digià lo è

dentro di noi e fuori, nei giardini

irrigui.

Giunge dalla luce del mattino nel mio ricordo il suono della tua voce di poeta che tiene in mano il filo del tempo. Oggi nel tuo compleanno questo filo si arriccia a formare un fiocco di gioia per il sole di primavera che sale nel cielo meridiano. Un sole che bussa sopra i rami con il canto della linfa vitale nel verdeggiare di un nuovo risveglio. Fuori c’è ancora tanta confusione non si trova la dimensione per indirizzare la nave verso un porto tranquillo. Se solo il capitano avesse tra le mani un libro di poesia, forse potrebbe trovare nella rêverie delle tue poesie la rotta per giungere la soleggiata Leucade.  Io ci sono stato dentro il tuo sogno e ho navigato i tuoi versi accarezzando con gli occhi le pagine solcate dal tuo segno poetico. Un aratro d’inchiostro che custodisce la vocazione verso lo scavo interiore che estrae da noi il segno poetico. Tutto si manifesta nell’assenza di gravità che assorbe l’uomo con la lettura, un’immersione fuori dal tempo che ci avvolge con sequenze euritmiche fatte di endecasillabi martellanti dentro cui s’incuneano dei settenari di maestosa alternanza che rendono il linguaggio poetico uno spartito che fa suonare lo strumento più primitivo e per questo più istintivo dell’uomo, che è il nostro corpo. Un fare poesia che si innalza verso il classico e si diffonde all’orizzonte della ricerca di una modernità che va oltre il segno linguistico. D’altronde nessuno ha coscienza di dove va il flusso poetico che rapisce il poeta nell’atto creativo. È un’arte che tutti possiamo corteggiare ma soltanto pochi eletti possono interpretarla e a pochi concessa la sua luce apollinea. L’estetica del verso poetico si sviluppa su piani linguistici che trovano l’alveo nella forma del poemetto e la necessità di raccontare nei rimandi di un classicismo che si fa vita dove trova spazio e forma il culto del mito e si rafforza nella parola. Leggere le tue opere è un atto necessario, soprattutto in questo tempo dove si demolisce l’appartenenza dell’uomo alla natura. Non c’è migliore alternativa al mercimonio della parola e del pensiero, che leggere della buona poesia, una poesia viva ed eterna, una poesia che diviene Logos ed offre una visione emozionale della vita di relazione tra gli uomini, tra l’uomo e la natura e tra l’uomo è il divino. E concludo citando i tuoi versi del poema Da Saffo a Anacreonte presenti nella raccolta Alla volta di Leucade:

“Che accompagni divina la poesia!

Fine non avrà mai sui nostri suoli

l’unico mezzo d’eternare l’uomo.”

 

 

ALDA MAGNANI: "PROSPETTIVE"

Prospettive

 

       Sotto l’onda turchina del cielo

lento scorre il filare dei giorni

mentre sento vicino l’autunno

di accesi colori

che si velano a volte

sotto aliti densi di nebbie.

       Luminosi risplendono ancora

i ricordi di un tempo

e non trovo parole

per dire le attese

i sussulti dell’anima

le indicibili gioie del cuore.

             Tra cielo e terra è vita che si ferma,

       il tempo di un’impresa o di un respiro

       in sillabe incrociate, sibilanti

       su labbra che sussurrano preghiere.

             Tra mistero e sapere, la poesia

       è come una scommessa,

       gioco d’azzardo che dilata il tempo.

             La memoria non muore nei ricordi

       perché poesia è quel conto che non torna

       sempre aperto per nuove suggestioni

       scintilla che distrugge ogni sconforto

       un rischio cui arrendersi è sublime.

In questo autunno di nebbie e di colori

distesa sulle amache della pioggia

varco le arcate gotiche dei giorni

che congiungono il cielo con la terra.

       Come stilla di roggia sarà la mia voce

sotto volte affrescate di santi.

Dentro un’alba di vento

svanirà la mia vita.

25 febbraio 2021

SERENELLA MENICHETTI: "PEDALATA"



Serenella Menichetti,
collaboratrice di Lèucade







PEDALATA

 

Paralleli i tigli:

alla pineta, al viale,

a noi che pedaliamo.

Scorriamo a loro

come fotogrammi.

 

Sequenze uguali

di una corsa quieta.

Fa dondolare i rami

lentamente il vento.

 

La luce scivola

in riverberi di miele.

E in questa cheta domenica,

stanca la mente

prende tregua,

un po' s'acquieta.

 

Rinnovato vigore.

Il sangue affluisce

nella pedalata

l'anima si spoglia

dal torpore.

 

Nel viaggio un olezzo

leggero

di salmastro giunge.

Appare l'onda.

Azzurro sfoggia

il mare,

oggi Viareggio!

 

SILLOGE

"FIGURE MANDALICHE"

 

MARIA LUISA DANIELE TOFFANIN: "IMMENSO PROVVIDO COSMO"

IMMENSO PROVVIDO COSMO

a voi giovani

 

Inattesa avanza improvvisa

l’ombra del Piz Guda

deprime l’oro del Pra’

con presagi di morte

 

purifica l’ora triste un cinguettio

segreto fra il neroverde

quasi nota d’innocenza candore

promessa di speranza sempre.

 

Poi tutto s’adombra

calato nella tenebra

e      già altro s’annuncia

fra gli ultimi sfiati del giorno.

 

Sublime il Sasso Bianco

esplode in una raggiera gugliata

di candore

 

illumina il Pra’ del Toro

la valle intorno e oltre

espanso specchio di roccia

 

acceso nella sera a conforto

riflesso in noi in altri

riverbero dei primordi.

 

O immenso provvido cosmo

che colmi l’ombra della tua Luce.

Sempre.

 

                 

 

 

 

 

 

mercoledì 24 febbraio 2021

ANNA VINCITORIO LEGGE: "LA CAMPAGNA DELL'OTTANTASETTE" DI PAOLO VALESIO

 

PAOLO VALESIO

La campagna dell’ottantasette

Poesie e Prosa in poesia

All’insegna del Pesce d’oro

di Vanni Scheiwiller

Milano 1990

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade
  

Tempo: entità che non può misurarsi. Noi siamo, eravamo, saremo altro, forse. Qualcosa di incommensurabile: un po’ come guardare di notte le stelle in un cielo africano. In questa entità si dipanano le nostre vite e i ricordi divengono cristalli: Per Sara figlia della mia giovinezza


Paolo Valesio ci parla in una sensazione di contemplazione visiva:

“Quando il tronco di un faggio/ polito e assolato/ diviene come stretta/ parete d’oro dove si riflette/ i ramo di un abete, che si svela/ così fragile così preciso: è lo spirito del ramo”.

Versi che esprimono un amore per la natura; la campagna ma intesa anche

come lotta per esistere; bellezza che prevarica la visualità e scava nel profondo. La natura può colmare i vuoti di una vita anche se talvolta mette in luce la sua crudezza. I luoghi: lago di Linsey, Rhode Island, Treno per New Haven – Boston e le date in sincronica successione. Importante possedere una casa, per Valesio. Casa: origine. Non tutti hanno la fortuna di nascere nella casa di appartenenza che ha accolto i vagiti degli avi; il loro suggerirsi nel tempo.

Casa che conserva il ricordo delle sue stanze – variate, “i lunghi corridoi,

le scale” – . Ogni uomo sente la necessità di appartenenza. Poter dire: era lì che vivevo; le tracce di un dipinto, la sericità della seta in una poltrona nell’angolo in penombra. La casa e le sue stanze danno una identità alla vita e al suo scorrere – “un calice azzurro colmo di vino bianco, lento e denso/ e/ una penna stilografica/ verdenera. La punta del pennino/ è sospesa…”. Fogli, tanti fogli di carta da vergare e il ricordo “di una biro/ rossa, il nome di un vecchio collegio (Perkins Hall) che ricorda una speranza/ mai mantenuta di felicità…”. Nella casa si vive, si crea, si ama, si muore. Casa intesa come luogo di appartenenza, rifugio; di incontri lungo il cammino “dove comincia molle la salita/ macchiata di ginestre, …” e una fanciulla “in gonna corta e grosse calze bianche” che per un breve tratto ti accompagna. Casa e stabilità che il poeta non ha realizzato pur vivendo una vita intensa, di prestigio. Forse nel suo animo vagheggiava luoghi e legami più stabili, meno fluttuanti. Di lui ho scritto in passato: “Due luoghi, due vite. Tratti di una poesia non convenzionale”[1].

Il poeta, lo studioso è alla ricerca di tracce. Dare importanza alla storia di

eventi. Spazio e tempo non coincidono. In lui anelo alla dispersione e, al contempo, necessità di concentrarsi. Il fulcro è nella parola che si esprime come prosa in poesia e viceversa. Sempre presenti le vicende umane e naturali e, come dice Leopardi: “Per variar di affetti e di pensieri obliarvi non so”.

Valesio vive la sua realtà poetica nel mondo e la sua ricerca è tesa a

recuperare i valori del passato e a collegare il suo mondo di appartenenza a una memoria storica. La sua prosa-poesia è conoscenza-pensiero. Il poeta è intuitivo; ferma l’attimo e dall’attimo passa alla realtà concreta. “Ho ritrovato nel baule verde/ la coperta di Libia, consumata/ per esser stata appesa alle pareti/ anni dopo anni, nelle vecchie case…/ Ma egli…/ la tocca soltanto/ se la trae al mento (come suo padre quand’era nel male)”. Lo sguardo si arresta, s’interroga sulla vera natura delle cose. La ricerca può deludere ma è importante porsi dei perché. Possiamo liberarci di qualcosa che ci sembra non essere importante ma quel qualcosa ritorna, serra la nostra gola e lo vediamo nella sua forma primitiva.

Il ricordo è più forte dell’evento quando ritorna e noi ce ne appropriamo. Poi sull’evento possiamo elucubrare. La seconda parte del testo è – Prosa in poesia – Il corridoio dei ritratti –

Si susseguono luoghi, ambienti non apparentemente coinvolgenti. Una

saletta d’albergo; tre giovani professori universitari in attesa. Siamo sul far della sera. Assenza di quadri. Tutto molto lineare.

Un uomo solitario (Aurelio) seduto a un tavolo. Poi entra una donna.

Analisi del trucco che può definirsi discreto. Raffinata, leggermente pingue. Vengono ordinate pietanze diverse legate alla differente condizione sociale dei presenti. Non c’è dialogo. Alla donna viene portato un telefono. Poche parole. Non si sa con chi parla. Poi, si allontana in silenzio. Possono farsi più illazioni. Come l’autore, siamo stati spettatori. Deduzione: La vita è senza alcun mistero, inutile immaginare o elucubrare ciò che si è solamente potuto immaginare. Ancora: un supermercato; un uomo e una adolescente. Lo scorrere tra i banchi per la scelta del cibo. Sguardo dell’uomo verso l’amica della commessa. Un lampo “al tocco dello sguardo di lei”. Poi il guizzo si spezza all’improvviso. L’uomo è come avvizzito di colpo. La donna lo ha notato? Si avvia verso l’uscita. L’uomo e la fanciulla sono ora seduti in una vecchia giardinetta e consumano il pasto. L’uomo ha gli occhi aridi. Le lacrime appartengono al passato ma non la delusione e la tristezza. La donna con la sua auto si allontana. Poi entrambi un prima e un dopo ma con effetti diversi. E intanto la vita scorre. Attesa di una conferenza. Un giovane professore con al polso un braccialetto d’argento – l’armilla[2]. La donna calza scarpe italiane; ha in mano un calice di vino trasparente; parla con uno dei professori del Centro Studi. Lui: “sto lievemente ingrassando (non l’ingrasso del piacere, l’emblema della Gola, bensì un marchio sedentario). Non è abituato alla cravatta e lo irrita lo stretto nodo. Tenta l’approccio; è avvezzo a tentare, ma la sua impazienza di animale selvaggio lo farebbe ritornare indietro alla sua tana”; meglio lasciar perdere. Situazioni forse vissute dallo stesso autore nel suo peregrinare e il rimpianto per una natura lontana di boschi e di uccelli; l’unica autentica. Sempre più evidente l’emergere di una solitudine che porta in situazioni correnti, di ordinaria amministrazione a turbamenti e fughe d’impotenza dalla realtà. Suggestiva per l’impatto erotico-visivo – Veduta del treno in corsa –

Due amanti nell’amplesso, nudi su un prato verde. Appagati? Solo

esausti? L’immagine, mentre il treno si allontana, ritorna con prepotenza all’occhio del poeta e assume “l’aspetto reale di una incisione di Rembrandt”. Coperte scompigliate… contrasti di luce “il ventre di lei resta completamente scoperto e annidato sotto lo sbocciare dell’ombelico, il suo fico è del tutto svelato – mai la porzione del sesso è stata dipinta con maggior esattezza”. Ci si può chinare sul dipinto: sensazioni molteplici; quasi un senso di gelo o paura può provarsi di fronte alla sfrontata bellezza di qualcosa che si desidera ma anche fortemente si teme. Susseguirsi di visioni tra il desiderio del possesso e il disagio che l’organo, nella sua nudità, può assumere l’innocenza di un frutto e staccarsi dalla carnalità del corpo restante, formoso e abbandonato. Siamo di fronte a eventi che, pur perdendosi nella vita, possono sprigionare una irreale magia. Tutto può svolgersi nel tempo e avere una storia. Lo sguardo del poeta è partecipe nella visione ma estraneo. Davanti a sé un amore che non gli appartiene, una storia nella storia che immagina, ma non è la sua storia.

Individua movenze, sensazioni ma il suo spirito è quello di un commensale di fronte a un piatto che lo attrae ma che lui non assaggia.

L’arte del poeta è dal silenzio della parola far scaturire sentimenti anche

solo vagheggiati che procurano realtà appaganti o terrifiche nel lettore. La parola si fa figura e in noi, talvolta si crea un’impari lotta per immedesimarci negli eventi vergati con una biro su un foglio bianco.

Anna Vincitorio



[1]     Nuova Tribuna Letteraria – Anno XXVII – 127 pag. 58.

[2]     Braccialetto usato nell’antica Roma. Era d’argento per i valorosi.