lunedì 15 febbraio 2021

ANNA VINCITORIO: "CARMEN YANEZ. SENZA RITORNO"


CARMEN YÁÑEZ

Senza Ritorno

Quaderni della Fenice – Guanda editore

 

 

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade

“Si sazia il mare del suo vivaio blu e come

una balena in calore si ribella fino a rompere

i suoi argini?…

Si placa, si concede una tregua e torna con le sue

onde dolci a lambire le ferite che ha lasciato aperte”.


Asturie – Spagna settentrionale sull’Atlantico. Gijon – paesaggio spoglio, duro, come può esserlo solo il ricordo del paese perduto.

I piedi sono ancora agganciati al Cile della ormai lontana giovinezza.

L’esilio è una situazione crudele che il tempo non lenisce. È la morte di una realtà d’amore, di fame, di tortura, di orrori. Ma è soprattutto realtà d’appartenenza.

Gli esiliati vivono più vite in paesi, realtà diverse, ma restano

indissolubilmente uniti tra loro. È stato apolide per lunghissimi anni Luìs Sepulveda. Condizione che lo ha tenuto fortemente legato alla sua Carmen anche dopo il distacco forzoso nel 1971. Si sono ritrovati e l’amore, mai sopito, li ha tenuti uniti per sempre.

“Buona notte, amore mio”. Le sue ultime parole.

Ho davanti agli occhi Senza Ritorno; è un libro intenso di scrittura di chi ha sentito la necessità di scolpire i ricordi, il dolore, con la parola. Parola necessaria a volte scabra, sanguigna. Esilio e lontananza da una passata realtà che attraversi col ricordo. Realtà trasparente nella sua crudezza. Una crudezza che rivive nella “tristezza di una estate decadente,/ la morte di una rosa condannata./ Un silenzio pattuito,/ Tra vivere e morire era la scelta, abbracciare la volontà del sale…/ Era la tristezza una sorta di echi spezzati”.

Compostezza nella stesura del verso. L’essenzialità rende le parole

lapidarie, nella perdita di una irrinunciabile parte della sua vita e di un popolo. “Gli uomini fecero la guerra/ Si uccidevano per un nonnulla,/ loro./ Spopolavano le regioni/ costruite nei nidi della terra/ Portavano il fuoco e le ceneri, loro./ E noi aspettavamo…” La terra è importante; in lei ogni inizio e da lei sono nati gli uomini e gli uomini inventarono la guerra perdendo l’ancestrale innocenza. La guerra distrugge. Gli sconfitti hanno vita grama ma sono loro che insegnano “a riporre la spada e consolare il bambino”. Vivo in Carmen, quanto ha visto e sofferto nella Villa Grimaldi: luogo di torture, di abusi, di morte: “il dolore atroce di un grido nella notte,/ smarriti nell’ombra ermetica dell’assassino”. C’è una poesia, Farfalle eteree – sono donne che hanno vissuto la vita breve delle farfalle. “Cecilia nel blu, Carmen la ricerca. Dove gli ultimi passi di Reinalda? Cosa ne è stato del bambino che portavi in grembo, farfalla?… Che retrogusto amaro aveva il sale/ della tua ferita da proiettile Elisabeth?… Mi dicono che ormai ora di dimenticarti,/ che di questo passo esaurirà le lacrime/ Ma come dimenticarti Michelle!…:/ Vado incontro alla vita e inciampo inevitabilmente nella tua morte, bambina./ Bambina, tutta/ con il tuo eterno grembo abusato”.

Sono poesie che vanno dritte al cuore per la loro durezza. Ma Carmen che Luìs chiamava la sua Pelusa, ha scritto questi versi di denuncia con negli occhi la visione del randello e del corvo[1].

Ha tuttavia Carmen col suo Lucho, costruito una vita intensa per l’amore che li ha legati fino alla morte, amara perché ricolma di passi perduti di “segni che lasciammo un tempo sulla pietra,/ l’albero, la parete vicino al cuore?”. Cosa appaga la lontananza da un passato in cui tutto fu perduto? Il mare. Domina l’acqua. L’acqua è vita che scorre e può lambire le ferite mai chiuse. Carmen si domanda: y donde perdi el poema, donde?”

“Le parole non vogliono venire alla luce e nude/ nell’ombra si godano l’ellissi/ Accidenti alla repubblica senile dell’oblio!”. Compagna dei suoi versi la nostalgia. Il Cile è nel cuore. Rivede con gli occhi del ricordo un cortile, una vita selvatica, un uomo che parla col suo cane “il cane piscia e caga nell’angolo/ e lì resterà impressa la sua immagine”. La piazza del quartiere piena di liceali. Strade, ancora piazze che un giorno ti appartenevano. “Qui la nostalgia si raggomitola come un gatto/ al calduccio di queste parole”. Ma tutto ciò che lei credeva suo non c’è più. La nazione usurpata, le morti… “Mi lasciai alle spalle tutti gli inni/ e m’incamminai scalza per i canali/ apolidi”. E tutto per un amore tanto forte da poter sopportare un lontano addio.

Come tutti gli autentici artisti, Carmen è sensibile alla bellezza. Una bellezza che è acqua che scorre tra i sassi e il muschio. Il fiume (quello di Eraclito?) “che precipita in cascate/ sul palato della terra assetata./ Torrenziale la pioggia/ che spegne le braci della morte./…” Dunque, nell’acqua morire per poi rivivere eternamente. Un cammino arduo che attraverso la morte conduce alla vita. Ma per vivere o rivivere in una realtà diversa e lontana, deve vincere la paura: “le pareti che mi nascondono,/ il telo oscuro che mi copre,/ il bustino che m’imprigiona”.

La salvezza del poeta è la scrittura e leggere piano, piano, i versi sotto la luce. La vita è destinata a concludersi ma le parole del poeta resteranno e saranno luce nel buio dell’esistenza.

“Ignoranti della luce che circondava l’innocenza/ eravamo così felici amore mio,/ con il calore delle nostre mani unite/ attraversando tutte le strade/ e ridendo degli ostacoli di pietra o grandine/ che volevano fermare quella nostra corsa/ irresponsabile di felicità./ Eravamo così felici/ e non ci accorgevamo della dimensione della vita…” L’amore sopravvive alla morte e i ricordi in noi. Mia cara Carmen Yáñez nel tuo Senza Ritorno ti accompagni anche la voce di Pablo Neruda: “continente di anfore che cantano/ le ha sempre fatte il popolo./ Ho sempre voluto che nella poesia/ si vedessero le mani dell’uomo/ una poesia di pane perché potessero mangiarlo tutti./ Poesia che deve passare di mano in mano/ reca cicatrici sul volto allegro e amaro…/ Se l’amore è come il vino/ sei tu la mia predilezione dalle mani sino ai piedi…”. Per lui il ritorno c’è stato ancora in vita a Isla Negra dove il mare inventa la poesia e dove il cavallo blu scodato della sua infanzia (la cosa di era bruciata in un incendio), è custodito. Il poeta dal cuore bambino chiese una coda e gliene fecero tre. Tutte conservate.

I poeti si comprendono tra loro e vivono rivivendo le loro realtà anche se

remote nella sacralità  dei ricordi.

Anna Vincitorio

20 gennaio 2021 – Firenze

 

[1]     Coltello ricurvo simile alla roncola e tipico cileno – arma in dotazione dell’esercito nazionale.vo simile alla roncola e tipico cileno – arma in dotazione dell’esercito nazionale.

Nessun commento:

Posta un commento