lunedì 29 novembre 2021

CLAUDIO FIORENTINI PER LA MORTE DEL POETA DOMENICO SACCO

 


MARIA RIZZI A GIUSY FRISINA: "PER LA MORTE DEL PADRE"

 

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

Giusy adorata, ti sono accanto nel dare l'arrivederci al tuo 'padre speciale', che per tua definizione 'è nell'infinito con la sua poesia'. Il caro Giosofatte ha compiuto cento anni da poco, gli eri accanto, ho visto la foto, e si è congedato dal suo sempre per entrare in una dimensione che gli fosse più congeniale. Non preoccuparti , tesoro, potrai dire con il mio caro Sant'agostino 'che la gioia di averlo avuto è più grande del dolore di averlo perduto', ma soprattutto appurerai, sempre con lo stesso santo che il tuo papà si è semplicemente spostato 'nella stanza accanto'. L'uomo speciale, che in modo geniale hai definito così egocentrico e così santo, così ateo e così credente, è come la gardenia di un celebre racconto, ti vive accanto in altra dimensione e ogni volta che avrai un crollo sentirai la stretta indimenticata della sua mano. Giosofatte, calabrese come te, e dedito ad attività professionali come l'avvocatura, ha sempre avuto come valore di base la Filosofia, su cui ha fondato la sua ampia produzione poetica. Ha pubblicato nel 2004 "il filo magico della ricerca" (Il Filo editore); nel 2005 "Verità Riflesse" (Il Filo); nel 2006 "L'eterno vivere nel relativo assoluto"(Il Filo); nel 2016 "L'importanza dell'uomo nel rapporto col dio (AUGH!) e nel 2019 "Nel sogno della vita" (Leonida Edizioni). Quest'ultima Silloge ho avuto la gioia e l'onore di leggerla e recensirla, scoprendo un Artista di novantotto anni di rara apertura mentale, che viaggiava dalla poesia classica a quella d'avanguardia e, come te, seminava perle filosofiche sul cammino. Ti chiedeva di diffondere il suo pensiero... e quanto ho ricordato il mio papà nell'apprenderlo! Siamo state attente a esaudire questi desideri e ha rispettare la linfa, di diverso genere, che hanno instillato nelle nostre storie. Giosofatte asseriva di comporre 'filosofia in versi' , in realtà scriveva poesia filosofica, ma era modesto, dote che ti ha trasmesso in forma smisurata. Lui chiedeva la diffusione per non perdere il lavoro di una vita, non per ambizione. Dei suoi versi ricordo con un tuffo al cuore, che nell'anno della mia nascita, il 1957, asseriva che era ora di fare strada a una poesia meno desueta, più sperimentale, che aprisse nuovi sentieri di pensiero. "Il sogno di una vita" l'ha realizzato, amica antica, ed è giusto che tu lo veda nella foto sbiadita che lo ritrae in bicicletta scapigliato e felice. Sta correndo a perdifiato sui prati dell'infinito per tornare 'alla sua prima casa', con la sua bici inossidabile: "l'Infinito senza mura /E la libertà  di chi non ha più/Preoccupazioni di sorta
Il gioco eterno e ridente dei volti amati /La conversazione interminabile /Con l'Intelligenza che ti ha creato /La Luce che finalmente non si annuvola." Giosofatte è un uomo di fede, come tutti coloro che alimentano il dubbio e affermano che "credere /O non credere/è la stessa cosa". Ti chiedo perdono Giusy mia, se volgo al presente i tuoi versi. Io non so concepire questo saluto come un addio. La vita me l'ha insegnato.
Tu hai accompagnato 'il tuo padre speciale' con la musica verso il sonno e lui ti sorrideva e sorride ancora, mentre ti racconta che "cè sempre l io

come ogni cosa. /Pure la rosa /ma non quella rosa." Siete per sempre uniti, anche se i gesti non sono gli stessi di ieri, se lo guardi sulla foto ingiallita e cominci a dimenticare la voce, che per prima, vorresti trattenere. La sua ricerca del vero, i suoi valori, l'energia, la sua Arte, l'amore... Nulla si perde, anima mia, tutto si trasforma, ma Giosofatte ha vinto il mistero del tempo, ha steso inconsapevolmente il tappeto della sua immortalità. Io sono accanto a te, ti accarezzo, ti invito a non piangere perchè lo deluderesti, e desidererei che , insieme, gli riservassimo il 'benvenuto' che i cileni sanno donare ai loro amori. Nazario e gli amici che ti amano e che hanno conosciuto il tuo 'padre speciale' tramite le sue Opere e quelle che gli hai dedicato, si uniscono a noi ... ed è rinascita! Pedala veloce Giosofatte!

domenica 28 novembre 2021

UN PADRE SPECIALE: " GIOSOFATTE FRISINA"


Giosofatte Frisina.


A UN PADRE SPECIALE


Il messaggio divino
Nel tuo corpo mortale
Tu per cui credere
O non credere
Era la stessa cosa
Come un pensiero di misericordia
Tu che avevi la ricerca nel sangue
E l'infinito negli occhi
E il cuore nella ragione
Segno di fede o speranza
nell'Uomo-dio
Malgrado tutto.

GIUSY FRISINA


ANNODARE I FILI 

Il dolore chiede di annodare
I fili strappati nel disastro
Mentre tu ritorni alla tua prima casa...
Dicevi di avere tre case
La terza al cimitero
Ma hai dimenticato che la prima
Era l'Infinito senza mura
E la libertà  di chi non ha più
Preoccupazioni di sorta
Il gioco eterno e ridente dei volti amati
La conversazione interminabile
Con l'Intelligenza che ti ha creato
La Luce che finalmente non si annuvola.
Ed è  con questo pensiero
Che posso riannodare i fili
Di questo scorcio di vita  terrena
Dove mi lasci
A svernare da sola. 

GIUSY FRISINA


Seguono le poesie di Giosofatte Frisina, uomo di cultura, poeta filosofo, che sapeva connettere pensiero e azione in uno stupendo connubio di pathos e logos; un grande uomo che reificava i suoi pensamenti nel cuore dell'arte poetica: 

L’ infinito non c’è

manco l’ eterno . 

Ma tutto E’

all’ infinito !

GIOSOFATTE FRISINA, "dalla raccolta “Nel sogno della vita, ed. Leonida, 2019” 


VITALITA’

 

Se ami la vita

lo stesso sentimento

va alla morte

che n’è parte integrante.

 

 

In ogni istante

Fin che dura la vita.


IL   CROLLO   PERMANENTE

 

Ciò che vive

nell’ animo decade

all’ infinito:

 

perciò

solo è parvenza.

 

La sostanza

è l’essenza

che ci sfugge.

 

Dalla ricerca strenua

inseguita

nel crollo permanente

della vita.

  

L’ IO  E  LA  ROSA 

La morte

tutto cancella

 

ma c’è sempre l’ io

come ogni cosa.

 

Pure la rosa

ma non quella rosa.

 

Ben altra cosa:

l’ eternità

 

ché senza l’io

neppure Dio


TEMPO   VIRTUALE 

L’ infinito non c’è

manco l’ eterno .

 

Ma tutto E’

all’ infinito !


IL   MEGLIO   ALL’  INFINITO

 

Niente ci ha dato il Dio

se non per tutto la capacità.

 

Tanto abbiam fatto ancor

di bello e brutto

 

ma il più ci resta

e se sappiamo fare

 

raggiungeremo ciò che non finisce

pur nel mutare : l’ immortalità

 

qual tiene il bello

e il mal non trova sito

 

neppur nella memoria

traboccante del meglio all’ infinito.

 

L’  ESSENZA   UMANA 

L’ uomo mira

all’ ultimo mistero

 

che presuppone il primo:

da dove siam venuti.

 

Forse dal nulla

semantica avventura

 

che dir si voglia

che noi non conosciamo

 

così coinvolti

nel dono di natura.

 

Per cui dobbiamo attingere

di là dell’ energia equivale a massa.

 

E l’essere sapiente

 staccandosene conserva

 

Il singolare io

 al par  del detto Dio.


GIRO  DI  BOA 

Se senti tanto caldo

e più senti quel caldo

tanto lo senti

che non lo senti più.

 

Se senti tanto freddo

e più senti quel freddo

tanto lo senti

che non lo senti più.

 

Così

l’ eccesso è nulla

come l’ assoluto

mentre viviamo

 

solo per difetto

 

giro di boa :

l’eternità.


FILOSOFIA  DELL’  ENERGIA

 

Tutto è energia:

gli uomini, le cose

gli animali …

 

Anzi non proprio tanto

diverse le energie .

 

Ma c’ è una speciale:

la consapevolezza

inver trascendentale.

 

La qual se ne sei degno

ti porta all’ atro regno

ove la luce effetto non è più dell’ energia.

 

Non c’ è spazio

né tempo

né bianco né nero

nel massimo mistero

dell’ eternità.

 

TRASCENDENZA   UMANA 

Senza principio e fine

forte è l’ essere umano

pur rivolto ai confini della nostra realtà

 

con l’ eterno s’ addice

a cotale natura

per ben altra ventura:

 

vi si attinge alla causa

dell’intero universo

per un mondo migliore.

 

FILOSOFIA DELLA VITA     

…Che è mai la mia vita?

E’ l’ombra di un sogno fuggente…”

G. Carducci

 

L’ attimo fuggente

Tanto fuggente che non funge

Che non esiste più

Resta solo illusione.

 

E l’illusione cos’è

Senza percezione!

Così non rimane

Che l’infinito

Senza principio e fine

Che per l’appunto non c’è.

 

Ma se ipotizziamo

Come sogno la vita

“ne parliamo” al risveglio

In dimensione celeste.

 



sabato 27 novembre 2021

NAZARIO PARDINI: "VAGHEZZA"

 Vaghezza

 

Una vaghezza, mentre sulla soglia

 miravo tracimare

il sole sull’orto, mi assalì

con tutto il suo sopore. Mi gustavo

le stille dei rubini che dal vetro

pungevano occidente. Il cinabro,

sortito dal bicchiere trasparente,

somigliava al rossore in lontananza.

 Incantamento.

Mi perdevo confuso tra i colori

di pesca e di susina nella scia

che in fondo lievitava.

Il pensiero parlante partoriva

un’imbarcazione avvolta nella porpora.

Tu eri là. Nascesti dalle zagare.

Dai tuoi serici veli mi apparivano

forme rosee di ninfa come petali.

Li germinava il cielo generoso

con le dita iridee. Sorridevi.            

Io ti raggiunsi celere e parlammo

tra il disfarsi totale della sera

nel carminio che esplode quando serri

le palpebre alla luce. Era il viaggio

che sempre ti promisi sopra un’arca

veleggiata dal vento dei sospiri.

Parvenze tutt’attorno. Le più belle,              

le più pure, quelle magiche. Ed il blu

che ci veniva incontro dall’oriente

le vestiva profondo. - Non temete. -

Noi restavamo avvinti. - Non temete.

Si accenderanno stelle e dalla luna

gocciolerà su voi nettare vago

avvezzo a far sognare. Basta amare

e tutto sarà d’oro, e azzurro il cielo. -

Rutilavano i sogni sul velluto

dell’arca al ritmo lieve degli stormi 

tremuli. Al giogo del tuo carro i frulli

profumati di sepali di rosa.

Raggi tardi e restii si staccarono

dal sole e differirono la notte.

Era il viaggio di un’intera vita;

una storia, una morte, quella vita

portata sempre in anima. Volare

sopra la terra bigia, oltre la notte,

avanti che l’oscuro partorisse         

staticità massicce alle memorie,

avanti che l’oscuro senza stelle       

continuasse nero il suo silenzio.

 

 

 

GIAN PIERO STEFANONI: "FUORI DALLA NOTTE"

 FUORI DALLA NOTTE

per Gianmario Lucini

 

Si appalesa nel gesto ripetuto

nell'impostura dell'uomo uguale a se stesso.

Non ha offerte né adolescenza

la storia se la memoria non salva.

 

Eppure una sera, chiuse le imposte,

il verso greco le rivelò,

la stanza spenta, la candela al centro,

il mondo ancora lirico nella misura del senso.

Passata è la notte che attendevi.

 

 

 

 

giovedì 25 novembre 2021

 

ORAZIO ANTONIO BOLOGNA

OLTRE LA SIEPE BUIA DEI PENSIERI

di

CARLA BARONI

 

Orazio Antonio Bologna,
collaboratore di Lèucade

Se la Poesia, nella sua intima essenza e vitalità, si ripiega sui problemi e i travagli dell’umana esistenza, che con spire sempre più strette cercano di soffocare l’anelito dello spirito umano soprattutto nel suo rapporto col divino, bisogna riconoscere che la Baroni con questa raccolta ha realizzato ciò che si proponeva. Non senza amarezza e disorientamento, riflette e invita a meditare:

                                … se c’è una via

           al transito bambino mi riporti

           di un’anima macchiata da peccato

           non suo …

Ancora una volta è l’esperienza umana, che, con l’innata dimensione spirituale e spinta al trascendente, conferisce le più autentiche pulsioni a struggenti considerazioni sull’essenza e sull’odierna dimensione umana e spirituale dell’Uomo. La Poesia si rende interprete di tali inquietudini e le trasmette alle anime in grado di percepire quali fermenti travagliano all’interno l’animo sensibile proteso verso l’Ente metafisico, fonte e origine del Creato; si piega a scandagliare il mistero impenetrabile dell’Uomo, della sua creazione, della caduta e della redenzione; accenna all’insondabile e, per certi aspetti, incomprensibile presenza del battesimo, il quale mediante il rituale, antico e sempre nuovo, umile e, al tempo stesso, nobile, per l’insondabile ricchezza spirituale, che lo impregna, trasmette la vita, perduta per un gesto antico, insensato e incomprensibile. Un gesto così umile e, oserei dire, insignificante, veicola una realtà, che solo la mente sublimata dal divino e serenata dall’illuminazione celeste riesce a percepire e vivere nella sua esatta ed feconda dimensione.

Interprete acuta e sensibile di una humanitas in cerca di se stessa e, soprattutto, del suo futuro ultraterreno, la Poetessa rivela senza timori o falsi rossori un animo travagliato e disorientato, la titubante adesione a una fede solida e antica, insidiata e minacciata da un falso e traviante ‘progresso’, che celato sotto il pregnante lessema ‘civiltà’, diviene sempre più aggressivo, violento e lacerante. Sull’altare di un fantomatico Leviathan, che con falsi miti alimenta crescenti speranze e cocenti illusioni in un’edenica era di felicità, si sacrifica la cultura dello spirito, la dimensione religiosa, il Diritto naturale nella sua più ampia e autentica espressione.

Il dettato poetico riflette con sconforto e amarezza sulle strade imboccate da un Uomo cieco; si piega su una società a brandelli, che capitola giorno dopo giorno davanti a pretese di assurdo egualitarismo; perde il senso di se stessa e piega a innaturali riconoscimenti della legge positiva quanto la Natura impone e dispone con le sue leggi; riflette con dolore sullo smarrimento di Verità prima messe acriticamente in discussione e poi spazzate via da furia iconoclasta in nome di un verbo, che attinge nei bassifondi dell’egoismo e del traviamento morale, contrabbandato con il glorioso nome di ‘libertà’ e assunto come norma e metro di una palingenesi, attesa da tempo e finalmente realizzata. Questa nuova era messianica nella sua miopia definisce ‘civile’ la società fondata sull’assurdo diritto, che appaga l’anarchia morale di coscienze senza remore.

L’Uomo, in questi ultimi tempi, sta attraversando una profonda e, per i molti risvolti implicati, insanabile crisi di Valori, ancoraggio e spinta propulsiva di intere generazioni verso alte e significative conquiste dello spirito, alle quali seguiva, come necessario e naturale completamento, il benessere materiale. Questo, sottomesso e dominato dalla vigile presenza dello spirito critico, aveva un suo decorso specifico nelle conquiste e nelle rivendicazioni della dignità umana, sancite dalla coscienza retta e ossequiente alle leggi di natura. In questi ultimi periodi, la società, rapita e trascinata da un vortice di novità, contrabbandate e propalate sotto la roboante e accattivante dicitura di ‘progresso’ e di ‘civiltà’, ha smarrito se stessa: non riesce più a distinguere ciò che è conforme alla natura da ciò che è contro; percepisce con molta difficoltà l’esistenza della legge naturale, cui quella positiva deve conformarsi, come necessaria emanazione; stravolge con spregiudicata indifferenza e arroganza il Diritto in nome d’una ‘libertà’, diventata ormai sinonimo di ‘egoismo’, ‘arroganza’; relega nel mondo di speciosa ‘arretratezza’ e ‘oscurantismo’ i dettami della religione e delle norme morali, che con la loro inossidabile solidità costituiscono la base della vita civile.

Come nella deportazione ad opera di Nabucodonosor, gli Ebrei sedevano sui fiumi di Babilonia e, in lacrime, ricordavano Sion, mentre le loro cetre appese ai salici ricordavano i tempi della felicità, così l’Uomo di oggi, spiritualmente debellato dal materialismo strisciante e dalla demagogia di un ingannevole e traviante progresso di una società incapace di reagire, si affligge nell’amara e cocente consapevolezza della sconfitta. Perciò la Poetessa non esita a notare:

           Ed arpe e cetre dalle corde rotte

           galleggeranno sui palustri fiumi:

           solo il mio canto ferirà le stelle.

Le reminiscenze bibliche, liberamente intese e liricamente trascritte, sottendono un intenso lavorio di ricerca, di analisi, di critica, di esami interiori, di confronti con i dubbi e i dissidi. In seguito a tali riflessioni, sostenuta da indiscussa autorità, può spiegare il suo canto e aprirsi alla speranza:

           e saprò infine il mio destino vero:

           se regina degli Inferi al baratto

           d’un giorno di gloria in questo vano mondo

           o ritrovata agnella in pura Luce.

Si ritrova in questa sofferta considerazione quanto il Salmista con accenti accorati si ripromette che non dimenticherà Gerusalemme, dove innalzava i canti di Sion, perché un giorno, finita la schiavitù, potrà di nuovo tripudiare nella città santa, che è tutta la sua gioia, e al di sopra della sua contentezza. È, questo, il proposito di Carla Baroni, la quale con toni di intenso e sostenuto lirismo invia un messaggio inequivocabile all’Uomo, considerato e proiettato nella dimensione metafisica, anche se invischiato nel contingente scorrere della sua storicità.

In questo periodo di insanabili tensioni e profonde contraddizioni, secondo il pensiero della Baroni, l’Uomo sembra aver smarrito il senso della propria identità; mostra segni di decadimento spirituale, mentre è continuamente proteso alla soddisfazione dei sensi e proietta se stesso nell’edenica caducità del benessere materiale. Allontanato o, meglio, perduto il senso del divino, mentre si affanna alla ricerca di se stesso e della sua dignità su questa terra, non si accorge di precipitare nel baratro dell’annichilimento e di soffocare insieme con la sua dignità il principio fondamentale del suo essere più autentico.

Al chiasso assordante della società, che cerca di colmare il vuoto dello spirito, la Poetessa contrappone, e addita, fiduciosa nel riscatto morale e nella libertà della scelta coraggiosa, l’eremo, colto e proposto con vibrante speranza, impregnata del messaggio derivato dalla tradizione scritturistica:

           l’anacoreta dalle braccia bianche

           soffre al sole cocente del deserto.

All’Uomo di oggi che ha smarrito il senso e, in modo particolare, il valore della ‘solitudine’ e del ‘raccoglimento interiore’, la Baroni rivolge un accorato invito a ritornare con la mente là dove l’Evangelista nella sconfinata solitudine del deserto addita la via del riscatto e del successo, sperato e atteso. Lì la preghiera / diventa un mormorio troppo sommesso per essere percepita e avvertita in tutta la sua potenza da una umanità assordata dal fragore, in evidente contrasto con il silenzio e il raccoglimento.

Non poteva mancare nella partecipata riflessione sul dono più grande, che appaga anche il cuore più inquieto, la presenza della Fede, che innalza l’Uomo a Dio e sola riesce a infondere la serenità, affannosamente cercata, desiderata, inseguita. Sembra di sentire il Santo Vescovo di Tagaste, il quale nelle Confessiones con animo traboccante di Fede e di Speranza scrive: inquietum est cor nostrum, donec riequiescat in te. Solo allora, quando

           egli ha la Fede, femmina sincera

           che non si dà alle smanie del Maligno

           e disseta,

           polla nascosta nella grigia sabbia,

           l’arsura d’ogni animo indeciso,

finisce il tormento e il cuore si apre alle chiare e cristalline sfere della luce, che rapiscono e conferiscono senso profondo e insondabile al contingente grigiore della vita arida, senza prospettive, quale si dipana davanti all’inerte e fagocitante scorrere del tempo.

La poesia della Baroni, che trova plastica incarnazione nell’endecasillabo sciolto, derivato e assimilato dalla tradizione classica, trabocca di sensazioni e di amore incondizionato per la vita, di genuini e controllati slanci, che proiettano il lettore al di là della comune, trita e anodina esistenza quotidiana. In questo fecondo e stimolante connubio l’anima riesce a scalare, con l’intensa emotività, che veicola, le balze scoscese della montagna con passi decisi, con lo sguardo fisso verso la meta. Lì con le braccia aperte attende Cristo, verso il quale l’Uomo è stato sin dall’inizio destinato.

Allontanato il dubbio e l’incertezza, la Baroni propone sofferte soluzioni, dopo ricerche scandite da sconfitte e riprese, cadute e resurrezioni, prostrazioni e momenti di gioiosi slanci, inglobati tutti in un dettato chiaro, scevro tanto della reticenza quanto dell’ipotiposi. Ogni verso tende a soddisfare le esigenze dell’anima in cerca di se stessa e di quanto, sommersa da fragorose e fuorvianti antinomie, ha smarrito nel tortuoso scorrere dell’esistenza terrena. Addita parola dopo parola la tappa fondamentale, perché l’Uomo entri nell’unione mistica con l’Essere, al quale cerca invano di identificarsi, per i limiti insiti nell’umana contingenza.

Alla fine di questa breve riflessione, ogni lettore può dire con la Poetessa, ormai avviata sulla via di Damasco:

                        dai anche a me le ali

           perché non mi sia troppo faticoso

           quell’ultimo mio viaggio all’altra sponda.

Per poter raggiungere ciò che anela, l’Uomo deve spogliarsi di quanto lo invischia, liberarsi dalle panie d’una vita immersa nella materialità e rivolgere la mente alla ricerca al divino e alla conquista della realtà metafisica, insita all’interno del suo essere.