mercoledì 3 novembre 2021

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "TERZO TEMPO" DI EUGENIO REBECCHI

 

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

"TERZO TEMPO", DI EUGENIO REBECCHI

(Blu di Prussia Editore)



"La partita a scacchi / è finita in perfetta parità. / Il bianco ed il nero / hanno preso posizione / lottato a lungo con abili mosse / ma non sono stati capaci / di dare scacco al re". Che il Terzo tempo di cui parla Eugenio Rebecchi in questo suo recente testo poetico edito da Blu di Prussia, corrisponda in senso anagrafico alla terza età, non c'è ombra di dubbio. Fa tuttavia capolino, tra le pagine, un percorso di sottile conoscenza che trova compiuta espressione nei versi suddetti, tratti dalla poesia intitolata L'albero dei cachi (una cui immagine, non a caso, è riportata nella copertina del libro). Realtà e idealità, crudezze e aspirazioni si contendono il campo senza tuttavia prevalere le une sulle altre.

Il poeta, romano di nascita, è vissuto lungamente al nord (Piacenza) per poi spostarsi in età matura in un mite borgo dell'Umbria, Monte Castello di Vibio (Perugia), inseguendo ritmi più umani e meno frenetici di vita. In questo Terzo tempo confessa che la lotta tra i desideri opposti di avventura e di requie, è finita in pareggio, avendo egli compreso che un permanente quieto vivere è insoddisfacente non meno di un perpetuo stato di turbamento e di crisi. Difatti, la stessa ambita pace del borgo può trasformarsi in un insopportabile torpore: "Ancora un giorno è passato / domani è già il futuro / non c'è tempo da perdere". Conformismo e sconvolgimento, stasi e mutazione, occorrono entrambi e hanno bisogno l'uno dell'altro.

Monca è la realtà e monchi i sogni, se non riescono a giovarsi gli uni degli altri. Difatti, "si è adirato l'allegro fantasma / che s'aggirava giocoso tra i saloni / dell'antico castello addormentato / perché l'ultimo principe ha sentenziato / che non esistono i fantasmi / nemmeno nei vecchi manieri". Esistono invece i sogni, i fantasmi: vorrebbero giocare candidamente con noi, mentre noi li scacciamo, oppure di fronte ad essi cadiamo in prostrazione. E' così che diventano ostili, veri e propri mostri in agguato, anziché fratelli di dialogo, in quell'orizzonte di attesa cui accenna Antonio Spagnuolo in prefazione, riscontrandolo in questo canto colloquiale e sommesso, all'incrocio tra intimità e cronaca, tra vita privata e vita associata.

Un eloquio poetico fiorito e scarno, sognante e veristico a un tempo, dove s'inseguono delusioni ed illusioni in un'oscillazione costante. Versi non indulgenti al pessimismo, ma neppure all'ottimismo, in quel disincanto sornione e un po' ironico, capace pur sempre e comunque di coltivare speranze. La vita, sembra dire l'autore, è storia di soprusi, prevaricazioni ed inganni, ma le nobili aspirazioni sono tutt'altro che vane e svolgono anzi un ruolo importante, in divenire, da traino verso mondi che non conosciamo: "L'amore / che mai smise / d'esser tale / è sempiterna / promessa / d'infinito". Ci crede davvero Rebecchi, anche se un po' gli piace giocare. Parla addirittura di palingenesi, sia pure in senso laico e per niente religioso:

"Il dinosauro s'è addormentato / tranquillo: ere lontane. / Piange il coccodrillo malandrino / dopo il lauto pasto consumato. / Non sa che il suo gioco / è scoperto, non inganna più. / Re leone festeggia il compleanno / ma non c'è alcuna torta con le candeline / lui mangia soltanto carne cruda. / E l'uomo vaga intorno all'illusione / d'essere il primo tra gli animali / perché dotato di fine intelligenza. / Urge la già invocata palingenesi / che azzeri tutto per cominciare daccapo / e poter finalmente scoprire / l'uomo nuovo, logica espressione / di un'umanità numero due. / Il vecchio sogno è tornato all'improvviso / uguale a quello di tanti anni fa / quando il poeta provò a comporre / l'opera somma che rivoluzionava / l'andamento barbaro del mondo" (Umanità numero due).

Penso che questa sia tra le composizioni più significative del testo. Ma andiamo per gradi. A un certo punto della sua vita, l'autore rimette tutto in discussione. Cancella d'un colpo il passato, stanco della consueta routine, e si rende pronto per nuove avventure: "Ho cestinato tutto in un giorno solo / radendo al suolo il castello di carta / che poco somigliava alla mia immagine d'oggi: / un uomo in partenza". La silloge si apre dunque con l'immagine di "un trasloco faticoso / chilometri di strada in direzione sud / per raggiungere quello che chiamiamo / cuore verde d'Italia: l'Umbria sognata". "Per voi che siete rimasti / c'è la noia dell'usura. / Per noi che siamo andati / c'è l'incanto del nuovo. / Eccoci qui a due passi dal verde".

"Grazie a fratello sole e sorella luna / ... / Ripartirò da qui, da questo plenilunio / che è luce gentile per dar senso alla notte". Ma l'ironia è sempre in agguato: "Il diavoletto allegro / s'è beffato / dell'angelo custode intimidito / da una presenza contraria / al suo candore". Da qui "una caduta tutta verticale", con "voli pindarici al contrario". Il negativo prende il sopravvento, e a proposito dell'attentato alle Torri gemelle, l'autore dice: "Ci fosse un dio del bene non lo permetterebbe; / ricaccerebbe le bestie sanguinarie / nel suo inferno di fuoco / e libererebbe i popoli da ogni schiavitù". La battaglia tra il bene e il male si svolge dunque tutta nel cuore dell'uomo. Con i due teatri (quello dei mimi e quello delle ombre) dove prende corpo il dissidio tra  l'apparire e l'essere, tra lo scimmiottare dell'ego ed il rigore coscienziale.

Gli animali, dice il poeta "parlano, ridono, hanno movenze umane", mentre le vere bestie siamo noi. Per cui l'auspicio è che il mondo possa venire "governato da tigri, leoni, elefanti", consentendo a noi, sotto tale guida, di tornare ad essere veramente umani. "Al povero lupo hanno imputato / crimini vari, nefandezze / senza valutare che il bell'animale uccide per mangiare / non proprio come l'uomo". Una riflessione importante sul carattere necessitante, e proprio per questo libero, della natura, contro la presunta liberazione culturale e spirituale operata dall'uomo nei confronti del creato, destinata - questa si - a creare schiavitù e sofferenza a non finire. Una rivalutazione formidabile della materia, della terra, della carne.

Cosa c'è oltre la carne? si chiede il poeta a questo punto. Di chi è l'immagine, "narciso impertinente", che si specchia "nel limpido riflesso d'una fonte"? "Chi è costui? / Non so, non lo conosco. / Credo nella carne / che si fa carne / per inventar barriere di concretezza / al nulla dilagante". E ben venga questa fede, se il risultato è di far girare i nostri meccanismi psichici secondo ingranaggi naturali e universali. Il poeta è spiazzato di fronte alla facoltà dell'uomo di andar contro natura. E quando un verdetto medico gli rivela di aver contratto una seria malattia, egli reagisce con la speranza di poter superare il momento difficile per continuare "fino a cent'anni / ... / a prendere in giro / il perché d'un'innocenza / gettata in pasto / a belve d'ogni tipo".

Poi torna a chiedersi: "Chi sono io?". Risponde: "Il poeta di quella generazione / che ha pianto il perché di una guerra / non vista, appena terminata. / Io grido nel deserto delle illusioni / il mio canto disilluso / la mia canzone appassionata" che allude ad "un lontano orizzonte alternativo". Quale possa essere questo "lontano orizzonte" non è espressamente dichiarato, ma date le premesse non possiamo che pensare ad un ritorno nel grembo della terra madre, alla natura stessa, alla carne, alla materia vivente. A quei sensi che non mentono (come sa fare la mente) e che sono sempre allineati con le leggi del creato. A quel Paradiso terrestre, in fondo (ma questa è una mia illazione), che è appunto un orizzonte alternativo e lontano per l'uomo che se ne è voluto separare, pur avendolo ricevuto in dono.

 

Franco Campegiani

 

 

 

 

 

 

6 commenti:

  1. Franco carissimo,
    che dirti? Come ringraziarti? Mi hai onorato, non solo di attenzione, ma hai anche elaborato un piccolo capolavoro nel commentare la mia ultima fatica poetica.
    L'esame attento, la capacità di analisi, il rigoroso procedimento di valutazione mi sono noti perché conosco, seppure parzialmente, il tuo lavoro. Eppure scoprirli su un qualcosa che m'appartiene, non solo è motivo di appagamento, ma danno fiducia e, in fondo, fanno girare un po' la testa! Non certo per piaggeria (hai scritto in completa autonomia, senza il bisogno che ti richiedessi alcunché) ma, in effetti, considero quanto hai fatto come uno dei più bei regali, una cosa che conserverò quale attestato veramente importante. Ciò che hai affermato, lo scavo che hai operato tra i miei versi, i passaggi che hanno catturato maggiormente la tua attenzione sono e resteranno, per me, la sontuosa interpretazione che un intellettuale mi ha dedicato in totale libertà di pensiero.
    Ti abbraccio con un velo di commozione

    Eugenio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Carissimo Eugenio, che dirti a mia volta? la tua commozione è contagiosa. Non ero certissimo, data la personale e molto libera interpretazione dei tuoi versi, che questa avesse potuto trovare corrispondenza nella tua visione poetica del mondo. E' andata bene e ne sono molto felice. Una forte stretta di mano.
      Franco

      Elimina
  2. Mi complimento con Franco per questa lettura di "Terzo tempo" dell'amico Eugenio Rebecchi.
    Credo di poter dire - conoscendo bene l'autore dell'opera - che le considerazioni di Campegiani sono appropriate e colgono aspetti che, senz'altro, costituiscono l'asse portante della personalità e del pensiero del poeta ed editore romano.
    La caratteristica peculiare - a mio avviso - di Eugenio è la schiettezza: è un uomo che non ama nascondersi dietro le illusioni e neppure dietro i dogmi.
    I versi - che Franco riporta e analizza - ne sono chiara conferma: "Il dinosauro s'è addormentato / tranquillo: ere lontane. / Piange il coccodrillo malandrino / dopo il lauto pasto consumato. / Non sa che il suo gioco / è scoperto, non inganna più...", e ancora: ""Grazie a fratello sole e sorella luna / ... / Ripartirò da qui, da questo plenilunio / che è luce gentile per dar senso alla notte...".
    L'esegesi di Franco è molto profonda (come sempre) e - rifacendomi di nuovo alla capacità dimostrata di essere entrato nel vivo del pensiero poetante - mi piace citare questo suo pensiero: " Il poeta è spiazzato di fronte alla facoltà dell'uomo di andar contro natura...".
    E il "lontano orizzonte alternativo" - cui lo stesso poeta fa riferimento - è con acume identificato, da parte del Critico, in "un ritorno nel grembo della terra madre, alla natura stessa, alla carne, alla materia vivente....A quel Paradiso terrestre, in fondo (ma questa è una mia illazione), che è appunto un orizzonte alternativo e lontano per l'uomo che se ne è voluto separare, pur avendolo ricevuto in dono".

    Sandro Angelucci

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, carissimo Sandro, per questo tuo limpido ed esplicativo contributo. Conosci da molto tempo Eugenio, e molto meglio di me, per cui mi conforta il fatto che tu abbia trovato appropriate le mie argomentazioni. Mi gratifica in particolare la tua citazione del passo in cui parlo del Paradiso terrestre, alludendo ad una spiritualità della materia che, ahimè, si fatica non poco ad accettare.
      Franco

      Elimina
  3. Straordinaria la tua lettura, Franco, della Silloge del carissimo Eugenio, che affreschi in tutte le sfumature, consentendo a noi lettori di vederlo saltare fuori dal testo, di carezzarlo, di seguirlo in tutti i cambi di rotta, in tutti i dubbi e gli interrogativi che alimentano i suoi giorni. Sai calarti in modo eccellente nella realtà di questo Poeta che nei versi, come nella vita, è veemente, appassionato, vero, a volte vicino al disincanto, ma mai di ritorno dall'avventura dell'esistenza. I suoi non sono bilanci, ma riflessioni, e sono rimasta ipnotizzata da questo estratto: "Gli animali, dice il poeta "parlano, ridono, hanno movenze umane", mentre le vere bestie siamo noi. Per cui l'auspicio è che il mondo possa venire "governato da tigri, leoni, elefanti". Eugenio rivela di essere Poeta nel senso più alto del termine. Riconosce nelle miracoli Poetici del Creato l'anima... e un'anima molto più volta al bene della nostra. Sono perfettamente d'accordo con lui. Lo stimo e lo ammiro infinitamente. Tu sei il recensore ideale per questo testo di seta e oro riposto nello scrigno di Leucade. Ringrazio te e il Poeta Franco caro, e vi abbraccio unendo nella stretta il Condottiero che ci permette incontri così felici.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Maria, sono d'accordo con te: Eugenio è poeta "a volte vicino al disincanto" (un disincanto rivolto all'essere umano), ma anche profondamente affascinato dai "miracoli poetici del creato" e dalla superiorità morale della natura sull'arrogante e microcefalo bipede, distruttore delle armonie naturali. Grazie per questo tuo appassionato contributo.
      Franco

      Elimina