sabato 6 novembre 2021

NAZARIO PARDINI: "NOVEMBRE"

Novembre. Tutto è fermo. Anche il cielo

si scopre e  le nubi si assentano  

portate dal vento lontano oltre il mio cimitero.

Tre paesani nei campi 

con frullane che specchiano i raggi del sole

falciano l’erba ai piedi dei peri,

fra quelli mio padre che pensa alla sera,

al ristoro di un giorno freddo e cristallino.

Uccelli neri volano alti

lontano dai tiri. Nei campi

si prendono il sole i sagginali  

felici del calore che scioglie la brina.

Non c’è più nessuno dintorno.

C’è solo la solitudine a far compagnia

ai miei morti che giacciono a terra

in attesa dei sospiri di figli e di madri

a lisciare i marmi con panni

che impolpano il freddo.    

Non c’è più nessuno in questo novembre

che solo, si gode la pace 

sulle guance di gelo.   

12 commenti:

  1. Una poesia come un'istantanea, ma che dice molto di più di una fotografia...Infatti le immagini sono in movimento ,anche se sembrano ripetere un rituale che rende sacra la scena. Niente è meccanico nel mondo di Nazario Pardini, pure senza bisogno di allusioni metafisiche. Tutto è magico nella pur oggettiva realtà. I cicli dei campi, il volo degli uccelli, il dolore dei vivi per i morti sono rappresentati con tocchi delicati e intensi. L'istantanea è forse un quadro impressionista e il tempo è come sospeso, come se il mondo fosse sempre uguale. La memoria è più forte del dato attuale e il colore della vita è immerso nel chiaroscuro dei pensieri. Ci si alza purificati ogni volta dalle poesie di Nazario, e si è grati della sua immensa presenza.

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  2. freddo, solitudine, sospiri, vita dismessa, amore per un padre che pensa alla sera. La poesia vive di una storia letteraria lunga e folta: Pascoli, Leopardi, poeti contemporanei, che nel novembre simboleggiano la solitudine. Bella poesia, intima, triste, avvolgente con ritmi di pausa che lasciano spazio al pensiero.
    Nazario

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  3. metafore, sinestesie, iperboli, a ingentilire o a irrobustire il pathos. Pathos e logos si addensano per dare forma ad un significato di grande energia empatica: "...che solo, si gode la pace/sulle guance di gelo". Questa è vera poesia!

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  4. Una poesia come un canto intimo sussurrato nelle pieghe delle tende del tempo. Novembre è un mese di poca luce e di tante nebbie, tra queste quelle che si addensano sul cuore quando si varcano i cancelli del cimitero. Novembre è subito commemorazione dei defunti ed è un ripercorrere il tragitto con la mente verso un campo di luce, luce di resurrezione. Si vedono ancora gli uomini falciare l’erba pensando alla sera nel freddo che avanza in una landa desolata. In questa plaga di sentimenti affiorano le figure dei propri cari, che aspettano la visita e un fiore per rinverdire il ricordo e sentirsi ancora uniti. Si avvicinano le mani tremanti che tagliano l’aria nel segno della croce e nell’incavo inferto s’infila lo sgomento e il sussurro di una preghiera, cercando le fotografie si attua l'azione per placare i segni pungenti della nostalgia. C’è una sospensione del tempo, un avvolgere della rondella per ritornare al indietro quando al saluto c’era una risposta che si moltiplicava nell’abbraccio. Ora le mani non stringono altre mani ma un panno per lisciare il marmo impolpato di freddo. Non c’è più nessuno si ascolta la profondità del silenzio, si sente il freddo sulle guance arrossate dal gelo. In questo silenzio si percepisce il nulla, quel nulla che contiene ogni cosa, come afferma Padre David Maria Turoldo “E nel silenzio ancora il Verbo/cui fa eco un vento/leggero leggero”. Bisogna affinare i sensi e il corpo per sentire il dialogo con la terra, con i luoghi che trattengono i segni le effigi del passaggio dell’uomo. La casa, l’aratro, l’aia, la strada verso la propria infanzia tutti segni di un mondo che vive ancora nel fanciullo Nazario che toccando il freddo del marmo rabbrividisce perché sente l’interruzione del sogno e vive ancora il distacco come se fosse successo ieri. Il mese di novembre s’ammanta di tristezza e di ricordi che risplendono nel focolare che alimenta l’attesa dell’incontro.
    Una poesia intensa e colma di malinconia pregnante di quella spiritualità che fa dell’uomo il contenitore del mistero verso la verticalità dell’io.

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  5. Una lirica che evoca la nostra letteratura: "Silenzio, intorno; solo, alle ventate /odi lontano, da giardini ed orti,/di foglie un cadere fragile. E' l'estate,fredda, dei morti." - Omonima di Giovanni pascoli - e la rinnova. Maestro caro, in una lirica immaginifica, cogli tutti i volti del mese che ci accompagna verso l'inverno e dipingi i suoi campi, gli stormi di passaggio e, soprattutto, gli amori volati in cielo, che attendono "sospiri di figli e di madri /a lisciare i marmi con panni/che impolpano il freddo".Una Poesia che induce anche l'anima a spogliarsi, a privarsi della salsedine, del canto delle cicale, del profumo di tigli; si perde il breve delirio d'onnipotenza che l'estate concede e tu sai danzare con tenerissimo disincanto sulla realtà della vita, ovvero sul dato di fatto che i mesi sono sentimenti. Novembre inizia e si identifica con i nostri amori 'che giacciono a terra'. Nazario mio, non riesco a pensarli lì, non voglio pensarli lì, so che ogni giorno parlo con loro, li rivivo nei gesti, nelle abitudini, nel cibo e... mancano le voci, vorremmo che restassero e le perdiamo per prime..., ma l'essenza delle loro presenze non è smarrita. Tu sei il primo testimone di questa realtà. Dimostri il loro 'esserci' in quasi tutte le liriche, sai che sono 'nella stanza accanto',come disse Sant'Agostino, e li accarezzi ogni giorno', li onori più di ieri, La solitudine è la grande presenza della tua ode e siamo soli anche noi lettori, mentre ti leggiamo di fronte agli schermi, chissà perchè ne prendiamo atto solo in questi giorni. L'essere soli rappresenta senz'altro un'altra condizione dello spirito... e quindi una proiezione del sentimento che proviamo, in effetti alcuni giorni di novembre portano l'intero ricordo dell'estate come un opale di fuoco porta il colore del sorgere della luna. Si nota solo uscendo dallo stato d'animo tipico di questo mese. Ti voglio un bene infinito, mio Vate, e ti sono grata per ogni dono, per ogni giorno sull'Isola, per ogni poesia tessuta con la tua Arte e la tua sensibilità.

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  6. Novembre, un mese cui N. P. ha dedicato più di una poesia. (): è infatti il culmine di quel malinconico intimo autunno,che sa di vita e di fine, di quiete e di lontananze, in cui la memoria diventa la protagonista insindacabile delle nostre emozioni. (Oh terra di novembre! Il tuo riposo/ sia vigile ai miei cari. Ti respiro/ ora che vanno i roghi di fascine/a perdersi lontano. E ti rivivo/ novembre di dolore e di riposo.).
    Emozioni rattenute le sue, eppure limpide: sogni da ricomporre, magia, incanto. Poesia nella poesia. Forse nel ricordo soltanto c’è l’essenza della vita, della bellezza e della felicità.
    Vi si ritrovo tutta l’anima semplice eppur complessa, elegante, elaborata eppur semplice, elegiaca eppur incisiva, di Nazario Pardini uomo e poeta.
    Un incipit quasi pascoliano, poi i dettagli: nubi fere, quasi assenti, ultima erba da falciare, freddo cristallino che arrossa le guance… Mestizia, tempo sospeso, quasi annullato in uno spazio vivo nella mente, nel silenzio, nel ricordo, lontano. Una minuziosa autoascultazione che mostra una maturità che va oltre, forse aspira all’eternità. E una chiusa tutta pardiniana, non immemore di echi foscoliani, che commuove: l’irruzione dell’ignoto, l’indecifrabile, del mistero e la solitudine che – inevitabilmente- ci aspetta.

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  7. L'incipit predispone 'chiaramente' all'evocazione del momento. Un momento che non è soltanto naturalistico, ma unisce il sentimento di una malinconia immutabile nell'animo del poeta. Una malinconia e una solitudine(in anafora) immaginate in quella sera paterna che è da venire e si preannuncia nel pensiero. Non direttamente la sera del poeta, ma una sera atavica, quale destino umano e familiare. La poderosa metafora in chiusa: guance di gelo, si contrappone al "calore che scioglie la brina" e ai "panni che impolpano il freddo". Le parole vestono il significante e in antitesi ci riportano l'attimo in cui paesaggi e sentimenti sono tutt'uno in un presente di pace.
    Stupenda lirica! Patrizia.

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  8. Ricevo e pubblico

    Una poesia come un'istantanea, ma che dice molto di più di una fotografia...Infatti le immagini sono in movimento ,anche se sembrano ripetere un rituale che rende sacra la scena. Niente è meccanico nel mondo di Nazario Pardini, pure senza bisogno di allusioni metafisiche. Tutto è magico nella pur oggettiva realtà. I cicli dei campi, il volo degli uccelli, il dolore dei vivi per i morti sono rappresentati con tocchi delicati e intensi. L'istantanea è forse un quadro impressionista e il tempo è come sospeso, come se il mondo fosse sempre uguale. La memoria è più forte del dato attuale e il colore della vita è immerso nel chiaroscuro dei pensieri. Ci si alza purificati ogni volta dalle poesie di Nazario, e si è grati della sua immensa presenza.

    Giusy Frisina

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  9. RICEVO E PUBBLICO

    Caro Nazario,

    poiesis che riflette una mente limpida, avvertita con intensità e schiettezza d'animo.
    "Novembre": una poesia in cui l'autore rivendica, ancora una volta, la propria autonomia artistica; in cui la creatività poietica fantastica è posta come l'autentica origine della storia; in cui l'uomo, Nazario Pardini, afferma il principio di volizione della libera creatività dello spirito: soddisfa il dualismo dialettico vita-morte; riporta il momento storico nell'orizzonte del proprio presente. Ma è anche un personale che si consegna all'universalità dell'umanità nel respiro di un Novembre "che solo, si gode la pace/ sulle guance di gelo.

    Complimenti

    Rita Fulvia Fazio

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  10. Novembre.
    Si ferma il vento oltre le mura del cimitero.
    In un complesso e contemporaneo verismo, si manifestano i tratti salienti della poetica di Nazario Pardini. È un verismo che mai allontana il poeta, osservatore partecipe, dalla scena principale e accentua “il meraviglioso” che impatta nella coincidenza degli eventi connessi al “prima” e al “dopo”. Dapprima l’accaduto sommerge il poeta e sembra sovrastare con la forza delle immagini descritte e l’impercettibile musica di sottofondo. E vi sono, come immutabili pastori di un presepe, i tre paesani che lavorano nei campi e il padre del poeta intento al lavoro col pensiero rivolto al tepore della casa famigliare. Volano intorno gli uccelli neri dell’Autunno con la tristezza dei primi giorni di novembre. Il lettore sente su di sé il gelo degli arbusti infreddoliti e lo sciogliersi tiepido della brina. Ed ecco che “il soggetto” torna ad un tratto ad essere al centro dell’azione, non soltanto artefice di una pittura silenziosa e tetra, ma dolorante creatore di quel topos che restituisce tempo alla memoria, ai ricordi sempre vivi, ad emozioni pungenti. Qui il poeta avverte e spiega poeticamente la solitudine dell’esistenza sopravvissuta ai cari morti che, in solitudine anch’essi, restano nella terra per ricevere novembrino compianto. Il rito si ripete con i ritorni delle stagioni, con il viaggio che segna un ciclo perfetto e ci conduce da coloro che ci hanno preceduti. È nella chiusa il manifesto dolore del poeta, il sentimento dell’assenza, l’essere solo, mentre “questo novembre” è il solo a godere della pace gelida della morte.
    Marisa Cossu

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  11. Un Novembre di Pardini solitario si direbbe e di gelo interiorizzato nei raggi di sole che improvvisano i lavori campestri di un padre (falciare l'erba) pensoso.
    La Natura partecipa al momento dei morti che si abbandonano ai viventi lasciandosi "lisciare nei marmi" e il poeta sembra partecipe di un abbandono che si riflette diversamente nella sua priorità esistenziale di fondamentale umanizzazione nei pensieri nelle memorie.
    La brina, messaggera di un'incipienza ontologica, umilia l'Essere per addensarsi in un "Campo Santo" immobile e deserto paradossalmente.
    Ma è il deserto dell'attesa dell'immagine che afferra Nazario ed è quasi a soffocarne ogni espressività più longevamente approfondita.
    Rimane lo schema narrativo, nudo e crudelmente triste (uccelli neri...) che emotivamente si dissolve nel ristoro spirituale di una temporalità cristallina in contemporaneità con il sommesso partecipe di un sospiro (figli e madri).
    La "pace" del poeta soccorre e riordina comunque la liricità ferita; il valore assoluto di un esistenzialità degna di essere si ripropone nel narrante oggettivato (i panni... i marmi... i peri... le nubi... ecc.) e si rinsalda nella percezione intimistica di una scenografia dualistica dove i vivi e i morti si integrano nel dolore, nel calore, nell'oggettualità più profonda di un "sentire" laceroso e gaudioso che Nazario Pardini indubbiamente si concede ripensando comprensivamente ai suoi avi senza tempo, né luogo.

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