mercoledì 10 novembre 2021

ORAZIO ANTONIO BOLOGNA: "NOTA SU DIARIO DI BORDO"DI GIOVANNI ANIELLO

 

Orazio Antonio Bologna,
collaboratore di Lèucade


ORAZIO ANTONIO BOLOGNA

NOTA SU

DIARIO DI BORDO

DI

GIOVANNI ANIELLO

 

Fornito di invidiabile formazione classica, che traspare immediatamente nella produzione poetica, Giovanni Aniello si presenta agli amanti della Poesia con una straordinaria e significativa silloge, il titolo della quale Diario di bordo non è scelto a caso. Il pregevole volume arreca l’accurata e illuminante prefazione stilata con competenza e maestria da Patrizia Stefanelli, una delle voci più limpide della poesia contemporanea.  

A mano a mano che si affronta la lettura del volume e si passa da una lirica all’altra, non è facile dipanare i fili, che, armoniosi e ben intessuti nella brevità compositiva, conducono il poeta su sentieri non battuti da altri, ad avventurarsi per sentieri innovativi per il valore assegnato al singolo lessema all’interno di un ampio e pregnante sintagma.

Rare volte, oggi soprattutto, per la facilità e la spudoratezza di innumerevoli scribacchini, capita di leggere un bel libro di poesia, nel quale si concentra dottrina, brevità e intenso lavoro di lima. Giovanni, memore degli studi classici, tiene costantemente presente il severo monito dell’alessandrino Callimaco, ripreso nella letteratura romana da Catullo e da Orazio. Ancorato e ammaestrato da questa triade, che sono tuttora alla base della Poesia universale, tende lui le vele della sua solida e sicura barchetta. Il viaggio non è facile, ma l’approdo è sicuro, perché nella densa silloge vibra forte e sicura la voce delle Muse, le quali, dopo lungo vagare, hanno deposto sulle labbra del poeta la dolcezza e la delicatezza del miele dell’Imetto o di Ibla.

Il poeta per la profonda cultura e il raro senso dell’equilibrio nell’espressione poetica può senza ombra di dubbio essere additato come maestro, come guida sicura a quanti si accingono a mettere nel mare sconfinato e periglioso della poesia la fragile barchetta. Giovanni, infatti, non è uno sprovveduto improvvisatore, uno spocchioso parolaio, che si abbandona senza ritegno a una facile e accattivante verbigerazione, che qualche mente poco adusa alla poesia considera e divulga sotto il pomposo e ancora affascinante stemma della Poesia.         

Calcando fedelmente le orme dei grandi Poeti del passato, anche Giovanni si avventura a un’impresa non facile. Ogni lirica, infatti, al primo impatto trasmette non solo il complesso e travagliato mondo interiore dell’autore, ma anche la lunga gestazione nonché i ripensamenti sull’adeguata scelta del singolo lessema e delle parestesie che si presentano in punta di piedi, per catturare l’attenzione del lettore e condurlo nel viaggio immaginario della memoria per esperienze nuove e stimolanti.

Le liriche rivelano e trasmettono sensazioni personali, esperienze provate, eventi a volte veri, a volte immaginari, che offrono al lettore orizzonti nuovi, possibilità di viaggi verso mondi ancora inesplorati. Ma a una lettura più serena e attenta anche il fruitore meno idoneo a penetrare nei tortuosi meandri della Poesia incontra, in certo qual modo, un quid che gli appartiene e lo accumuna al privilegiato viandante.

Il Poeta allora si pone al fianco del lettore e diviene silenzioso compagno di viaggio per riversare nelle sue orecchie riflessioni, impressioni, immagini destinate a durare tutta la vita; a coinvolgerlo in esperienze nuove e stimolanti, perché esca dal soffocante grigiore del trito quotidiano e volga le vele verso il mare limpido della conoscenza di sé e del proprio essere su questa terra. Come ogni uomo anche il poeta, carpendo le avversità dell’esistenza, col suo veliero si accinge ad attraversarla sicuro, perché, cosciente del proprio io è solido nel vento e delle passioni e delle traversie. La sua imbarcazione, nonostante affronti pericolosi marosi, resiste solida, anche se sballottata e sbattuta da ogni parte come guscio.

Questo è lo stilema che anima e regola la poesia riversata nella silloge; questa la cifra di una nuova esperienza, lo sfraghis, che connota un’esperienza unica e stimolante per affrontare e decifrare le inevitabili tempeste della vita, racchiusa nella solidità del veliero mentre si avventura in mari aperti, verso l’infinito, incontro all’incognito. La metafora è forte, coinvolgente e, a un tempo, rassicurante nell’alternarsi dei marosi e delle bonacce.

Nel dipanare la sua esperienza in liriche dense e metricamente ben strutturate, il poeta veicola suggestioni mediate da un’oggettività filtrata dalla sua esperienza personale e, solo raramente in piena sintonia con quelle del lettore, il quale suggestionato dall’esperienza del narrante ripercorre strade non ancora battute e si immette in sentieri, che conducono al ritrovamento e alla rivalutazione di valori sopiti. Nonostante la disparità di vedute e la differente esperienza, l’interazione tra mittente e ricevente avviene immediatamente e produce gli effetti, che la Poesia veicola in maniera impercettibile mediante un endecasillabo o un settenario dalla struttura semplice, ma efficace, avvalorata sovente dalla rima, il più delle volte non dissimile dalla terzina dantesca. Per avere un’idea della solida struttura tanto strofica quanto metrica della lirica, si riporta per intero la lirica contrassegnata col numero 10:

          Cos’è l’aldilà se il cuore vi tende

          come dovesse placare un tormento?

          È l’ansia del nulla che mi sorprende

          come improvvisa folata di vento

          o il freddo raggio che filtra fugace

          nell’imbronciato mattino d’inverno?

          È la preghiera di donna tenace

          che vince il tempo sfidando l’eterno.

Il poeta in pochi versi concentra la meditazione sulla brevità e fugacità della vita: echeggia, infatti, il motivo tante volte espresso da Orazio, come nell’ode a Postumio, e proposto in maniera esemplare in versi pregni di altissimo lirismo. Giovanni, detto per inciso, è un ottimo conoscitore della lirica prodotta dal celebre ed immortale poeta romano. Per cui non è strano che, suggestionato dalle considerazioni del venosino, il poeta ripeta in modo del tutto personale e all’interno di una cultura del tutto diversa, le istanze che assillano ogni uomo: l’idea e la realtà della morte. Per questa differente maniera di proporre un tema così urgente e impellente, è il caso di parlare di arte allusiva e, rendendo omaggio al grande poeta del passato, si avverte la necessità di rilevare in questa breve lirica l’agnizione di letture introiettate e riproposte in chiave attuale.

Nella breve lirica balza subito agli occhi del lettore la struttura semplice e solida dell’endecasillabo, costruito mediante un linguaggio semplice, colloquiale e, se non veicolasse il complesso messaggio di un tema universale, addirittura banale. È, questo, il miracolo della matura e incallita esperienza poetica, che mediante il linguaggio ordinario travalica l’immediato, il contingente e ciò che è transeunte e schiude orizzonti nuovi.

L’incombente presenza dell’aldilà con l’incognita realtà che offre titubanze e timori anche al credente, offre al poeta motivi di riflessioni estensibili a ogni uomo. Nel primo verso, pur volendo per un attimo accantonare la presenza di Orazio, si vede chiaramente il noto apoftegma senecano cotidie morimur, si muore giorno dopo giorno, fin dalla nascita; e l’uomo, consapevole di questa realtà si arrovella mediante incubi e immagini inspiegabili, in un continuo tormento interiore, perché la limitata esperienza non gli permette di sondare il complesso e inimmaginabile mondo ultraterreno. Alla fine della lirica, però, il poeta lascia uno spiraglio alla speranza nella preghiera di donna tenace, perché, come scrive nella lirica 2, tutti siamo sbattuti senza meta o una ragione / siam resti di naufragi alla deriva / nel mare burrascoso della vita.

Anche in questa pericope il poeta allude chiaramente a quanto scrive Orazio nell’ode 14 del secondo libro. Si avverte chiaro, infatti, nella rielaborazione di Giovanni, la trasparenza di un discorso comunicativo e trova il polo di attrazione e tensione nell’apparente opacità della comunicazione poetica. Ciò è favorito dalla struttura della metafora, la quale, invece di costituire una difficoltà, coinvolge e accomuna il lettore nella lotta di ogni giorno. Non sfugge, ancora, la tramatura del disegno poetico e narrativo, concepito all’interno di un costrutto metrico-sillabico di rara efficacia. Anche il ritmo diventa più leggibile, più trasparente senza i ghirigori, i quali, sovrapponendosi alla trasparenza di una velina, siano di ostacolo all’immediatezza della comunicazione.

Solo in questo modo il discorso poetico, centrato su se stesso, mentre rinvia al prototipo, diventa realtà autonoma e assume valore assoluto. Questa realtà, acquisita da Giovanni con lo studio e un paziente tirocinio, si insinua nello iato, costituito dalle norme del discorso naturale e quelle insite nell’espressione poetica. Queste due realtà, che, se non ben controllate, dànno origine a un discorso poetico sciatto e senza senso, trovano nella poesia di Giovanni Aniello una sintesi felice e feconda.   

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