venerdì 5 novembre 2021

M.GRAZIA FERRARIS: "SILVIA PLATH"

 


Silvia Plath- Un racconto giovanile ritrovato.

Mary Ventura and the Ninth Kingdom, ed. Fabes stories, 2019.

Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

1952:  Sylvia Plath aveva appena incominciato il suo terzo anno di studi allo Smith College  di Northampton, Massachussets.  Studia molto, con impegno, scopre Dante e resta folgorata dalla Divina Commedia – il tema che l’affascina: come la biografia, la vita terrena, possa fondersi nell’ultraterreno – ed è stordita dalla lettura di Franz Kafka,  sfoglia Sant’Agostino. Letture importanti per il suo prossimo lavoro creativo.

Viveva nondimeno un periodo di forte depressione, quando si accinse a scrivere il breve racconto intitolato “Mary Ventura and the Ninth Kingdom”.

 A  solo vent’anni,  aveva già ricevuto un premio di cinquecento dollari per aver vinto il concorso di scrittura indetto dalla rivista Madmoiselle, dove l’anno successivo avrebbe svolto un praticantato,  con il racconto “Sunday at The Miltons”.

Nel suo diario, in quei giorni del 1953 scrive: “Voglio scrivere perché sento il bisogno di eccellere in uno dei mezzi di interpretazione ed espressione della vita. Il semplice sforzo colossale di vivere non mi può bastare. Oh, no, io devo sistemare la vita in sonetti e sestine e procurarmi un riflettore verbale per la mia testa illuminata a 60 watt. L’amore è una illusione ma mi ci perderei volentieri se riuscissi a crederci”.

Col nuovo racconto pare consegnarci l’ennesima testimonianza sulla vita tragica e geniale.

Così lo descrive la Plath stessa due anni dopo, nel 1954, riscrivendolo per un concorso letterario, i ‘Christopher Awards’:  “Questa è la storia di una adolescente che attraversa le tentazioni del mondo materiale, cresce consapevole del proprio genio utopico e del potere di aiutare gli altri; scopre la Città di Dio. La storia è raccontata nel modo di una allegoria simbolica, proprio come alcune parabole della Bibbia, e per esplicitare il suo linguaggio attinge a immagini della religione e della letteratura”. Il racconto verrà rifiutato con delusione della Plath.

Il racconto brevissimo, in nuce ingloba l’inizio del viaggio creativo della scrittrice, indissolubilmente legato a quello psicologico ed esistenziale, ma anche alla situazione storico-sociale che vive in quegli anni, situandosi al principio della sua lotta interiore, e riassume i temi e le difficoltà che la porteranno alla stesura del suo primo e unico romanzo The Bell Jar e alla creazione della figura di Esther, con cui la protagonista del racconto ha più di qualche cosa in comune.

La tematica. La scena si apre in una stazione ferroviaria. La protagonista, Mary Ventura, viene accompagnata dai suoi genitori lungo i binari affollati, su un treno con destinazione sconosciuta.

La madre le sistema una ciocca di capelli dorati sfuggita dal cappello di velluto, il padre la esorta a sbrigarsi se non vuole perdere il treno. Ma Mary non è convinta, non vuole partire e nella sua titubanza si inizia a intravedere l’atmosfera misteriosa e vagamente inquietante che permea l’intero racconto.

La componente mistico-simbolica  comincia a farsi strada nel racconto: i binari trasportano i passeggeri attraverso campi incolti, lunghi tunnel e, mano a mano che il viaggio procede, l’atmosfera fuori dalle lunghe vetrate diventa sempre più grigia. Tuttavia, nessuno oltre Mary, sembra accorgersi del cambiamento.

Il treno, scopre, è diretto  al nono regno. Mary decide di voler scendere dal treno.

Non è stata lei a scegliere di intraprendere quel viaggio, sceglie perciò  di scendere e abbandonarlo, ad ogni costo. Segue le istruzioni: tira il freno d’emergenza, riesce a sfuggire agli uomini che cercano di inseguirla e arriva a una porta. Percorre una scala e raggiunge un giardino dove, accompagnata dal suono delle campane, trova una donna che l’accoglie con un sorriso: Mary è riuscita a scappare. Ma da cosa? E dove è finita?

Il personaggio di Mary Ventura anticipa di quasi dieci anni un’altra figura estremamente importante nella carriera di Plath: la protagonista del suo primo e unico romanzo The Bell Jar.

Tutte e tre le figure – Mary, Esther e l’autrice- vivono in un mondo che non sembra appartener loro: vengono spinte su un binario che procede in un’unica direzione, quella che la società o comunque l’autorità ha scelto per loro, e si sentono in trappola, incapaci di reagire alle pressioni esterne. Il tema coinvolgente è quello della fuga : la fuga della protagonista da un destino che non aveva scelto, ma verso cui era stata spinta da forze esterne, dalla famiglia stessa.

Depressione, morte, rinascita, sono questi i pilastri centrali del racconto “Mary Ventura and the Ninth Kingdom”, è il viaggio verso il nono regno da cui nessuno può tornare, il viaggio di Sylvia attraverso la depressione, verso la morte e la rinascita, allo stesso tempo.

Tra le stesse pagine dei suoi diari, troviamo uno dei riferimenti che riesce a togliere ogni dubbio su quale sia la destinazione del treno su cui viaggia Mary Ventura.

Sylvia considerava questo racconto come la trasposizione, la metafora del suo viaggio attraverso e verso  la fase più buia della sua depressione, verso l’unico futuro che in quel momento riusciva a considerare: la morte. Il treno ha la stessa funzione della barca di Caronte, quella di accompagnarla nel suo ultimo viaggio.

 

Mary Ventura è con i suoi genitori:

“Madre” disse Mary, fermandosi sentendo il rumore del mastodontico motore sul binario incassato. “Madre, oggi non posso andare. Semplicemente non posso. Non sono ancora pronta per il viaggio”.

Ma i genitori insistono e Mary si ritrova presto seduta al posto che il padre ha scelto per lei, la valigia sistemata nella rete sopra la sua testa. Accanto a lei si siede una donna ansimante e dal viso arrossato, con una borsa color terra in mano. I suoi occhi blu si stagliavano in una massa di rughe e la sua bocca grande e generosa si estendeva in un sorriso…..Veniamo trasportati in un mondo cupo e misterioso, dove il colore rosso viene contrapposto al buio dei paesaggi isolati e al grigio del cielo.

“Guardi”, disse Mary. “Stiamo uscendo dal tunnel”.

Il treno correva dentro un pomeriggio grigio, campi desolati si estendevano sui lati dei binari. Dal cielo pendeva un disco piatto e arancione, il sole.

“L’aria è così densa”, esclamò Mary. “Non ho mai visto un sole dal colore così strano”.

“Sono gli incendi nelle foreste”, disse la donna.

Una baracca di legno comparve e si spense, in lontananza.

“Perché quella casa è così distante da tutto?”.

“Non è una casa. Era la prima stazione sulla linea, ma ora non la usano più, è chiusa”.

Cullata dal ritmo d’orologio delle ruote del treno, Mary guardò fuori dalla finestra.

Dal campo di grano uno spaventapasseri attirò la sua attenzione; sopra assi sospese bucce di mais erano stese a marcire. Il cappotto scuro e irregolare ondeggiava al vento, vuoto, senza sostanza. Sotto quella figura ridicola i corvi si muovevano, avanti e indietro, beccando grani sulla terra arida.”

 

Rassicurata dalla presenza della compagna, Mary scopre poco a poco che il loro incontro non è casuale; mentre la protagonista non sa assolutamente nulla del viaggio e della destinazione che la attende, la sua nuova amica sembra sapere molte cose del treno su cui si trovano, sulle fermate e sugli altri passeggeri. Ma soprattutto sembra sapere molte cose sulla stessa Mary e sulla fermata a cui è destinata: «il nono regno, il regno della negazione, dell’annichilimento della volontà».

Non si arrende. E avrà il consenso dell’accompagnatrice.

“Ah” sussurrò: “Bene, hai davvero del fegato. Non ti vuoi arrendere. Questo è l’unico trucco rimasto. L’ultima affermazione di volontà che ti era rimasta. Credevo che persino questo fosse congelato. Ora so che c’è una possibilità”.

 

Una metafora autobiografica, certo, che diventa però anche un messaggio politico, una denuncia sociale in cui i genitori di Mary fungono da complici della società, spingendo la propria figlia verso il futuro che il mondo si aspetta da lei.

La morte: presente nella maggior parte dei suoi lavori, è una delle costanti che la accompagna dalla giovinezza, un masso che si è trasportata attraverso gli studi, con cui ha convissuto con la famiglia e che l’ha seguita fino alla fine, chiudendo il circolo che aveva iniziato.

 

6 commenti:

  1. Maria Grazia cara, hai tessuto la vicenda di Silvia Plath in modo così straordinario che hai permesso a noi lettori di entrare nel vivo dei suoi tormenti, della "metafora del suo viaggio attraverso e verso la fase più buia della sua depressione",quella depressione che l'avrebbe portata al suicidio. Il racconto è quanto mai esaustivo e coincide con la fase dell'esistenza dell'Autrice nella quale scriveva di avere molta più speranza rispetto alla sua Mary Ventura… Atteggiamento filosofico: bere e vivere la vita fino alla feccia… Desiderio di assaporare ciascun giorno e berlo, senza temere la sofferenza, né rinchiudersi in un guscio di torpida indifferenza. Dopo la lunga, accurata disamina, asserisci che il racconto si identifica con "una metafora autobiografica, che diventa però anche un messaggio politico, una denuncia sociale", e punti il tuo riflettore interiore sull'essenza della donna. Dieci anni dopo Mary Ventura, la Plath si esprimeva quasi con le stesse parole: "e c’è questa terribile, autoimposta volontà raggelata ... lasciatemi soltanto morire e non tornare più". Dell'artista descrivi ogni particolare saliente con la consueta incisività venata di un'empatia che è divenuta il focus del tuo scrivere. Ti sono infinitamente grata per questi insegnamenti e per queste pagine indimenticabili e ti abbraccio insieme al nostro Capitano.

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    1. grazie Maria:come sempre scavo nei precordi della letteratura femminile. Ormai faccio con piacere solo quello e scopro, davvero "scopro", tesori indicibili,sconosciuti, che affondano nella preistoria della scrittura femminile e delle dimenticate autrici stesse. Questa è la prima novella, scritta prima di ogni altra cosa dolorosa- prosa e poesia- che caratterizza e fa luce sulla Plath.
      È notevolissimo come i suoi studi giovanili l’abbiano influenzata, dandole la possibilità di rielaborare in modo autonomo,creativo quanto studiava...da meditare.

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  2. In questa "metafora autobiografica", dal sapore profetico, di Silvia Plath, Maria Grazia Ferraris individua e sciorina i temi portanti della poetica della nota scrittrice, da quello della fuga, tipicamente kafkiano, a quello del viaggio di ascendenze dantesche, a quello esistenzialista e nichilista in generale. Attraverso la metafora del treno, questo racconto giovanile della scrittrice statunitense, nata nel 1932 e morta suicida nel 1963, a soli trentuno anni di età, mostra la precoce maturità della sua squisita ispirazione onirica, successivamente sviluppata in narrazioni più conosciute e di più ampio successo. Di particolare interesse trovo il passaggio in cui Maria Grazia avverte che questa metafora autobiografica "diventa anche un messaggio politico, una denuncia sociale in cui i genitori di Mary Ventura (la protagonista del racconto) fungono da complici della società, spingendo la propria figlia verso il futuro che il mondo si aspetta da lei". Una denuncia di quel diffuso plagio mentale di cui purtroppo nessun genitore e nessun figlio, a dispetto di ogni buona volontà, può onestamente dichiararsi immune.
    Franco Campegiani

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  3. Grazie a Franco C., che come sempre, da par suo, sa cogliere il messaggio profondo di chi scrive e anche di chi commenta, ben consapevole non solo del valore letterario di ciò che leggiamo, ma soprattutto di quello sociale che la letteratura aiuta a veicolare e decifrare con visibilità chiarificante.

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  4. Ho letto tutto con grande interesse e, non conoscendo i romanzi della Plath, ho potuto ritrovare appieno la sua poetica. Animismo e morte, vitalità e disincanto in quella ricerca continua e quasi obbligata dalla corsa. La volontà resta nell'ultima scelta. Congratulazioni, Maria Grazia.

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