venerdì 30 dicembre 2022

EDDA CONTE E ISABELLA CONTE. ROSA E GLI ALTRI FIORI DEL SUO GIARDINO, EDIZIONI HELICON;

 

Mi è  arrivato oggi il bel libro della scrittrice Edda Conte e di Isabella Conte. Un libro che porta una dedica affettuosa e di grande prestigio. Il testo si dipana su un tracciato di 14 narrazioni accattivanti e intime  (Rosina, I giorni di Rosa, Margherita, Giorni parole e silenzi, Rosa  Margherita e Fiore, Fiore,
 Il tempo dì Fiore,  I giorni della famìglia allargata, Iris, Iris e il suo tempo, Intermezzo, I giorni di Iris, Fino all'ultimo giorno). Narrazione che si dipana su uno spartito di grande empatia sinestetica, e  dove si scopre un animo fecondo che porta sul foglio tutta la sua energia. Il testo si chiude con una bella poesia che Isabella dedica a sua madre : " Omaggio  a mia madre di Isabella Conte". In ultimo note biografiche di Edda. Le prose si alternano con malizia e si legge tutto in un sorso.. La scrittura è semplice e accattivante, Si legge tutto , gustando tutte le sfumature che Edda sa ottenere tramite la sua capacità di scrittrice.  E' veramente bello avere in biblioteca, esposto un libro come questo da consigliare per la lettura e soprattutto  per dimostrare   a tutti come è che si scrive e si comunica con il lettore.    
Sarebbe anche bello e utile, di sicuro, senza togliere niente al testo, per riportare uno dei brani
 sopracitati, per fare capire lo stile e la profondità con cui la Cote e Isabella affrontano un arduo compito, veramente difficile, come quello di scrivere su noi e sulle nostre emozioni estemporanee
  

PATRIZIA STEFANELLI:

Qualcuno di noi ha una grande Fede, qualcuno no, altri non sanno... ma non importa perché conta il Buon Pensiero d'Amore.  Il Natale è occasione propizia per augurarci il bene.  E' una pratica antichissima, quella degli auguri,  che viene dall'Oriente. Si chiama "meditazione della gentilezza amorevole". Inviando pensieri positivi agli amici, ai parenti e persino ai nemici, facciamo bene anche a noi stessi. Anzi, soprattutto direi.  
BUONE FESTE  di cuore! 











 



sabato 24 dicembre 2022

LAURA BARONE:DISTOPIE

 


 

Paerte sexonda Distopie

Distopie. In tutto tutto sono 50 . composizioni a tema. Il libro si suiddivide in parte prima.   36 distopie. e si chiude con una una nota criticao-biograficaitica  dell'autrice

ROBERTO MESTRONE: PERLE DI SAGGEZZA

 

Ho ricevuto stamani il dono  dell'amico Roberto, un libro articolato
 " Perle di Saggezza". Un libro ben fatto, in cui  l'autore col ripescaggio di fiabe e spunti di Fedro  cerca di dare un senso etico alle diverse composizioni di puro carattere educativo.

Introduce il testo in esergo un motto di Rodari: "Credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi", Un risvolto educativo si avverte leggendo queste perle di saggezza: Pinocchio, Cenerentola, La piccola fiammiferaia, La Notte di Natale. 

Perle di saggezza. Brevissime favole, fiabe, filastrocche di ieri e di oggi in versi, per ragazzi promettenti e adulti coscienziosi. Chiude il testo una serie  di  nomi di scrittori in ambito letterario conosciuti: Rizzi, Pardini, Mestrone, Forfori, Guerrieri, Cinti. Caratteristica del libro sono le diverse immagini che fanno da commento alle composizioni. Da apprezzare la mano di tale artista che con i suoi interventi rende appetibile l'insieme. Qui si può senz'altro segnalare la creatività di Mestrone, la sua intelligenza costruttiva, e la sua elaborazione dei contenuti, cosa non facile da adattare ad un modo scribendi  proprio dell'autore. Libro interessante, e per  la novità del testo e soprattutto per la maestria  di Mestrone che in questo caso si dimostra un vero cesellatore

pubblicato da L'Oceano nell'Anima 

martedì 13 dicembre 2022

CARMELO CONSOLI "INVITA"

 Gentilissimo/a

Sabato 8 maggio ore 17,00 ti aspettiamo in diretta facebook alla pagina Selfbrand (pagina pubblica aperta a tutti) (invito in allegato)

https://www.facebook.com/drampado 

Per la Rubrica "Ti presento una penna"
Modera Rodolfo Vettorello
Autori presenti Carmelo Consoli Presidente della Camerata dei Poeti di Firenze e Michele Pansini Assessore alla cultura e Vice Sindaco

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Un cordiale saluto

Anna Montella

Responsabile della Segreteria La Camerata dei poeti,
grafica e tecnologie applicate alla rete

www.lacameratadeipoeti.weebly.com

ALFONSO ANGRISANI: "CANTO IRREGOLARE"

 Canto irregolare


L’inverno ha  svelato l’intrigo  dei rami

lo  sospettavo  che dietro tutto

quel balenare di  verde  in festa

ci fosse  un’alterità  inspiegabile   difficile

di  bellezza  e di morte

come è da dire delle nostre  vite

divise tra  azzurro  e nubi

adesso  -  lo  senti? –    dall’erba  un canto  irregolare

irrompe  interrompe  queste parole

qualcosa  che  diresti  ancora di  un  tempo  senza tempo

di un Dio possibile

e  di un figlio  incomprensibile  che  non  cambierà  mai

chissà  allora perché  tutto

nonostante  tutto  prosegue

ora  adesso

in questa  alba _


ALFONSO ANGRISANI: "COME STAI?"

Carissimo Nazario, 

è un bel po' che non mi faccio sentire, e quasi te ne chiedo scusa, quasi perché in realtà non sono veramente colpevole del mio essere così "orso", che fa di me uno che non frequenta circoli letterari se non i casi sporadici, non si accredita presso nessuno e vive molto molto ai margini della "società letteraria".  

Mi preme molto sapere come stai. 

Ti mando questa composizione, sei l'unico destinatario (almeno per il momento), perché scrivo sempre meno e solo se c'è qualcuno o qualcosa che - con insistenza - bussa alla mia porta interiore. 

Un abbraccio, Alfonso


CINZIA BALDAZZI: " PRESENTAZIONE DEl LIBRO: "SCRIU DESPRE OAMENI SI INGERI" SCRIVO DI UOMINI E ANGELI, In VERSIONE BILINGUE (ITALO-RUMENA)

Caro Nazario, presso la galleria Arte Sempione a Roma ho organizzato la presentazione del libro Scriu despre oameni și îngeri / Scrivo di uomini e angeli, raccolta poetica in versione bilingue italo-rumena della poetessa Lăcrămioara Maricica Niță (Gambini Editore).

Come mia consuetudine di quest’ultimo periodo, ho cercato di estendere il discorso allo scambio interculturale all’interno di alcune lingue neolatine (italiano, rumeno, spagnolo). Ne sono stata testimonianza le performance delle cantanti Steluta Floristean, interprete di musica tradizionale della Romania, e di Margot Palomino, nel cantare i versi del poeta peruviano César Vallejo.

Con Loredana Manciati e Piero Marsili è stato esaminato il campo figurativo, a proposito della copertina del libro eseguita dalla disegnatrice Roberta Annucci. Da critica letteraria e linguista, non vorrei dimenticare il carattere informativo dei molteplici interventi di poetica programmatica e di storia letteraria offerti dai numerosi ospiti presenti.

Il link sottostante rinvia a un mio post su Facebook contenente una dettagliata galleria fotografica dell’evento.

Grazie come sempre, caro professore, per l’ospitalità concessa dalla tua isola.


Cinzia Baldazzi


https://www.facebook.com/cinzia.baldazzi.5/posts/pfbid02Kmfq9SGAVukrqN6BdpnuKkrxDjpHCd22VTB5Vw7SGizBzZFbR2UhH2L45pWh66mDl



martedì 6 dicembre 2022

ANITA MENEGOZZO: "RICORDO UN CESTINO DA PORTA LAVORO"

Ricordo un cestino da porta lavoro

 Si apriva in un volo al bisogno 

con ali di legno

Là dentro 
scomposti da moto perpetuo 
 bottoni  ed elastici,
e forbici e qualche rocchetto 
 Fra tutti regnava 
simbolicamente elegante  
 l' ovetto per fare rammendo 
Chinavi lo sguardo sul grembo cantando
ed io tutta intorno contenta e rapace
 covavo con gli occhi ogni gesto
Serravi le labbra sul filo  
brandivi la cruna dell' ago 
con l occhio sinistro socchiuso.
d'arciere  capace
 sui merli del nostro castello
Col tempo
quel gesto si fece più raro più lento
e poi sempre meno preciso
Ma non ne volesti sapere  di aiuto per fare più presto 
Pensavi
non fosse sportivo, 
Perché  se si cede anche solo di un punto 
si sa che ogni gioco è già bel che finito
Ricordo un cestino da portalavoro
e il secco  rumore che fece lo strappo del filo.

sabato 3 dicembre 2022

TONINO GUERRA: "PASSA E RAGLIA ANCHE OGGI"

 

PASSA E RAGLIA ANCHE OGGI

 

a Sante, che mi ha aiutato a scrivere e a vivere

 

Passa e raglia anche oggi l'uccello                                                                                        

nel sogno d'asino ricordando                                                                                                                  

il discorso dell'anima paziente.

 

Da questo ho capito allora                                                                                                                    

la favola di Guerra, di chi possedendo                                                                                             

solo la chiave vede la casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

PASQUALE CIBODDO: "ERA SEGNO SICURO"

 

E' uscito i libro di poesie: Era segno sicuro di Pasquale Ciboddo

 

GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di poesie:

ERA SEGNO SICURO di PASQUALE CIBODDO

con prefazione di Enzo Concardi

 

 

Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Era segno sicuro” di Pasquale Ciboddo, con prefazione di Enzo Concardi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2022.

 

Preponderante in quest’ultima, singolare opera poetica di Pasquale Ciboddo è la realtà tragica della pandemia che ha colpito l’umanità intera, causando morti, lutti, sofferenze, crisi sociali e personali. Il poeta, diversamente da molti altri nella nostra società, non vuole chiudere disinvoltamente tale capitolo, anzi ne rimarca in continuazione le conseguenze, dimostrando la sua pietas per i devastanti avvenimenti. Egli attribuisce le cause del fenomeno pandemico ad una nemesi divina e naturalistica per gli errori umani. Spiega le perdite di vite che ancora non cessano, all’interno di una visione mistico-provvidenziale, affidandosi ad un sogno iniziale premonitore delle disgrazie successive: Era segno sicuro - il titolo della raccolta - nasce da un evento onirico in cui egli, vedendo la Madonna sofferente, presagisce ciò che ci avrebbe colpiti.

A fianco di tale grande accadimento storico, che paragona alle pestilenze del passato, l’autore, attraverso motivi reiterati, costruisce liriche che toccano i temi a lui più cari: il tramonto e la rovina degli stazzi della Gallura, sua terra amatissima; la nostalgia accorata di quella civiltà in cui si viveva duramente ma serenamente; la condanna della società industriale, tecnologica, metropolitana, non a misura d’uomo; il contrasto campagna-città, dove il primo termine rappresenta la salute della vita e la simbiosi benefica con la natura, mentre il secondo racchiude solo vite tristi e alienate; l’indugiare attraverso la memoria sui ricordi del passato non più revocabile. L’autore registra la drammaticità della realtà, mentre egli conserva la speranza fiduciosa nel futuro:  l’insistenza sulla presenza della morte tra di noi e sul destino morituro degli umani, costituiscono senz’altro un retaggio vetero-testamentario di biblica discendenza.

Nel libro il pensiero della pandemia assume ritmi ossessivi, coinvolgenti anche per il lettore più distaccato: alcune esemplificazioni sono necessarie per rendere comprensibile più da vicino il pathos dell’uomo Ciboddo, oltre che dell’aedo epicedico. L’incipit è costituito da una lirica che dà il titolo alla silloge, Era segno sicuro, la quale nell’epilogo ci introduce al canto funebre: «… L’umanità trema / e in silenzio muore». Si succedono altre liriche - Squarcia il cielo, E non c’è medicina, A volte pregare, E se vuole - dove i due temi fondamentali sono la punizione divina e l’invocazione a Dio e alla Madonna sotto forma di preghiera per la salvezza dell’umanità: «… I nostri nemici / profanano le Tue leggi / e Tu ci condanni con pestilenze…» (Squarcia il cielo); «…E non c’è medicina a combattere il male. / Non rimane che pregare / e in bene sperare» (E non c’è medicina); «La storia è pietrificata / nel silenzio. / Si muore di peste. /…/ Solo la Madonna, / nostra madre divina, / se invoca / il Signore suo Figlio / può salvare l’umanità…» (A volte pregare). Personalmente il poeta si sente «intimorito e solo» (Ma la gente) ed essendo disorientato sul da farsi, si dedica alla poesia, mentre la malattia imperversa: «… ci frusta ai fianchi / e ci punge con spine / conficcate negli occhi / nel cuore e nei polmoni /…/ e ci nega l’esistenza» (A mitigare il male). Le forze della natura sono scatenate contro di noi: «…Ed è pena / che tormenta anima e cuore» (Ed è pena). Il poeta teme quindi che nemmeno la scienza medica sia in grado di combattere la pandemia.

Tuttavia, oltre l’evento contingente - anche se straordinario - della pandemia, la visione esistenziale di Ciboddo non si discosta da quella emergente dai testi finora analizzati. Prendiamo la leopardiana Questa la nostra sorte, dove è possibile ipotizzare un accostamento ad alcuni versi del grande recanatese: «C’è sofferenza / nel nascere e nel morire. / L’esistenza umana / vive solo una primavera / dolce di giorno e di sera. / Segue la decadenza / col mite autunno / e poi il gelido inverno / che conduce alla morte. / Questa la nostra sorte». Il futuro dell’umanità è insidiato anche dal continuo incremento demografico, un altro rischio mortale per il nostro genere: «…L’Umanità, / come un’anima in pena, / se non rallenta / la corsa alle nascite / vedrà la fine di tutti / e di tutto il creato» (L’Umanità). La condizione umana, se ancora sopportabile nella giovinezza (simboleggiata dalla primavera), diviene un macigno enormemente pesante nella vecchiaia ed allora stanchezza, isolamento, mancanza di relazioni, di gioia, di entusiasmo e quindi di vita, trasformano le giornate in amara noia (Ed è tristezza).

La quasimodiana E si sta soli è anafora di tutti questi concetti, che il poeta siciliano aveva espresso nelle immagini sintetiche ed ermetiche di Ed è subito sera; l’autore replica con la sua denuncia dell’aridità della vita moderna: «Oggi / ognuno è isolato / in mezzo a tanta gente / che è indifferente / verso tutto e tutti. / E si sta soli sulla terra / alquanto spaesati...». In altri componimenti Ciboddo è ancora più drastico e radicale, poiché afferma che la morte è già in noi lo stesso giorno in cui si nasce e che nessuno conosce la verità sull’al di là, mistero, enigma mai svelato (Questa l’amara sorte).

Una possibile via d’uscita a tale situazione scoraggiante e deprimente, viene individuata dal poeta nell’incontro con la Natura, in modo che l’ungarettiano «…La morte / si sconta / vivendo», possa essere superato. Egli - in La vera salvezza - pone un domanda in merito: «…È forse il ritorno / alla natura abbandonata / dove sono le nostre radici / la vera ricchezza / che ci salva pure / da tale pestilenza?». Domanda chiaramente retorica, dal momento che la sua visione è sicuramente indirizzata verso un pensiero fisiocratico, e ciò è dimostrato dal suo anti-industrialismo e dall’avversione verso le metropoli moderne: per Ciboddo, come per Quesnay, la base dell’economia era, è, e dovrà restare sempre l’agricoltura. Ecco i versi testimonianze inequivocabili di ciò: «La natura reclama / i suoi diritti. / Guai a trasgredire / le proprie leggi. / L’uomo di oggi / attratto dalla vita di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…). Inoltre - scrive ancora nella poesia È vita limitata - la città è una prigione di catrame e cemento, dove non si respira l’aria salubre della campagna e dove la vita è monca per mancanza del rapporto con la Natura. La sua filosofia di vita centrata sull’attaccamento alla terra lo porta a vedere raggi di sole nel buio del presente solo e proprio nel mondo naturale, il cui simbolo più dolce e benefico risiede negli avventi primaverili. Tuttavia anche la terra corre rischi mortali – se non si pone rimedio – ancora una volta per responsabilità dell’uomo inquinatore.

Ed eccoci ora a quella che possiamo considerare una vera e propria civiltà contadina a se stante, sviluppatasi sulle alture e nelle campagne della Gallura, mondo del quale Pasquale Ciboddo è rimasto innamorato. Qui troviamo solo alcune liriche - come Erano il tempio, Tempi così cari, È stata una grave sventura, Ed è danno ed è pena, Oggi il mondo, In un baleno, Ricordi di tempi e luoghi, Era una civiltà - ma in altre pubblicazioni egli tratta a lungo di ogni aspetto di quel microcosmo particolare: gli stazzi. Nel suo ricordo essi erano il tempio della natura, ora è rimasto un deserto. Evoca le stagioni della vendemmia, delle feste, dei balli, che ora può solo sognare. Sono stati abbandonati per i miraggi consumistici del Continente e così è morta una lunga tradizione. Alla ricchezza d’un tempo s’è sostituito il vuoto del presente. C’era solidarietà tra proprietari, contadini e forestieri: poi il mondo ha preso altre strade. La gente degli stazzi, con famiglie patriarcali, è scomparsa in un baleno. La conclusione sconsolata del poeta è commossa ed accorata: una civiltà ricca di vita, benessere, relazioni, affetti, lavoro, emozioni… s’è dissolta ed oggi v’è una solitudine da far paura.

Nei suoi versi sciolti Pasquale Ciboddo inserisce spesso rime varie per imprimere maggior melodia alla metrica: solo l’ultima lirica - Una vera visione - è un sonetto (14 versi, due quartine e due terzine in sequenza con rime alternate).

Enzo Concardi

 

 

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L’AUTORE

Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura, nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti, e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici.

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Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn 978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

PATRIZIA STEFANELLI: "LA POESIA E' LOCUS MOBILIS"

La poesia è Locus mobilis? Forse, per fortuna.

 

Massimo rispetto per ogni poesia, amici miei, purché essa sia. La ricerca di nuove forme che attualizzino la poetica, cioè l'insieme delle forme espressive-contenutistiche, è sempre apprezzabile. Occorre essere pronti e aperti alle intuizioni poco riconoscibili perché, come in fisica, ciò che si riconosce è una conferma, ciò che non si riconosce è una scoperta. La poesia può essere ancora centrale nella cultura odierna, ma soltanto se riesce a conservare il valore del verso. Detto questo, tenendo conto del fatto che amo molti stili poetici e, soprattutto, amo sorprendermi, ciò che possa o non possa definirsi poesia, è alla base di una discussione sulla quale molti teorici si dibattono da sempre. Così è anche per il teatro che nel ‘900 ha visto una grande rivoluzione. Teatro è locus mobilis, scrive il mio ex prof. universitario Raimondo Guarino, storico del teatro; poesia è locus mobilis allo stesso modo? mi chiedo. Un poeta ispirato, spesso scrive un testo come fosse sotto dettatura. All’improvviso, dal silenzio interiore, la partenogenesi poietica ha inizio. La poiesis è quanto di più complesso possa esserci: un dialogo tra il poeta e il mondo. Tutto, dagli elementi naturali alle pulsioni istintive del sistema rettile, diventa una rivelazione, invenzione che non ha un prima né un dopo. La parola poetica è locus mobilis. Sì. E' un operaio, il poeta, che ha imparato il valore della duttilità della parola e la forgia secondo la sua visione, il suo sentire. Accade a pochi fortunati, magari ignari di tanta eleganza ma un critico "deve" rintracciarne la struttura fonica e metrica (se c'è la voglio vedere riconosciuta bella o brutta che sia poiché incontrovertibilmente ci dà il ritmo esatto, l'andamento fonico che il poeta vuole). La musicalità non è solo la rima (facile farla saltare all'occhio), ma l'uso di assonanze e consonanze, allitterazioni ecc. che sicuramente risaltano anche in una composizione eterometrica, in un verso lungo alla Whitman, per intenderci. Un critico sa distinguere frammenti, metafore, anafore, correlativi oggettivi, metonimie, personificazioni... e molto di più. Non basta certo dire: bella poesia, arrivante! Emozionante! No, da un critico vorrei sentire cosa ha scritto il poeta e come. Se ha usato una struttura ipotattica o paratattica, qual è il suo scarto linguistico, il valore semantico delle parole che assumono infiniti significati armonici. Questo è insegnare, questo il commento che ci si aspetta da chi comprende. Positivo o negativo non importa, aiuta a crescere ma, che sia sostanziale, didattico. Cosa mi ha trasmesso il poeta, al di là delle parole? Questo occorre che ci si chieda. Cosa mi resta del testo? E allora serve andare dentro al testo, trovarne i sottostrati, le concatenazioni, la prima la seconda e la terza lettura. Se, per un critico, un fiume che scorre è un fiume che scorre, è finita.

Poesia è soprattutto ciò che riusciamo a condividere con il lettore. Per la sua proprietà legata alla parola scritta, al ritmo, al suono, al verso, a differenza del teatro di parola, la poesia, che nasce per la musica, fa del linguaggio ordinario qualcosa di straordinario. Le immagini e i suoni sono diegetici al testo, sono un tutt’uno. La parola scritta conduce la lettura, l’andare a capo di un verso conduce alla pausa, all’attesa. La lettura ad alta voce, consente l’ascolto del fonema, il ritmo (metrico come da canoni o libero) consente alla parola scritta di rendere il significato esatto dell’intenzione timbrica dell’autore. Dal ritmo, cioè dall’armonia che è propria della poesia, capiamo il tono solenne o ironico o martellante, ecc. di un testo poetico.  La voce che si appoggia in maniera naturale sugli accenti tonici, ci dà l’esatta lettura di un testo. Quando una poesia è ben scritta, si lascia leggere così com’è, rispettando le pause, la punteggiatura, gli enjambement. A differenza della prosa, poetica o no, la poesia si consente frammenti, visioni diverse nel tempo, sintassi personale. Come in teatro, giorno e notte stanno in clic. Suono, ritmo e significato sono un tutt'uno, e se hanno la forza di coinvolgere il lettore, si attualizzano e diventano poesia. Certamente conta il contesto umano sensibile al testo, la cultura di riferimento, la capacità del testo di essere condivisibile. Purtroppo le traduzioni delle poesie dei poeti stranieri hanno portato molti a pensare che basti scrivere bei pensieri per fare poesia. Basterebbe, invece, leggere i testi originali per accorgersi di ampie sonorità e onomatopee. Anche le vocali hanno la loro importanza. Da noi si direbbe in dialetto: Pure glie puce tènne la tosse.

Pur lasciandosi andare alle sensazioni spontanee che sorgono immediate alla percezione dello scrittore attraverso metafore ardite e sinestetiche visioni, il testo poetico ha necessità dell'arte “messa da parte” per la costruzione di una forma che sia coinvolgente. Comunque, ogni tempo ha dileggiato la poesia che non riconosceva. I fattori sono tanti, da quelli sociologici a quelli legati a un’editoria di costume che illude la massa.

La forma da sola conta poco, così come conta poco un buon contenuto in assenza di una buona forma. In verità anche la forma è contenuto. È bello emozionarsi per armonia. Mi viene in mente X agosto del Pascoli. Pascoli è un Maestro senza pari. In questa sua poesia il ritmo è franto e singhiozzante grazie ai versi spezzati da punti, punti e virgole, due punti; e, senza addentrarci troppo nelle intense figure retoriche del testo, vogliamo dire dell’iconismo fonosimbolico del dodicesimo verso che riproduce il cinguettio degli uccelli: “pigola”, “più”, “piano”? mentre la metrica del verso alterna decasillabi anapestici o manzoniani (accenti principali in terza, sesta e nona sillaba) a novenari dattilici con attacco giambico (accenti principali in seconda, quinta e ottava sillaba). Versi parisillabi e imparisillabi insieme (apparentemente) che continuano in enjambement; da leggere ad alta voce per gustare l’appoggio della stessa sugli accenti tonici principali. Che spettacolo di ritmo! La cadenza ricorsiva lo rende armonioso. Vi riporto la terza strofe, con lo schema mutuato dalla metrica classica, rappresentata da una ripetizione del piede anapesto (dattilo ascendente - al contrario) che si compone di due sillabe brevi, che formano l'arsi del piede, e di una sillaba lunga, che ne è la tesi: ∪∪.  In metrica italiana l’anapesto indica una successione di due sillabe atone e una tonica. Da notare come nella lirica il primo e il secondo verso, e il terzo e il quarto di ogni strofe, si leghino in continuum.  La rima è alternata. La musica assicurata.

 
Anche un uomo tornava al suo nido:

∪∪∪∪∪∪

l'uccisero: disse: Perdono;

∪∪∪∪

 


e restò negli aperti occhi un grido:

∪∪∪∪∪∪

portava due bambole in dono...

∪∪∪∪

 

Va bene, quanto ci sarebbe da dire e studiare! C’è anche altro, molto altro; ma la bellezza di una vera poesia sta nella semplicità con cui infine si dona al lettore col suo messaggio subliminale. La poesia evoca quando l'io poetante diventa chi si fa risuonatore, quando è armonia anche dissonante, quando trasmette una poetica emozionale: unico lascito interessante per il mondo. Il resto è grafomania, un nonsoché, magari con una metrica superlativa, ma senza poesia; oppure con strampalate stranezze, senza costrutto né forma.

In fondo, mi viene da pensare che siamo il frutto di negazioni; le poesie lo sono, imbastite di quanto chi comanda ci propina insieme a un’editoria di costume che illude la massa. Noi tutti siamo l’interpretazione del personaggio che siamo, convinti di essere liberi. Come diceva Proust, è necessaria la netta separazione tra l’io artistico e l’io mondano. O forse dovremmo superare l’io? Oggi questa moda fa tendenza: dunque non vale. Pazienza.

Vi propongo di leggere, tenendo conto dei limiti delle traduzioni (quella di Paolo Statuti mi pare molto buona) la poesia di Majakovskij dedicata a Esènin, alla sua morte da suicida. I due non si apprezzavano. Il primo era un rivoluzionario politico, il secondo un romantico lirico naturalista. Ho cercato di seguire, nella lettura, le pause dell’autore. Egli va a capo spessissimo, il ritmo è frammentato, martellante, ricco di punteggiatura ad aumentare la pausa; la sonorità è altissima: voleva che così si leggesse e, a mio modesto parere, il segno regge, non lo avrei mai detto, ma regge: è diegetico. Majakovskij morì cinque anni dopo ‘l’odiato’ Esènin, allo stesso modo: suicidio/omicidio.
Da “ In morte di Esènin” una breve pericope:

 

Ebbene,
si fosse trovato
l’inchiostro all’ “Angleterre”,
non avreste avuto motivo
di tagliarvi
le vene.
Si sono rallegrati i plagiari:
bis!
Poco è mancato
che litigassero
tra loro.
Perché mai
aumentare
il numero dei suicidi?
Meglio
produrre
più inchiostro!

 

Il filosofo tedesco Adorno nella “Teoria estetica” scrive che la poesia di un autore è sempre in rapporto di ostilità con la poesia di un altro autore. Comunque, ogni tempo ha dileggiato la poesia che non riconosceva. Così è e così sarà, per fortuna

Patrizia Stefanelli