martedì 22 maggio 2018

MARISA COSSU: "PER UN PROGETTO DI "NUOVA" POESIA"



Marisa Cossu,
collaboratrice di Lèucade

Per un progetto di “nuova” poesia

“Rifare l’uomo, questo il problema capitale.
Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scale della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo della speculazione è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno”.
(Salvatore Quasimodo) 
                                                 
Chi sono i poeti? Che cosa è la Poesia?
A che cosa serve la Poesia?
Abbiamo bisogno della Poesia nell’era tecnologica?

Tali domande non possono trovare risposta se non dalla definizione di “poesia” nel cui ambito si prospettino sia la figura, il ruolo e la funzione dei poeti, sia le basi  di una “nuova” poesia. Essa deve essere ripensata in una prospettiva etica capace di sconfiggere la solitudine e l’incomunicabilità dell’era tecnologica. La poesia deve quindi esplicare una funzione comunicativa forte ed empatica fuori da schemi precostituiti, ma strettamente collegata alla tradizione letteraria che i poeti hanno lasciato all’umanità come segno spirituale, forza della parola e fatto estetico. Molti critici e poeti hanno dedicato alla poesia affascinanti attribuzioni: atto di pace, corrimano cui appoggiarsi, atto d’amore, faro, etc.; ma da qualsiasi angolo la si guardi la poesia resta centrale nella vita umana, anzi ne costituisce il cuore. Ninnj Di Stefano Busà dice che la poesia “origina dal complesso ingranaggio cuore-mente”, affermazione che spiega le basi neurobiologiche del substrato in cui nasce il fatto poetico. La neuro-estetica e le neuroscienze, fissano un rapporto cervello-psiche ed opera d’arte ora apprezzabile e misurabile mediante indagini ottenute con strumenti tecnologici sempre più precisi (tac, pec, etc.). Tali indagini registrano l’attivazione delle zone del cervello deputate a segnalare le emozioni; infatti, posti di fronte ad un’opera d’arte, si attivano nel fruitore, zone del cervello in cui i neuroni specchio consentono di stabilire quali “sintomi” siano costanti in questa relazione. Certo siamo nel campo di una ricerca avanzata; ma lo stesso Kandisnsky, in “Lo spirituale nell’Arte”, afferma  che “l’artista è il miglior neurologo di se stesso”. Le risposte alle domande iniziali di questa riflessione, ricercate da critici e poeti, sia pure in un lavoro che inizia ad essere interdisciplinare tra  scienziati ed artisti, sono tuttavia vaghe e talvolta confuse: nessuno sa che cos’è la poesia e, di conseguenza, è quasi impossibile stabilire il ruolo dei poeti, il loro compito. Dal momento che si riconoscono alla tradizione letteraria i fondamenti e il lascito incommensurabile dei nostri predecessori, su tale solco è necessario muoversi per innovare e costruire originali progetti di poesia. Parlo di progettualità più che di un dannoso correntismo (o manierismo) che finirebbe per svuotare di senso i pensieri, le parole, le emozioni, cioè i contenuti cognitivi e spirituali da cui origina la poesia. Spesso leggiamo elenchi di parole ad effetto in composizioni vuote di comunicazione ed empatia; altre volte gli autori compongono seguendo i rigidi schemi della metrica tradizionale, perdendo di vista l’onda delle emozioni, il canto che fluisce liberamente dall’interiorità; altre volte ancora si cade in un simbolismo accentuato che non può essere considerato metafora o in un realismo da lista della spesa, un frammentismo opportunistico. La poesia può essere anche in tutte queste manifestazioni, così come si ritiene che essa, la bellezza, l’amore, siano il cuore pulsante della vita; tuttavia, cresce in maniera esponenziale la produzione poetica in un mondo editoriale consumistico e poco attento:  sui social imperversano poeti ed autori di ogni tipologia; in modo inversamente proporzionale, scarseggia la qualità delle proposte concettualmente e stilisticamente fondate. Scrive Paul Valéry; “il mercato universale ha prodotto oggi un’arte più ottusa e meno libera”. Ciò avviene perché è mutata la società, il modo di comunicare, le relazioni interpersonali; si sono persi punti di ancoraggio, il linguaggio “meticciato” si è sostituito gradualmente alla lingua italiana e il “sentire” è inaridito dall’indifferenza, la bruttezza, la bulimia di possesso. Del resto il poeta è “interlocutore privilegiato” e testimone del suo tempo, quindi non può alterare il rapporto con il pubblico, un rapporto complesso condizionato da un insieme di fattori storici, socio-culturali, economici. Tale rapporto si fa via via sempre più sfuggente, a mano a mano che la società diviene più complessa e“liquida”. Nei primi decenni del secolo XX, alla crisi dei regimi liberali corrispose un generale disorientamento ideologico. Alla perdita di identità molti letterati ed artisti reagiscono accentuando la propria diversità. Si prediligono linguaggi aggressivi tendenti a sottolineare  l’eccezionalità dell’esperienza artistica. All’opposto, intellettuali organici al potere aderiscono al momento storico. Nel secondo dopoguerra, il poeta si fa carico di una coscientizzazione del linguaggio poetico: dopo gli orrori dello sterminio di intere popolazioni, dopo il decadimento dell’umanesimo, dopo la totale disumanizzazione, è ancora possibile che la poesia  viva?
Mi piace citare Theodor W. Adorno:
“Il dolore incessante ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare. Perciò forse è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia … L’Arte che non è più affatto possibile se non riflessa, cioè presa se non come problema, deve da sé rinunciare alla serenità. E la costringono innanzitutto gli avvenimenti più recenti, il dire che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena”.
Ammesso che la poesia alberghi ancora nel mondo tecnologico, paradossalmente caratterizzato da scarsa comunicazione e da grande solitudine, dobbiamo riflettere sui motivi dell’esperienza creativa del pensiero e del linguaggio che viene universalmente considerata necessaria perché connaturata all’essenza dell’uomo. La parola riacquista un senso solo nella chiarezza del suo valore semantico, se aderisce al cuore di chi la compone in versi o in prosa, di chi la pronuncia per nominare cose, persone, istituzioni, cioè se sa volare oltre la presenza dell’oggetto, facendosi essa stessa oggetto, per carpire tutte le sfumature che colorano la vita e fanno intravedere in modo profetico lo sconosciuto fine verso cui si corre senza tregua. La Poesia, come l’essere, si cela dietro un velo in attesa di essere scoperta ed amata spingendo verso una perpetua ricerca cognitiva e spirituale oltre che estetica e linguistica. La fortuna goduta dall’opera di Dante è dovuta alla sua forza di incidere nell’immaginario collettivo, comunicando parole e figurazioni ancora presenti nella tradizione contemporanea. Come ha sostenuto G. Contini nel suo saggio “Un’interpretazione di Dante, 1965”,  è segno della sua “traducibilità” da un sistema culturale ad un altro, da un sistema poetico ad un altro. Ci insegna che ogni epoca letteraria appartiene ad una tradizione linguistica e culturale da riconoscere come propria e a cui rifarsi. Da dove ripartire perché la poesia del nostro tempo sia aderente ai valori fondamentali  umani? Il Prof. Domenici in uno dei suoi saggi “La poesia tra etica ed estetica”, sostiene che un progetto di nuova poesia nel tempo della crisi non può trascurare alcuni elementi cardini che consistono: “1) nell’alterità, ossia l’apertura all’altro per dirla con Levinàs, e al proprio tempo; 2) nella forza della parola poetica e del linguaggio; 3) nell’autentica espressione e trasfigurazione della condizione esistenziale umana”. Da questi punti essenzialmente umanistici, ma anche da tutta la poesia del ‘900,  deve venir fuori la poesia dell’era tecnologica, una poesia che lenisca il dolore, voli alta con parole comprensibili e oneste e accosti l’uomo alla bellezza, lo spinga  ad andare “più in là”; una poesia capace di comunicare “il sentire”, che scovi nell’uomo e nel poeta quella semplice classicità che incidendo sulle coscienze, attiva sentimenti di amicizia e condivisione. Oltre ad una poesia in versi  libera affidata alla modulazione musicale delle parole e del verso, esiste oggi una poesia neo-umanistica, anche formulata in modo classico con l’uso della metrica, la cui  conoscenza unita allo studio   della tradizione letteraria, possa ancora contenere ed esprimere il linguaggio del nostro tempo. La poesia è l’habitat ideale della lingua coniugata all’immaginazione che in un processo interiore, dal “guardare dall’interno”( Semir Zeki), consente l’empatia tra l’artista, la propria opera e tra essa e il fruitore. Così la poesia si fa conoscenza e come dice Octavio Paz (premio Nobel 1990) , “È operazione capace di cambiare il mondo. Attività poetica rivoluzionaria per natura, esercizio spirituale, metodo di liberazione interiore”. La “letteratura dell’assenza”, come fu chiamato il rifugio degli intellettuali fuori dai problemi sociali, l’evasione pura, l’Aventino della letteratura, non si addice ai poeti, non è una forma di solitudine ma di aristocratico rifiuto. Perciò, nel secondo dopoguerra fioriscono una letteratura e una poesia attente ai problemi sociali. Molte sono le esperienze estreme. Ma tutta l’innovazione muove  “dalla svolta linguistica” già iniziata nella seconda metà dell’ottocento in tutti i settori dei linguaggi dell’arte nel segno di una rottura epocale con la tradizione. A parere di molti critici “la svolta” fu l’input del rinnovamento sviluppatosi nel ‘900. Questa continuità  ancora oggi è un ancoraggio alla meravigliosa tradizione culturale del nostro Paese che recepisce la novità e le influenze europee nel seno di una riflessione accorata su tutta la poesia giunta fino a noi.  Giorgio Linguaglossa, in “Critica della ragione sufficiente” affronta il problema della costruzione di un “grande progetto” per giungere alla formulazione di una nuova ontologia estetica (NOE) con la proposta di una ripartenza da Pasolini e Montale, da dove “essi avevano lasciato la spugna” . Le poetiche del  ‘900 possono essere considerate come una nuova metratura in cui collocare l’arte come “verità raggiunta o istituita”.  L’arretratezza della poesia italiana  è forse dovuta agli schematismi culturali dei poeti, alla cultura dominante e alla perdita delle ragioni per cui al linguaggio della nostra epoca non si è ancora riusciti a coniugare un nuovo pensiero poetico.  La crisi consiste proprio nel tracciato spesso insuperabile di un confine netto da cui muovere o da cui prendere le distanze. Nazario Pardini, nella nota critica all’opera ”Negazioni” di Edda Conte, esclude che la poetica dell’Autrice possa essere letta in funzione della NOE, ma piuttosto come ricerca di innovazione nella presenza più vicina e sonora delle cose e quindi della vita. Scrive il Pardini: “Oggigiorno c’è una nuova tendenza poetico - letteraria  che cerca di farsi spazio, ma destinata a sparire presto come i tanti sperimentalismi che hanno giocato un ruolo marginale nella cultura dell’altro secolo”. Oggi la tirannia del mercato non è meno attrattiva dei rifugi del passato e i poeti si muovono in uno spiccato individualismo che esprime il malessere di ciascuno in situazioni di intensa soggettività alla ricerca del nuovo. Da questo atteggiamento si può immaginare l’approdo ad un atto di conoscenza e di amore.”Solo chi ama conosce”, scrive E. Morante, e  su queste basi cognitive e di aderenza al linguaggio vivo,  di  amore  per la vita, si può configurare la nuova poesia. Il carattere dialogico della parola poetica contiene in sé  la volontà di aprire all’altro per condurlo alla riflessione, trasmettergli il valore della bellezza espresso da ogni sentimento poetico onesto e vero. “Non vi è una particella di vita che non abbia poesia all’interno di essa” (G. Flaubert).

Testi consultati:
·      V. De Caprio, S. Giovanardi: “I testi della letteratura italiana”
Ed. Einaudi Scuola 1993
·      B. Missana: “Verso una nuova critica d’arte”
Ed. Sentieri Meridiani 2013
·      G. Linguaglossa: “Critica della ragione sufficiente”
Ed. Progetto Cultura 2003



5 commenti:

  1. Grazie, Professore, per l'accoglienza su " Lèucade" del mio semplice contributo alla discussione intorno alla Poesia. Davvero onorata.

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  2. Ho già espresso “in nuce”, qualche tempo fa, nel commento alla lirica delicatissima “La fanciulla” di Francesco Casuscelli quale sia la mia idea di POESIA. La POESIA, come dice lo stesso Casuscelli, è un'amante silenziosa che ci mette a nudo prendendoci l'anima. È difficile resisterle in quanto ci cambia la vita, ci fa vedere in modo diverso le cose, ci fa trasformare le parole da semplici vocaboli in note musicali. Non sempre dà gioia perché non sempre si riesce ad esprimere, secondo i suoi canoni, quello che lei ci ispira, ma quando il testo ci soddisfa è festa grande, è catarsi completa, è un bagno dell'anima nel Lete che ci fa dimenticare le avversità quotidiane. La POESIA è soprattutto per chi la scrive, non per chi la legge. Ossia, spiegandomi meglio, è la confessione del nostro “io” di fronte a noi stessi, non importa se piacerà o non piacerà agli altri, se gli altri traviseranno quello che abbiamo scritto, infine se ci saranno degli altri. È la nostra cura contro “il male oscuro”: si noti come molti poeti hanno avuto vite travagliate. Per questo detesto quelle poesie artificiose con vocaboli strani o peggio obsoleti che non fanno parte del nostro linguaggio quotidiano ma intrigati nel tessuto del verso non per necessità di metrica o di rima ma solo per fare sfoggio di una cultura che non c'è: speme, spiro…
    Un altro punto che sarebbe da toccare è che la poesia non deve essere necessariamente autobiografica – come qualcuno ostinatamente crede – anche se riflette sempre una parte di noi, e non deve “emozionare” dove per molti questo vocabolo significa versare calde e abbondanti lacrime. Anche La vispa Teresa è per me una bellissima poesia ancor più nella versione ritoccata di Trilussa.
    Spero che ne venga fuori un dibattito costruttivo a cui io interverrò nuovamente qualora non condivida in toto le idee di qualche altro partecipante.

    Carla Baroni

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    1. La mia nota critica si è limitata a tracciare un percorso storico letterario delle esperienze che configurano l'espressione poetica nel tempo, con particolare sguardo alle dinamiche del nostro tempo. Si cerca di comprendere dove vada la poesia contemporanea, dove possano essere ricercate quelle costanti che ci facciano comprendere il senso della poesia è la sua funzione. Grazie cara amica ,per l'interessante commento.

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  3. Immagino che tutti, più o meno, condividano l'idea che poesia è creatività e che si diviene creativi quando si attinge a valori universali. Le differenziazioni intervengono quando si affronta la definizione del concetto di universale. Che sia necessario superare la sfera del soggettivo è più o meno condiviso da tutti, così come tutti, più o meno, condividono l'idea che superare il soggettivo non significa sprofondare nell'oggettivo, giacché questo non è che la riprova dell'esistenza di quello. Gli "oggetti" non sono le "cose", ed è nella "cosità", nel dominio terrificante delle "cose" (apoteosi del Nulla) che taluni vedono l'unica possibile negazione dell'Io. Personalmente non condivido questo assunto, dacché ridimensionare le pretese dell'Ego è possibile in un modo soltanto: facendo spazio all'Alterego spirituale che ci vive dentro, depositario (lui si) dei valori, dei "nostri" valori universali. E' lì, e non altrove, la patria della creatività e della poesia, patria che un tempo veniva definita "la Musa".
    Franco Campegiani

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    1. Condivido pienamente le argomentazioni di Franco Campeggiano. Si potrebbe discutere per giorni intorno ai concetti espressi in tutti i commenti letti fino ad ora. Vasta è la poesia! Un immenso mare in cui ciascuno intravede unvapprodo. Grazie.

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