lunedì 6 gennaio 2025

Franco Campegiani legge:" La filosofia dell’Asino " di Mario Scetta (“Riflessioni, emozioni, ricordi”, Nuova Impronta Editrice, 2024)


 Un’opera di pensiero rivoluzionaria, quella che Mario Scetta presenta stasera. Pacata nella forma, ma rovente nei contenuti, l’opera, tra l’altro vestita di aneddoti e di vita vissuta, ha il pregio di non essere accademica, con quel tocco di realismo e di buon senso pratico che la distanzia da ogni altisonante idealismo. Potrebbe venir voglia di collocare questa visione del mondo in un’area filosofica di vaghe ascendenze eclettiche - stoico-scettico-epicuree, per intenderci - incentrate sulla figura del “saggio”, visto che di saggezza si parla nel libro, ma è molto più consono collegarla alle culture popolari e native di ogni luogo e tempo, con particolare riguardo alla vetusta civiltà contadina. Non a caso l’autore pone il proprio pensiero sotto l’egida dell’Asino (si, proprio dell’Asino), simbolo eloquente di elementarità (da non confondere con la banale ovvietà o con l’ingenuità dei semplici). L’Asino è una guida preziosa a cui spesso l’autore ricorre per avere lumi su problemi intricati e contorti.Pregiudizi, direte, o potreste dire: l’elementarità è un pregiudizio, non esiste un ordine o una legge naturale. Ma il fatto è che la Natura viene prima dei pregiudizi costruiti nel piano culturale. E l’uomo, per quanto diverso dagli altri esseri, è pur sempre una creatura del Creato. Così l’Asino, che è Natura, per l’uomo diviene simbolo di Natura ritrovata. E si può comprendere quanto ciò sia provocatorio in una cultura come quella attuale, dove tutto è artefatto, innaturale e la stessa intelligenza è invitata a cedere il passo nei confronti di un’altra intelligenza, definita artificiale. Devo dire di sentirmi a mio agio in queste pagine e di questo sono grato all’autore. Sono pensieri che stanno nelle mie corde, pur con qualche distinguo che non mancherò di evidenziare. Non per volontà di polemica (ci mancherebbe altro!), ma per alimentare quel dibattito che, ne son certo, all’autore piace suscitare. Libri come questo non possono lasciare indifferenti, si è sollecitati a prendere posizione, non si può restare neutrali. Faremmo un torto al libro e all’autore.

Ma andiamo per gradi. C’è un dilemma iniziale da sciogliere. L’autore esordisce così: <Beati i semplici. Beati coloro che hanno certezze. Per i primi è garantito il Regno dei Cieli, per i secondi, quello terreno. E per coloro che vivono nel dubbio? Né cielo, né terra, al massimo, la follia. Già, la follia generata dal dubbio, la follia dell’artista, del sognatore, del saggio che rifiuta il mondo dei semplici e dei certi e si rifugia nel suo mon­do, dove regnano istinti, passioni, razionalità, speranze, arte e, soprattutto, silenzi>. E l’Asino? dove collocare l’Asino che sfugge sia alla categoria dei semplici, qui intesi come ingenui (il che forse è eccessivo), sia a quella dei certi che si nutrono di dogmatismi raffinati? L’Asino non crede in nulla, non è un credulone, ma proprio per questo non può essere equiparato ai dubbiosi che finiscono per fare del dubbio una fede. Accade infatti che l’incertezza diventi aprioristica, trasformando se stessa in certezza, come in molti esiti della cultura attuale.

L’Asino non è né certo, né incerto, perché non ha schemi mentali. Si limita a vivere il mistero della vita, per questo è un saggio, come sostiene l’autore, sebbene occorra distinguere tra la saggezza innata, elementare dell’Asino, come di ogni creatura vivente, e la saggezza cosciente, riconquistata dall’essere umano. Tra elementarità e saggezza corrono parallelismi che sarebbe interessante studiare. Mi sovviene in proposito una nota intervista televisiva rilasciata da Pasolini ad Enzo Biagi nel 1971, dove lo scrittore dichiarava che le persone da lui maggiormente amate erano quelle che preferibilmente non avessero fatto più della quarta elementare. Costoro, diceva, sono dotate di una grazia innata che i successivi stadi culturali offuscano, salvo poi essere recuperata a livelli altissimi di evoluzione culturale. La cultura media, diceva Pasolini, è corruttrice, ma i superiori stadi culturali recuperano la grazia iniziale rompendo le gabbie dei pregiudizi storici ed infrangendo ogni schematismo mentale.

E non è un dietrofront, ma un avanzamento coscienziale. La saggezza dell’uomo sopraggiunge nel momento in cui egli accetta quello stesso mistero della vita che, nella loro elementarità, le altre creature vivono direttamente. <Che senso ha nascere per morire?> chiede l’autore all’Asino. La risposta è disarmante: <Il tormento è solo dell’uomo che disperde i suoi pensieri nell’ignoto, nell’infinito. Per l’albero, l’uccello, la stella, la vita è quella che si vive attimo per attimo, senza l’idea del futuro, senza il tormento della fine. Solo il sapiens è condannato al tormento del dubbio e del domani>. Infatti, dico io, soltanto l’uomo riesce ad impazzire, proprio lui che possiede il Ben dell’Intelletto, la Ragione; ma che ha anche la possibilità di entrare nella sua saggezza quando riesce ad accettare serenamente, come l’Asino, la realtà del nascere e del morire. <Quasi come la restituzione di un prestito>, sostiene l’autore, ricordando la lezione di Lavoisier, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

<L’Asino, scrive l’autore, raramente si ribella, certamente non si pone interrogativi, vive per vivere>. Tutta la Natura vive per vivere, senza preoccuparsi del passato e del futuro. Vive in una sorta di eterno presente, abbracciando senza battere ciglio le mutazioni del tempo, la fuga inesorabile del divenire. Sta qui la sua saggezza, quella saggezza che l’uomo può riscoprire al culmine di un lungo e personale processo evolutivo, tornando a far girare i propri meccanismi psichici secondo ingranaggi naturali e universali. L’uomo è il bastian contrario del Creato, il sapiens insipiente destinato a pagare con l’involuzione la propria evoluzione coscienziale. Ed è terribile ciò che nel frattempo riesce a fare con la propria aggressività, con la propria presunzione distruttiva. E’ lui, <il violento, il carnefice, il boia>, scrive l’autore. Homo homini lupus, ed è una grave offesa per il lupo, commenta, perché <il lupo non violenta e uccide l’altro lupo>.

<Era il giorno di sabato Santo, racconta l’autore. E pensavo alla strage degli innocenti. Migliaia e migliaia di capretti e agnelli sottratti alle madri e, magari, sgozzati dinanzi ai loro occhi. Già, l’agnello che toglie i peccati del mondo ma anche l’appetito dei peccatori. Una barbarie che mi intristisce sempre più con l’incedere della mia vecchiaia>. Poi racconta l’episodio della prostituta accolta nella sua auto non per approfittare delle sue grazie, ma per farla riparare dalla pioggia battente. Dopo averle fatto omaggio, senza nulla a pretendere, di una cifra ben superiore all’onorario, ed essersi anche vergognato per quell’elemosina, l’autore confessa: <Mi sono sentito un miserabile, un complice, per tanta indifferenza, per tan­to cinismo, per tanta cattiveria>. Ma non seguono condanne per il genere umano, anzi commiserazione. Nessuno, lui dice, ha il diritto di porsi <come guida presuntuosa e sprezzante>. Il saggio <deve offrirsi con umiltà e modestia, diventare esempio e soprattutto scuola>.

Ma oramai, come suol dirsi, i buoi sono scappati dalla stalla, ed <è inutile, scrive, sperare in cambiamenti di rotta, quando la rotta è stata smarrita>. Forse, aggiunge: <Avremmo bisogno, per ripartire, di una spinta, di un aiuto. Avremmo bisogno di qualcosa che faccia perdere all’umanità la sua sicurezza, la sua arroganza. Forse interverrà la Natura, comunque andrà, credo che l’umanità dovrà pagare un prezzo altissimo>. E le religioni di certo non aiutano perché, dichiara l’autore, esse <si fondano sull’irrazionale, sulla fede in un intervento estrinseco risolutore, mentre i tentativi razionali di affrontare problematiche esistenziali trovano pochi accoliti>. Qui però lasciatemi dire una cosa. L’uomo ha indubbiamente in se stesso le risorse per potersi ravvedere, ma non sono a mio avviso quelle vanitose e violente della dea Ragione, bensì quelle dell’Umiltà e della Coscienza collegate alle armonie del Creato. Quelle di una sua Saggezza arcana che esula dalla sfera razionale e irrazionale.

Ed eccoci tornati alla filosofia dell’Asino, di quella mite creatura del mondo naturale su cui l’autore riflette e di cui si sente fratello, fino a dire: <Non rassomiglio all’Asino, ma in fondo non sono tanto diverso da lui. E di questo sono felice>. Ci sarebbe altro, molto altro da dire, ma ho parlato tanto, forse troppo, pur avendo soltanto sfiorato la ricchezza di pensiero nel libro contenuta. Sarebbe bello approfondire il discorso, ma ci vorrebbe un seminario di studi (dico sul serio). Il mio tempo a disposizione è scaduto.

 

 

 

                                                                      Franco Campegiani