domenica 12 agosto 2012

Giuseppe Sciarrone: Poesia: Come e perché


POESIA: COME E PERCHE’
scritto di Giuseppe Sciarrone
raccolto da Paolo Bassani

Si potrebbe formare un volume grosso quanto un messale mettendo insieme tutte le definizioni che sono state date alla poesia dai tempi più antichi ad oggi. Chi avesse la pazienza di sfogliarlo, rimarrebbe stordito dalla confusione che regna in questo campo ed approderebbe alla conclusione che essa è indefinibile. Distinguerei una poesia intesa come bisogno elementare dello spirito, come pulsione ancestrale nella complessa struttura fisiopsichica dell’uomo, da una poesia che si incontra con la cultura e quindi assume consapevolezza di sé. Direi che la prima dovrebbe cadere nel campo d’indagine della psicologia scientifica e dell’antropologia piuttosto che della critica letteraria. Intesa come impellente bisogno dell’uomo di esprimere tutto un universo di forme, di immagini, di suoni che sente agitarsi confusamente dentro di sé, essa non può avere limiti spaziali o temporali: è nata con l’uomo e morirà con l’uomo, almeno fino a quando egli non si trasformerà in automa. Ben diverso è il destino della poesia intesa come genere letterario. In questo senso essa subisce i condizionamenti delle varie epoche.
Qual è l’utilità della poesia oggi? a che serve? E’ ovvio che il significato di “utilità” è sempre soggettivo e relativo, variando da individuo a individuo. Il problema non va posto in termini categorici ed assoluti. Sul terreno “sociale” non vedo come l’utilità della poesia possa manifestarsi nell’immediato e nel contingente. Che cosa pretenderebbero i poeti?  che l’uomo della civiltà tecnologica e della società dei consumi si buttasse avidamente sulla loro carta stampata e ne traesse stimoli per modificare il suo aberrante comportamento? Possiamo fare una statistica delle opere di poesia date alle stampe, non certo una statistica dei lettori di esse.
A parte altre considerazioni, la fretta, la dannata nevrotica fretta che caratterizza il nostro tempo, è la più spietata nemica della poesia. Oggi non si ha più tempo per leggere né per ascoltare: Stranamente però si trova il tempo per scrivere pur sapendo di non essere, almeno in gran parte, né letti né ascoltati. Della stomachevole (mi si perdoni il termine) proliferazione dei poeti tipica del nostro tempo, direi che bisognerebbe lasciare alla psicanalisi, meglio forse alla psicopatologia, il compito di tentare di dare una spiegazione al fenomeno. Personalmente penso che, fino a quando questa smania rimane confinata nella sfera di un elementare bisogno fisiologico, si potrebbe comprendere e giustificare essendo questo caratteristico della natura umana. Il guaio è che, nella maggior parte dei casi, essa trova la sua genesi in una velleità narcisistica ed esibizionistica, proiettandosi al di fuori della sfera etica e diventando una mascherata ed ipocrita manifestazione di egoismo. Incoraggiare una simile smania, ritenendola, quanto meno, sintomo di una “crescita culturale” è una colossale stupidità.
Occorre che il poeta abbia una sua deontologia, una sua educazione letteraria. Occorrono studio, osservazione, intuito, immaginazione, affetto, meditazione su quanto hanno saputo dire i sommi poeti e, soprattutto, UMILTA'.
Nell'etimologia greca della parola, "poeta" significa "creatore". Per creare ha un unico strumento a sua disposizione: la parola. Può salvarla o ucciderla, torturarla o redimerla, ricrearla o soffocarla, illimpidirla oppure oscurarla. Purtroppo la parola non ha vita propria per ribellarsi contro chi la deturpa.
Mario Luzi, in una sua recente intervista, ha detto:
"Far diventare la lettera spirito, il segno convenzionale parola viva, questo il compito della poesia".
Belle parole, senza dubbio, e non certamente nuove. Ma che cos’è questa "parola viva"? quella polisemica asservita ad uno spericolato gioco metaforico? quella partorita da faticose elucubrazioni intellettualistiche? quella povera parola prigioniera di esasperate analogie o di ermetiche sinestesie? Non è certo auspicabile che la salute e la vita della poesia, che la potenza vitale della parola possa concepirsi direttamente proporzionale alla sua incomprensibilità Certo la parola poetica deve sottrarsi alla trita e prosaica realtà del contingente, deve avere in sé qualcosa di nuovo, di favoloso, di magico. "L'arte –è stato detto- non è la storia degli uomini, ma la leggenda sempre nuova e diversa dell'umanità".
La magia della parola poetica è sintesi di genialità e di studio, di luce interiore e di slancio comunicativo, di logos e di canto: perché la musica è stata sempre compagna della poesia dalle sue origini. Il magico della poesia sta nell'umanità del poeta potenziata e ringiovanita dalla meditazione: non scende dall'alto, non deriva da una mistica ebbrezza, ma da un'ardua conquista. La magica bellezza della corolla d'un fiore non ci sarebbe se le radici non affondassero nella terra.
La sopravvivenza della poesia come "genere", direi meglio fenomeno letterario, non è minacciata soltanto dall'imperante tecnocrazia e dalla polverizzazione della cultura a scapito della sua unità, non soltanto dalla pretenziosa proliferazione di opuscoli poetici su cui si accanisce la speculazione di improvvisati o affermati editori, ma anche dall’azione fortemente corrosiva di certe poetiche d'avanguardia che, con il loro linguaggio sibillino, complicano tutto, confondono e disorientano. Anche però nella casa in rovina, in un angolo oscuro, il ragno continuerà pazientemente a tessere la sua tela.

                           Giuseppe Sciarrone



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