mercoledì 26 giugno 2013

LIANA DE LUCA SU "IL VIAGGIO DELLA VITA" DI BRUNO ROMBI

                                                        http://vimeo.com/aminamundi



BRUNO ROMBI – “Il viaggio della vita” 
– Ed. Le Mani 2011 – pagg. 336- €20,00





   Fra i molti scrittori sui quali si è svolta e si svolge l’esegesi di Bruno Rombi  campeggia la figura di Enrico Morovich, del quale è anche l’erede letterario. Forse inconsciamente l’autore è attratto dal comune tema dell’esilio, del fiumano per motivi politici, di Rombi per difficoltà ambientali. Già nella prima poesia della prima sezione  della raccolta antologica Il viaggio della vita,  dal titolo Canti per un’isola, il poeta confessa: “ Qui vivo e muoio / proteso ai vertici /d’un sentimento./ Strade a scacchiera: / lame che mi tagliano; / tetti a diporto / fughe che mi perdono. / E infinita, /infinita nostalgia, / quando ne fuggo. / Perduto nell’immagine di un sogno, / che mai svanisce, / m’impietrisco alla terra” ( Il tempo, al mio paese). E ancora  nei Canti dell’esule: “Anche questi sono sardi. / I miei fratelli, qui, sono in esilio. / E, come me, nel cuore, hanno la pietra / del disinganno”.
   Ma se la nostalgia per la terra d’origine, la Sardegna, e per la nativa Calasetta, percorre tutta l’opera di Rombi, essa è sempre più mitigata nello scorrere del tempo, mentre più salde si fanno le radici nella città dell’approdo, Genova, di cui l’autore va scoprendo assieme ai risvolti negativi le possibili offerte di realizzazione. Con la saggezza della maturità, le contraddizioni appariranno più evidenti, più incresciosi i soprusi, più funeste le violenze, le guerre, le malversazioni, che però non si presentano peculiari della città ospitale, ma della disperata constatazione del comune male di vivere contro cui si eleva una disperata denuncia  spesso in chiave simbolica: “Restano frammenti di vissuto / la cenere del sogno /  il profumo dell’illusione. / E l’ora della campana non arriva /  e nessuno ci aiuta a spegnere / le fiamme / che lentamente bruciano / il mistero” (La pietà del silenzio).
   Dalla vasta cultura di Rombi, che spazia in lingue, letterature, tradizioni diverse, non poteva non sorgere un collegamento con i personaggi dei Miti, secondo il titolo di una sezione. Essi trovano riscontro nel mondo odierno, specie sotto gli aspetti della brutalità e della crudeltà: “Il cielo non si accoppia più alla Terra / notturnamente / e Cromo divora tutti i figli / appena generati dalla madre. / In giorni quali i nostri senza amore / temiamo vendetta dal Padre / sempre più intorta /  nella scaglia di notte / che ci stringe” (Cromo e gli uomini).
   In una  opera omnia  dalla panoramica così vasta e desolata non poteva mancare il tema della morte. Esso è contemplato a volte da avvenimenti dolorosamente reali, come la perdita della madre. Nei commossi componimenti a lei dedicati  il verso che all’inizio è breve, come in precedenti testi, secondo la lezione degli scrittori liguri,  in seguito si espande in versi lunghi che trasbordano in una prosa ritmata, sempre musicale, e presente anche in altre raccolte come Forse qualcosa.  Pur ispirata alla irreparabile perdita della propria madre, la silloge rivela accenti di delicata elegia, dove l’assenza tende a trasformarsi affettuosamente in una misteriosa quanto confortante forma di presenza. La morte della persona amata ispira invece una intensità espressiva di angoscia e di protesta veramente potente: “Verranno giorni d’inedia. / Forse sono già arrivati. / Ed io non ho più il tuo sorriso / cui mi appoggiavo fidente. / Verranno giorni di silenzio / cupi, senza fondo, / forse vi sono già avvolto / e te non intravedo / che mi incontri / scrollandoti di dosso ogni tua pena / per vedermi tranquillo / al tuo fianco. / Se la vita è stata bugiarda / a volte, e maligna    con me / più volte, nel corso dei giorni, / giammai fu così atroce / come in quest’ora / in cui ti piango / mio bene, mia Rosa, / mio asor, mio raso” (Un amore).  Ma la compagna perduta è ispiratrice anche di altri testi al di fuori della silloge a lei particolarmente dedicata: “Ed è attesa tremula e triste / che basta una foglia a sfatare / o il trillo di un passero / che s’alza nel cielo. / E intanto scorre sull’acqua / che, accesa, riflette una luce, / il senso ancor della vita, / che più tu on hai” (A Rosalia). Il nome della compagna offre spunto a diverse altre composizioni dislocate nel tempo, come nel Sonetto per Rosalia, in cui il metro, la terminologia, le immagini  classicheggianti assumono una cadenza rinascimentale: “ Forse una rosa non potrà mai dire / tutto l’amor che vive nel mio petto, / ma il tuo volto, che ora m’è interdetto, / resta un ricordo da non contraddire. // T’ho amata come amar più non si può / con cuore ardente e con trepidazione  / sereno a pago d’ogni tua attenzione / tanto che amare un’altra più non so. // Tu che del fiore belo avevi il nome / resti presente non come un ammanco / ma come se mi fossi ancora accanto / oltre la morte ed io non so più come / ti stagli d’ogni passo mio al fianco / e mi consoli ancor d’ogni mo pianto”.
L’abilità stilistica di Rombi trova un’altra esemplificazione in Ora ritorna a me,  nella quale la presenza femminile consolatoria e vivificante invita a continuare il percorso umano con l’entusiasmo della gratitudine in una composizione dall’andamento stilnovista dove la donna è conforto e incoraggiamento all’ascesa:
“Ora ritorni a me sotto la veste /di chi mi richiama al suo coraggio / di chi non può soffrire che l’oltraggio / perpetrato da Morte ancora imperi. / Torni decisa a dirmi di lottare, / di tenere duro finché vita resta / di non dimenticare che mi spetta / oltre al dolore anche qualche gioia. / Ed io riprendo a vivere e a sperare / a lottar contro tutti per avere / ancora un giorno di letizia piena, / ancora un canto che mi faccia amare. / Dolce creatura  simbolo d’amore / così ritorni nella nuova veste / ed or che le speranze son rideste / t’allontani nell’aria come un sole”.
   Non sempre l’abilità del supremo artifizio stilistico impera. In altri testi più semplicemente la donna invita il compagno a non tralasciare il conforto, la necessità, della poesia: “Moriva in me la poesia / e tu mi volevi poeta / perché con poesia / tu m’hai amato…Ma tu mi volevi poeta / ed io mi riscopro nel pianto / nel verso duro di pietra / nella parola di marmo / nel bianco silenzio del cuore / nel canto atroce, ma canto”. Il consiglio è lungimirante perché la poesia è essenziale per l’autore, anche se la sua necessità poche volte è confessata, ma per esempio in  A Pedro e Garcia : “O Pedro Calderon de la Barca, / o Garcia Lorca, / è una sporca faccenda la poesia / se può ridurre un cuore / ad un granello / per sempre consumato dall’arsura. …follicolo e dolore / testarde ore d’attesa / d’un verso che s’accenda /  di una divina luce / che non muore, / Calderon / e follia / come la tua, Garcia, / anche la mia”.
   Non si può ignorare un altro tema nella antologia di Bruno Rombi, che è quella della ricerca del divino. Già Forse qualcosa recava nel sottotitolo L’ipotesi di Dio nella poesia di un laico. Il testo è costituito da una serie di pensieri, considerazioni, confessioni, speranze e dinieghi che ruotano intorno al problema del Deus absconditus,  che  poeta non riesce a risolvere pur patendolo  e dibattendolo. Più tranquilla e ottimistica appare la delucidazione nella sezione finale, nella quale  la riconquista della fede, dono dell’infanzia,  appare più possibilmente certa nell’abbandono pacificatore dell’Exodus: “ Con l’umiltà del fanciullo / pentito, / l’ardore adolescente, / l’adulta forza / e l’invecchiata saggezza / mi chino sulla terra / a baciare le orme /dell’Uomo. / In cerca della via / della verità e della luce / per ritrovare l’immagine / di quando, bambino, /senza vergogna o timore, / osavo gridare / di fronte a tutti: ‘Credo in Dio!’.” 

 LIANA  DE  LUCA

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