POESIA: COME E
PERCHE’
scritto di Giuseppe
Sciarrone
raccolto da Paolo
Bassani
Si potrebbe formare un volume grosso quanto un messale
mettendo insieme tutte le definizioni che sono state date alla poesia dai tempi
più antichi ad oggi. Chi avesse la pazienza di sfogliarlo, rimarrebbe stordito
dalla confusione che regna in questo campo ed approderebbe alla conclusione che
essa è indefinibile. Distinguerei una poesia intesa come bisogno elementare
dello spirito, come pulsione ancestrale nella complessa struttura fisiopsichica
dell’uomo, da una poesia che si incontra con la cultura e quindi assume
consapevolezza di sé. Direi che la prima dovrebbe cadere nel campo d’indagine
della psicologia scientifica e dell’antropologia piuttosto che della critica
letteraria. Intesa come impellente bisogno dell’uomo di esprimere tutto un
universo di forme, di immagini, di suoni che sente agitarsi confusamente dentro
di sé, essa non può avere limiti spaziali o temporali: è nata con l’uomo e
morirà con l’uomo, almeno fino a quando egli non si trasformerà in automa. Ben
diverso è il destino della poesia intesa come genere letterario. In questo
senso essa subisce i condizionamenti delle varie epoche.
Qual è l’utilità della poesia oggi? a che serve? E’ ovvio
che il significato di “utilità” è sempre soggettivo e relativo, variando da
individuo a individuo. Il problema non va posto in termini categorici ed
assoluti. Sul terreno “sociale” non vedo come l’utilità della poesia possa
manifestarsi nell’immediato e nel contingente. Che cosa pretenderebbero i
poeti? che l’uomo della civiltà
tecnologica e della società dei consumi si buttasse avidamente sulla loro carta
stampata e ne traesse stimoli per modificare il suo aberrante
comportamento? Possiamo fare una statistica delle opere di poesia date alle
stampe, non certo una statistica dei lettori di esse.
A parte altre considerazioni, la fretta, la dannata
nevrotica fretta che caratterizza il nostro tempo, è la più spietata nemica
della poesia. Oggi non si ha più tempo per leggere né per ascoltare:
Stranamente però si trova il tempo per scrivere pur sapendo di non essere,
almeno in gran parte, né letti né ascoltati. Della stomachevole (mi si perdoni
il termine) proliferazione dei poeti tipica del nostro tempo, direi che
bisognerebbe lasciare alla psicanalisi, meglio forse alla psicopatologia, il
compito di tentare di dare una spiegazione al fenomeno. Personalmente penso
che, fino a quando questa smania rimane confinata nella sfera di un elementare
bisogno fisiologico, si potrebbe comprendere e giustificare essendo questo
caratteristico della natura umana. Il guaio è che, nella maggior parte dei
casi, essa trova la sua genesi in una velleità narcisistica ed esibizionistica,
proiettandosi al di fuori della sfera etica e diventando una mascherata ed
ipocrita manifestazione di egoismo. Incoraggiare una simile smania,
ritenendola, quanto meno, sintomo di una “crescita culturale” è una colossale
stupidità.
Occorre
che il poeta abbia una sua deontologia, una sua educazione letteraria.
Occorrono studio, osservazione, intuito, immaginazione, affetto, meditazione su
quanto hanno saputo dire i sommi poeti e, soprattutto, UMILTA'.
Nell'etimologia greca della parola, "poeta"
significa "creatore". Per creare ha un unico strumento a sua
disposizione: la parola. Può salvarla o ucciderla, torturarla o redimerla,
ricrearla o soffocarla, illimpidirla oppure oscurarla. Purtroppo la parola non
ha vita propria per ribellarsi contro chi la deturpa.
Mario
Luzi, in una sua recente intervista, ha detto:
"Far diventare la lettera spirito, il segno convenzionale
parola viva, questo il compito della poesia".
Belle
parole, senza dubbio, e non certamente nuove. Ma che cos’è questa "parola
viva"? quella polisemica asservita ad uno spericolato gioco metaforico?
quella partorita da faticose elucubrazioni intellettualistiche? quella povera
parola prigioniera di esasperate analogie o di ermetiche sinestesie? Non è
certo auspicabile che la salute e la vita della poesia, che la potenza vitale
della parola possa concepirsi direttamente proporzionale alla sua
incomprensibilità Certo la parola poetica deve sottrarsi alla trita e prosaica
realtà del contingente, deve avere in sé qualcosa di nuovo, di favoloso, di
magico. "L'arte –è stato detto- non è la storia degli uomini, ma la leggenda
sempre nuova e diversa dell'umanità".
La
magia della parola poetica è sintesi di genialità e di studio, di luce
interiore e di slancio comunicativo, di logos e di canto: perché la musica è
stata sempre compagna della poesia dalle sue origini. Il magico della poesia
sta nell'umanità del poeta potenziata e ringiovanita dalla meditazione: non
scende dall'alto, non deriva da una mistica ebbrezza, ma da un'ardua conquista.
La magica bellezza della corolla d'un fiore non ci sarebbe se le radici non
affondassero nella terra.
La
sopravvivenza della poesia come "genere", direi meglio fenomeno
letterario, non è minacciata soltanto dall'imperante tecnocrazia e dalla
polverizzazione della cultura a scapito della sua unità, non soltanto dalla
pretenziosa proliferazione di opuscoli poetici su cui si accanisce la
speculazione di improvvisati o affermati editori, ma anche dall’azione
fortemente corrosiva di certe poetiche d'avanguardia che, con il loro
linguaggio sibillino, complicano tutto, confondono e disorientano. Anche però
nella casa in rovina, in un angolo oscuro, il ragno continuerà pazientemente a
tessere la sua tela.
Giuseppe Sciarrone
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