Il realismo
terminale di Guido Oldani
(Dalla intervista di
Elena Salibra, pubblicata su “Soglie”,
anno XIII, n. 3 – Dicembre 2011)
Guido Oldani, il tuo nome
si identifica con una formula, quella di realismo terminale, che, come tu
dimostri nel tuo libro-pamphlet, sta ad individuare un’epoca, la nostra, e
segna una rivoluzione del pensiero ancora in fieri che noi stiamo vivendo. Che
effetto ti fa questa identificazione?
Si è anche parlato di “teorema
del Realismo terminale". Mi rendo conto che una formula può esprimere un
teorema, anche se non necessariamente tutte le formule lo fanno. Oggi si parla
molto di realismo ed ognuno è diverso dall’altro per sfumature contigue e
continue. Non so dire se tutta questa vibrazione sia di chiarimento o di
complicazione, di certo l’aura è quella giusta. Il mio realismo è mosso da dati
empirici irreversibili ed in continuo ampliamento. Non è difficile dedurre una “rivoluzione
del pensiero ancora in fieri”. Lo stivale che ci si calca sulla nuca è l’accavallamento
dei popoli, calamitati coattivamente ed in modo ineludibile, che procede senza
limiti nelle città e sui prodotti-oggetti. Da lì, da questo rilievo evidente
come se fossero nati all’improvviso i dinosauri, anziché sparire, nasce questo
mio Realismo terminale. Se si tratta di
una formula, credo che essa sia epocale e che sopravviva al tempo di cui gli
attuali viventi dispongono. Dunque essere identificato con il Realismo
terminale appartiene alla mia sostanza. Già quattro miliardi di uomini su sette
sono accavallati.
[…]
Questo è il realismo dell’addensamento,
della catasta universale rimestantesi, in cui l’attrito fra cose e cose, e
persone e persone, è la sua voce in continuo indiavolato aumento. L’epiteto “terminale” indica,
non senza un tanto d’ironia legata ad altrettanta tragicità, che il viaggio
anche in prospettiva, dei popoli, da continuamente a continuamente, arriva al
suo approdo. Cioè la distanza fra la specie umana e gli oggetti tende a ridursi
a zero. Terminale è segno di stazione di arrivo. Questo realismo è determinato,
in particolare, dalla quantità che si accumula e che tende a coincidere con il
tutto degli oggetti e con il tutto dei corpi umani viventi, divenuti un’unica
identità.
[…]
Di fronte al Realismo
terminale, spesso mi sento come uno che ne ha compreso solo una piccola parte.
"la pioggia è intirizzita
dentro al freddo,
e cade come il sale sopra
il brodo
facendo luccicare la
contrada..."
Da "Dintorno"
Ringrazio per aver potuto leggere una parte dell’intervista a G. Oldani.
RispondiEliminaMi colpisce la forza metaforica nella traduzione poetica del suo pensiero (il realismo terminale).
Il nostro vivere quotidiano si snoda nei posti che ci sembrano conosciuti, confidenziali, amici: la casa ed i suoi oggetti, la fontana, il quartiere…. Gli oggetti però diventano i veri protagonisti, e sono potenti e senza anima. È violenta dietro l’apparente familiarità la metafora che li descrive ed interpreta, è una guerra- un incudine- su cui siamo battuti e modellati: verbi duri e drammatici, che spaventano.
La storia tutto trasforma, piega, capovolge, infradicia, smunta….e dimentica.
s’infradicia e farcisce d’acqua fredda
nella fontana quasi ad affondare
un quotidiano piegato e senza scampo.
….
la lente d’acqua ancora più ingrandisce,
la pianta secca al bordo non stormisce
sporge la luna in presso a un pesce e a un sasso.(La storia)
ci sono nell’armadio sui ripiani
scarpe con deformati tacchi obliqui
e calze dai rammendi o i fori tondi,
pattine a cerchi come gli ombelichi
giornali a plichi e sparsi anche dei tappi;
come se queste fossero le armi
di guerre a torte in faccia e senza scuse,
e i feretri o i loro decimali
sono gli stessi arnesi della pugna
che al suono delle trombe giudiziali
risorgeranno un giorno coi beati. (Rinfusa)
da Maria Grazia Ferraris