mercoledì 23 ottobre 2013

SANDRO ANGELUCCI: LETTURA DI "ELLITTICHE STELLE" DI N. D. S. BUSA'

LA FORZA GRAVITAZIONALE DELLE ELLITTICHE STELLE
DI NINNJ DI STEFANO BUSĂ



      “. . . A frenarci c’è solo il mistero, / una pelle che invecchia. / Ancora un altro giorno cede, / se ne va, e il nostro viaggio / si fa breve, se un’altra estate chiama, / è tempo di ricordi, di ellittiche stelle. . .”.
      Sono versi tratti dalla poesia che apre la raccolta con la quale Ninnj Di Stefano Busà ha vinto - per la silloge inedita - la XXXIV edizione del Premio letterario “Il Portone” di Pisa.
      Li ho scelti perché sono stato irresistibilmente attratto dall’energia (mi piace definirla “gravitazionale”) che dagli stessi si genera dando vita ad un immaginario inconsueto; vorrei dire, capovolto, per la grande capacità - al medesimo inculcata - di andare oltre le apparenze, di ribaltare, appunto, anche sul piano semantico, l’ordine più o meno prestabilito delle cose.
      Inviterei, anzitutto, a riflettere su quel freno, rappresentato dal mistero, che tutto è fuorché un trattenere; al contrario, è un lasciare liberi, corrisponde all’unica possibilità che abbiamo di opporre resistenza alla fuga dei giorni ed al ritorno dei ricordi che, insieme, ci portano lontano, ci fanno assumere e percorrere orbite ellittiche.
      “Ellittiche stelle dunque. Stelle come sogno, come meditazione, come richiamo di memorie, come azzardo. . . stelle come consuntivo”, si legge nella prefazione di Nazario Pardini, il quale non manca di mettere in evidenza quel “simbolismo geometrico” cui, anch’io, ho fatto riferimento: “una verità - dice - che ci stimola ad una ricerca continua senza offrirci mai una soluzione definitiva.”.
      Ma cos’è questa verità? È la verità di noi stessi; è il mistero che noi stessi siamo. “Un viaggio senza ritorno, / una storia che porta due parentesi / tra un poco e l’altro della vita”: di nuovo, il capovolgimento del precostituito, la revisione dell’univocità del pensare che consente di comprendere entro quelle due parentesi l’infinito.
      “Siamo viandanti sperduti” - ricorda ancora il Prefatore chiamando in causa Cardarelli - ma lo smarrimento dell’uomo è, qui, controbilanciato non da un rinvenirsi (come ci si aspetterebbe) bensì da un altro disorientamento: quello della parola; e tutto avviene in questo mondo, che null’altro può offrirci che “appena un foglio bianco” per prendere appunti.
      Ecco perché ho parlato di sovvertimento semantico: perché sono i significati, le declinazioni del verbo poetico che si addossano l’onere, che - come sempre - tentano di rimettere in piedi ciò che continuamente cade; e lo fanno così, “come se niente fosse”, come se la malinconia non esistesse e il tarlo del rimpianto non si facesse sentire rimbombando nella mente.
      È un verbo, sono Verbi inascoltati, allora, quelli della poesia ma hanno i riflessi ambrati del miele, “quel doloroso miele dell’abbraccio” che, solo, può colmare “la distanza tra il grido e la ferita”.
      Così, Roberto Carifi, vede questa poetica; “una poetica che resta ai bordi della sofferenza, persino del male dettato dal destino” - sostiene - ed ha ragione, ha perfettamente ragione quando accosta la rivelazione della forza contemplativa della Busà “al ringraziamento che fa di ogni lingua poetica una pietà del pensiero”.
      Vigore e compassione, quindi; meglio: vigore della compassione. Da questo speciale connubio nasce la gravità di quei corpi celesti, che si avvicinano fino a lambirci e si allontanano indefinitamente, dei quali percepiamo tutta l’attrazione e tutta la separazione.
      Sono le orbite che ci ruotano intorno o siamo noi che giriamo intorno a noi stessi? A me piace optare per la seconda ipotesi: voglio fornire una siffatta interpretazione di questa scrittura.
      Si - lo ammetto - mi sento una di quelle stelle; in modo non dissimile (sono pronto a scommetterci) da quanto naturalmente accade nel cuore dell’autrice.
      Come si potrebbe scrivere e descrivere altrimenti - diversamente e più incisivamente - “l’umana irrequietezza”: “un riflesso tenue della luce / che irrompe e scompagina / . . . . / il grido che non rinuncia ad aprirsi / come il cielo alle rondini.”.



                             Sandro Angelucci
  












Ninnj Di Stefano Busà. Ellittiche stelle. Edizioni ETS. Pisa. 2013.  



5 commenti:

  1. Complimenti alla poetessa Ninnj Di Stefano Busà ed al poeta Sandro Angelucci. E’ un vero piacere leggere i loro scritti, che fanno vibrare la poesia. Con grande efficacia riescono a realizzare il legame autore-lettore, obiettivo primario della scrittura.
    Paolo Bassani

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  2. Sono d'accordo con Paolo Bassani, la poesia e la critica sono, in questo caso, in stretto rapporto, si compendiano, perché se l'una è altamente qualificata, l'altra è atta a comprenderla in tutte le sue infinite pieghe, in tutte le sfaccettature, le infinite note che la poesia della Distefano fa vibrare. Un felice connubio, un'ansia d'infinito e di bellezza si nota in entrambi, che sottolineano come la POESIA quando è alta e vera può incantare i lettori, concedendone loro, un po' della magia. E' un così raro miscuglio la Poesia! Ha bisogno di essere tenuta in vita, avvalorata, e nutrita per quella grandissima, profonda umanità che vi è insita, e la contraddistingue. Perciò, grazie a voi due e complimenti.
    Attilio Schiffini

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  3. Ho letto ELLITTICHE STELLE di Ninnj Di Stefano Busà, si tratta di un libro di poesie che può piacere anche agli scettici, a coloro che di poesia non s'intendono. Io non avevo mai letto nulla di quest'autrice, perciò quel libro mi ha incuriosito: l'ho trovato profondamente umano, fortemente impregnato di quella poesia vera, che passerà alla storia, perché si rifà a sentimenti, suggestioni ed emozioni condivisibili ed essenziali alla vita di ognuno. Lo fa con spontanea e limpida voce, con un particolare senso estetico che avvalora la Poesia. Angelucci ne sa comprendere la passione e l'incanto, la bellezza e il fascino, e descriverne nel miglior modo, i suoi molteplici effetti sul lettore.

    Claudio Zavaglia

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  4. “Sono le orbite che ci ruotano intorno o siamo noi che giriamo intorno a noi stessi?”. Così scrive Sandro Angelucci in questa superba recensione a “Ellittiche stelle” di Ninnj Di Stefano Busà. E risponde: “A me piace optare per la seconda ipotesi”. Ebbene, io condivido questa preferenza, in quanto l’orbita dell’angoscia e della pace, di cui in fondo parla la poetessa, non è altro che il percorso metafisico-esistenziale dell’uomo stesso, il viaggio compiuto dalle proprie sorgenti universali al golfo che lo ospita temporaneamente. Un viaggio di andata e ritorno, dove la gioia e il dolore, il bene ed il male, non si separano tra di loro, ma sono facce della stessa medaglia, tappe obbligate della medesima orbita, dello stesso percorso. E’ morendo sulla Croce che si aprono le porte del Paradiso. Una visione, questa, non certamente nirvanica (schopenhaueriana) della vita, come forse potrebbe sembrare, in quanto il dolore, qui, si supera attraversandolo, vivendolo, e non con pratiche più o meno artificiali che tendono ad estirparlo, allontanandolo da noi. Ho letto anch’io “Ellittiche stelle” e sono rimasto colpito dall’andamento musicale del verso, dolcissimo e amaro nello stesso tempo. È l’onda ventosa dell’incalzante andare della vita, che procede dall’alba al tramonto, per tornare perennemente all’alba e al tramonto, giacché non c’è affermazione senza negazione, e viceversa. E se è vero che “il sogno delle favole-bambine / più non cresce tra le nostre braccia, / … / Non è tempo di prodigi / che inondano di luce la città dei vinti”, è altresì certo che noi “inventeremo un nuovo giorno, / un’alba di rinnovato stupore / al sole d’innocenza. / La luce è incorruttibile stasera, / inventa nuove favole, / sgrana rosari / e fiori abbandonati”.
    Franco Campegiani

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  5. Per fortuna la Poesia ha ancora questi autori, che chiamerei "Vati" cantori dell'anima. Non si atteggiano a miti, ma sanno cogliere un verso colto, fascinoso, umano, e trasferirlo al lettore in una intensa "osmosi d'anima." Questo fa la vera poesia, quella autentica, non gli stridii stereotipati di certa poesia metallara, senza emozione, che rifila certa categoria di poeti.
    Quella non è poesia è lagna, è qualcosa che allontana dai sentimenti, li svia verso il declino dell'anima e del sogno. La poesia è quella che fa sognare, la poesia è quella che si fa ascoltare in silenzio per carpirne tutto il mistero e quella luce che la ànima, proprio come la musica immortale di certi grandi della storia...

    Giuliana Seroni

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