domenica 19 gennaio 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "POESIE SULLA SOCIETA'", DI NADIA CHIAVERINI

Recensione
a
Nadia Chiaverini: Poesie sulla società
(inedito)

Affidare la voce a un canto che reclami una società più umanamente giusta




John Donne, Londra, 1572  Londra, 31 marzo 1631, poeta e religioso inglese, di cui è celebre il sermone Nessun uomo è un'isola, citato da Ernest Hemingway in epigrafe a Per chi suona la campana, e da cui trae ispirazione un omonimo libro di Thomas Merton, scriveva: “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. E Nadia si sente partecipe di questo insieme, fino al midollo, fino a lottare con tutta la sua anima per metterne in evidenza le anomalie. Per cercare di crearsi spazi vitali in una società talmente “liquida”,  da aver perduto quelli che sono gli orientamenti fondanti: l’uguaglianza, la giustizia, il lavoro, il rispetto per la Natura, e, soprattutto, per l’uomo in quanto tale. Un ricupero, insomma,  di una dimensione umana che si faccia soggetto, e non corpo passivo delle cose e dei consumi, o di quella globalizzazione che ne annulla l’essere; e la Nostra, percependo che “in mille rivoli di ossessioni/ s’allontana la vita vera” cerca di ritrovare se stessa, nell’allegria di lavanda e d’ibisco; in quello sprazzo di autenticità con cui è possibile tradire la fretta irreversibile di una corsa che ci annienta. E non è che la Chiaverini voglia fare della poesia un mezzo di propaganda politico-sociale; di schieramento; lei è e vuole essere poetessa. Vuole esprimere le sue tensioni emotive, che si fanno anche epico-liriche, di polisemica significanza ex abundantia cordis; ed è cosciente, pienamente cosciente di vivere in un mondo di viandanti sperduti  di memoria cardarelliana. In una società che ne aggredisce con le sue aporie gli intenti emotivi, dando corpo alla reattività del suo essere.
         Già nel Romanticismo si scriveva sulla netta divisione tra poesia d’impegno e poesia lirica; tra letteratura indirizzata alle vicissitudini socio-poliche e letteratura volta a confessare i disagi esistenziali: Manzoni e Leopardi, per intenderci. E tale concezione si è protratta fino ai nostri giorni: tanto che Montale è stato visto come erede di Leopardi, mentre la schiera dei neorealisti erede dell’oggettivismo poetico-narrativo. Divisione su cui io non sono per niente d’accordo. E la Nostra ne è un chiaro esempio con una poesia che sa tradurre motivi storico-socioli  in versi di tensione orfica che, pur sbocciando nei giardini del reale, sanno decollare verso approdi di rara intensità lirica. E tutto si fa soggettivismo quando una tematica è fortemente sentita. Quando, crogiolatasi a lungo nell’animo di uno scrittore e fattasi tutt’uno col suo sentire, viene data alla pagina con simbiotica fusione di dire e sentire. Gli argomenti possono essere di varia natura: politici, erotici, religiosi, esistenziali, critici, ironici, satirici; basta che escano da un animo che li vive con tutta la dovuta intensità. Ciò che non avviene, certamente, con argomenti trattati con funzione propagandistica, o a comando. In questo caso è la ragione a dirigere l’orchestra e a fare di uno scritto un prodotto che ha a che vedere più con la storia e la filosoifia… che con l’arte. E quello che spicca in questo “Poema” monotematico, ciò che ne costituisce organicità e compattezza, è il motivo ripreso, con grande personalità e intuizione, dal pensiero di Zygmund Bauman. Un tema  che associa il nostro mondo al fluire rapido e veloce di un liquido in continuo movimento che, senza posa, tutto trascina e porta via verso il nulla. Nemmeno il tempo di conservare le nostre più sacre memorie, di ri/viverle, pur costituendo, esse, il bagaglio portante della nostra vera esistenza: “… liquida sgocciola/ l’infelicità/ ovunque s’irradia/ s’alberga nei vicoli/ nei muri incrinati…” (da “La società liquida” di Bauman). Una infelicità di uomini che vagano senz’anima, dunque, che, nell’opera, assume una valenza di continuità ispirativa: “Uomini-atomi, specchio rotto/ di una società in frantumi/ vagano senz’anima/ in un viaggio incompiuto/ nel nonsenso di sé e degli altri/ uomo contemporaneo/ senza patria e senza memoria/ unica meta una vita sdrucita” (Frantumi).
                   E vi si legge, anche,  una voglia impellente di fuga verso un oltre indecifrato, ma un oltre che ri/dia dimensioni di libertà; che ci sperda in orizzonti capaci di scavalcare queste miserie troppo umane e ci porti oltre le sottrazioni del nostro esistere: “Anche il criceto è fuggito dalla gabbia/ per andare dove/ neppure lui lo sa” (Rigenerazione),
perché “il silenzio non esiste più/ E la musica gira intorno/ Un’invasione  di sottofondo/ È solo un modo di stare insieme/ Una perenne distrazione/ La fuga dalla realtà/ Un vuoto di senso/ Che  la vita contiene”. Sì, è tutta qui la poesia della Chiaverini, in questo rifiuto di essere assorbita dalle nullità che ci assediano. Nullità che non ci danno respiro e non ci permettono di affiancare quelle  verità, che da sempre cerchiamo per farle nostre fino in fondo, dacché sono la nostra passione, e sono il motivo del nostro esser/ci.
         Guido Oldani, nella sua teoria poetica del Realismo terminale, scrive che è cambiata completamente la sintassi della nostra società; per cui non più soggetto, predicato, e complemento, ma tutto si è involuto, tanto che è l’oggetto ad essere l’artefice primo del nostro vivere; ed è esso a pilotarci, e a impossessarsi di noi: è esso che ci invade, impedendoci l’attuazione di una ricerca: la conoscenza stessa dei nostri desideri: “«nasce un modo radicalmente diverso di interpretare il mondo e di rappresentarlo, anche artisticamente, a partire dalla poesia». Siamo al realismo terminale, dove la natura imita l’oggetto e non viceversa. Lì dove gli oggetti sono i prodotti della tecnica, che  continua a imporsi e a cercare di sostituirsi all’uomo, scambiando i ruoli di oggetto e soggetto, lì dove la stessa tecnica sta ormai terminando di fagocitare il soggetto umano” (da Guido Oldani: Realismo terinale).  E la Chiaverini si abbandona a vaghezze semantiche di un articolato linguistico di grande impatto emotivo; prende spunto da queste filosofie fino a partorire una poetica in cui si configura un mondo più sano e più vicino alla naturalezza che possa salvare l’umano; un mondo che non sia più condizionato da mode o da immagini; che non sia più condizionato dalle solite nullità del momento, dal solito oggettivismo di passaggio: “proposte di fine stagione/ scommessa per una vita vera/ galassia di speranza o peste nera/ l’immagine urge”.                      
         Cogliere l’attimo; trafiggere il pensiero, prima che l’ombra si aggiri funesta, forse, è il modo migliore di ripescare i nostri sogni imbavagliati e dare loro vita; farlo, anche se con la pioggia il tempo è più duro, s’incrosta la ruggine: “e se con la pioggia/ il tempo è più duro/ s’incrosta la ruggine/ prendi martello e scalpello/ trafiggi il pensiero/ che s’annida scomposto/ agisci di fatto oltre l’assenza/ prima che  l’ombra s’aggiri funesta” (Carpe diem).
         Narrazione snella, ricca di impennate allusive che denotano una assidua e meditata frequentazione poetica, dove i versi si succedono con euritmica musicalità rinvigorita da assonanze, consonanze, rime interne, e figure di notevole ardore metaforico. 
         Il tutto fra ritorni vòlti a pescare le note più secche, quelle più tristi di gente che soffre e che chiede alla vita la speranza in un mondo migliore; la fine di questa spersonalizzazione umana, di questa sofferenza collettiva: La fabbrica, dove la polvere s’insinua nei polmoni silente; Il colore della pelle; l’accoglienza, la miniera dei sepolti vivi, dove “fra sassi aridi e cactus contorti/ cade la sera/ seduta, una madre prega/ alla luce d’una candela”. 
         E anche se gli strumenti diabolici del nostro tempo sembra che concorrano non poco a distrarci dalla verità: “… L’occhio del grande fratello ci insegue/ Telegatti e politica/ Disagio colorito di protesta/ Come  lasciare un segno/ Nella grande muraglia/ E tu balli, però nel palcoscenico/ Mediatore d’informazione/ Celi la malia della televisione”, la Nostra affida tutta se stessa alla Poesia. Le affida il suo grido. Perché è in lei che crede, è lei che ama, e pensa anche che sia il mezzo più nobile per raccontare la storia di una donna legata anima e corpo alla sacralità della vita. Di una vita che può vincere ogni stagione, bella o brutta, primaverile o autunnale, proprio con questa antica e nuova arte. D’altronde il sogno del poeta è vincere il tempo non solo con le memorie, ma, soprattutto, affidando la voce a un canto che reclami una società più umanamente giusta.    

Nazario Pardini




3 commenti:

  1. Ninnj Di Stefano Busà

    -Lectio magistralis- , quella di Nazario Pardini, che da par suo ci dà contezza delle vicissitudini sulle quali verte la poesia cosidetta sociale: realismo e libertarismo, consonanze e dissonanze di una realtà fluida che ben si addice ad un marasma di proporzioni epocali sull'asfissia e l'assenza di Poesia in Italia nell'ultimo ventennio. Il linguismo e il fatto poetico sono fatti salvi da pochi, integerrimi autori che prediligono i toni alti di quest'antica arte che, della sacralità prende spunto come della sua matrice naturale. Sta a noi, poi, saper discernere la Poesia dalla NON POESIA, legarla all'umanità come fede, come percorso morale e moralizzante di una ragione nobile che si fa storia, storia di ognuno e di tutti. Non dimentichiamo che la vera poesia nasce dalla filosofia del cuore: una regola necessitante perché non venga elusa, esclusa e abbandonata all'oblio dei secoli. Ma come non vi sono più FIGURE preminenti, grandi, eccelse di musicisti, di scultori, di pittori (es. Caravaggio, Velasques, Leonardo, etc) così non vi sono più poeti (come Dante, Petrarca, Leopardi): Ogni epoca fa la sua storia...il tempo ignorerà la poesia che non vale niente. L'autrice indica nel suo percorso il vero valore aggiunto, che a ns. giudizio, è sempre lo sbocco naturale del processo evolutivo della specie...coinvolgere il soggetto umano nella mischia logorante della spersonalizzazione che risulterebbe la fine dell'arte poetica è un sacrosanto dovere. Complimenti vadano a Nadia Chiaverini e a Nazario Pardini che contrastano le ragioni del silenzio.

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  2. Grazie, cara amica, del tuo prezioso intervento. Un'analisi che la dice lunga sulla tua autoptica vena esploratrice, e sulla rara, unica, direi, ineguagliabile, cospirazione verbale. Difficile, impensabile, trovare un corpo adatto a contenere tanto pensiero. E tu sai raggiungere questa consonanza con una certa indifferenza; con tanta naturalezza. Grazie!!!
    Nazario

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  3. Come ha scritto recentemente Ninnj Di Stefano Busà, fare poesia oggi è una fede, un' ancora di salvataggio nei confronti di una società che adora il dio denaro e crea falsi miti.
    Ringrazio Nazario pardini per la sua recensione che ha esaltato i miei versi e li ha resi partecipi ai molti che seguono il suo blog.
    Nadia Chiaverini

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