un superbo dono
mercoledì 13 gennaio 2016
"ANTOLOGIA POETICA DI LEUCADE"
NAZARIO PARDINI
LÈUCADE
ANTOLOGIA POETICA A TEMA
“IL PADRE”
INTRODUZIONE
DI
PASQUALE BALESTRIERE
“SULLA POESIA”
BREVI INTERVENTI DI
PAOLO RUFFILLI, GIORGIO LINGUAGLOSSA, NAZARIO PARDINI
AUTORI
Introduzione di Pasquale Balestriere
Su La poesia di P. Ruffilli, G. Linguaglossa, N. Pardini
Padre di Paolo Ruffili
Risposte di Antonio Spagnuolo
C’è un tale… di Giorgio Linguaglossa
Ultimo canto per il padre di Pasquale Balestriere
Un silenzio altro di Ninnj Di Stefano Busà
Perdono padre di Nazario Pardini
Al passo d’addio di Umberto Vicaretti
Nell’ora rosata dei tramonti di Carmelo Consoli
Con mio padre di Sandro Angelucci
Eppure siamo uguali di Giovanni Caso
Padre di Umberto Cerio
Il male di oggi di Franco Campegiani
E tu sorridevi… di Patrizia Stefanelli
Ti scrivo per ricordarti di Anna Magnavacca
A Sesto, mio padre di Rodolfo Vettorello
A mio padre di Anna Vincitorio
Con mio padre di Roberto Mestrone
Dentro il brillìo d’argento di cornici di Alda Magnani
Padre di Giovanni Dino
Un altro inverno di Sonia Giovannetti
Distacco di Serenella Menichetti
Un istante prima di Pietro Catalano
Sonnambulismo del cuore di Maurizio Soldini
Padre di Anita Menegozzo
Non del padre di Claudio Fiorentini
Guida i miei passi di Emma Mazzuca
Lettera a mio padre di Valeria Serofilli
Ritratto del padre di Ubaldo de Robertis
Caro papà di Emanuele Marcuccio
Padre, non t’odio di Carla Baroni Parmiani
Sulla soglia di Giusy Frisina
Nel nome del padre di Paolo Buzzacconi
La via del paese vecchio di Daniela Quieti
Come un pulsare lento di Marisa Papa Ruggiero
La sedia di mio padre… di Nadia Chiaverini
Sapessi, padre di Maria Ebe Argenti
A mio padre di Maria Rizzi
Preghiera al padre di Maria Grazia Ferraris
A mio padre di Flavio Vacchetta
Passaggi di Pasqualino Cinnirella
I padri di Ivana Tata
Ode a te, O padre di Aurora De Luca
Di padre in figlio di Ambra Simeone
Partire alla ricerca del padre di Guseppina Di Leo
Lettera a mio padre di Annalisa Rodeghiero
Il tuo ricordo di Francesco Casuscelli
Foresta spoglia di Giorgia Catalano
Padre di Giannicola Ceccarossi
A mio padre di Claudio Vicario
A mio padre di Claudio Vicario
INTRODUZIONE
Quest’antologia prende spunto da uno degli ultimi post di questo blog, cioè da “Riflessioni sul padre” di A. M. Pacilli, e nasce quasi da una scommessa: “Perché non collegare scienza e poesia? Perché non far intervenire sull’argomento i poeti di Lèucade?” ci siamo chiesti per telefono io e Nazario.
È andata così.
Nelle poesie che il lettore trova qui pubblicate s’addensano più significati. Esse indicano innanzitutto l’esperienza umana e artistica che della figura paterna ogni poeta ha direttamente o indirettamente maturato nel corso della sua vita; e poi rappresentano una testimonianza di affetto e amicizia nei confronti del padrone di casa, l’infaticabile e gentile Nazario Pardini; ed anche un’abitudine a frequentare quest’isola felice; ma, più ancora, esse incarnano, proprio per essere qui riunite, un momento di visibilità collettiva di tutti i poeti che, in vario modo, sono legati a questo blog. Tutti insieme, in un canto a più voci, in vari stili e tendenze. Perché Lèucade è plurale, accogliente, grande.
Perciò chi legge avrà davanti agli occhi un campionario di testi talmente variegato che gli sarà difficile non trovare rispondenze al suo sentire. Questo almeno ci auguriamo.
In ultimo, giova precisare che le poesie della presente antologia sono disposte -garante Pardini- in puntuale ordine di arrivo.
Buona lettura!
Pasquale Balestriere
DIALOGO A TRE VOCI SULLA POESIA
La poesia oggi
di Paolo Ruffilli
La conoscenza poetica appartiene al mondo del singolare, dell’individuale, non è facilmente estensibile né generalizzabile. In fondo non mi pongo il problema di far partecipare l’altro, il lettore, al mio vissuto, ma solamente di manifestarlo, di pronunciarlo. Si può dire – paradossalmente – che non cerco l’empatia ad ogni costo e che forse questa neanche mi interessa. No, l’empatia non mi interessa. E la ragione è quella dichiarata di un interesse per la gnosi. Non scrivo poesia pensando al lettore o mosso dal desiderio di accattivarmelo. Il così detto pubblico non ha mai un gusto proprio. Se mai risponde distrattamente a un orientamento imposto dalla moda del momento e va dietro al vago impulso che gliene deriva, che è un impulso disturbato proprio come per tutti i bisogni indotti, per i quali non c'è mai felicità anche quando vengano soddisfatti. L’idea che il pubblico ha della poesia si lega alla più noiosa pratica scolastica dell’esegesi, del riassunto, della parafrasi, delle note a piede di pagina. È un’idea di oscurità, di fatica, di inutilità. Le pochissime persone che, tra il pubblico, si imbattono poi per caso nella poesia restano stupite di incontrare qualcosa che in realtà non conoscevano affatto e che non assomiglia all’idea scolastica che gli era rimasta addosso. Io sento la poesia come un dettato che sfugge a qualsiasi strategia comunicativa, il che non vuol dire, evidentemente, l’adesione al codice cifrato. La conoscenza appartiene sempre al mondo del singolare, anzi, quanto più appartiene al mondo del singolare, tanto più ha valenza universale. Ma il parteciparvi da parte del lettore necessita di una scelta individuale, come una forza attiva decisiva. Il lettore deve decidere di entrarvi e lo farà, magari, avendo avvertito un input rispetto al quale provvederà lui stesso a realizzare l'empatia. Ogni percorso di gnosi è sempre una pratica esoterica. E, in poesia, qualsiasi argomento per me è buono.
Paolo Ruffilli
Una nuova poesia
di Giorgio Linguaglossa
da “Intervista a Giorgio Linguaglossa” di A. Simeone
“... la vera poesia è quella scritta da un uomo libero per cittadini liberi. Ma, le chiedo: siamo oggi liberi? È possibile scrivere per uomini che si credono liberi ma che nella realtà non lo sono? È possibile scrivere sapendo di già che c'è una menzogna sottostante che ciascuno fa finta di non vedere? È possibile scrivere una poesia o un romanzo senza prendere atto di questa ipocrisia macroscopica?”
Il critico romano, commentando la poesia Ars Poetica di Czesław Miłosz, afferma: “ Il punto centrale della riflessione sulla poesia viene introdotto subito nei primi versi: «una forma più capace», che non sia « né troppo poesia né troppo prosa». Una forma ampia, dunque, che consenta l'ingresso nella forma-poesia della forza rigenerante della «prosa». Miłosz caldeggia una nuova poesia che sia al contempo riflessione sulla storia e una selezione di immagini povere, prosaiche; di qui la scoperta che «nella poesia c'è qualcosa di indecente», la presa di distanze dalla poesia dell'ego, tutta incentrata su «ciò che è morboso» in quanto oggi «molto apprezzato dai poeti», una poesia che tratti dell'«uomo ragionevole», poiché « il mondo è diverso da come ci sembra / e noi siamo diversi dal nostro farneticare». Di fatto è questo il primo altissimo documento poetico di un poeta europeo in favore di una poesia di ampio respiro, che contemperi l'ampio sguardo sulla storia degli uomini e i piccoli fatti del quotidiano. (...) Ritengo che il futuro della poesia sia la «forma ibrida». Oggi non è più possibile né ragionevolmente concepibile scrivere in endecasillabi tonici come faceva il Pascoli o nelle forme chiuse artatamente chiuse in base ad un programma elitario ed olistico della poesia. La forma-poesia, come ci ha insegnato Miłosz, deve essere «una forma più spaziosa» che consenta la ricezione della «prosa». Il futuro della forma-poesia è in questa direzione.”
Giorgio Linguaglossa
Su “La poesia”
di Nazario Pardini
C’è anche da dire, però, per essere obiettivi e per dare una visione più organica e più completa dell’universo poetico-culturale attuale, che non è di certo meno frequentata, oggigiorno, una visione diametralmente opposta della poetica. Una poetica che fa del verso un’ondulazione e una duttilità tali da corrispondere agli stadi emotivi dell’essere. Una poesia connotata da alte impennate di emotività, da slanci iperbolici di onirica e immaginifica fattura, da un sentire che precede con la sua intensità l’atto raziocinante dell’esistere, da una poesia che possiede, come valore aggiunto, la ricerca di una sonorità che ha bisogno dell’a capo del verso, e che si abbandona a sperdimenti panici che tanto dicono delle inquietudini o delle quietudini della nostra caducità esistenziale. Insomma una poesia che cerchi di tradurre il perpetuo conflitto fra la terrenità dell’esistere e lo slancio all’oltre; quel pòlemos fra i contrari di pascaliana memoria quale è la vita. E se l’uomo si affida all’onirico o al memoriale non è poi tanto male, visto che il sogno ne fa parte, come ne fa parte la stessa morte; e considerando che quel senso di struggimento della mortalità ha contraddistinto sempre la poetica dei grandi nella storia. Congiungersi con loro, riattivandone le energie e attualizzandone i contesti, dando una certa continuità alla diacronica vicenda dell’insufficienza umana, credo sia lo spirito di quest’altra grande schiera di poeti. Poeti che non disdegnano certamente musicalità, passione, immaginazione, contestualizzazione di un mito energizzato, e realtà, sì!, realtà; ma una realtà che sia crocianamente ri-vissuta e metabolizzata fino a farsi serbatoio di immagini. Quel serbatoio al quale si sono rifatti Leopardi … Montale… Quasimodo… Luzi… e a cui si rifanno tanti poeti dei nostri giorni, creando “Poemi” di grande tensione emotiva. Perché alla fin fine la Poesia deve emozionare, deve far provare quei brividi che “scatenano” tutte le manifestazioni artistiche (vedi il mio amato Giacomo Puccini, in particolar modo nel coro muto della Manon Lescaut, rappresentato magari sul lago di Torre del Lago davanti alla casa in cui lo compose). E io credo che alla base del tutto ci voglia l’umiltà di pensarci umani: quell’umiltà che porta a credere non definitivi e ultimativi i nostri convincimenti.
Nazario Pardini
Padre
Padre potente
arbitrio comando
signore che prende
che regge le fila
che muove e sostiene
dominio e licenza.
Padre che è assente
sole lontano
ignoto mestiere
enigma che incalza
diverso e straniero
limite termine fine.
Padre splendente
pensato e sognato
tenuto soltanto per mano
guerriero tornato
per poco disposto a restare
giocare parlare una volta
babbo papà.
Paolo Ruffilli
Risposte
Qui ho le risposte che rifiutano soluzioni:
tutto scompare tra la pagina bianca ed una sillaba
che sussurro nel timido violino,
adesso che il ricordo è l’unica illusione.
Mio padre correva ritmi di pianto
nel dedalo che la memoria ricuce
per le forme indiscrete del tempo,
e nascondeva la sua debolezza
fra le carezze del nulla.
Ora frantumo lo specchio che deforma
la sua immagine di vecchio,
e finisco nell’ossessione della sua assenza.
Prigioniero solo della prossima morte
indosso una maschera tribale.
La musica concede arditi ritorni
stanca di romanticismi inutili, nel volo
cede al pensiero e frantuma il meglio
delle parole che non furono dette.
Ritmi in sintonia con le incertezze
che rimbalzano prima del fiato,
ricuciono le labbra in un giro sfiorito.
Chiudesti ogni porta,
per ingoiare l’azzurro del mare o quei colori
incantati del sole.
Nei giorni incardinati a corrosioni
tutto rimane immobile , soltanto
orme di desiderio nelle vetrate
multicolori, e meraviglie nelle aritmie
di un cuore ingigantito dagli affanni.
Sembravi lampada nel silenzio, riflesso
inaspettato , delicatamente incerta
tra le inferriate del tempo.
Sulle pietre riporto a fatica le speranze
giunte alla soglia del dubbio.
Antonio Spagnuolo
C'è un tale che dice di essere mio padre
Roma. Anni Cinquanta. Strada in salita.
Via Lorenzo il Magnifico n. 7.
Negozio di calzolaio. Una vetrina a gomito. Cristallo e ottone.
La pelle di un coccodrillo con i denti gialli in vetrina.
Scarpe di lucertola verde, borse femminili di coccodrillo.
Nel retrobottega c'è una seggiola di paglia
e un tavolo con gli utensili da ciabattino.
Tanti chiodi. Sottili e massicci. Con la testa tonda,
con la testa quadrata, con la testa a punta, arnesi ad uncino,
odore di mastice e di cuoio dappertutto.
Sulla destra, una finestra che dà nel vuoto.
Misteriosi cigolii. La tromba dell'ascensore con voci umane
appese agli abiti. Qui a sinistra,.una scala a chiocciola a picco nel buio.
Il varco dove un giorno Orfeo scese con la sua lira a nove corde.
Di là, si odono suoni misteriosi e striduli.
Sulla seggiola, c'è un tale che dice di essere mio padre.
Batte sul cuoio con il martello a testa tonda, piega la tomaia
nel verso dell'alluce e del futuro.
Mi racconta le storie più inverosimili,
che una dea dal profilo di verderame si è affacciata sul mare,
e soffia nelle orecchie di un re marinaio
che guida una ciurma di ritorno da una guerra lontana,
una città data alle fiamme.
Racconta mio padre che un tempo lontano
viveva da qualche parte un tale
che diceva di essere un poeta
che diceva di essere un poeta
ma in realtà era un malandrino,
e della peggior specie,
un ubriacone, che passava tutto il giorno
ad andare dietro alle sottane...
«Quell’uomo era un ciarlatano,
ma della marca migliore
La più alta.
Egli era elegante,
e per giunta poeta...»
ma della marca migliore
La più alta.
Egli era elegante,
e per giunta poeta...»
Giorgio Linguaglossa
Ultimo canto per il padre
Vorrei parlarti, padre, in questa notte
da questa nave che batte a fatica
le tenebre e ricerca un porto vero
dopo prove d’approdi, di conati
falliti sempre d’una piuma. Intanto
scorre il vento sull’èquore increspato,
grida un sottile silenzio, uccellino
di cristallo: perciò trabocca ancora
fiume di canto dagli argini della
memoria, note tristi che ravviva
l’arpa del cuore. Rivedono gli occhi
( o credono ) il mare verde del grano
e viti appese a sinuose colline
sotto cieli d’infanzia -azzurri, dunque-,
solerti al ruzzo passeri e fringuelli,
il tuo volto giocondo alla fatica.
Ed ora, d’oltre il cielo, sappi, padre,
che questo tumido lacerto detto
cuore serba anche il pianto del distacco
celato per pudore dai tuoi occhi,
quando partii, nel vento della vigna:
perenne graffio, padre, acre dolore.
Pasquale Balestriere
Un silenzio altro
Vola alto, padre, trova vertigine d’assoluto
tra silenzi di chiari mattini.
Sia il tuo coraggio sugli strapiombi
acqua-luce al mondo,
dai fondali risorga il profumo dell’attesa.
Possano i venti tra parole di pietra
memorizzare il risveglio dei tramonti.
Chi come te ha nutrito la coscienza
ha generato un silenzio altro,
quasi liquefatto dove la terra muore.
Di te, padre, serberò memoria.
Vola alto, padre, trova vertigine d’assoluto
tra silenzi di chiari mattini.
Sia il tuo coraggio sugli strapiombi
acqua-luce al mondo,
dai fondali risorga il profumo dell’attesa.
Possano i venti tra parole di pietra
memorizzare il risveglio dei tramonti.
Chi come te ha nutrito la coscienza
ha generato un silenzio altro,
quasi liquefatto dove la terra muore.
Di te, padre, serberò memoria.
Ninnj Di Stefano Busà
Perdono padre
Per chiederti perdono, padre,
sono giunto a questo marmo ormai ingiallito
dai rivoli del tempo. Qui seduto
ho voglia di restare assieme a te,
per parlare, parlare
di un’ora che sfuggì. Sotto questi archi
vedo immagini nuove,
di cui conosco poco. Tu con loro
come ti trovi, padre? Tu che sempre
hai fatto vita schiva. Ma stamani
io sono qui per chiederti perdono
di non averti detto mille
e ancora mille volte del mio bene.
Per non averti detto le parole
che son rimaste in aria per la furia
che tradisce la vita. E il tuo perdono
mi giunga, padre, per non averti chiesto,
fino in fondo, le piccole carezze
di bambino, cresciuto indifferente
nella selva degli uomini;
per non averti detto fino in fondo
vicino al fiume che scorreva lento
verso una foce che ingollava i giorni:
“Giochiamo assieme, padre!”.
Perdono padre se a volte le labbra
restarono serrate come pietre.
Nazario Pardini
Al passo d'addio
a mio padre
Al passo d’addio venne l’equinozio
(obliqua e già ineguale declinava
la curva della luce verso l’erba).
Quello fu l’ultimo settembre, padre,
costretto il tempo ormai nella clessidra,
lo sciabordio tenace del silicio
a fendere radici di memorie.
Non fu certo la morte il tuo calvario,
ma il grano a crescere,
il pane da spezzare e le tue mani
arrese ormai al loto ed all’argilla
(noi cuccioli smarriti, e la compagna
ad intrecciare lacrime e ricordi).
Stagioni e lune intere inconsumate
poste a dimora anch’esse
nel vuoto dei domani a nascere,
nel vacuo rincorrersi del vento.
Noi fummo vivi solo nel dolore.
Eppure, adesso che chetato vivi
in un altrove chiaro e senza inganni,
dove straniero è il dubbio
e ignoti sono il torto e la ragione,
torna ti prego come quando, a sera,
stremata sulla spalla anche la falce,
mi portavi la rude tenerezza
delle tue braccia grandi, immenso nido,
dove scricciolo implume reclamavo
la mia dose d’amore e di carezze.
Mi alzavi allora, piuma, verso il cielo
a tendere le mani incontro al sole.
Io quell’abbraccio più non so scordare.
Regalami per questo un’altra volta
il brivido degli occhi tuoi felici
e il tuo sorriso, come il mio, fanciullo.
Umberto Vicaretti
Nell'ora rosata dei tramonti
Mario, viene l'ora rosata dei tramonti.
Ti sarebbe piaciuta, come quando
di settembre ci vestiva lungo i sentieri
che tagliavano il granturco
e tu vedevi nei ricami delle nuvole
i bagliori della vita, la speranza del domani.
Così andavamo mano nella mano,
ombre d'oro i nostri passi, sfumature
dall'ocra al blu i corpi e le parole,
i gesti persi nelle distese degli ulivi.
Voglio pensarti dove sei ora
chino sui campi ad ascoltare
il fiato sospeso delle foglie, entrare
metro dopo metro nel solco arato della terra
ed io tuo figlio sulle spalle del suo eroe
a bocca aperta ad ascoltare
la favola degli uomini e del cielo.
La verità Mario
è che mi sono mancati troppo presto
i tuoi sorrisi, le tue dita tra i capelli
le risposte ai perché dei dolori e della morte.
Dopo che te sei andato nel giro delle stelle
lasciandomi al mio stupore di bambino
non sai quante croci ho sopportato,
quante persone e cieli interrogato
per questo stare in un calvario di giorni, di città,
smarriti i tornanti del nostro andare lieve
e luminoso, persi il nitore degli orizzonti
tra i cementi, i progetti nel macero dei sogni.
Tutta un'altra vita amara padre mio, sai.
Ma voglio immaginarti ancora tra fili d'erba
e balzi di colline, rivedere noi due avvolti
nel giallo dei covoni, nei silenzi delle piane
in quest'ora rosata dei tramonti,
dolcissima e inquietante.
Carmelo Consoli
Con mio padre
Olive: la forma.
Olio: l’essenza.
Freddo che punge e che riscalda.
Ricordi:
le mattine di dicembre,
con mio padre.
L’attesa,
l’arrivo dei primi tordi.
I chicchi,
bianchi per la brina,
le mani insufficienti
con i guanti
a cogliere dai rami
l’esistenza.
Ho quasi sessant’anni
e sto nascendo
al mondo
come se fosse questo
il primo dei miei giorni.
Sandro Angelucci
Eppure siamo uguali
Mi rispecchio nel volto di mio padre,
la stessa luce, il gioco delle rughe
attorno agli occhi ed i capelli corti
nella stessa canizie. Ed ebbe pochi
racconti per parlarmi della vita,
amava lo splendore del frumento
e il tessere del canto di cicale,
ed in silenzio ritornava, a sera,
lavava le sue mani sulla soglia
prima di entrare.
Il mio è un altro rito,
le mie mani non sanno dell’ortica
né della vanga. Srotolo conchiglie
per la china degli anni, ammiro cieli
dentro gocce di brina, sfoglio un libro
come fosse un ciliegio da innestare.
Sono in ansia per tutti i miei pensieri
così fragili, esposti alle intemperie,
brucio sterpi in autunno di parole
senza germogli.
Eppure siamo uguali
nel respiro del vento, nella pioggia
che sorprende l’estate. Quanta grazia
ha la luna tra i salici al tramonto.
Non chiedermi perché sento il suo pianto
bagnarmi gli occhi al suono d’una lacrima,
sto come gli altri petali del fiore
stremato tra le pietre. E guardo il cielo
nel volto di mio padre ed il mio corpo,
simile al suo, si piega come il pruno.
Giovanni Caso
Padre
Questa saggezza conquistata, padre,
sulla fine, quasi, del giorno
è preziosa moneta
per memoria di tue parole
che in quei frangenti allora non compresi.
Giungere doveva l’ombra assurda
di morte inquieta in attesa di pace
per sentire che il tempo è vento vano
senza l’orma di fatti e di parole.
Senza che l’uomo sappia il suo passaggio.
E non si può tornare
con passi adolescenti ed incantati
ai canti dolorosi di un amore
-tra inganni di chimere-
ch’era feroce vita che passava.
Non bastano memorie
a dilaniare tempo e cose,
ma sangue vivido e tempesta
da furibondo mare
ad annegare l’anima ed i sogni.
Sigillo di fango e ceneri
urlo crudele della luce
giungevano dall’al di là del tempo,
-acre tormento di uno spazio sacro-
una lusinga infida e mai voluta.
E svaniva così l’arcobaleno
di una vita che percepivo avara
di sogni e di certezze, che ancora
non sapeva il vento della rivolta
e il fuoco nell’anima.
Umberto Cerio
Il male d'oggi
Il male d’oggi è chiuso in un recinto
di plastificate muraglie,
ghetto refrattario in una cupola
agli spiragli di luce.
E solo tenebre incontri
senza più coscienza delle tenebre,
case nere lungo i viali asfaltati
senza più finestre,
un dolore inconsapevole,
una notte senza sbocchi
che rifiuta l’impasto con le aurore,
un nulla radicale in estinzione,
un nero che più non genera nero,
un incubo, un’oscura follia
superba e paga di se stessa
che rifiuta il bacio dell’alba
e si occulta all’amplesso lievitante,
al groviglio fremente della vita,
e muore…
Quanti gridi di dolore nelle notti
si schiudevano all’alba in battiti d’ali!
Mai mi dicesti
che c’è un male che fa bene,
ma lo capivo dai tuoi gesti,
padre contadino,
dall’urlo muto
delle viti che potavi,
dal sudore vivo della fronte,
dalle doglie della terra partoriente
che con amore coccolavi
affinché tutto risorgesse
nuovo e bello dalle brume invernali.
Quanti gridi di dolore nelle notti
esplodevano all’alba in battiti d’ali.
Franco Campegiani
... e tu sorridevi
Ti ho visto morire ed eri salvo.
Con la coscienza che mi resta, senza
retorica ti dico
adesso, che non senti, o forse puoi.
Una vita di stupri alla mia anima
di ragione mancata alla violenza,
morte che ogni giorno mi donavi.
E tu...
tu, sorridevi
come angelo caduto
e io...
ti ho visto morire.
La mia mano ho poggiato sul tuo petto
e ho raccolto l’ultimo respiro
mentre con gli occhi vuoti mi guardavi
e mi chiedevi : “quando?”
Quando? Ora, qui, tra queste ciglia noi
siamo ricordi
un flash-back
che non perdona e strazia
le forme di un’umanità perduta.
Ti ho visto morire ed eri salvo
in me, che ho contato sai, i minuti
del tuo patire,
padre.
Lontano, voci restano sospese
come la pioggia al vento a primavera
che va leggera a migrare nel sole.
che va leggera a migrare nel sole.
Patrizia Stefanelli
Ti scrivo per ricordarti
Ti scrivo per ricordarti
l’anniversario della morte
di mio padre “11 gennaio 1993”
mia vibrante radice.
Un fiore di brina
una preghiera.
“ La crisi non risolve la crisi……”
Ridiamo ci guardiamo di sottecchi
ammicchiamo…..
Non sentiamo ancora il peso di queste
sue parole.
Al primo canto degli uccelli
il treno
il pasto nella gavetta
il soffio secco del sole
la neve che inganna i passi.
Capisco ora i suoi pensieri
il suo dolore
per una vita troppo stretta.
In ogni viso di pendolare
vedo mio padre.
Un angelo cammina
nel silenzio della neve.
Un dolce ricordo di mio padre, uomo di grande onestà nel suo modo di vivere e nei suoi pensieri. Presenti – spesso – i miei genitori nelle mie poesie; loro sono i fari che illuminano la mia vita, soprattutto nei momenti tristi.
Anna Magnavacca
A, Sesto, mio padre
Una distanza come tra due sponde
perché tra noi...
Una parola almeno
un modo come stringersi la mano
od uno sguardo complice.
Ma un uomo,
solo se ha modi ruvidi e la voce
che sa di fumo.
Non so di te ma tu senza parole.
Severi gli occhi e gli ordini
di tuono.
Ma é troppo tardi
e non si impara a vivere che dopo.
Quasi una sfida
o poco più di un gioco.
Io resterò al tuo posto
ch'é rimasto vuoto.
Non so di fumo
ma ti somiglio un poco.
Giorno per giorno un po' di più
ma solo un poco
Rodolfo Vettorello
A mio padre
il tempo ha spezzato quelle scale
dove il celeste bagliore si spense
con un grido
il tempo ha spezzato quelle scale
dove il celeste bagliore si spense
con un grido
fluidi calarono i falchi sul sole
e fu ombra di parole pensate, mai dette
e fu ombra di parole pensate, mai dette
Tu ora non più sembianza ritorni
voce azzurra di dentro e schiudi le mani
al mistero
voce azzurra di dentro e schiudi le mani
al mistero
(da "Trama verde sull’area" Edizioni Hellas, 1986)
Anna Vincitorio
Con mio padre
(L'emigrante)
La mamma scende l'ultimo gradino:
parla con ombre amiche e silenziose,
non cura più i germogli nel giardino
lasciando la tua tomba senza rose.
Incontra sterpi e rovi il mio cammino,
percorro strade squallide, insidiose;
vorrei cambiar la rotta del destino
per coglier fiori e spine in giusta dose.
Son chiusi dentro l'anima i momenti
vissuti insonni con la nostalgia;
perché le notti sciolgono i tormenti
se il vizio del fuggire è bramosia ?
Tu taci... questo pianto forse senti.
Ma è l'alba, e il nostro idillio porta via!
Roberto Mestrone
Dentro il brillìo d’argento di cornici
Arrivando in corriera ti vedevo,
seduto sulle panche della piazza
tra i vecchi del paese,
a riposare gli anni in cripte d’echi
piene di memorie e ripensavi
le passate emozioni andate in fumo.
Mani callose e cuore di velluto,
tu conoscevi carezze d’erba,
dolci voci di pollini e rugiade,
quando lo sguardo alzavi
a scandagliare il cielo
nei fuggevoli bagliori del tramonto.
Il sapore dei passi tu sapevi
che allungano le piane ripercorse
con ritmo lento per gettare il seme.
Ampio era il gesto e cadenzato
il tempo del tuo andare.
Sorridesti al mio primo balbettare,
sostegno all’incertezza dei miei passi,
pronto a fugare il peso delle prove,
ad insegnarmi il senso della vita,
la gioia del donare e del perdono.
Ora sorridi
dentro il brillìo d’argento di cornici
a me che vivo tra cenere di sogni.
Dentro parabole d’arcobaleno eterno
tu mi attendi, in un mondo di luce,
dove ancora l’ingresso mi è precluso,
tenebra sospesa sull’abisso
su cui poggia l’arcata dei miei giorni
– ormai quasi completa –
mentre intreccio menadiche danze,
volgendo il ciglio dove il giorno muore.
Padre
Alleggerisco il peso della terra
col ricordo di mio padre
rimasto nella sua zappa
che come un crocefisso stringo fra le mani
Apprezzo tra sudore e svelti fiati
il dono che da essa ricavo
Il mattino dura molto in campagna
perché inizia quando l’aurora
ha appena ingoiato le stelle
A cielo aperto si prega senza parole
fra gli orti si instaurano tenerezze
con parole mute di gesti antichi
(da Un albero che nutre la terra di cielo)
Giovanni Dino
Un altro inverno
Vedi come il tempo ci muta
e come sprofonda per esso l’illusione
d’aver per complice l’eternità.
Non so dirti padre mio
dove ho posato l’antica ascia
e dove riposa l’animo guerriero.
Un altro inverno si è adagiato
sul nido delle rondini
segnando così il mio volto
d’altra stanchezza greve.
Potesse ora il mio tempo sostenerti.
Ora che il tempo è abitato dal vero.
Sonia Giovannetti
Distacco
Pista morbida di voli e approdi
la superficie delle tue ginocchia.
Magico tappeto, da cui senza timore
ci libravamo in cieli arcobaleno.
E tu pilota mi facevi volare.
S’innalzavano le nostre fughe
e vuoto suolo lasciavamo a terra.
Sfiorando pavimenti di sole
invisibili ad altro sguardo,
complici atterravamo.
Impugnando le forbici della ribellione
e del contrasto,
l'adolescenza mia: fili recise.
Dal cielo l'aquilone cadde
dal vento trascinato.
Sopra un asfalto di realtà impastato.
Come uccello morto giacque.
Né più volò,
né tu con me,
né io con te.
Seppure sappia,
Padre,
che insieme
noi ancora voleremo!
(da Fiore di Loto)
Serenella Menichetti.
Un istante prima
A mio padre.
Quel giorno il sole bruciava
l’erba assetata di piogge
che dissolvono l’afa
negli spazi del cielo grigio,
e le ombre s’incontravano
lungo linee diritte
a disegnar paure di antichi anfratti.
Fu il solco che separò
la notte dall’alba,
pagine bianche di un libro
già scritto ma non letto,
oltre la luna il sole si nascose,
ed il grano cessò di maturare
per le stagioni distorte
e s’arrese alla gramigna risorta;
forse lo sgomento
del futuro già presente
svelava realtà concepite
nelle notti d’inverno,
sotto coperte intrecciate
di lane grezze soffocavano
i lamenti delle viscere,
ma la mente si ribellava
ai sogni infranti,
quasi il domani s’allontanava
lungo argini indefiniti,
l’acque che bevevo
erano lacrime mie.
Un istante prima
di gridare il mio nome
stringesti forte la mano
a legare per sempre
le radici col tempo infinito
nel silenzio dei fiati delle pietre.
Pietro Catalano
Sonnambulismo del cuore
a mio padre, Sergio
siamo dentro un improbabile mattino
c'è il sole e il cielo è più che azzurro
la svolta è là a un passo di cane
un ciuffo d'oleandro fiorito di rosa
s'intravede con la coda dell'occhio
mio padre guida la sua centoventisette
sono sul sedile di dietro e vedo la nuca
reclinarsi e tutto si ferma all'istante
chiedo se si senta bene o che cosa sia
ma lui riprende a guidare lentamente
è solo un barlume di follia a svolgere
la pellicola di un déjà vu mai stato
è solo l'emergenza di un sogno
mio padre è già morto da circa dieci anni
e la probabilità che io ancora non lo sia
è tutta scritta nel sonnambulismo del cuore
Maurizio Soldini
Padre
Il dito mi puntavi fra le stelle
o ad inseguire nomi
aguzzi di montagne.
E vola vola vola
regina dei giganti sulle spalle
Tra ciò che mi e' rimasto
e che non perdo
un orsacchiotto
con un occhio solo
il sole oltre la pioggia
in ogni giorno
la ruga sulla fronte
quella nostra
e l’ascoltare il mondo
rapiti
mordicchiandoci la bocca
ed ogni conquista nuova
da strappare
ridendo a capofitto
per la china
come l ultima goccia
amara e dolce
lasciata apposta
tutta da rubare
in fondo alla tazzina.
Anita Menegozzo
Non del padre…
Non del padre che è sempre disponibile,
non di quel padre vorrei che parlaste.
Se dovesse capitarvi, figlie mie
parlate del padre di tutti i giorni
perché voi non mi avete scelto
vi è toccato in sorte di avere me
come padre:
un uomo impreparato ad accogliervi,
ma pur sempre un uomo vero.
E oggi, che di me conoscete forza,
debolezze, valori e pecche
non pensate che sia stato per errore o per incoscienza
che siete venute al mondo,
il vostro vivere
non è frutto d’egoismo…
Così, sciogliete lentamente
poco a poco
quei legacci che ci uniscono
prendete il volo, andate per il mondo
con l’unica educazione che ho saputo darvi.
Vedete, un padre non sa perché fa figli
però deve insegnargli a vivere una vita tutta loro.
Per questo credo che il più bel dono,
se un giorno scriverete una poesia al padre,
sia che non parliate di me
ma che esprimiate la gioia di sapere
che c’è qualcosa in voi, che vi rende uniche.
Claudio Fiorentini
Guida i miei passi
Guida i miei passi - ti chiesi
fino a che piegare io possa
con l’anima libera da rimpianti
e vili suppliche
le lunghe ali d’ombra
i contorni perderne
nella dissolvenza dell’alba
presto - ti chiesi - fai presto
le lame del cancello
tagliano il mare d’erba
e il suo possente smalto
che legati ci tenne
sì da impoverire la lista della sorte
travasa il tuo respiro
che l’aria cruda infuria
fa che dal lungo torpore
un grumo di calore
o la fiamma d’un cero
ravvivi il bosco inquieto
rapaci esangui afferrai
con mille mani
è tardi - mi dissero
(fradicio giorno!)
di là del vano indugio
oltre il passivo freddo
sopra cunicoli
e sull’ingorda terra
(suprema contraddizione)
alto si gloriò il sole
col viso nella polvere
passo su passo
m’allontanai
tra soffi di gelido tepore
scivolai lieve da chi
- pur se in vita - al mondo tace
al tuo sguardo - padre
che l’infinita aurora sfiora
- promisi
alcun verme si nutrirà
del bulbo di asfodelo.
(dalla silloge “SINESTESI (grida e silenzi)” pubblicato nel 2008 dalla Bastogi)
Emma Mazzuca
Lettera a mio padre
(A più sereni cieli)
Ora che più manchi/ più non manchi
e la tua memoria a quest’ora
s’intride di luce
Anche qui, tra la folla/ intossicata di vita
vocii richiami applausi
mi tieni compagnia
Più presente di quando/ al mattino
ti alzavi già stanco e soffermavi
la mente/ prima d’iniziare il giorno
Chissà com’è ora il tuo giorno
che non sia un’andata senza ritorno
un sonno privo di risveglio
Qui nell’aria una strana dolcezza
e non è certo tutto quel che resta
e mentre la calma acqua del Fiume/ continua a incorniciare la città
ho in me il tuo abbraccio/ astratto, ma non per questo meno caldo
Sei tu che più non soffri/ caro
o il ricordo di te/ a rifiorirmi dentro
senza addio?
Ora che ti so quieto/ adagiato sulla parte di me
che t’appartiene
ritorno bambina, fresca e fragile
a scrivere “padre mio, ti voglio bene”.
(Da "I Quaderni dell'Ussero - Valeria Serofilli", puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2014)
Valeria Serofilli
Letter to my Father
(in skies more serene)
(in skies more serene)
Now that you are more missed/you are not missed
And the memory of you at this hour
Is steeped in light
Even here, amidst the crowd/drunk with life
Shouts cries applause
You keep me company
More present than when/in the morning
You arose tired already and stilled
Your mind, before starting the day
Who knows what your day is like now
May it not be a leaving without a return
A dream without waking
A strange sweetness here in the air
And certainly it is not all that remains
And while the calm water of the River continues to frame Pisa
I have your embrace in me/abstract but not less warm because of it
Is it you who no longer suffers/dear
Or is it the memory of you/that re-flowers inside me
Without a goodbye?
Now that I know you quiet/at ease on that part of me
That belong to you
I once again become a child, fresh and agile
To write, "My Father, I love you."(Traduzione in inglese di Emanuel Di Pasquale da "I Quaderni dell'Ussero - Valeria Serofilli", puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2014)
And the memory of you at this hour
Is steeped in light
Even here, amidst the crowd/drunk with life
Shouts cries applause
You keep me company
More present than when/in the morning
You arose tired already and stilled
Your mind, before starting the day
Who knows what your day is like now
May it not be a leaving without a return
A dream without waking
A strange sweetness here in the air
And certainly it is not all that remains
And while the calm water of the River continues to frame Pisa
I have your embrace in me/abstract but not less warm because of it
Is it you who no longer suffers/dear
Or is it the memory of you/that re-flowers inside me
Without a goodbye?
Now that I know you quiet/at ease on that part of me
That belong to you
I once again become a child, fresh and agile
To write, "My Father, I love you."(Traduzione in inglese di Emanuel Di Pasquale da "I Quaderni dell'Ussero - Valeria Serofilli", puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2014)
Ritratto del Padre
Sul pianeta Mercurio c'è un cratere
quello di Dürer e negli Uffizi
olio su tavola il ritratto del padre
a mezzo busto girato di tre quarti
verso sinistra sfondo buio
colbacco di pelliccia una maglietta scura
e una casacca viola larghi segni sul viso
la quieta coscienza
ora provi tenerezza nel guardare la figura
ti fa sentire più sicuro
ora sai quanto è difficile parlarne
qui per fortuna non ti chiedono parole
nemmeno di raccontare te stesso
così non hai bisogno di traslare storie
di un padre che sentivi come un salvacondotto
e di un figlio sedotto dalla ribellione
contrapporsi scindersi tenersi fuori separati distinti
nessuno slancio da parte sua a svelare l'anima
forse se stesso rivedeva nel figlio
era un suo diritto
nessun si sentirà di biasimarlo
una volta i padri erano fatti così
apparteneva il sentimento al pudore
ritenevano giusto esercitare la patria potestas
nessuna mancanza di generosità
adesso rimpiangi le tensioni di allora
vorresti che tornasse
la sua mano il suo sguardo volgesse
su di te perché ora sai obbedire
e tutto ti appare rispettabile
ma in quel tempo bramavi
quanto c'era di aspro di ribelle
non lo amavi abbastanza
Lui suonava il clarino e tu agognavi il pianoforte
l'Andante per corno e piano concepito da Richard Strauss
non sapevi a vent'anni che era un dono
del giovane compositore al proprio genitore
eppure era stato lui a guidarti
sui primi gradini delle scale dei suoni
nei suoi momenti preziosi
sospesi sopra il mondo attraversato
dalla tua impazienza
Fatica il figlio ad entrare nel tempo
da quando il padre non c'è più
e non c'è nulla che possa bilanciare
il tempo profano avaro di questa vita.
Ubaldo de Robertis
Caro papà
Com’eri piccolo e indifeso
in quel letto d’ospedale,
caro papà mio...
Io la mano ti stringevo
e un freddo ghiaccio
ricevevo
e ti dimenavi
in quel letto...
il tuo respiro
affannato
e la tua mamma
sì, mamma
tu chiamavi,
una sola volta,
poi l’ultima... basta...!
9 febbraio 2011
(Emanuele Marcuccio, Anima di Poesia, TraccePerLaMeta Edizioni, 2014, p. 31. Menzione dʼonore al 2° Concorso Letterario Nazionale “TraccePerLaMeta” (Recanati, 10 maggio 2014)
Emanuele Marcuccio
Padre, non t’odio
Via delle Volte
gioco di poche luci e molte ombre
tra gli archi acuti e i rivellini a vista,
strada da sempre di rubati amori
nelle stanze nascoste dove s’ode
soltanto il passo di un furtivo amante
risuonare guardingo sul selciato.
Si struscia un gatto sopra un paracarro,
un’anta di finestra s’apre appena ...
Via delle Volte silenziosa vena
d’una città che affonda nel passato.
Di fronte la gran torre a protezione
da orde sconosciute di nemici,
via Capo delle Volte proprio dove
qualche casa intestata era a mio padre,
mio padre
per il doppio cognome che io porto,
mio padre
per i tratti somatici del volto.
Per il resto estraneo anfitrione
alla mia mensa, non una carezza
un saluto, un piccolo ricordo,
già pronto per un soldo a rinnegarmi.
Padre, non t’odio e non ti ho mai odiato
in quanto ciò presupporrebbe amore
ma la parte del borgo in cui vivesti
mi è invisa più di aspide nell’erba.
Altre fonti mi hanno dissetato
altri lumi mi hanno dato luce
altri soli mi hanno riscaldato
e se un giorno un mio piccolo vessillo
sopra un pugno di terra sventolasse
d’altri avrebbe l’impronta e non la tua.
Carla Baroni Parmiani
Sulla soglia
Non so dire con parole
quel che per me sei stato
e quanto ti ho cercato
quando sono scappata
ora che sulla soglia
Non so dire con parole
quel che per me sei stato
e quanto ti ho cercato
quando sono scappata
ora che sulla soglia
tormentata dal vento
mi sai incutere insieme
mi sai incutere insieme
timore e tenerezza.
E tutto sembra adesso.
So che vorresti andare
per non dover subire
Il vuoto indescrivibile
E tutto sembra adesso.
So che vorresti andare
per non dover subire
Il vuoto indescrivibile
lasciato dalla mamma.
Non vale a confortarti
che il tempo é un'illusione
e che la vita é oltre. Ti resta
che il tempo é un'illusione
e che la vita é oltre. Ti resta
quell'immagine di lei
Sempre presente
tanto diversa da me
così inquieta e sfuggente.
E non puoi sopportare
che proprio lei sia andata
tanto diversa da me
così inquieta e sfuggente.
E non puoi sopportare
che proprio lei sia andata
quasi in punta di piedi ...
Ti prego di restare
ancora per un poco
fingendo che sia ancora tuo il momento
fingendo che sia ancora tuo il momento
in cui bambina ti correvo incontro
con la fiducia assoluta che in te avevo.
Comunque un finto tempo
con la fiducia assoluta che in te avevo.
Comunque un finto tempo
per poter ripensare l'infinito
come quel" nessun dove"
"dove " - puoi starne certo -
La mamma è lì che attende.
Anche se non ha senso
Anche se non ha senso
l'attesa senza il tempo...
Ma siamo sulla soglia.
Ma siamo sulla soglia.
Giusy Frisina
Nel nome del padre
Nel nome di mio padre è il mio sorriso,
nel nome suo vi stringo forte al petto;
lui vi direbbe “Entrate!” con affetto
donando la sua gioia ad ogni viso.
Nel nome suo, ogni giorno, pianto e riso
ricorderanno al mondo quel progetto
di pace, libertà, fede e rispetto
che con passione e amore ha condiviso.
Nel nome suo risplende la bellezza
dell’arte che si fonde al sentimento,
dell’anima che abbraccia la purezza.
Nel nome suo mi è dolce ogni momento
e nel suo nome scopro ogni certezza.
Perché lui vive in tutto ciò che sento.
Paolo Buzzacconi
La via del paese vecchio
Mio padre avvolto nel cappotto scuro
passeggiava con me
lungo la via del paese vecchio
quella che guarda il mare
distante
in fondo all’orizzonte verso nord
e c’era aria d’infinito in giro.
Dal colle si vedevano lampi
in lontananza
scendere sull’acqua
fulmini che ancora balenano
sulle nostre vite in attesa del sole.
Da Uno squarcio di sogno di Daniela Quieti (Tracce 2010 Collana Anamorfosi, Prefazione di Aldo Onorati, Introduzione di Ubaldo Giacomucci, Postfazione di Giulio Panzani).
Daniela Quieti
Come un pulsare lento
Annotta l’ora sulla tua veste buia,
l’ora dice il ritorno... hai staccato
il biglietto del viaggio, lentamente
varcando i cancelli, la soglia del nulla
fin dentro le ossa
ed io tendo le mani scavando a ritroso
relitti d’ombre sul cuore
come a fermare i pensieri
sul volto tuo che improvviso si volge
verso il ritratto
che ancora abbozzo a memoria
come un sacrario d’ossa, un tempio
franato nel fondo
e mi porgi le corde che legano gl’istanti:
un pulsare lento che distilla parole,
gocce lucenti sul tuo corpo eretto
come un menhir totemico
che trafora il buio,
che rimescola tutto e infine svapora
in una radiazione più lieve
fin oltre l’orizzonte,
nell’astratto.
Marisa Papa Ruggiero
La sedia di mio padre, tornato dall’ospedale
Una sedia nuova
braccioli fermi e schienale impettito
cuscino imbottito
una sedia sempre un po’ storta
come se avesse fretta
di scappare con le sue gambe
una sedia per amore e per destino
una sedia per il riposo
d’un guerriero ormai stanco,
un tramonto meraviglioso.
(Da I segreti dell’universo, CFR 2014)
Nadia Chiaverini
Sapessi, padre
Sapessi, padre, quanto ti ho cercato
col cuore trepidante di speranza
e quante volte il pianto ho soffocato
fra silenziose mura di una stanza.
Le melodie che mi porta il vento
m’aiutano, talvolta, a trovar pace
e si lenisce un poco il turbamento
mentre, la notte, sento la tua voce:
“Sono qui accanto a te. Come potrei
essere per un attimo distante?
Io sono il TEMPO. Non ti lascio mai.
Pur se non puoi vedermi, sono ovunque.
Nel NULLA ti trovai e con dolcezza
ti presi fra le braccia, figlia mia.
Il vento fu la prima tua carezza
e poi nel vento tu volasti via
fra le stelle del cielo o per le strade
di questa valle greve di dolore
o nel fascino arcano delle fiabe
per vivere le storie tue d’amore.
Ogni momento ti sarò vicino
finché nel NULLA tu farai ritorno
e guiderò, tenendoti per mano,
i passi tuoi finché avrà luce il giorno.”
Maria Ebe Argenti
A mio padre
Stanno cambiando le foglie,
il bosco ha nuovi colori,
i ciclamini perdono i fiori,
le mimose si sfaldano nel vento.
Tu hai qualche nuovo segno,
ombre care sotto lo sguardo,
resti di tenero argento
un po’ lento… per il caldo?
Un’altra stagione insieme,
il Dio dell’amore la concede:
stringi le nocche screpolate,
trattieni i dolori ormai scontati.
Sfogliamo le nostre storie,
resto certa di averti accanto,
sai quanto ho sempre voluto
restar nel bene e nel male al tuo fianco.
Stanno tornando le rondini,
il cielo, un acquarello in fieri,
la vita presenta i suoi conti
noi, caldi di rabbia, stringiamo i pugni.
Maria Rizzi
Preghiera al Padre
Vorrei essere mite, come i paesaggi d’acque
che consapevolmente hai tanto amato.
Vorrei essere forte come il fuoco dell’officina,
quotidiana fatica col quale hai convissuto.
Vorrei essere generosa come gli inverni di neve,
di silenzi laboriosi che per te gioivano.
Vorrei essere silenziosa senza impoverirmi di parole
di cui come te sono ingorda e innamorata.
Vorrei salvare la compassione, di cui sei stato maestro,
senza stolte inutili false indulgenze.
Vorrei amare, fare voti come se ci fossero dèi,
risposte certe, sogni ingenui come i tuoi.
Vorrei avere una casa, una chiave tutta nostra
e te qui con me per riempirla di felice senso.
Vorrei sognarti, padre, sereno come quando
mattiniero andavi ad erpicare, in solitudine…
Vorrei rivederti, padre, felice, in un giardino a primavera,
scialo inutile immotivato di luci e di colori.
Vorrei essere terra in attesa, acqua che scroscia,
vento carezzevole e bizzarro, indelebile carezza.
Vorrei perdonarti, Padre, che troppo presto ho perduto,
del non accordato permesso di andartene.
Mi sento vela sbandata e cerco inutilmente il mare,
esausta pellegrina senza spiaggia né approdo.
Ti penso guardando le eterne onde che vanno e vengono
stanche e gioconde, illuse di qualche senso di vita
Maria Grazia Ferraris
A mio padre
Ti ho visto soffrire in silenzio
E morire pregando
Volevi entrare nell’altra dimensione
Senza tristi lamenti
Ti ho visto morire
Così come eri in vita,bello e sereno,
nulla chiedesti alla vita
se non un sogno famigliare
sei stato accontentato.
Ti ho visto morire
Coraggioso e fedele.
Ora spiega cosa vedi dall’altro lato
A noi che non ti imitiamo
Ti ho visto morire,uomo vero,
e sulla dolente lapide il mio sorriso
Flavio Vacchetta
Passaggi
Mio padre, stanco la sera,
con la schiena adagiata allo stipite dell’uscio,
al chiarore della luna nella quiete,
elargiva in dono ai miei anni vivi dettami di vita.
Impartiva alla mia coscienza, intatta allora,
il suo modo giusto di vivere da uomo
con un amore che solo al ricordo mi commuove,
perché domani, sperava, facessi altrettanto.
“ Ama la vita, mi diceva, tutti e tutto,
la famiglia è sacra, tanti amici onore,
e ricordati che il perdono ti fa migliore e giusto,
il lavoro una benedizione e totale deve essere
il sacrificio per il tuo domani, per la casa e i figli.
Divenne un rituale cui facevo fatica
tendere l’ascolto ogni sera
canzonando ogni dire tra me e me
di quei canoni astrusi al mio tempo di fanciullo.
Scivolarono d’incanto quei giorni e gli anni,
mio padre da tempo mi guarda dall’alto
e nel ritrovarmi anch’io con la prole
scopro che è pure fatica sedare di questi
il vivo del mio sangue fatto nuovo;
impartire stanco dopo cena, con la TV accesa
e il calore radiato fino al quinto piano,
massime e segreti perché domani anche loro
- figli senza piume ancora nelle ascelle –
sappiano del giogo che li attende.
Ma spesso eluso dagli eventi, dai miei simili deluso,
dopo aver messo quei dettami alla prova,
mi faccio alieno ad ogni cosa,
e nel guardare negli occhi i miei figli
che hanno voglia di vivere e scoprire
(come al mio tempo irripetibile)
non so, non so proprio cosa dire.
Pasqualino Cinnirella
I Padri
Ci possono insegnare molte cose i Padri,
cose che non hanno significato compiuto
ma solo comunicazione emotiva,
hanno una dimensione teatrale,
cui aspiriamo o che rifuggiamo.
Ah! Se potessero esistere
solo se li avessimo amati,
se loro ci avessero amato!
Non sempre offrono la mano
e aiutano ad attraversare boschi oscuri,
ti accarezzano, spesso, con tra le dita aghi pungenti.
Raccontano storie che scricchiolano,
sono aironi con ali spezzate che non sono in grado
né di volare alto in azzurri cieli,
né di planare su pianure erbose e fresche.
Abbiamo bisogno del loro calore,
ma essi stessi non sanno come scaldarsi.
Poveri Padri temuti ed odiati,
deboli Padri che ci hanno deluso.
Padri che ci hanno spinto fuori dal tepore della tana,
ma non ci hanno insegnato strade nuove e sicure.
Pochi di loro conoscevano la verità
e rispondevano al cenno della nostra mano,
mentre ci allontanavamo.
Noi, figli, siamo quello che
i loro pensieri hanno stampato.
Ivana Tata
Ode a te, O padre
Ode a te, O padre,
in nome dei denti che tu sai,
del setto deviato,
del manubrio sganciato di bici nel roveto,
della corteccia di ciliegio che da figlio dabbasso ammirasti,
in nome della mano santa di madre che ti diede prontezza
quel giorno sul ponteggio,
fra i capelli tuoi ricci di selvaggia giovinezza
che mia madre amò senza incertezze
con potenza di mare,
Ode a te, O Padre,
io riccia, marittima, roveto, ciliegia.
Aurora De Luca
di padre in figlio
di padre in figlio s’ereditano certe qualità, mentalità, ch’è un fatto di eternità
di padre in figlio s’ereditano certi vizi e sollazzi, ch’è soprattutto un fatto di dna
stavo costatando che di padre in figlio si fanno anche certe grosse scemità,
che lì è davvero sempre, sempre questione di avidità, atrocità, terribili verità
e invece a dispetto di tutto, di padre in figlio c’è chi esporta giusta moralità,
responsabilità, normalità e molta, molta diversità che fa più bene, passarla lì
per le vene, nella lotta dei cromosomi, le varie opportunità di essere come lui,
e nello stesso tempo e con lo stesso rispetto di diventare proprio diversi da lui,
quando tutto ciò è soprattutto per una sostenibilità fisica, degli stessi occhi,
stesse mani, stesse sopracciglia, stesse allergie o per una sostenibilità mentale,
stessa delicata forza, stessa solidità, stessa voglia di lottare e di lavorare
ch’è soprattutto un fatto di rivalità, pensare che di padre in figlio succede che
certe generazioni si muoiono le vecchie nelle nuove, e che continui la vita
senza o con bancarotte fraudolente con eredità di gestualità, meraviglie
dell’umanità, di padre in figlio si commettono tante voracità di vedute,
e scarsità di sguardi, nascosti sotto veli, avvolti da crocifissi, ma anche
quando non c’è proprio niente di così grande da trasmettere, cioè nessuna
questione da spiegare la funzionalità di certi massimi sistemi, allora lì
proprio qui, c’è un sorriso, lo stesso misto a una lacrima che non ti lascia mai.
Ambra Simeone
Partire alla ricerca del padre
Un viaggio mi aspetta, lettore,
verso lidi che non conosco.
Non so come io sia giunta sin qui
dove nulla mi sorregge
non il mare, non la terra
non dunque una qualche “verità”
quanto piuttosto la menzogna dell’inchiostro
traccia fili sottili in nodi di pensiero
a tenere stretto un legame
come una gomena tiene
al molo un natante, così sciolgo
la cima dei dubbi, uno alla volta.
Non il mito sorregge la mia passione
quella che parte dal nome, padre,
né evita o lenisce gli ostacoli riemersi.
Dal nome cerco il senso andando
nella direzione dei venti. E parto.
Giuseppina Di Leo
Lettera a mio padre
Non fosse altro
che per il cromosoma eletto
per me scelto
che ti sono grata, padre.
Mi hai voluta femmina
e femmina in tutto sono stata.
Sempre a cercarti
nei miei voli alti di farfalla,
vestirti a festa,
sotto le ali confonderti nei tratti.
Scovare in altri amori
parole e forza che pensavo non avessi,
scoprire solo adesso il senso del disegno.
Non era in te, padre, il difetto.
Correre allora ad inseguire il tempo,
quel poco che rimane
per prenderti la mano.
Ora ti prego
non farti in fretta figlio,
è nell’anima tua bianca
che tanto, ti assomiglio.
Annalisa Rodeghiero
Il tuo ricordo
Esiste un silenzio fatto di ricordi,
ricordi che ci accompagnano,
nei giorni legati con l’eternità.
Mi piace raccontare di te Padre,
adesso che sei un angelo,
posato sulla mia spalla.
Leggero volasti via in una notte
silenziosa, in quella solitudine
tua fedele compagna di vita.
Mi consola pensare che i tuoi occhi
passarono nel sonno il piccolo varco,
senza l’ultimo battito di ciglia
Quando ti raggiunsi eri solo aria
la crisalide vuota giaceva serena.
Ritorni spesso, il tuo ricordo
mi accarezza i grigi capelli
avvolto nel tuo sorriso,
quel sorriso che regalavi spesso
nei sussurri delle tue parole
spesso dicevi "devi avere pacenzia"
per comprendere la vita.
Quel tuo sguardo compassionevole,
lo avverto osservarmi in silenzio.
Adesso, vai nel campo del Signore
a spasso con i tuoi segugi,
e senti il profumo dei fiori
che circondano i tuoi passi,
in quel campo vorrei ritrovare
il tuo sorriso e il tuo abbraccio paterno.
Vieni a trovarmi ancora nei miei sogni.
Francesco Casuscelli
Foresta spoglia
“Ninna nanna
nanna bella
tesoruccio di papà
Ninna nanna
nanna dolce
la mia bimba
ora farà…”
Così intonava
per destar Morfeo
e l’esercito suo
di sogni.
Cullavan le parole
un abbraccio d’amore,
accogliente rifugio
alle intemperie
d’un mondo ostile.
Fioche luci s’accendono
su ingenui ricordi,
poi svaniscono,
radi,
come foresta spoglia
a primavera.
© Giorgia Catalano
Padre
Padre
quando mi lascerai
con la ferita nella schiena
e con l'amarezza della mia età
non morire nell'eternità di questi cieli
perché solo sarà mio il peso di quest'infanzia
mai più goduta
né la rabbia di un tuo sorriso
Quando tu mi lascerai
il dolore non sarà tanto dolore
quanto aver perso parte della vita
e il sapore di quei pochi incontri
saranno pietre a ricordare
la mia solitudine
Non andare
con l'abbandono di questo figlio perduto
Nella bocca
c'è sempre il freddo di una morte incatenata
Giannicola
Ceccarossi
A mio padre
I ceri silenti
nella vuota Cattedrale
piangono lacrime roventi
sui calici dei candelabri
per te e per me,
unica, vana speranza
di un impossibile legame
tra la vita e la morte
nell’assurdo delirio
che la tremula fiammella
possa illuminarlo
nella via dell’Eterno.
Null’altro ci resta
se non il ricordo
di una vita passata
e l’angoscia
di una verità negata.
Claudio Vicario
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