Tre donne intorno al cuor mi son venute
(ed erano poetesse)
Il primo incontro di mio padre, Giorgio
Manganelli, avvenne in giovanissima età. La madre, Amelia Censi, diplomata
maestra elementare nel 1905, quando le figlie femmine non andavano quasi mai a scuola,
era donna di grande cultura e, ovviamente, scriveva poesie. Amelia ebbe una
grande influenza sulla vita culturale, artistica, professionale e, ahimè, anche
privata e sociale, del secondogenito.
Ma del tormentato rapporto di mio padre con sua
madre e del reciproco scambio artistico parleremo nella prossima puntata.
Oggi fermiamo la nostra attenzione sulla relazione
fra mio padre e quella che fu poi sua moglie nonché mia madre.
Giorgio conobbe nel 1944, all'età di 22 anni,
Fausta Chiaruttini, di un paio d'anni più vecchia e già laureata. Mia madre era
bellissima e Giorgio ne rimase folgorato. Ma ecco che, a tradimento, la poesia
rifece capolino: mia madre era parente alla lontana di Franceta Prešeren (o
Preschern), il maggior poeta sloveno (documentatamente sloveno). All'inizio
tutti pensavano ad una leggenda metropolitana, finché Fausta Preschern e il
padre Antonio (nato a Buje detto anche Lussimpiccolo) lasciarono Trieste,
allora territorio libero, per trasferirsi a Parma. Antonio, teoricamente impiegato
statale, ricevette l'ordine di sostituire il cognome straniero con un cognome
italiano. Pensò, come molti, di italianizzare il nome - mia zia da Buic divenne
Bucci e il gioco era fatto. Dalla Slovenia arrivò il veto: il nome Prešeren o
Preschern non può essere toccato, è quello del poeta nazionale, paragonato al
nostro Giacomo Leopardi. Mio nonno assunse allora il cognome assolutamente
friulano della madre, Lucia Chiaruttini.
Fausta, divenuta Chiaruttini, sfollata
momentaneamente a Zogno, nella bergamasca, incontra Giorgio, arruolato nei Lupi
di Toscana, soldato senza moschetto, ma armato solo di libri.
Mia madre, al momento, lo snobba. Lo prenderà in
considerazione solo quando Giorgio entrerà nella Resistenza e andrà in giro con
due moschetti e tre pistole.
Fausta, finita la guerra, riprende l'insegnamento
(è insegnante di italiano e storia), Giorgio fa fatica a inserirsi, la guerra
l'ha segnato, ci metterà una vita e non ne uscirà mai del tutto. Scrive
recensioni, crea un salotto letterario molto ben frequentato, in casa propria.
Fausta invece inizia a scrivere, brevi racconti,
con cui più avanti vincerà alcuni premi letterari minori, e scrive poesie.
Poesie che provocheranno la prima vera crisi coniugale della copia (vivevano da
separati in casa, ma non litigavano mai) il giorno in cui Salvatore Quasimodo,
frequentatore abituale di casa nostra, letta una poesia di mia madre affermò:
«Giorgio, ma tua moglie scrive meglio di te!».
La poesia non abbandonerà mai la vita di mio
padre: come già sappiamo, ne abbiamo già parlato, incontrerà Alda Merini, con
cui avrà una tormentatissima relazione, ma questa sarà poi tutta un'altra
storia.
Amelia Manganelli
Poesia
intensa, vitale, di plurale connotazione umana, dove il verso, con tutta la sua
euritmica armonia, abbraccia gli input emotivi di Fausta Manganelli, madre di
Lietta e moglie di Giorgio Manganelli, famoso poeta e scrittore già presente su
Lèucade. Una silloge che copre ogni vicissitudine: l’amore, l’inquietudine di
fronte al mistero del vivere, il memoriale, la realtà contingente, thanatos, il
pensiero, l’assenza, la solitudine, il silenzio… Insomma la vita in tutto il
suo dispiegamento di ontologica portata. E quello che maggiormente convince di
queste poesie è la penna di un’autrice adusa alla scrittura; la maestria nel
fare del verbo il meccanismo di indagine, di psicologica intrusione nei meandri
dell’anima: la precarietà dell’esserci, il fuggire del tempo, il volo dal basso
verso la grandezza del divino; sì, un rifugio che Fausta trova, dopo travagli
esistenziali, fra le braccia della luce per sopperire alle micragne della vita. Si parte dai minimi
accidents, dalle comuni vicende, dalle apparenti occasioni per costruire una
scala i cui gradini la innalzino alle soglie dell’azzurro. E’ in questo azzurro
che la Nostra trova la pace e la quietudine di una vita non sempre liscia e
scorrevole come d’altronde accade per ogni essere vivente. “Cos'è un uomo nella Natura?/ Un nulla davanti all'infinito,/ un tutto
davanti al nulla,/ qualcosa di mezzo tra
il nulla e il tutto” scrive Pascal.
E Ovidio: "Est Deus in nobis. I poeti abitano in un loro mondo, in una repubblica
delle lettere in cui come diceva il romantico Berchet tutti sono concittadini
indistintamente”. Credo che queste citazioni siano ad hoc per delineare in
poche parole la spiritualità complessa e inquieta di una voce poetica di
notevole valenza, volta ora alla conquista degli spazi, ora al vagare di un
pensiero, ora ai vertici dell’ombra, ora alle infinite miserie degli umani,
ora al manto della Madonna, ora alla ricchezza dello spirito, ora ad un angelo
triste solo tra alberi, ora alle mille strade della città, ora ad una strada
piena di nebbia, ed ora ad “un'antica città
dalle mura quadrate, /con molte chiese/
dove (tu) adori i tuoi idoli/di antico bronzo./ Io sono una città/nuova/ di
grigi mattoni/ e non ho chiese/ né altari di marmo.”. Un polisemico ventaglio
di intrusioni epigrammatiche in cui simbolismi e iperboliche sinestesie traducono una
coscienza tesa all’interiorità.
Nazario Pardini
Poesie Mamma Fausta
A Trieste Italiana
L'amore
Un lungo sogno
azzurro,
in una vita amara.
Il manto della Madonna
sopra un manichino
di cera.
La Notte
Dolce nella notte
la presenza
delle cose
che subiscono il futuro.
Dolce la quiete
dei mortali.
Solo Dio veglia,
non c'è notte
per chi non ha futuro.
Solitudine
In una calda
notte d'agosto
nel silenzio
di un riposo non concesso
piango per la tua debolezza
padre
che non mi hai difeso,
per la tua nevrosi
madre
che non mi hai aiutato
e mi rammarico
di non avervi compreso
veramente
vagheggiando
la vostra immagine
con amara dolcezza.
Il sogno
Si ruppe stanotte il mio sogno
nell'arida fossa del vero;
aveva dolcezza di prati
distesi nel sole,
colore di fonte che sgorga
da un muschio di monte.
Ardeva nell'anima cupa
tenue fiammella di vita.
Murata la tomba del sogno,
rimane l'occhio che scruta
nell'immobile eternità.
Candele
Una domenica d'estate
in una chiesa di campagna
accesi tre candele
per onorare i miei morti
ed essi mi seguirono
in silenzio
e stettero con me
sino a sera.
A notte si allontanarono
per non disturbare il mio
riposo
ed io rimasi consolata
perché ormai sapevo
che essi rimangono con noi
e basta una candela
accesa con amore
per richiamarli alla luce.
Le due città
Tu sei un'antica città
dalle mura quadrate
con molte chiese
dove adori i tuoi idoli
di antico bronzo.
Io sono una città
nuova
di grigi mattoni
e non ho chiese
né altari di marmo.
Tu non puoi dimorare
nella mia città di grigi
mattoni,
non puoi vivere senza chiese.
Io non posso rimanere
nella tua città
dalle mura quadrate;
non posso murarvi
il cuore del mondo.
Amaramente
Amaramente scruto la ricchezza
dello spirito arguto che mi
inebria
di tutte le dolcezze della
vita.
Le spirituali soavissime
esistenze
che si effondono dall'anima divina
si confondono in un tragico
groviglio
di coscienze esauste e
demolite
e mi rifugio nell'amaro fuoco
dei frammentari nulla
misteriosi
su cui fioriscono le erbe
inaridite
delle passioni sterili e
fugaci.
Un buio immane invade il mio
pensiero
che si fa larva di fantasie
malate
e denuncia la miseria degli
umani.
Un angelo triste
Un bosco di alberi
fitti
chiusi in spesse
cortecce:
questa l'umanità.
Da una corteccia all'altra
comunichiamo
per porte segrete.
Tu sei un albero
senza corteccia,
con tutti noi comunichi
noi, alberi fitti
chiusi in spesse cortecce.
Ma per porte segrete
non possiamo comunicare con te
albero senza corteccia.
E questo è dolce e triste
sapere che ti cerchi
senza trovarti mai,
un angelo triste
solo
tra alberi fitti
chiusi in spesse cortecce.
La grande città
La grande città mi accoglie
nel suo grembo
sinuoso.
Mi riscalda con l'abbraccio
delle mille strade.
Mi nasconde
ignota
nelle cento piazze
dove si ammassano
senza volto
gli abitanti della grande
città.
Non conosco che l'inquilino
del mio stesso piano,
non vedo che i volti
sorridenti e anonimi
degli uomini che si adagiano
nel dolce seno
della metropoli.
Per chi vive ignoto
è dolce morire,
un lungo sonno tranquillo
tra mille tombe sconosciute.
La vita
Avvertire nel proprio tormento
le infinite miserie degli
umani,
sentire nelle proprie lacrime
la faticosa pena
dell'esistere,
unirsi nell'amara quiete
all'urlo della folla;
bramosa di vita
corre alla morte che l'incalza
e non sa che questa non è
vita.
Vita è fiorire tranquillo di
pensieri
fiducia nell'altezza della
mente,
fermarsi docile del tempo
dinanzi all'anima immortale.
Sola, nell'immutabile
silenzio,
essa incontra la vita
e sorride della propria
cecità.
La conquista dello spazio
Stanchi di vagare fra le
rovine
di millenarie storie
sanguinose
procederemo lievi nell'eterno
dove s'infrangeranno le
richieste
dei sensi innamorati della
terra
Negli abissali spazi della
luce
ritroveremo il senso della
vita
libera, finalmente, ed
inesausta,
docilmente persuasa di morire.
Il pensiero
Chiuso fra le barriere
dell'esistere
vaga il pensiero solitario
compagno dell'assenza,
deviando dai facili percorsi
tra muraglie di case
sconosciute.
Nel silenzio dei sensi
addormentati
trova un sentiero luminoso
vuoto ed immenso.
Casta divinità, che infrangi
le leggi esatte dell'esistere
e poggiando su criteri
d'infinito
sveli alte dimore di silenzio,
quando abbandoni la tua strada
d'ombra
trascorri nell'eterno
oppur tu anneghi
in un vano labirinto
di silenzio,
casta divinità?
L'ombra
Io cerco nelle strade del
silenzio
la ferma mano che vi pose
Iddio
e mi collego ai vertici dell'ombra.
Ombra deserta follia
desiderio segreto della mente,
noi ti invochiamo:
distruggi le squallide larve
gli innumeri intrichi della
luce,
ombra deserta follia...
Il mio principe
La strada è piena di nebbia
gli alberi sembrano fantasmi,
i fari abbagliano la vista.
Una brusca frenata interrompe
il mio pensiero.
Come si può mio principe
spegnere la giovinezza
senza uccidere la vita?
Le strade sono affollate di
uomini, di donne
senza anima, senza cuore,
senza sangue.
Le strade sono piene di morti
agli angoli vagano le ombre
Ma per chi vive non c'è
speranza
prigionieri delle leggi del
passato.
La giovinezza non concede pace
e non si può morire.
Le insidie hanno occhi spenti
grossi brillanti nelle bianche
dita.
Ma tu, principe, anima, cuore,
sangue
tu attraversi la nebbia della
strada:
tu sei la luminosa giovinezza
il dolce sogno della vita
vera.
Scomparsa è la nebbia dalla
strada
tu indichi le stelle:
sono lacrime di donne
innamorate
e mi metti una mano sulla spalla.
Questa magnifica, arricchente e, al tempo stesso, terribile storia, mi ha riportato per un attimo alla mente Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti. Non erano sposati, il paragone si riferisce soltanto all'allontanamento che Gozzano mostrò nei confronti di Amalia quando prese atto che era una grande poetessa. E mi chiedo come si possano coniugare i sentimenti positivi, che inducono a scrivere versi struggenti con l'invidia nei confronti di una donna. Chiedo perdono ad Amelia Manganelli, che narra la sua storia di vita palpitante e intensa, a Nazario, che introduce le liriche della madre di Amelia con l'acume, la capacità critica e la capacità di scavo che lo caratterizzano, per non essere entrata in argomento in modo dignitoso. La vicenda mi ha spinto sul tasto dell'invidia, l'anti - sentimento per eccellenza e sul maschilismo, che ha precluso a troppe donne la giusta valorizzazione letteraria. Poi ho letto i versi... Amo le poesie brevi, che sanno racchiudere interi universi in poche righe, senza ricorrere all'iperverbalità, all'opulenza. "Il mio principe", pur lunga, non tradisce i criteri dell'impatto emotivo immediato, dell'assenza di enfasi, di 'pulizia'. L'Autrice non ha bisogno di ricorrere a similitudini, a metafore, per concepire liriche tecnicamente purissime e contenutisticamente atte a trafiggere, a permettere al lettore di entrare in immediata empatia con il Poeta. Sarà molto interessante apprendere il seguito di questa storia e ringrazio di cuore Amelia, la madre Fausta e Nazario, per averci concesso una pagina di così alta letteratura.
RispondiEliminaMaria Rizzi