giovedì 24 agosto 2017

MARCO DEI FERRARI LEGGE: "LA MIA CASA" DI N. PARDINI



LA CASA DEI “SEGNI” LIRICI
 di NAZARIO

Marco Dei Ferrari,
collaboratore di Lèucade

Il “ritorno” poetico di Pardini in questa lirica narrante si consolida nella “virtualità” di gesti familiari e di radicamenti segnici indimenticabili.
I nonni sono i protagonisti con la “mediazione” dialogica del padre e ripetono nei versi la gestualità di un rito strutturato in presenze necessarie ed ineludibili. Le stanze, un tavolo di ciliegio, un matterello, la ventaglia, il carbone, il paiolo sono oggetti/soggetti segnici che incidono l'arte del Poeta trasformandone la realtà oggettiva in sintomo soggettivo di intuizione armoniosamente lirica. E' una vera “rivoluzione” dei significati-significanti che abbraccia ogni “capitolo” della vecchia casa degli avi e rinnova nel gesto l'indispensabile connubio oggetto-soggetto per porsi svolgimento interiore di una verità storica. In altri termini l'“oggetto” in questa casa “vive” il proprio progetto di destinazione, incardinata nell'emozione del creativo, ma non è solo.
Infatti la Natura qui appare molto intensa nel suo vorticoso fluire: dal ciliegio reciso alle faville in altura, dagli schiocchi d'artificio all'inverno che Pardini anima eccezionalmente accostandolo alla campagna “candida come il latte”... Una campagna che si rievoca con il nonno del Poeta in galline schiamazzanti e faine fuggiasche.
Ma l'artista non si ferma alla narratio naturae; procede su orizzonti più lunghi e lontani che ci lasciano scorgere metamorfismi soggettivamente reali (campi bianchi... fiocchi lievi...) realizzati da “storie” vere, strutturate su “materiali” di svariate certe tipologie come la personalità del Poeta, la tradizione, un linguaggio specifico. Infatti l'arte di Pardini è anche modalità formativa/interpretativa, è un movimento morfologico di liricità interna presente come componente nelle relazioni visibili ed invisibili, abituali - inusuali riferimenti della antica casa. La casa-”icona” a testimonianza di eventi nel tempo dello spazio concesso a trisavoli, nonni, genitori che affiorano dalle “forme” di un verbo o di un sostantivo o di un aggettivo e che sostanziano “forme” diverse e derivate (la scia della torcia... l'occhio dell'inverno... lo sprofondare dei piedi...). Ma il segreto più profondo di questa “casa” pardiniana è la connessione degli “insiemi”, dove ogni ricordo si manifesta in un altro, trascinando esempi di esseri e cose nella circolarità di un atto individuale che connota la “parola” e la destina alla sensibilità raffinata di un vero “cultore/ricercatore” quale è Nazario.
E' la rivincita del lirismo “aperto”, dove le parole non si afflosciano nella semplice dimensione monocorde della memoria, bensì si multiformano evocando azioni, gesticoli, condivisioni di scenari che un sito (colonico) codifica e vertigina in nomi , simboli, oggetti, animali, fenomeni naturali, ritagli di impressioni e sentimenti custoditi con sommesso rispetto. E' un comunicare di natura “semiologica” per un artista sempre in divenire che si confronta nel conoscersi per non conoscersi mai: Nazario Pardini.

                                               Marco dei Ferrari



La mia casa

- Perché mi parli sempre di una casa
di due stanze con nell’ombra un po' in disparte
un focolaio a struggere un gran ciocco
pigramente; e di un tavolo nel centro,
smisurato, costruito con il legno            
di un ciliegio reciso; e della nonna  
a stendere la pasta al matterello                  
o a usare la ventaglia sul fornello
a carbone che spolverava cenere;          
e degli oggetti in rame; e lungamente
di quel paiolo adorno di faville
che s’immillavano in alto. Le volte
che mi hai parlato della vecchia casa
in cui abitavi, padre, saran mille. -
- Ma guarda che mia madre era tua nonna,
anche se mai l’hai vista! E quel camino
era meraviglioso coi suoi schiocchi.
Sembravano dei fuochi d’artificio.
- Sì. Me l’hai detto. - - Allora ti  racconto
dell’inverno mio amico. Penetrava
frusciando da fessure, s’inoltrava
nella stanza, poi andava alla finestra.
Alzava la tendina e in cuor gioiva
di vedersi l’autore, tutt’intorno,
di una campagna a stelle in filigrana
candida come il latte. Parlavamo.
Quante cose diceva. Poi tuo nonno... -
- Cosa faceva nonno? - - A tarda sera
andava con la torcia sulla neve.
Vedo ancora la scia. Io credevo
lo facesse per gioco. Quando vecchi,
si ritorna bambini. - - E invece? - - Udiva
gli schiamazzi di galline. Andava giù,
rumoreggiava intorno e le faine
prendevano la strada per i campi. -
- Le faine? - - Allora t’interessa
la mia casa. - - Sarei proprio curioso
di vederne le stanze, i campi bianchi
della neve notturna e i fiocchi lievi        
fruscianti sotto l’occhio di un inverno
che racconta le storie. E tu ci andavi     
nel candido cortile o per il prato
a sprofondare i piedi con tuo padre? -

 da Alla volta di Lèucade, Baroni Editore, Viareggio, 1999





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