lunedì 13 agosto 2018

GIANCARLO IACOMUCCI LEGGE: "RIBALTAMENTI" DI F. CAMPEGIANI




Nell'ambito della Rassegna "Cinema & Libri",
 presentato il 9 agosto all'Isola di Roma
“RIBALTAMENTI” DI FRANCO CAMPEGIANI
Questa la relazione di Giancarlo Iacomucci (Litofino)

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade


In primo luogo spenderò due parole sul contenitore, il libro. Un buon libro per gli standard attuali, scritto molto bene, in una veste classica, un’ottima carta, un bel carattere, ma soprattutto piacevole al tatto, il che non guasta perché è un libro che va letto e riletto, un contatto prolungato nel tempo necessario per entrare nelle profondità di pensiero di Franco Campegiani. Ho apprezzato molto le pagine bianche iniziali e quelle che introducono ogni informazione. Quelle pagine sono come il silenzio necessario prima di uno spartito musicale, ma passiamo al contenuto. Il lavoro di Franco inizia con una frase di Eraclito: “la trama nascosta è più forte di quella manifesta”.  Questa frase mi ha subito conquistato perché Eraclito fa da collegamento tra la mia ricerca personale legata a Michelangelo e la filosofia di Franco molto vicina a quella del grande filosofo. Vi spiego perché.
Ricordo che nelle stanze vaticane, Raffaello nella “Scuola di Atene” rappresenta Michelangelo, pensoso e appoggiato sopra un blocco di marmo fuori prospettiva, nelle vesti di Eraclito. Questo espediente pittorico è usato da Raffaello per indicare all’osservatore l’unione di pensiero tra i due, evidenziando per entrambi la caratteristica di essere poco allineati al sentire comune. Questa vicinanza tra Eraclito pensatore e Michelangelo artista, con le dovute cautele e distanze, si può ripresentare anche tra Franco e me, e le nostre rispettive ricerche. Così, per analogia, posso comprendere e condividere molto del pensiero di Franco. Inoltre la trama nascosta, che è più forte di quella manifesta, come dice Eraclito, conferma tutto il lavoro segreto fatto da Michelangelo, da me evidenziato ma ancora sconosciuto, e conferma la chiara visione di Raffaello nei riguardi dell'anima del suo collega Michelangelo.
Visto che parliamo di anima spendo due parole su quella paginetta che Franco scrive come premessa al suo lavoro. In quella pagina l’autore ci presenta la sua anima, confessa che scrive solo per se stesso e dice: “Il mio desiderio più vivo… è che il lettore sappia scrutare tra le righe… dimenticando l’autore, per andare alla ricerca di se stesso e della propria verità interiore". Questa è la trama nascosta che fa da fondamento a tutto il saggio. I mezzi che usa per raggiungere questo scopo sono molteplici, fin dalle prime righe ci ricorda che l’uomo è relazione: relazione con gli altri ma soprattutto con se stesso. Se salta questo importante dialogo, salta la causa prima, salta il primo anello della catena e ci si perde nell’analisi degli effetti collaterali perdendo l’occasione di conoscersi. Come scrive Franco: “L’uomo può ingannare il mondo intero ma non può ingannare se stesso”. A meno che non reciti, ma l’attore comunque sa di recitare.
E’ un dialogo allo specchio dove non c’è spazio per le bugie e noi siamo sempre lo specchio dell’altro, sia corporalmente che interiormente. Questa relazione va al di là del tempo perché il confronto è sempre possibile con noi stessi nel presente vivente. L’autore ci presenta sempre coppie di parole e di situazioni apparentemente opposte, come corpo e anima, primo capitolo del libro, bianco e nero, maschile e femminile, sapienza e conoscenza, pensiero e ragione, ecc. ecc. per poi spiegare (spaccando il capello in quattro) in quante trappole mentali siamo caduti e ce lo mostra attraverso l’esperienza vissuta,  dimostrandoci che la mente mente a se stessa, dandoci sempre e comunque la soluzione che ricava dall’equilibrio, equilibrio dei contrari, altro fondamento portante di questo libro.
Quello di cui l’autore parla fa parte di una sapienza che noi definiamo universale, perché deve andare bene per tutti in quanto siamo materialmente uguali e sulla base dell’anima siamo fatti ad immagine e somiglianza del divino che è contemporaneamente dentro e fuori di noi. Campegiani ci insegna, leggendo il suo saggio, a parlare con questo divino in noi che non si trova nei libri, neanche in quelli di teologia. Per farmi capire faccio un’analogia, prendendo in prestito dall’autore due parole, sapienza e conoscenza, di cui tratta approfonditamente. Sembrano sinonimi quando invece possono essere due cose diametralmente opposte. La conoscenza può essere forviante perché, ad esempio, uno può conoscere tutto sul nuoto, aver letto molti libri, conoscere la teoria, ma se si butta in acqua può affogare perché non sa nuotare, il che equivale a non saper parlare con la nostra parte divina.
Ecco la differenza tra sapere e conoscere. Franco, sulla base della sua esperienza, fa emergere questo sapere, chiaro, limpido e oserei dire incontestabile. E si sporca le mani, fa le cose in prima persona e non per sentito dire. Nel bellissimo capitolo “Civiltà della terra” dimostra al lettore che l’homo sapiens sapiens è diventato homo stupidus, stupidus, stupidus, un capitolo smascherante e chiarificatore dei processi intercorsi nei secoli tra la madre terra e l’umanità. Un riconoscimento corretto del buon funzionamento sempre e dovunque di quelle radici profonde dell’uomo terrestre in quanto abitante della terra e non del progresso vampirizzante delle tecnologie che vede il campo come un semplice substrato per fare i propri esperimenti senza nessun rispetto per la madre terra che per forza di cose, riequilibrandosi, bastona l’aspirante stregone per correggerlo.
L’autore chiarisce che il suo non vuol essere assolutamente un ritorno al passato, ma un vivere il presente con conoscenza di sé, senza prevaricazioni nel rispetto della madre terra. Una saggezza atavica. Solo la sapienza è creativa in quanto offre conoscenza di prima mano attraverso l’armonia dei contrari. E
ci spiega chiaramente che noi tendiamo sempre a trovare l’armonia tra i simili. Questa è ovviamente una forza molto potente, crea gruppi, crea partiti, in definitiva crea eserciti che per forza di cose finiranno per combattere tutti quelli che non la pensano come loro. “L’accordo sta nel disaccordo stesso” dice Eraclito. L’autore spiega che siamo noi gli angeli custodi di noi stessi, così come siamo sempre noi i demoni perché abbiamo il libero arbitrio di stare da una parte o dall’altra spaccando l’unità, ma “nell’unità  i demoni cantano le lodi del Signore” dice Apollonio di Tiana nella prima giornata del Nuctemeron. E questo corrisponde all’equilibrio dei contrari, che sottintende anche una trinità funzionale.
“La trinità di Dio non è Uno più Uno più Uno, ma Uno meno Uno uguale Zero”, dove lo zero non è il nulla ma è il nulla contenente il tutto in potenza. Si pensi alla ricchezza spirituale che lascia l’attraversamento di fasi negative. L’autore pensa sia questa la corretta interpretazione del pensiero eracliteo e Michelangelo, nelle sembianze di Eraclito, conferma: “Val più una sofferenza che centomila plausi”, dove la sofferenza risiede tutta nel dover fare i conti con chi non la pensa come te. Franco ha ragione quando dice che le culture misteriche si sono trasformate in scuole iniziatiche dando l’avvio al processo di distruzione dell’armonia dei contrari. E io aggiungo che nel processo di disgregazione tipico di questo momento, le scuole iniziatiche si sono trasformate in religioni dogmatiche con lo scopo principale di combattere esteriormente il male, non capendo che così facendo combattono loro stesse perché nell’equilibrio dei contrari, eliminando l’altro polo, eliminano anche la ragione della loro esistenza.
Portando alle estreme conseguenze questo discorso è come se dicessi che è sbagliato combattere il male. Una bestemmia per il buonismo imperante, ma esco subito da questa contraddizione con una frase di saggezza popolare: "il medico pietoso (o buonista) fa la piaga infetta". Questo perché noi non sapremmo mai qual è il vero bene o il vero male per noi stessi. La sola e unica soluzione è la battaglia interiore, l’endura, la jihad, la guerra santa, che sono sinonimi nelle varie culture che nel tempo, hanno consolidato un grande tradimento: la guerra santa è sempre stata applicata in forma esteriore, dividi et impera, dividi cioè l’equilibrio dei contrari, ma così facendo si distrugge l’equilibrio che porta la vita. Un libro, questo di Franco, che è un'Apocalisse. Non una fine del mondo dialettico, ma piuttosto una rivelazione, un inizio nella nuova era, quella dell’acquario, smascherante verso tutte le trappole mentali che l’uomo ha messo in atto fino ad ora per poter restare nell’oblio.
L’obbiettivo di questo libro, che va letto e riletto, è quello di far tornare gli dei fuggiti dal mondo per animare i burattini. I vari pinocchietti umani devono diventare bambini senza scordare di essere tali nella crescita verso l’adulto, per non adulterarsi. Non sono giochi di  parole, ma verità profonde scritte in modo semplice, sintetico, un sentire più profondo di quello che vogliamo credere. Le frasi di saggezza popolare riportate nel libro, altro filone sotterraneo che si sviluppa in tutto il saggio, come “aiutati che Dio ti aiuta”,  trovano fondamento in Eraclito (io stesso muto nel momento che dico che le cose mutano) cioè: sono pronto e aperto per un corretto e ripeto corretto cambiamento. Rapportarsi con qualcuno o qualcosa non è altro che trascendere, andare verso l’altro, andando innanzi tutto verso se stessi, altrimenti il logos viene trasformato in arida ragione.
Sta alla mente stessa fare pulizia mentale; la ragione è sorella della follia e tutt'e due fanno parte di uno stesso ceppo mentale. In natura non esistono né l’una né l’altra, così dice l’autore, perché viene prima la necessità che è libertà. Anche questo concetto è spiegato perfettamente e alla fine, anche se sembra assurdo, bisogna dare ragione all’autore. Sta qui il rigore mentale che i filosofi hanno sempre cercato nella dea ragione e gli artisti visionari nella liberazione dello spirito. Ci vuole equilibrio, dice Franco, “bisogna partecipare al mondo senza farsi rubare a se stessi”. I Catari dicevano: “in questo mondo ma non di questo mondo”. E' la stessa cosa, ma quest’ultimo passaggio può essere interpretato male. Penso sia più corretto e funzionale dire, come dice Franco: “senza farsi rubare a se stessi”.
Servono regole, bisogna dare a Cesare e a Dio nello stesso tempo, equilibrio dei contrari, perché senza equilibrio, con la soppressione dell’uno rispetto all’altro, c’è la scomparsa di entrambi. E qui ci metto del mio: senza una creatura cosciente e consapevole non esiste Creatore, in quanto Costui è costretto a ritirarsi dal mondo, che vuol dire pulito, mondato. E’ l’uomo che non conosce se stesso a sporcare il mondo, perciò prendere le distanze dal mondo è un errore, in quanto è da quel se stesso stupidus che bisogna prendere le distanze. Franco rende nuovo il mito perché lo rende attuale, funzionale e comprensibile. Nel capitolo “Discorso sul mito”, parla di Adamo e dice: “Adamo, nell’Eden, non  ha ancora separato il bene dal male, per cui ogni opposto può vivere con l’altro in armonia”.
E parla del sesto senso e della creatività, dove le arti, la religione e le scienze si presentano come un tutto armonioso. Fuori dall’Eden invece, dopo la separazione del bene dal male, Adamo sprofonda nelle sabbie mobili del razionalismo che tutto divide. Così Caino e Abele diventano due persone separate e non più due aspetti psicologici di una stessa persona. La ragione dovrebbe convivere con il mistero, è questo il suo binario creativo. Equilibrio dei contrari, cosa che la ragione difficilmente fa, anzi aggredisce il mistero oppure lo ignora. Adamo è il pensatore, l’archetipo che da un altrove pensa, energia pensiero captata da Franco che ha scritto questo libro per tutti noi. Di più non voglio dire perché il libro va letto, così leggendo tirerete le somme con voi stessi. Buona lettura.

Giancarlo Iacomucci
       (Litofino)


GIANCARLO IACOMUCCI BIOBIBLIOGRAFIA


Artista e litografo molto noto, vissuto a contatto con alcuni degli operatori artistici più significativi del nostro tempo (Afro, Alechinsky, Burri, Chema Cobo, Fontana, Capogrossi, Sam Francis, Liberman, Manzù, Pasmore, Arnaldo e Giò Pomodoro, Santomaso, Sutherland, Talanskj etc.), Giancarlo Iacomucci, in arte Litofino, suscita grande curiosità anche come scrittore, conferenziere e ricercatore per alcuni studi sorprendenti svolti sulla simbologia, sulla spiritualità e sulle conoscenze universali del Rinascimento.
Nasce ad Urbino nel 1947, dove frequenta l’Istituto Statale di Belle Arti nelle stesse stanze del Palazzo Ducale di Federico, scrigno d’arte e custode di molti capolavori tra cui “La flagellazione” di Piero Della Francesca. Era destino che l’autore si cimentasse con la simbologia nascosta contenuta all’interno di questo quadro e nelle opere degli artisti rinascimentali. Nel  1990 scopre il profilo subliminale di Michelangelo nel Giudizio universale, scoperta pubblicata nel libro “Il mito del Giudizio Universale” (Mamma Editori). Nell’arco degli anni ha continuato  la sua ricerca scrivendo libri e tenendo conferenze. Quelle più significative: 2001 alla Società Dante Alighieri (Roma), 2011 a Basilea alla BauArt Basel, 2012 Sion Galerie de la Treille per la XII Journée Léonardienne,  2018 partecipa all’evento “Rinascimento a Ceri” Palazzo Torlonia con mostra e conferenze.
Per ulteriori informazioni: www.litofino.it

                                           


1 commento:

  1. Ero presente alla serata sull'isola tiberina ed ho ascoltato dalla viva voce di Giancarlo la relazione qui riportata. Mi sono congratulato con il Relatore per la disamina. Litofino ha centrato in pieno gli aspetti rilevanti della ricerca e del pensiero di Franco, sostenendo due cose fondamentali: "Franco rende nuovo il mito perché lo rende attuale, funzionale e comprensibile" (escludendo quindi l'erronea interpretazione di un ritorno al passato) e - per quanto riguarda la ragione - "La ragione dovrebbe convivere con il mistero, è questo il suo binario creativo. Equilibrio dei contrari, cosa che la ragione difficilmente fa, anzi aggredisce il mistero oppure lo ignora.".

    Sandro Angelucci

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