Nell'ambito della Rassegna "Cinema & Libri",
presentato il 9 agosto all'Isola di Roma
“RIBALTAMENTI”
DI FRANCO CAMPEGIANI
Questa
la relazione di Giancarlo Iacomucci (Litofino)
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
In
primo luogo spenderò due parole sul contenitore, il libro. Un buon libro per
gli standard attuali, scritto molto bene, in una veste classica, un’ottima
carta, un bel carattere, ma soprattutto piacevole al tatto, il che non guasta
perché è un libro che va letto e riletto, un contatto prolungato nel tempo
necessario per entrare nelle profondità di pensiero di Franco Campegiani. Ho
apprezzato molto le pagine bianche iniziali e quelle che introducono ogni
informazione. Quelle pagine sono come il silenzio necessario prima di uno
spartito musicale, ma passiamo al contenuto. Il lavoro di Franco inizia con una
frase di Eraclito: “la trama nascosta è
più forte di quella manifesta”. Questa frase mi ha subito conquistato perché
Eraclito fa da collegamento tra la mia ricerca personale legata a Michelangelo
e la filosofia di Franco molto vicina a quella del grande filosofo. Vi spiego perché.
Ricordo
che nelle stanze vaticane, Raffaello nella “Scuola di Atene” rappresenta
Michelangelo, pensoso e appoggiato sopra un blocco di marmo fuori prospettiva,
nelle vesti di Eraclito. Questo espediente pittorico è usato da Raffaello per
indicare all’osservatore l’unione di pensiero tra i due, evidenziando per
entrambi la caratteristica di essere poco allineati al sentire comune. Questa
vicinanza tra Eraclito pensatore e Michelangelo artista, con le dovute cautele
e distanze, si può ripresentare anche tra Franco e me, e le nostre rispettive
ricerche. Così, per analogia, posso comprendere e condividere molto del
pensiero di Franco. Inoltre la trama nascosta, che è più forte di quella
manifesta, come dice Eraclito, conferma tutto il lavoro segreto fatto da
Michelangelo, da me evidenziato ma ancora sconosciuto, e conferma la chiara visione
di Raffaello nei riguardi dell'anima del suo collega Michelangelo.
Visto
che parliamo di anima spendo due parole su quella paginetta che Franco scrive
come premessa al suo lavoro. In quella pagina l’autore ci presenta la sua
anima, confessa che scrive solo per se stesso e dice: “Il mio desiderio più
vivo… è che il lettore sappia scrutare tra le righe… dimenticando l’autore, per
andare alla ricerca di se stesso e della propria verità interiore". Questa
è la trama nascosta che fa da fondamento a tutto il saggio. I mezzi che usa per
raggiungere questo scopo sono molteplici, fin dalle prime righe ci ricorda che
l’uomo è relazione: relazione con gli altri ma soprattutto con se stesso. Se salta questo importante
dialogo, salta la causa prima, salta il primo anello della catena e ci si perde
nell’analisi degli effetti collaterali perdendo l’occasione di conoscersi. Come
scrive Franco: “L’uomo può ingannare il mondo intero ma non può ingannare se
stesso”. A meno che non reciti, ma l’attore comunque sa di recitare.
E’
un dialogo allo specchio dove non c’è spazio per le bugie e noi siamo sempre lo
specchio dell’altro, sia corporalmente che interiormente. Questa relazione va al
di là del tempo perché il confronto è sempre possibile con noi stessi nel
presente vivente. L’autore ci presenta sempre coppie di parole e di situazioni
apparentemente opposte, come corpo e
anima, primo capitolo del libro, bianco e nero, maschile e femminile,
sapienza e conoscenza, pensiero e ragione, ecc. ecc. per poi spiegare
(spaccando il capello in quattro) in quante trappole mentali siamo caduti e ce
lo mostra attraverso l’esperienza vissuta,
dimostrandoci che la mente mente a se stessa, dandoci sempre e comunque
la soluzione che ricava dall’equilibrio, equilibrio
dei contrari, altro fondamento portante di questo libro.
Quello
di cui l’autore parla fa parte di una sapienza
che noi definiamo universale, perché deve andare bene per tutti in quanto siamo
materialmente uguali e sulla base dell’anima siamo fatti ad immagine e somiglianza del divino che è
contemporaneamente dentro e fuori di noi. Campegiani ci insegna, leggendo il
suo saggio, a parlare con questo divino in noi che non si trova nei libri,
neanche in quelli di teologia. Per farmi capire faccio un’analogia, prendendo
in prestito dall’autore due parole, sapienza
e conoscenza, di cui tratta approfonditamente. Sembrano sinonimi quando
invece possono essere due cose diametralmente opposte. La conoscenza può essere
forviante perché, ad esempio, uno può conoscere tutto sul nuoto, aver letto
molti libri, conoscere la teoria, ma se si butta in acqua può affogare perché
non sa nuotare, il che equivale a non saper parlare con la nostra parte divina.
Ecco
la differenza tra sapere e conoscere. Franco, sulla base della sua
esperienza, fa emergere questo sapere, chiaro, limpido e oserei dire
incontestabile. E si sporca le mani, fa le cose in prima persona e non per
sentito dire. Nel bellissimo capitolo “Civiltà della terra” dimostra al lettore
che l’homo sapiens sapiens è
diventato homo stupidus, stupidus,
stupidus, un capitolo smascherante e chiarificatore dei processi intercorsi
nei secoli tra la madre terra e l’umanità. Un riconoscimento corretto del buon
funzionamento sempre e dovunque di quelle radici profonde dell’uomo terrestre
in quanto abitante della terra e non del progresso vampirizzante delle
tecnologie che vede il campo come un semplice substrato per fare i propri
esperimenti senza nessun rispetto per la madre terra che per forza di cose,
riequilibrandosi, bastona l’aspirante stregone per correggerlo.
L’autore
chiarisce che il suo non vuol essere assolutamente un ritorno al passato, ma un
vivere il presente con conoscenza di sé, senza prevaricazioni nel rispetto
della madre terra. Una saggezza atavica.
Solo la sapienza è creativa in quanto offre conoscenza di prima mano attraverso
l’armonia dei contrari. E
ci
spiega chiaramente che noi tendiamo sempre a trovare l’armonia tra i simili. Questa è ovviamente una forza molto potente,
crea gruppi, crea partiti, in definitiva crea eserciti che per forza di cose finiranno
per combattere tutti quelli che non la pensano come loro. “L’accordo sta nel
disaccordo stesso” dice Eraclito. L’autore spiega che siamo noi gli angeli
custodi di noi stessi, così come siamo sempre noi i demoni perché abbiamo il
libero arbitrio di stare da una parte o dall’altra spaccando l’unità, ma
“nell’unità i demoni cantano le lodi del
Signore” dice Apollonio di Tiana nella prima giornata del Nuctemeron. E questo
corrisponde all’equilibrio dei contrari, che sottintende anche una trinità
funzionale.
“La
trinità di Dio non è Uno più Uno più Uno, ma Uno meno Uno uguale Zero”, dove lo
zero non è il nulla ma è il nulla contenente il tutto in potenza. Si pensi alla
ricchezza spirituale che lascia l’attraversamento di fasi negative. L’autore
pensa sia questa la corretta interpretazione del pensiero eracliteo e
Michelangelo, nelle sembianze di Eraclito, conferma: “Val più una sofferenza
che centomila plausi”, dove la sofferenza risiede tutta nel dover fare i conti
con chi non la pensa come te. Franco ha ragione quando dice che le culture
misteriche si sono trasformate in scuole iniziatiche dando l’avvio al processo
di distruzione dell’armonia dei contrari. E io aggiungo che nel processo di
disgregazione tipico di questo momento, le scuole iniziatiche si sono
trasformate in religioni dogmatiche con lo scopo principale di combattere
esteriormente il male, non capendo che così facendo combattono loro stesse
perché nell’equilibrio dei contrari, eliminando l’altro polo, eliminano anche
la ragione della loro esistenza.
Portando
alle estreme conseguenze questo discorso è come se dicessi che è sbagliato
combattere il male. Una bestemmia per il buonismo imperante, ma esco subito da
questa contraddizione con una frase di saggezza popolare: "il medico
pietoso (o buonista) fa la piaga infetta". Questo perché noi non sapremmo
mai qual è il vero bene o il vero male per noi stessi. La sola e unica
soluzione è la battaglia interiore, l’endura, la jihad, la guerra santa, che
sono sinonimi nelle varie culture che nel tempo, hanno consolidato un grande
tradimento: la guerra santa è sempre stata applicata in forma esteriore, dividi et impera, dividi cioè
l’equilibrio dei contrari, ma così facendo si distrugge l’equilibrio che porta
la vita. Un libro, questo di Franco, che è un'Apocalisse. Non una fine del
mondo dialettico, ma piuttosto una rivelazione, un inizio nella nuova era,
quella dell’acquario, smascherante verso tutte le trappole mentali che l’uomo
ha messo in atto fino ad ora per poter restare nell’oblio.
L’obbiettivo
di questo libro, che va letto e riletto, è quello di far tornare gli dei
fuggiti dal mondo per animare i burattini. I vari pinocchietti umani devono
diventare bambini senza scordare di essere tali nella crescita verso l’adulto,
per non adulterarsi. Non sono giochi di
parole, ma verità profonde scritte in modo semplice, sintetico, un
sentire più profondo di quello che vogliamo credere. Le frasi di saggezza
popolare riportate nel libro, altro filone sotterraneo che si sviluppa in tutto
il saggio, come “aiutati che Dio ti aiuta”, trovano fondamento in Eraclito (io stesso muto nel momento che dico che le
cose mutano) cioè: sono pronto e aperto per un corretto e ripeto corretto cambiamento. Rapportarsi con qualcuno o qualcosa
non è altro che trascendere, andare verso
l’altro, andando innanzi tutto verso se stessi, altrimenti il logos viene trasformato in arida
ragione.
Sta
alla mente stessa fare pulizia mentale; la ragione è sorella della follia e tutt'e
due fanno parte di uno stesso ceppo mentale. In natura non esistono né l’una né
l’altra, così dice l’autore, perché viene prima la necessità che è libertà.
Anche questo concetto è spiegato perfettamente e alla fine, anche se sembra
assurdo, bisogna dare ragione all’autore. Sta qui il rigore mentale che i
filosofi hanno sempre cercato nella dea ragione e gli artisti visionari nella
liberazione dello spirito. Ci vuole equilibrio, dice Franco, “bisogna
partecipare al mondo senza farsi rubare a se stessi”. I Catari dicevano: “in
questo mondo ma non di questo mondo”. E' la stessa cosa, ma quest’ultimo passaggio
può essere interpretato male. Penso sia più corretto e funzionale dire, come
dice Franco: “senza farsi rubare a se stessi”.
Servono
regole, bisogna dare a Cesare e a Dio nello stesso tempo, equilibrio dei
contrari, perché senza equilibrio, con la soppressione dell’uno rispetto
all’altro, c’è la scomparsa di entrambi. E qui ci metto del mio: senza una creatura
cosciente e consapevole non esiste Creatore, in quanto Costui è costretto a
ritirarsi dal mondo, che vuol dire pulito,
mondato. E’ l’uomo che non conosce se
stesso a sporcare il mondo, perciò prendere le distanze dal mondo è un errore,
in quanto è da quel se stesso stupidus
che bisogna prendere le distanze. Franco rende nuovo il mito perché lo rende
attuale, funzionale e comprensibile. Nel capitolo “Discorso sul mito”, parla di
Adamo e dice: “Adamo, nell’Eden, non ha
ancora separato il bene dal male, per cui ogni opposto può vivere con l’altro
in armonia”.
E
parla del sesto senso e della creatività, dove le arti, la religione e le
scienze si presentano come un tutto armonioso. Fuori dall’Eden invece, dopo la
separazione del bene dal male, Adamo sprofonda nelle sabbie mobili del
razionalismo che tutto divide. Così Caino e Abele diventano due persone separate
e non più due aspetti psicologici di una stessa persona. La ragione dovrebbe
convivere con il mistero, è questo il suo binario creativo. Equilibrio dei contrari, cosa che la
ragione difficilmente fa, anzi aggredisce il mistero oppure lo ignora. Adamo è
il pensatore, l’archetipo che da un altrove pensa, energia pensiero captata da
Franco che ha scritto questo libro per tutti noi. Di più non voglio dire perché
il libro va letto, così leggendo tirerete le somme con voi stessi. Buona
lettura.
Giancarlo
Iacomucci
(Litofino)
GIANCARLO IACOMUCCI BIOBIBLIOGRAFIA
Artista
e litografo molto noto, vissuto a contatto con alcuni degli operatori artistici
più significativi del nostro tempo (Afro,
Alechinsky, Burri, Chema Cobo, Fontana, Capogrossi, Sam Francis, Liberman, Manzù,
Pasmore, Arnaldo e Giò Pomodoro, Santomaso, Sutherland, Talanskj etc.), Giancarlo Iacomucci, in arte Litofino, suscita grande curiosità anche come scrittore,
conferenziere e ricercatore per alcuni studi sorprendenti svolti sulla
simbologia, sulla spiritualità e sulle conoscenze universali del Rinascimento.
Nasce
ad Urbino nel 1947, dove frequenta l’Istituto
Statale di Belle Arti nelle stesse stanze del Palazzo Ducale di Federico, scrigno
d’arte e custode di molti capolavori tra cui “La flagellazione” di Piero Della Francesca.
Era destino che l’autore si cimentasse con la simbologia nascosta contenuta
all’interno di questo quadro e nelle opere degli artisti rinascimentali. Nel 1990 scopre il profilo subliminale di
Michelangelo nel Giudizio universale, scoperta pubblicata nel libro “Il mito del Giudizio Universale” (Mamma Editori). Nell’arco degli anni ha continuato la sua ricerca scrivendo libri e tenendo
conferenze. Quelle più significative: 2001 alla Società Dante Alighieri
(Roma), 2011 a Basilea alla BauArt
Basel, 2012 Sion Galerie de la
Treille per la XII Journée Léonardienne, 2018 partecipa all’evento “Rinascimento a Ceri” Palazzo Torlonia
con mostra e conferenze.
Per ulteriori informazioni: www.litofino.it
Ero presente alla serata sull'isola tiberina ed ho ascoltato dalla viva voce di Giancarlo la relazione qui riportata. Mi sono congratulato con il Relatore per la disamina. Litofino ha centrato in pieno gli aspetti rilevanti della ricerca e del pensiero di Franco, sostenendo due cose fondamentali: "Franco rende nuovo il mito perché lo rende attuale, funzionale e comprensibile" (escludendo quindi l'erronea interpretazione di un ritorno al passato) e - per quanto riguarda la ragione - "La ragione dovrebbe convivere con il mistero, è questo il suo binario creativo. Equilibrio dei contrari, cosa che la ragione difficilmente fa, anzi aggredisce il mistero oppure lo ignora.".
RispondiEliminaSandro Angelucci