L’EREDITÀ DELL’UOMO
Trovo, nella
prefazione di Giuseppe Sciarrone alla raccolta, una convincente e condivisibile
constatazione: “Il titolo stesso ci avvia ad intendere che il sentimento
ispiratore di questa silloge è quello […] di creare una simbiosi armonica tra
gli elementi paesaggistici della terra di Liguria e la vita interiore del
poeta. Paesaggio d’anima, dunque, il suo: di qui l’assenza del descrizionismo
impressionistico.”.
Scorrendo i versi
non si nota, in effetti, in Bassani, nessun intento volto unicamente a
rappresentare assecondando un gusto essenzialmente visivo, com’era proprio
della corrente artistica che prese le mosse dalla pittura per poi estendersi
alla letteratura (gli scrittori della Voce:
si pensi ad un Soffici o, in parte, allo stesso Papini, che, all’inizio del
secolo scorso, vollero proporre un genere derivante dall’immediata e diretta
raffigurazione della natura e della realtà).
Ci sono - è vero -
tanti luoghi fisici, tanti ambienti, tanti panorami ma la loro presenza assurge
a valore simbolico più che concreto, aspira a fissarsi nell’anima più che negli
occhi.
Da Ai casoni, una delle prime liriche che
s’incontrano: “Una bianca croce, / un piccolo santuario / di pietra, / una
baita degli Alpini, /
la fattoria / al limitar dei prati /
segnano l'antica civiltà / della natura. / Ormai lontani / sono i rumori, / le
vie convulse, / le ciminiere cupe: /…/ Così, ampio si fa il respiro, / e nel
profumo / di montagna / serena l'anima rinasce.”.
Non
si tratta di un paesaggio bucolico o, meglio, non si ferma la penna del poeta
quando, per contrapposizione (pur avvertendone la lontananza), lascia traccia
di fumi neri e di rumori concitati. Non si arresta perché sa che le ciminiere
si sono ridimensionate: sono diventate dei nani rispetto alla maestosità ed
alla fierezza delle montagne; perché sa che i profumi possono coprire qualsiasi
tanfo rendendo l’aria respirabile e pura.
Lo
scopo precipuo dell’illustrare (il piccolo santuario, la baita degli Alpini, la
fattoria) è quello di vivificarle, di sentirsele dentro quelle costruzioni così
che vadano a (ri)popolare il paese martoriato dell’anima. “Serena l’anima
rinasce” - scrive Bassani -: rinasce perché mai muore l'anima. Intossicata dai
fumi di quelle ciminiere risorge come l'araba fenice dalle proprie ceneri. È
esattamente questo che fa il poeta: ‘si mette sulle spalle’ quei luoghi, quelle
case, e se li porta a valle; fa il pieno di ossigeno e combatte lo smog delle
fabbriche. Ma, soprattutto, riconosce la vera, la sola civiltà, “l’antica
civiltà della natura”. Dov'è la civiltà dell'uomo? E' mai esistita? Anche
quando le vie non erano convulse e non esistevano le ciminiere cupe ci
affaticavamo a combattere la
Madre in nome di un'emancipazione solo apparente poiché
stavamo gettando le basi della schiavitù e dell'asservimento a noi stessi.
Il
Nostro ha “tanta sete d'alba e di rugiada”: è la sete che mette la poesia, non
è bisogno di "ombra cupa di cipressi" ma di "fresco, tenero
verde" di castagni. Ancora una volta, nulla di idilliaco: come nel vino delle cinque terre, “c’è la vita
paziente / solitaria / dura: / fatica strenua /e amore inesausto / di
millenni.”.
Sarebbe
facile e - lasciatemelo dire - finanche presuntuoso abbandonarsi
all’idealizzazione della vita campestre; certo: presuntuoso, perché la serenità
non ci viene regalata in quanto depositari di una supposta superiorità
antropologica (non esistono esseri viventi più degni di altri).
Così,
Bassani, ne All’olivo, dichiara
apertamente la propria umiltà, con una levità di rara efficacia: “Non cerco /
alberi solenni / che non lasciano / filtrare il sole, / ma alla tua ombra lieve
/ umile olivo, / lieto mi adagio / e finalmente queto. / Seguo la tua vita /
ricurva e saggia / vestita d'anni / e di licheni…”. Non cerca l’imponenza ma la
modestia, la semplicità; e come la trova? “Ricurva e saggia”: non facciamoci
sfuggire quel “ricurva”, causa e ragione della saggezza, della forza millenaria
che permette di vestirsi di licheni. Umiltà che ritorna ne L’elicriso cui altro non serve che “un pugno di terra / tra le
pietre”, lui che “nessuna cura (chiede)” ma “generoso (s’apre)”.
È
questa la terra che viene cantata in queste pagine: “Luminosa terra / di
Liguria / aspra di rupi / a picco sul mare / e gentile di vigneti / squadrati a
scala / pietra su pietra / verso altezze serene…”, luogo aspro e gentile dove
il poeta respira la vita e la vita respira il poeta; una terra che, come la
luce, resiste ad ogni “oscurità” e si spacca - come un grembo, si schiude -
alla nascita, alla “forza d’un (nuovo) germoglio”.
“Laggiù
sull'autostrada / colonne senza fine / forse cercano lontano / questo mondo di
serenità” (da La casa del biancospino),
senza sapere che qui si può raccogliere “l’eredità dell’uomo”.
Sandro Angelucci
"Dov'è la civiltà dell'uomo? è mai esistita? anche quando le vie non erano convulse e non esistevano le ciminiere cupe ci affaticavamo a combattere la Madre in nome di un'emancipazione solo apparente, perché stavamo gettando le basi della schiavitù e dell'asservimento a noi stessi". Sono letteralmente catturato da queste parole che mi suonano amiche e ringrazio Sandro per averle pronunciate con la semplicità e la chiarezza che gli sono consuete e contraddistinguono la sua scrittura come la sua persona. Paolo Bassani, in questi versi colmi di silenzi e di vera poesia, pone in relazione "l'eredità dell'uomo" con "l'antica civiltà della natura", ricordando che l'uomo è stato posto dalla creazione universale come "custode dell'Eden", anziché come despota del creato.
RispondiEliminaFranco Campegiani