domenica 19 agosto 2018

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "F. ROMBOLI: L'AZZARDO E L'AMORE. LA RICERCA... DI N. PARDINI"


Floriano Romboli. L'azzardo e l'amore.

La ricerca poetica di Nazario Pardini. The Writer, 2018


TI SIA LUNGA E “ZEPPA” LA VIA

Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

Principierei dalla copertina: vi campeggia l’immagine di Ulisse legato al palo della sua nave (John Waterhouse, 1891) per resistere al canto delle sirene. Illustrazione che riconduce tanto al sottotitolo del lavoro esegetico di Floriano Romboli quanto al IV dei capitoli in cui il testo è suddiviso.
       La didascalia recita così: La ricerca poetica di Nazario Pardini, mentre la sezione fa preciso riferimento al figlio di Laerte: Il personaggio di Ulisse. Tradizione e attualità.
       Evidente, quindi, nelle intenzioni del Saggista, la correlazione tra le due ricerche - letteraria ed esistenziale - del poeta e del personaggio omerico.
       Annota a pag.104: “[…] Un esperto conoscitore del mondo omerico come Moses I. Finley ha scritto ‘In Odisseo, come eroe, c’era qualcosa di equivoco proprio a causa della sua qualità più famosa, l’astuzia (…) Ciò che salva l’Odisseo omerico è il fatto che la sua scaltrezza è impiegata per perseguire fini eroici’”, e prosegue: “più concretamente direi che Ulisse è pronto a usare le sue doti in negativo contro i nemici, con risoluta e aspra determinazione, senza cedimenti emotivi, ma anche in positivo a favore degli amici, forte di un’incrollabile tenacia e di un solido equilibrio.”, seguitando ancora: “C’è comunque da aggiungere che tali aspetti meno nobili del personaggio risultano del tutto estranei alla rielaborazione artistico-letteraria di Pardini […]”.
       Ora, che il Poeta pisano non faccia dell’astuzia un impiego - diciamo così - teso a fini utilitaristici è lapalissiano (basta soffermarsi sullo stupore fanciullesco dei suoi versi) ma altrettanto chiara è, in lui, la necessità dell’azzardo (parola topica e ricorrente del vocabolario pardiniano). Conferma, questa, che l’accostamento - seppure dicotomico - prospettato da Romboli, ha solide fondamenta e dimostra, da parte del Critico, una capacità d’analisi applicata ed approfondita.
       D’altra parte è lui stesso a sostenere (riportando uno stralcio dei versi di Dai Feaci ridenti di pace, in Le voci della sera) che “ […] Pardini privilegia con nettezza il navigatore, l’uomo del viaggio a petto dell’eroe guerriero, alle cui gesta in battaglia manca ogni allusione significativa”. Ritengo stimolante leggere almeno questa quartina, tratta appunto dalla succitata poesia: “Vinto dai limiti d’intorno / l’ignoto mi dà forza / e mi alimenta fecondo o creatore / d’immagini nervose o prepotenti”.
       L’immedesimazione (seppure non stia parlando di sé) del poeta con Ulisse è riscontrabile - per chi ne conosce l’opera - proprio riflettendo sul senso sotteso a quanto menzionato.
       Dirà l’Autore del saggio: “Il protagonista dell’Odissea è qui un individuo combattuto tra i limiti connaturati all’esistenza dell’uomo (accanto all’insorgente stanchezza, il bisogno ineliminabile di pace e di affetto) e l’insofferenza degli stessi in un moto di sfida conoscitiva (“l’ignoto mi dà forza”) e di indòmita tensione vitale, irrefrenabile ed esaltante.”.
       Più avanti, nel capitolo, Romboli tirerà in ballo due scrittori: uno storico della filosofia medievale, Bruno Nardi, e un grande critico letterario, Mario Fubini, dalle posizioni decisamente antitetiche riguardo al viaggio dell’itacese.
       Il primo - si legge - “lo reputava un’azione di deliberata ribellione a Dio, un comportamento simile a quello degli angeli che, come del resto i progenitori dell’umanità, vollero essere simili a lui e furono esemplarmente puniti.”; il secondo “vi vedeva invece soltanto la manifestazione di uno schietto e intenso desiderio di conoscenza, in cui è ravvisabile il tratto più alto e nobile dell’uomo, che appunto in questo si differenzia dagli animali.”.
       Bene - al di là dei condizionamenti storico-sociali che possono aver indotto Nardi ad esprimere concetti di carattere vessatorio - io non mi sento di condividere l’idea di un Creatore che bandisce dall’Eden una sua creatura; la disobbedienza di Adamo ed Eva va recepita in ambito simbolico: soltanto così può essere accettata. E, se mi è concesso, vorrei ribaltare i termini della questione: non è Dio che caccia l’uomo ma l’uomo stesso che vuole allontanarsi; attenzione, però, non lo fa per disobbedire, è la sua stessa natura che lo porta ad agire in questo modo. Mi spiego: il dono straordinario della ragione e del pensiero, non è gratuito (nulla è manna che cade dal cielo) ma ha, anch’esso, il rovescio della medaglia, e va accettato, altrimenti - è sotto gli occhi di tutti - si creano i presupposti della discordia, e non solo con il divino.
       Di conseguenza, mi trovo in sintonia con Fubini laddove rinviene nell’aspirazione a conoscere la componente più alta dell’essere umano. Tengo, tuttavia, a fare dei ‘distinguo’ anche in questo caso ricordando che la sapienza deriva, si, dalla conoscenza ma solo in parte, essendo, la stessa, prerogativa dello spirito e quindi essenzialmente innata. Non voglio asserire - ci mancherebbe altro - che l’esperienza non fornisca il suo indispensabile contributo ma anche la brama di sapere, se eccessiva, non aiuta.
       In medio stat virtus, insomma, e questo, a mio parere, - tornando a Pardini - è il suo punto di vista: “optando ora per l’uno, ora per l’altro corno dell’antitesi di cui in precedenza si è detto - sostiene il Curatore dell’opera - […] Infatti in Paesi da sempre (egli) si prefigge di scrivere ‘il poema di Ulisse al suo ritorno’, nel quale il Laerziade, stanco di battaglie e di peripezie sul mare, si dichiara alfine soddisfatto […] Al contrario senz’altro ne risente (un’altra raccolta) Alla volta di Lèucade, ove nella lirica Il ritorno di Ulisse (…) si canta l’energia vitalistica “di chi non sentì mai sopita in anima / la voglia del viaggio”.
       In altri termini, Ulisse/Pardini si acquieta una volta raggiunti gli scogli di Itaca/Lèucade, gode della sua isola ma, quando il male di vivere si fa insopportabile innalza nuovamente le vele pronto a prendere il vento verso nuove avventure.
       Ho molto insistito sulla figura di Odisseo perché sono convinto (per averne lette le opere) che nel poeta non prevalga l’orfismo. Il suo - è vero - è lirismo puro, non autocompiacente però, non egocentrico.
       “Da questo punto di vista l’augurio dello scrittore toscano è che per ognuno il corso della vita sia il più ‘zeppo’ possibile di situazioni di arricchimento interiore, […]” - scrive acutamente Romboli - “in suggestiva concordanza con gli ammonimenti rivolti al lettore in Itaca (1911) dal grande poeta neoellenico di Alessandria Costantino Kavafis”, con i versi del quale desidero concludere: “Se per Itaca volgi il tuo viaggio, / fa voti che ti sia lunga la via /…. / E siano tanti i mattini d’estate / che ti vedano entrare  (e con che gioia/allegra!) in porti sconosciuti prima /…. / Ma non precipitare il tuo viaggio. / Meglio che duri molti anni, che vecchio / tu finalmente attracchi all’isoletta, / ricco di quanto guadagnasti in via, / senza aspettare che ti dia ricchezze.”.

Sandro Angelucci
  
Floriano Romboli. L’azzardo e l’amore (La ricerca poetica di Nazario Pardini). The Writer Edition. Rende. 2018. Pp.144. € 14,00  


3 commenti:

  1. Molto invitante la nota di lettura di Angelucci, all'approfondimento del testo di F. Romboli sull'arte poetica del prof. Pardini. L'accostamento Ulisse/Pardini é pienamente fondato dai tanti riferimenti poetici che caratterizzano l'opera Pardiniana. Pardini ci offre un ritorno ai temi classici con seducente modernità, e questo viene sviluppato molto bene nella lettura esegetica dell'autore. Il viaggio, il mare, le sfide della vita e l'approdo all'isola amata, sono temi molto ricorrenti. Il critico Angelucci scava con ulteriore sapienza e ci presenta questa analisi con ammirevole efficacia.
    Un caro saluto

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  2. Condivido il pensiero di Angelucci - e per quanto mi sembra di capire anche del Romboli - a riguardo della matrice odisseica di Pardini, la cui poetica sta nell'ammirazione per l'"azzardo", per l'osare, per il navigare. Spogliata tuttavia di ogni retorica e di ogni luogo comune. Spingersi oltre le Colonne d'Ercole non è un atto di arroganza, di presunzione, o addirittura di disobbedienza al divino, come si equivoca facilmente e come persino Dante (poeta odisseico) ha equivocato. C'è una grande umanità in Ulisse, documentabile con le sconfitte subite, dolorosissime, che per molti aspetti possono accostarlo ad Orfeo. Ulisse però si ricostruisce e riparte all'avventura. Sta qui la differenza. Egli è l'umile eroe di se stesso che non sfida il divino, ma l'umano per renderlo degno del divino. Dove sarebbe il suo cinismo? nella sua astuzia forse? l'astuzia di Odisseo è il segno del suo adeguamento al mondo ipocrita degli uomini non per farsene sopraffare, ma per poterlo combattere e sconfiggere, come un cavallo di Troia, sul proprio terreno. A che serve fare muro contro muro? A che lottare contro i mulini a vento? A che sfidare con un volo suicida il calore del sole e la forza di gravità? A che inviare melici canti verso gli dei e verso gli Inferi sperando di accattivarsene i favori? Per superare i labirinti dell'umano, Ulisse ordisce trappole molto più sottili. Accetta di confrontarsi ad armi pari, non per tradire, ma per salvare il divino che, come ogni uomo, porta dentro di sé. Mi piace il parallelismo che Angelucci lascia intendere tra Ulisse e Adamo, la cui sete di conoscenza, nell'Eden, non è ancora ribellione a Dio, ma conoscenza di se stesso, così come è stato creato da Dio.
    Franco Campegiani

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  3. Dopo aver visitato Leucade, possibile Itaca, e l'attuale Itaca, che porta in sè il grande respiro di Ulisse, la splendida introduzione dell'Amico e ottimo critico letterario Sandro Angelucci all'Opera di Floriano Romboli,mi invitano a ripercorrere il ritorno di colui, che, come asserisce anche Franco, lungi dal sentirsi eroe, è stato uomo in ogni aspetto. Ci è stata tramandata un'idea errata e favolistica della storia di Ulisse che, dopo le infinite peripezie, Sandro,attenendosi all'Opera del Romboli, descrive stanco e desideroso di tornare a Itaca /Lèucade. E quest'ultima affermazione sposerebbe le tesi dei partigiani della Lefkada - Itaca omerica. In ogni caso l'anti - eroe descritto dal Professor Romboli, che non ho l'onore di conoscere, e dai miei amici, è l'uomo che
    non sente 'mai sopita la voglia del viaggio'. Bellissimo il concetto dello spirito animistico in un uomo privo di egocentrismo, spinto verso i viaggi per combattere il 'male di vivere'. Straordinaria la lirica citata da Sandro e il suo approfondimento dell'Odisseo Uomo e del lirismo puro dell'Autore. Vorrei saper scrivere come il Romboli, come Angelucci e come Campegiani. La mia ammirazione nei loro confronti è infinita!
    Maria Rizzi

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