sabato 7 novembre 2020

CARMEN MOSCARIELLO LEGGE: "I DINTORNI DELL'AMORE..." DI NAZARIO PARDINI

Carmen Moscariello,
collaboratrice di Lèucade

DALLA RIVISTA EUTERPE DI LORENZO SPURIO

I dintorni dell’amore ricordando Catullo di Nazario Pardini

Recensione di CARMEN MOSCARIELLO

 

Chi quel gong percuoterà

apparire la vedrà bianca

al pari della giada fredda

come quella spada è la bella Turandot! (Dalla Turandot, primo atto).

Nazario Pardini nelle sue poche note biografiche ci dice che vive tra Arena Metato e Torre del Lago Puccini, due località amene tra le più belle d’Italia. Certamente se Puccini e Mascagni fossero ancora in vita l’avrebbero invitato a far parte del loro club de La Bohéme e lì, presso La Torre, nelle sere estive, avrebbero ascoltato i suoi versi e goduto insieme dei concerti e delle Opere del grande Maestro, lasciandosi avvolgere nelle note di Tosca, di Madame Butterfly, de La fanciulla del West e altre meravigliose composizioni che Puccini musicò proprio soggiornando nella Torre, fatta da lui ristrutturare e che oggi accoglie le sue spoglie. Una Casa della musica dove tuttora si eseguono grandi concerti, costituisce un luogo fantastico, in parte simile ai Giardini de La Mortella a Ischia dove il compositore inglese William Walton eseguiva i suoi concerti per un pubblico proveniente da tutto il mondo e oggi sede di appuntamenti musicali che placano la furia del monte Epomeo, mentre le chimere scivolano al mare tra paradisi di fiori e piante. Mi sono così a lungo soffermata sui luoghi, poiché quest’opera mistica si avvolge dolcemente nella bellezza dei boschi, del mare e della terra, per entrare nella verginità dell’amore. Segue il poeta le malinconie del cuore, e intreccia inserti di viole con la poesia di Catullo. È un comporre senza catene, un pentagramma sul quale il poeta ama scandire le note di Lesbia, Delia e Catullo. La tipologia poetica dei due autori è alquanto diversa. La passione istintiva, irrefrenabile di Catullo, il piangere e maledire Lesbia non appartengono al nostro Autore, il suo amore è quello delle ninfe dei boschi ed egli Apollo (apollineo) accarezza col sogno e l’immaginazione la sua donna, sempre inseguita, sempre amata. (CARMEN MOSCARIELLO (Avellino, 1950) è stata Ordinaria di Italiano e Latino. Poetessa, drammaturga, regista, giornalista pubblicista. Corrispondente per Il Tempo (1987-1996), ha pubblicato su questo quotidiano circa 1500 articoli; è stata corrispondente per il TG3 Lazio per circa sei anni. Ha scritto articoli per Oggi e domani, Avvenire, Nord Sud, reporter e per innumerevoli altri giornali: è direttore e fondatore del mensile di politica e cultura Il Levriero, presidente e fondatrice del Premio internazionale “Tulliola Renato Filippelli” e del Premio della “Legalità contro le mafie”. Per la poesia ha pubblicato Gli occhi frugano il vento (1992), Figlia della Luna (1998), non è tempo per il Messia (2013), L’orologio smarrito (2015), Tunnel dei sogni (2016), All’ombra di un’eresia (2016), Rapsodia d’amore per stelle e desideri (2017). Per la saggistica: Friedrich Hölderlin, tra Lirica e Filosofia (1988), Testimonianze Su Franco Ferrara, Imizad e lettere a Natascha (1989), Il Presente della memoria (1994), Oboe per flauto traverso (2013), Terra nella sera Visioni (2014), L’anima dipinta (2020). Per il teatro: Proserpina, tre atti preceduti da un preludio (2003), Eleonora dalle belle mani (2005), Giordano Bruno Sorgente di fuoco (2011).). I dintorni dell’amore, ricordando Catullo, Guido Miano Editore, Milano, 2019. Ancora una volta i luoghi dove il poeta si è formato ci aiutano a capire: lì vicino alla sua casa c’è il parco naturale di Migliarino, altro luogo incantato. Nella sua poesia i boschi, il mare sono protagonisti tanto quanto la donna, non c’è dicotomia tra le due amanti (la natura e Delia), tutto il poeta sa ugualmente sposare e contenere nei suoi versi eleganti, formatisi anch’essi sulla metrica latina quantitativa, proporzionati nella sua prosodia di piedi, arsi (il tempo forte) e tesi (tempo debole), ictus. La struttura dell’opera è ben pensata, secondo i canoni dei Canti Gregoriani e i Corali Benedettini, ed egli amanuense accorto ce la dona in tutta la sua armonia e nei colori più belli della poesia. Ci restituisce un mondo costruito sulla nostalgia, sull’incanto dell’amato per la donna, sui movimenti d’acqua e di terra, sullo scintillio del mare, sulla nera terra contadina, amata, sapida di nostalgie e ricerca anche d’amore filiale. Lo strazio del ricordo in una parte del libro, prevale nettamente sugli inquieti desideri catulliani per trasformarsi in un dolore acuto. Quest’opera di poesia così bella, così densa di colore e di amore non è facile da raccontare, tale è la sua immensità, in primis, avvicinarsi ad essa genera grandi e diverse emozioni che Nazario Pardini, da noi tutti considerato grande poeta, grande maestro di eleganza e perfezione letteraria, ci irradia, sorprendendoci, ammaliandoci. Il sacerdote del paradiso di Lèucade, più che mai ci fa sentire parte di questo spazio divino, il suo scoglio d’amore dove coltiva le rose della poesia: qui approdano le opere di infiniti poeti. Quest’opera così luminosa, che insegue Bellezza, che vuole Bellezza, ha anche delle note in requiem, (il dolore acuto!), poiché se la freccia d’amore mai non toglie il suo accamparsi, arriva un momento in cui anche il poeta non può andare oltre, rimane alfine la sua arte, quella sì è eterna. Queste due sponde apparentemente opposte, in verità s’inseguono, il Poeta, l’ho già scritto in altre occasioni, non invecchia mai, è vero che il suo corpo e la sua mente e il suo cuore non trovano lo stesso ritmo e l’amore, per quanto grande possa essere, finisce (qui il dramma), la nuova prospettiva d’eternità si apre sul panorama della Grazia, della Poesia, sull’arte che eterna. Così i versi di Catullo per Lesbia che hanno reso immortale la sua donna, forse tra mille anni, se l’uomo avrà conservato ancora un briciolo della sua umanità, manderà a mente i versi d’amore per Lesbia, e li ripeterà alla donna amata. Nel Requiem intendo la meditazione del Poeta sulla fine della vita terrena, quando finiscono anche i sussurri, i giochi d’amore. Meditazione che si amplia, come per chiedere conto a se stesso del modo con cui ha speso i suoi giorni. Proprio quest’ultimo punto lo congiunge al divino, anzi, la perfetta direzione delle sue scelte, sono naturale conseguenza, non solo di accettare e amare la vita, ma essere certi che l’alito dello Spirito Santo scende non solo su tutti gli apostoli, ma anche sul poeta che grazie al suo sentire è il più vicino a Dio. Grande è l’amore per la natura e le altre creature che popolano il mondo (gli uccelli) in essa c’è la forza del Creatore. L’incontro in eterno, senza fine, è solo nella Bellezza e magnificenza di Dio, nel candore della luna, nella ricerca del canto, quello più alto perché si possa dire che i sentimenti che ci legano alle persone che amiamo non conoscono tempo, scivolano nel più piccolo rigagnolo della nostra anima e lì rimangono per sempre. Se ci avviciniamo ai suoi versi, in essi vibra una musicalità romantica, una preghiera che attinge, come già dicevo, dall’introito del Requiem (dies irae) per planare come un airone (l’airone è protagonista dei suoi versi) in cerca d’amore sulle inafferrabili note di Franz Schubert o ancora di più in quelle di Domenico Cimarosa, la cui musica possiede le sfumature luminose del mare di Napoli, come nel libro di Pardini ci sono i mille riflessi e il dolce parlare del mare della Versilia, già a noi noto, affascinate, a suo tempo, dai versi di Attilio Bertolucci. La Poesia nei suoi grandi figli è molte cose: è passione, amore, disperazione, lotta, musica, filosofia, divinità, profezia. Nei versi del mio amico Nazario Pardini ci sono tutte queste diverse tonalità che come un fiume che tutto raccoglie, sfociano nel mare che può essere luce di bene o terrore del male. «È proprio vero, il fiume scorre portandosi dietro ciottoli, acque chiare, torbide, detriti, piene e bonacce. E tutto va a finire in un mare immenso, infinito. Avrà funzione catartica quel mare… che all’apparenza pare chiaro e brillante, poeticamente tanto vicino all’eterno? Potrà purificare tutto? La portata del fiume è pesante. Pesante quanto la nostra memoria E a chi l’affideremo, dunque? A chi affideremo quel grande patrimonio che tutti ci portiamo dietro, e a cui ci aggrappiamo col passare degli anni. Ad un credo religioso, ad un politico, o a un’isola come quella di Léucade, ad esempio. L’isola del bello, della poesia, dell’amore, della pace. L’isola in cui tutto è buono forse perché tutto è in mano dei grandi poeti. Se noi sfociamo in un mare così immenso, avrà il potere catartico di assorbire bene e male e trasforma la materia purificata in Spirito? L’avrà (Pneuma) lo Spirito Santo questo potere di infondere tutta la sua forza sulla materia per evolverla in bene? Io ci credo». Il credo del Poeta è nella poesia che è il soffio nell’uomo dello Spirito Santo, dell’uomo che rinnega la materia per essere pura bellezza. E ancora l’amara riflessione di Pardini: «da qui il male dell’uomo contemporaneo: il suo annullamento nella realizzazione di fini materiali». La prosa incisiva e di denunzia è nella prima parte del Trittico. La brava prefatrice Rossella Cerniglia divide l’opera in tre parti, una loggia, a sé stante, posta all’inizio delle pagine, è “La lettera” che l’autore scrive in confidenza e amore all’amica sconosciuta: può apparire strano il termine “sconosciuta”, ma in verità, anche lei appartiene a quel divino a cui tutta l’opera s’ispira. La lettera molto vicina ad alcuni scritti oraziani invoca per i giovani comprensione, essi più che mai hanno bisogno d’amore, il professore-poeta Nazario Pardini chiede amore, rigore e onestà a chi dovrebbe guidarli. Saluta l’amica con i versi bellissimi d’amore di Catullo per Lesbia: “Passer delicae meae puellae, quicum ludere, quem in sinu, tenere cui primum digitumdare adpetenti et acris solet incitare morsus”. Versi di Catullo che s’intrecciano alle parole che Nazario Pardini scrive di suo pugno per l’amica sconosciuta: «E tu mi sei apparsa proprio come un passero spaventato, da prendere nelle mani, e riscaldare, per ridarti all’aria, al cielo, al volo, ai brividi del vento, mia fanciulla». Il sentire dei due poeti si congiunge e crea un concerto per l’universo, per chi sa amare, per chi ignora le distanze dei luoghi, il poeta sa percepire, sa intuire, cogliere le verità del dolore. È il divino che nidifica nel suo cuore e si allarga sul mondo abbracciandolo ridandogli la verginità della Croce. E, ancora, riprendendo il dialogo che il Poeta ha con l’amica mai conosciuta, le dice: «Cara mia,… torniamo al grande fiume, il fiume sta per fluire nel grande mare. Spero solo che si tratti di un’acqua non troppo salata né troppo sporca. E spero soprattutto mantenga un po’ di quell’aria sapida di terra e di pineta che ho sempre respirata». Qui la prosa è brina lucente, è stella di fiori, è l’incanto del mare, è paura per l’ignoto, che cosa ci aspetta domani. Le lacrime grigie trovano approdo nel verso, in ciò in cui il poeta per tutta la vita ha creduto. Nazario Pardini mi fa pensare a un cavaliere errante, ai poeti del Dolce Stilnovo che hanno votato la loro vita per una grande Donna (la filosofia, l’Amore, La Poesia, la Religione). Cavalcare gli orizzonti è proprio dei grandi che su una feluca del Nilo hanno attraversato gli oceani, tutto il passato (per Pardini è soprattutto il mondo classico) e tutto il presente della Poesia e della Bellezza con solide radici nella casa dei grandi maestri, ma con chiome attuali fluttuanti di luna, riflettentesi nei cerulei marmi delle ville medicee di Arena Metato. «La pietra è una fronte dove i sogni gemono», portarsi addosso il sudario è cantare l’amore, ossimori, orchestrati così bene dal Maestro, nel suo andare pensoso alla casa contadina di chi l’ha generato, a una vita colma che ha bisogno del mare, ha bisogno di capire, comprendere ancora, mai paga. Risalire alle origini, senza occhi si guarda di più, si guarda l’assenza che in metamorfosi si pone come compagnia da accettare, da levigare, renderla come un apparentamento, un essere amici. Un veleno mortale il requiem che solo il poeta può raccontare, traducendolo in versi immortali. Un canto che è anche sensualità, profumo femmineo, passione, così come fu per Catullo, fratello al poeta per le pene d’amore. Un filo ininterrotto, luminoso come il filo d’Arianna porterà il poeta fuori dal labirinto, approderà alfine ancora una volta a Lèucade per guidare il suo angelo d’amore, una sinfonia di abbracci, un appartenersi per sempre.

1 commento:

  1. Rinnovo tutta la mia ammirazione a Carmen Moscariello per l'attitudine a critiche letterarie di altissimo spessore, ricche di empatia e di calda umanità. Ho letto l'Opera immensa di Nazario e in questa esegesi ho ritrovato gli elementi salienti del suo Poetare e del suo Essere. Cogliere tutti gli aspetti di un Artista è dono di pochi. Abbraccio entrambi i talentuosi protagonisti di tanto cammeo.

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