Orazio Antonio Bologna, collaboratore di Lèucade |
ORAZIO ANTONIO BOLOGNA
ENZO BACCA
SIBILLA
BREVE NOTA ESEGETICA
Anche uno sguardo fugace sul
complesso e variegato panorama della poesia contemporanea invita a prendere in
esame forme ed espressioni artistiche, che, non di rado, lasciano col fiato
sospeso sia per il modo, con il quale il Poeta si pone davanti alla realtà, la
interpreta e pone al lettore le sue impressioni, sia per la molteplicità delle
forme non sempre rispondenti ai requisiti del dettato poetico. La Poesia, anche
quella apparentemente banale e priva di senso, nasce da stimoli, riflessioni,
stati d’animo, che a volte si stenta non solo a comprendere, ma addirittura a
introiettare, per cercar di carpirne i significati più reconditi, i messaggi
veicolati da sintagmi a volta semplici, a volte più complessi; da lessemi,
sempre più usuali e triti, ai quali solo pochi intelletti riescono a conferire
nuove estensioni semantiche; da sintagmi non sempre pertinenti al dettato poetico,
i quali, mentre si dipanano nel verso e dànno vita alla sequenza narrativa,
racchiudono le più intime riflessioni e confessioni del Poeta; da fonemi, che
si uniscono, si separano, si intrecciano per formare una catena semantica ora
semplice, ora complessa, e cercano di avvincere il lettore con l’armonia
interna dettata da ancestrali flussi concettuali, nei quali il tempo, inteso
soprattutto come categoria, assume per lo più il ruolo di protagonista.
Tra i numerosi volumi di
poesia, che vengono oggi messi a disposizione di un pubblico sempre più vasto,
ma di rado più attento, pochissimi sono quelli validi e tali da essere letti,
meditati, proposti per pensiero, stile, esemplarità. Tra questi un posto di
primissimo piano è assunto da Sibilla, uscito, qualche anno addietro,
dalla brillante penna di Enzo Bacca. Il lettore poco attento, però, non di rado
si lascia ammaliare dal bell’aspetto della copertina e, sovente, non va oltre.
Con questa breve nota, invece, si cerca di penetrare nella genesi del volume, di
gettare un fascio di luce su alcune liriche e decifrare mediante un’attenta ed
esauriente analisi letteraria e filosofico-semantica il messaggio, che intende
veicolare.
È superfluo aggiungere che
Enzo Bacca nel frastagliato ambiente poetico italiano è un esponente di
altissimo livello; che la sua produzione lirica è costantemente apprezzata anche
dai lettori più esigenti, dai critici più raffinati, dai poeti più sensibili;
che la riflessione sul tempo e l’acuta analisi della psiche umana raggiunge per
lo più mete ignote a molti sedicenti poeti. Enzo Bacca, infatti, in ogni lirica
riversa e interpreta non solo il personale travaglio interiore e lo pone come paradigma,
ma cerca anche, e soprattutto, di penetrare nella coscienza del lettore, di
scandagliarne i moti più intimi, di coglierne gli aneliti personali e
universalizzarli con un linguaggio piano, curato, espressivo. Anche quando la
materia gli offre il destro, Enzo Bacca non si abbandona mai a vuota retorica,
a revocazioni asfittiche, ad analisi banali, a osservazioni scontate, tipiche
d’una poesia frettolosa, chiassosa, poco attenta alle intime esigenze della
psiche, colta e proposta nella sua realtà ora dolce, ora cruda. Alla sfuggente
e, a volte, volutamente celata diacronia, segue sempre una velata riflessione
sul tempo, sulla sua fugacità, sui cambiamenti, che opera nella natura e, in
modo particolare, nella psiche, generatrice di commozione, fonte di emozioni,
sede di pulsioni vitali, che con il loro aspetto mediale prefigurano nella
mente del Poeta e la genesi e la palingenesi dell’essere pensante e scrivente.
La
pregevole silloge, per l’intimo e intrinseco messaggio racchiuso in ogni carme,
non a caso è intitolata Sibilla. Il titolo altamente evocativo trasporta
il lettore in un tempo lontano solo in apparenza: il Poeta, infatti, raccoglie
e serba nella fucina interiore il passato tanto remoto quanto prossimo, per
riproporlo al presente nella paradigmatica funzione paideutica, la quale,
propria della Poesia, indossa di continuo la veste della Sibilla. E sarebbe un
errore, se non fosse così: la Poesia svilirebbe il suo stesso essere, se
non proponesse a ogni lettura quel quid, che accende la riflessione e
ingenera pulsioni verso la fictio, inverata dall’esperienza paradigmatica
dell’ens cogitans.
Ripercorrere
in breve la storia etimologico-semantica dell’arcano e abusato lessema spiega
bene perché l’Autore ha voluto richiamare, e riproporre, un titolo così evocativo,
soprattutto per quanti si sono nutriti di studi classici, dai quali assumono
ancora paradigmi di vita e di pensiero. Collocata all’incrocio tra il sacro e
il profano, tra il passato e il futuro, tra l’io parlante e il tu
in stato di ascolto, la Sibilla costituisce il logos chiarificatore del
passato e prefigurazione del futuro, tra il fu e il sarà: si pone
al centro, tra due categorie temporali in eterna e vitale opposizione.
Ancora oggi la Sibilla come
persona fisica, obliterando le facoltà profetiche e oracolari, è considerata
soprattutto il tramite necessario, che si interpone tra l’umano e il divino,
tra il caduco e l’eterno, tra il mortale e l’immortale,
tra il vero e il falso. La divinità, della quale è sacerdotessa e
voce fisicamente intesa, manifesta all’interpellante il suo volere mediante
versi non sempre facilmente intellegibili. Il concetto di Sibilla
secondo l’interpretazione dello Schwyzer si snoda attraverso il concetto di vergine
profetica di patente origine dionisiaca, non senza forti influenze sciamaniche,
tipiche delle popolazioni più antiche, nelle quali la funzione mantica della
donna avveniva sotto gli effetti dell’ebbrezza. In questa specifica funzione la
Sibilla si riallaccia a concetti accadici, diffusi nel corso dei millenni nel
bacino mediterraneo. Sibilla, infatti, nell’antica lingua accadica significa vecchia
testimone di dio, e non solo, perché nel complesso sviluppo semantico la
vergine, che nel suo antro è assalita e posseduta dallo spirito del demone, può
significare anche possesso del demone. A questo punto il riferimento alle Baccanti
di Euripide è d’obbligo: Virgilio, infatti, Aen., VI, 77-78
scrive: in antro bacchatur: invasata dal dio la Sibilla cumana si dimena
nell’antro, Apollo le invade il corpo e le ispira il sacro furor, che
non è dissimile da quello delle baccanti. Ma il termine Sibilla, ancora dall’accadico,
significa anche colei, che si trova nel luogo arcano, identificato col virgiliano
limen, linea di demarcazione tra l’interno della grotta, sede della Sibilla
e del Dio, che la possiede, e l’esterno, destinato a chi consulta il dio, per conoscere
gli esiti futuri della sua vita.
Tutti questi significati, non
esclusi quelli varroniani, si includono e si completano a vicenda e
conferiscono al sintagma la completezza e la complessità, che racchiude e disvela
a quanti per la prima volta si imbattono nel complesso mondo della mistica
greco-romana e della trascendenza la complessità del personaggio e della
divinità.
Il lettore di oggi, certamente
molto informato su quanto esposto, si chiede il motivo, che mi ha indotto a
riferimenti così lontani per tempo, spazio, cultura. Trova la risposta tra le
pregnanti liriche contenute nel pregevole volume, che Enzo Bacca ha
scientemente intitolato Sibilla. Il titolo non è, come tanti, o la
maggior parte, ammaliante, ma cela nel suo intimo significato gli elementi
fondanti, la vis poetico-espressiva di un’arte permeata da allusioni,
traboccante di elementi afferenti allo spazio sociale, politico, civile,
erotico. Costituiscono, questi, gli elementi, che concorrono tutti a formare
l’unità intrinseca della vita e, insieme con l’uomo, la percorrono dall’inizio
alla fine, la permeano nel suo eracliteo scorrere o, forse meglio,
nell’oraziano alius et idem, sempre lo stesso, ma diversa da uomo a
uomo, da un momento, da un’epoca all’altra. Nessuno, forse, meglio di Enzo
Bacca con questa silloge incarna e proietta all’esterno il notissimo aforisma
di Terenzio: homo sum: humani nihil alienum a me puto. Con queste parole
l’umanesimo latino già nel II sec. a.C. affermava una verità, già ampiamente
nota nel mondo greco da almeno quattro secoli: sono un essere umano e tutto ciò
che appartiene all’Uomo non mi è estraneo, è parte fondamentale del mio essere
psico-fisico. Nel sinolo costituita dall’anima e dal corpo, uniti da un eros
primordiale inscindibile e destinato a durare fino a quando la psychè,
l’anima, non lascia il soma, il corpo, per ritornare due elementi a sé
stanti, liberi di costituire un altro essere, con le medesime caratteristiche e
vivere esperienze, che, probabilmente, nessuno è in grado di immaginare e
scrivere. Questo è il motivo, che ha spinto Orazio a cogliere e vivere
intensamente ogni momento della vita: carpe diem. Non credo che questo
sia un messaggio prettamente epicureo, se gli scrittori cristiani non cessano
di esortare il battezzato a non sciupare neppure un istante della vita: è, del
resto, l’evangelica parabola dei talenti.
Questi elementi, attinti da
fonti diverse e coagulati nell’unità psico-fisica del Poeta, dànno, di volta in
volta, vita a componimenti di grande intensità lirica, per l’imperituro
contenuto, appartenente all’Uomo, essere singolare e, nel contempo, universale;
conferiscono a ogni singolo componimento un punto di arrivo come precipitato di
esperienze portate a termine e punto di partenza per un diverso modo di vivere,
di interpretare l’esistenza, di vivere il dialogo erotico in modo che
travalichi l’angusto cerchio costituito solo dall’io dal tu, per coinvolgere nel fremito
dell’estasi anche l’altro, parte inscindibile del consorzio umano.
Non è, questo, un puro gioco
dialettico, che un gimnosofista potrebbe sciorinare lì per lì, ma un’accorta e
assidua assimilazione di elementi fondanti, per una cultura, che parli a tutti
gli uomini. Ogni lettore può individuare gli archetipi, la tessitura narrativa,
le non poche agnizioni di lettura, che si trovano in autori, che vanno da Dante
a quelli dei nostri giorni, ma pochi riescono a scorgere la solida formazione
filosofica, che prende le mosse da Bergson per arrivare, accompagnato da Edmund
Husserl e da Edith Stein, alle attuali esperienze culturali, non sempre a pieno
e meritamente condivise.
Nella nutrita silloge un luogo
di rilievo è dato dall’empatia, termine tecnico-filosofico, inteso come
capacità di interagire pienamente con l’altro sul piano delle emozioni, dei comportamenti
e dello stato d’animo. Il lessema deriva dal greco empàtheia, composto
da en, dentro, e pathos, sofferenza o sentimento. Nell’antichità
era adoperato soprattutto per gli spettacoli teatrali, durante i quali tra
attori e spettatori si instaurava un rapporto emozionale di fattiva partecipazione.
Enzo Bacca, però, sa bene che il termine è stato coniato verso la fine
dell’Ottocento Robert Vischer, studioso di arti figurative, il quale, come si
legge in Giusti - Locatelli,
intendeva la «capacità della fantasia umana di cogliere
il valore simbolico della natura».
Questo termine, quindi, fu concepito per designare la capacità, innata
nell’uomo, di sentire dentro e di con-sentire, di avere cioè una
chiara percezione della natura sia interna che esterna del nostro essere fisico
in rapporto tanto verso l’ego quanto verso il tu dell’altro. Con
questo termine Enzo Bacca rappresenta il modo di proiettare i sentimenti, che
dall’ego narrante passano al tu, che ascolta e recepisce e
rielabora in maniera logico-affettiva il messaggio veicolato dal corpo o da una
delle sue parti. In questa particolare dimensione filosofica ed estetica Bacca
attinge a piene mani dal Lipps. Lo studioso, però, non si ferma all’aspetto estetico,
ma estende il termine empatia alla capacità di essere in armonia con
un’altra persona, della quale si colgono gli stati d’animo, i sentimenti e le
emozioni, per vivere in piena sintonia con se stessi e con gli altri.
Sono, questi,
solo alcuni aspetti della complessa architettura e alchimia, che caratterizzano
Sibilla e conferiscono al florilegio quel tocco di unicità, tipico d’un
capolavoro destinato a durare a lungo. Guidato e sorretto da così profonde
pregnanze filosofiche, interpreta e propone Natura ed Eros come
elementi portanti e fondanti dell’ens homo, inteso in tutta la sua
complessità semantica. Nell’eterna e alterna lotta tra esse ed existere,
durante la quale si alterna la vis amans, la vis generans, la vis
mortalis Bacca intesse un inno ad Eros, inteso nella sua espressione ora
panica, ora priapea, ora spirituale e trascendente, per giungere al verbum
per eccellenza, all’Amore, del quale avverte ed esterna in maniera magistrale i
sintoni, le pulsioni, il potere fino al totale annientamento dell’ego
nel tu. A questi fremiti, a questi susurri sommessi di dannunziana
memoria, che si spengono nel folto d’una natura ancora vergine, subentra l’ens
rationale, che con i colori, i rumori, il vocio, il fruscio del vento
spegne a poco a poco l’eco dei sentimenti, che si perdono nel buio, oltre
l’orizzonte.
Non manca in
questa silloge di Bacca il topos del viaggio, nel quale il poeta racchiude gli
elementi portanti della sua produzione artistica. Si coglie, sotto questo
aspetto particolare, anche la dimensione religiosa di Sibilla, che sul
piano soprattutto narrativo costituisce un cardine, sul quale ruota l’esistenza
dell’homo inteso come ens soggetto alla nascita e alla morte,
come tutto il creato che lo circonda. Per cui nel corso della lettura si incontrano
il sogno, l’attesa e, in modo particolare, la speranza,
nella quale si spegne l’anelito terreno in vista dell’eterno gaudio nella gioia
senza fine. Letta con quest’ottica particolare l’unione d’amore non è che un anticipo
dell’unione finale con l’ens a se, per raggiungere il quale Thanatos
costituisce il tramite necessario, un diverso tipo di Eros, che spalanca
le porte ad un Amore senza fine. I luoghi dell’anima per questo viaggio dagli
inizi incerti costituiscono i prodromi per scoprire nella sua interezza l’Aletheia,
che sfocia nell’infinità dell’Eterno, nel quale il tempo perde la sua
consistenza davanti all’eterno presente.
Per poter
comprendere fino in fondo la poetica di Enzo Bacca bisogna saper cogliere in
ogni lirica l’esatta dimensione temporale, per lo più espressa al presente, per
poter proiettare il lettore nel futuro, tempo della speranza. Il presente,
però, è sempre preceduto dal passato, del quale conserva ricordi, suggestioni,
stimoli, ormai svaniti per sempre. Il tempo nella silloge denota sempre la
percezione e la rappresentazione del modo nel quale gli eventi si succedono;
evidenzia il rapporto di contemporaneità, anteriorità, posteriorità. Alla
grandezza o dimensione fisica del tempo nella silloge si affianca e, a poco a
poco, si sostituisce la dimensione filosofica, la quale imprime al carme e alla
complessa architettura lirica nella sua interezza la collocazione percettibile
dell’uomo e degli eventi inseriti nel continuo scorrere eracliteo, mediante
l’ininterrotta sequenza costituita dal passato - presente - futuro.
Nella stesura
delle liriche evidente è la presa di coscienza da parte del Poeta di come
questa categoria influenzi il pensiero, le azioni, la scelta delle occasioni.
L’inesorabile trascorrere del tempo caratterizza fenomeni e cambiamenti sotto
l’aspetto materiale e spaziale e dà vita, di volta in volta, a una nuova
esperienza sia sotto l’aspetto sensibile che metasensibile. Mediante la
concreta e l’attenta osservazione poetica tutto nelle liriche si nuove in uno
spazio, che la mente descrive e circoscrive a livello umano e sensoriale. Al
dato obiettivo dell’esperienza diretta subentra a poco a poco la coscienza del
mutamento e dal presente, che richiama quanto è accaduto nel passato, il Poeta
proietta nel futuro quanto rivive nella sua intensità catartica. La poesia si
coglie intera nel suo divenire, nella forma imperfetta percepita e
proposta come futuribile. Quest’asserzione nella sua ovvietà non deve trarre in
inganno il lettore, perché alla momentanea fissità del presente subentra in modo
impercettibile il divenire con la sua diversità.
Alla staticità
della sincronia, che introduce il lettore all’unicità dell’evento, subentra la
diacronia, mediante la quale l’esperienza passa in maniera impercettibile da
uno stato all’altro. In questo passaggio è possibile l’agnizione di letture, di
stimoli, di emulazioni tratte dalle letture e dagli studi preparatori. Il
lettore, seguendo lo sviluppo diacronico dei testi collocati in quel preciso
ordine nella silloge, avverte la percezione umana del tempo e proietta la
coscienza dell’io cogitante nella cangiante realtà, della quale tanto
l’autore quanto il lettore costituiscono i personaggi di un dialogo sotteso.
Gli intervalli, costituiti dalle diversità delle situazioni, ora si accorciano,
ora si dilatano, ora si annullano, fagocitati dalla spiritualità del moto, che
eleva l’animo sempre più in alto, lontano dalla contingenza strettamente
terrena.
Con i versi il
Poeta come uomo parla all’uomo e, mediante l’obiettiva percezione del tempo,
gli manifesta il frutto della sua mente. Il passato, in questo caso, viene relegato
nel mondo dei ricordi, derivati dal vissuto. Alla brevità del presente, che
consiste nella comprensione e nella lettura reale degli eventi secondo il
linguaggio adottato dallo scrittore, subentra necessariamente il futuro, il
quale con la logica previsione e proiezione di progetti intellettuali, sia
razionali che passionali, guida il Poeta verso mete trascendentali, pur nella
loro contingenza.
I diversi
eventi, che la Sibilla pronunciava dal suo antro e preannunciava con lo sguardo
rivolto al futuro, sono raccolti da Enzo Bacca, riordinati, riproposti in una
sequenza fenomenologica, destinati a incidere in maniera profonda sulle
coscienze. Alla soggettività locale, nella naturale e apparente coincidenza del
tempo con lo spazio, subentra a poco a poco e prende coscienza la ciclicità,
con la quale determinati eventi si ripetono e prendono corpo nella stesura
della lirica.
Da quanto
accennato il percorso poetico di Enzo Bacca non è sempre illuminato dalla luce
della gioia, sovente è lacerato da strazianti costatazioni, che si affiancano e
si sovrappongono alle gioie della vita e dell’Amore. Mediante una visione
unitaria della realtà, il Poeta cerca di superare la frammentarietà della vita,
per ricomporre il tutto in un unico ideale, dato dalla materia e dalla forma,
compattate dall’ens rationale, che con la logica cerca di organizzare
quanto travaglia il suo spirito. In questo quadro dai tratti decisi e dai
contorni sempre sfumati si inserisce la natura con i suoi colori, con i suoi
palpiti, con la sua ciclicità: alla gioia della primavera e dell’estate si
affianca la tristezza dell’autunno e dell’inverno; al profumo della ginestra subentra
il livido odore di erbe putrefatte.
Il
canto del Poeta sgorga dalla muta e sofferta quotidianità, dallo scorrere del
tempo, sempre lo stesso e diverso, dalla vita consuetudinaria, che, non di
rado, produce visioni di sogni mai avverati eppure captati e messi in versi in
momenti di intima tensione lirica, di inappagati aneliti verso lidi rasserenanti,
di slanci tarpati dalla trita monotonia del giorno, che nasce, scorre e tramonta
sempre nello stesso modo. In questo flusso continuo il lento scorrere delle
ore, scandite dal ritmo sempre vario e diverso delle parole e del verso
costituisce l’io esistenziale del Poeta, che si infutura in un archetipo
pluridimensionale costituito da lessemi, figure, suoni, colori. Qui Enzo Bacca
trova la vitalità, incontra Eros nelle chiare ed allusive descrizioni della donna,
che si mostra affacciata alla finestra oppure uscita dalla mia
costola … Eva generata dal mio ventricolo; è quell’anima candida, che susurra:
aprimi come melagrana matura
la notte svela la porta del risveglio
portami
nel bosco delle fragole…
La breve pericope è
attraversata dalla vitalità e dall’energia descrittiva mossa da Eros; sprigiona
una pacata e serenante sensualità, che si spegne a poco a poco, come sugli
argini / fresca brezza dorata, ricordami / il posto esatto dove attraversano le
nutrie. Il verso, chiuso da lessema sdrucciolo, conduce il lettore verso un
punto indeterminato, che converge verso il luogo dove Eros trova se stesso, il
pieno completamento e appagamento di sé.
In
questo tema simbolico si scorge chiaro il topos classico del viaggio
verso porti lontani e sconosciuti, dove il Poeta può con maggior passione e
ardore interiore sentirsi dire: sulla soglia aprimi ancora germoglio di
sposa. Qui il lettore trova fuga e
partenza, volo e quiete in un sapiente gioco di parole, di luci e di ombre.
Tutta la lirica, come tante altre, è scandita da una sommessa e sognante barcarola,
al chiaro di luna. Nel ritmo lento e cadenzato, scandito dai colpi di remi
sull’acqua, il Poeta culla i suoi sogni, immerge il lettore in un locus
amoenus dove spazio e tempo costituiscono un’unica dimensione, nella quale
Psiche ed Eros respirano all’unisono in una serena e rasserenante sequenza
cromatica. Presente e futuro scandiscono colpi, che trovano il loro riverbero
nell’ego cogitans, fenomenologicamente inteso. L’ego cogitans e,
nello stesso tempo, cupiens induce il Poeta ad esclamare meravigliato
davanti all’incantevole volto di Sibilla:
Come sei bella
Sibilla affacciata alla finestra
in attesa della mia
testa scura.
La ginestra di fronte
ondeggia bionda,
gialla la camera dei
sogni, scura
la
pialla del falegname intaglia croci.
Il sogno, a lungo cullato, diventa realtà davanti allo sfolgorio
degli occhi, dei colori, dei profumi emanati dai fiori e dei rumori provenienti
dal vicinato. È, questo, un idilliaco quadretto leopardiano, che Enzo ripropone
in chiave moderna, distante dagli schemi del recanatese: di Leopardi, però, coglie
e porge al lettore la chiave di lettura, per dipanare la tramatura e connettere
i fili all’ego cogitans e cupiens nel tripudio calcolato dei
colori, chiusi dal roco e ripetuto fruscio della pialla sul legno. L’attesa, dilatata e dilazionata da la stalla
l’ovile l’asinaia, fertile l’aria di latte, in maniera inaspettata si
chiude, riprendendo, per metà, il verso incipitario: come sei bella Sibilla
in penombra / vestita di camelie.
In questi brevi riferimenti vibrano con tutto il loro potere
evocativo gli elementi primordiali, che, come essenze profumate, risvegliano sentimenti,
angosce, timori, speranze. Nella tensione semantica diventano simboli catartici
di una palingenesi vicina, destinata a restaurare e ripristinare quanto nel
corso della storia l’Uomo ha rotto, corrotto, disviato dal primigenio disegno
divino. Insieme con questa realtà l’ens cogitans avverte la sua impotenza
e cerca di ricostruire l’armonia perduta nel fecondo rapporto interpersonale,
nel quale Venere ed Eros incarnano l’ens homo nella dualità
femmina-maschio, nella quale entrambi donano e ricevono. Nella ricostruzione
dell’unità primigenia, nessuno dei due è oggetto di piacere per l’altro, ma
entrambi nella purezza dell’Amore costituiscono, l’edonè, il piacere
psico-fisico, cui ogni essere tende per natura.
Sotto questo particolare aspetto vivo è in Enzo Bacca il
concetto lucreziano della voluptas, che strisciante, ma non troppo, informa
la maggior parte delle liriche contenute in Sibilla e costituisce nella
sua naturale soddisfazione la chiave di lettura, che consente di cogliere nella
sapiente disposizione lessematica l’intimo fremito della natura, diversa per
lungo tempo individuo, ma fondamentalmente sempre la stessa, dalla sua
apparizione sulla terra.
Nella sostanziosa raccolta Bacca pone in giusto equilibrio la
cultura classica e quella recente, spesso d’avanguardia. La forma, come il contenuto,
che sostanzia la lirica verso dopo verso, è sempre controllata nella sapiente
architettura tanto lessematica quanto sintagmatica. L’artiere del verbum
non rimane invischiato nelle panie della facile sciatteria d’una verbigerazione
d’effetto, ma eleva il tono parola dopo parola, verso dopo verso, per veicolare
alla fine un preciso messaggio, che, non di rado, diventa stimolo di ricerca
esoterica, finalizzata al perseguimento d’una forma d’arte esemplare, fruibile
da chiunque sia fornito di particolari stimoli, in grado di percepire gli
intimi sussulti d’una Natura, che, sotto non pochi aspetti, si presenta ancora
incontaminata.
L’assenza della metafisica di
stampo platonico-agostiniano non significa che Enzo Bacca abbia rinunciato o
rinnegato quanto nel suo ego cogitans e, soprattutto, inquirens costituisce
e costruisce il fulcro della ricerca e della sua entità e identità poetica.
Nella lirica la Physis, aristotelicamente intesa, non è sufficiente a
trasmettere i suoi fremiti voluttuosi alla Psyche se non si sottende
quel trames extrasensoriale, che trascende la mera fisicità del corpo,
dei colori, della natura. Si riscontra, in linea di massima, una metafisica ancora
allo stato primigenio, immediata, inesprimibile per l’immediatezza e la
semplicità tanto dell’approccio quanto del contatto. Proprio questa elementare
metafisica permette al sinolo uomo-donna di formare nel particolare momento e
incanto dell’eros, inteso come sublimazione della psyche, quell’ens
unicum, verificatosi, secondo la narrazione biblica, nel giardino
dell’Eden. La sublimazione si rinnova ogni qualvolta avviene il miracolo
dell’incontro e della fusione sensibile, ogni qualvolta il fremito della voluptas,
mediante la fisicità del corpo, giunge alla psiche e la trasforma in
fornace, che fonde la dualità e la riduce all’unum. Cosciente d’essere
in possesso d’una metafisica elementare, in Qualcosa mi appartiene Bacca
può scrivere:
C’è qualcosa che mi
appartiene
sotto la tua vestaglia
nuda.
Maglia che ti eternai
una sera fredda-
Quella stoffa lanina
che t’avvolge
è
pelle mia…
La vitalità della descrizione è pregna di indomita energia, che
dischiude lampi di vitalità, i quali, insiti nella psyche, informano pensieri,
gesti, desideri, e invitano a scoprire quanto di personale e pretenzioso si
cela sotto la stoffa lanina; a raggiungere la meta agognata tanto da chi
narra, quanto da chi ascolta e cela sotto l’involucro il reciproco desiderio e
del dono e dell’accettazione.
Saldamente ancorato alla fisicità dell’ens, Enzo Bacca in
rari momenti si abbandona alla trascendenza sic et simpliciter intesa:
la sua poesia, infatti, trae vita dalla fisicità della Natura, cui rende il
naturale tributo, quando la richiama nei suoni, nei colori, negli scrosci
dell’acqua o nelle folate di vento, che attraversa il fogliame di un pioppo o
di un tiglio e si perde in lontananza, verso l’infinito.
Grazie di cuore Prof. Bologna per questa nota di lettura al mio Sibilla, ne sono veramente onorato. Grazie infinite al Prof. Pardini per lo spazio dedicatoci nel suo blog, ne sono veramente felice. Sibilla ringrazia.
RispondiEliminaEnzo Bacca
Nota bellissima: Orazio è un fiume in piena che porta il suo limo a nutrire il nostro terreno. E lo fa magistralmente, con il suo stile, intrecciando la poetica di Enzo Bacca con sostanziali citazioni e accostamenti. Breve la nota non è, ma è fruibilissima, perché Orazio sa condurci con la più alta chiarezza di cui è capace. Conosco un po' la poesia di Bacca, anche per averne scritto, e sicuramente è un poesia che riesce a coniugare il suo tempo interiore alla percezione dell'altro. E lo fa attraverso ardite metafore e improvvise similitudini che non temono l'azzardo.Congratulazioni a entrambi.
RispondiEliminaMeritata in pieno questa bellissima nota di lettura. La poesia di Enzo Bacca sorprende sempre piacevolmente per gli accostamenti arditi e i messaggi di forte attenzione al prossimo
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