venerdì 31 marzo 2023

" Echi " di Gabriella Maggio, recensione di Lorenzo Spurio

 

La nuova raccolta poetica di Gabriella Maggio, Echi (Il

Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, 2022), segue la

via dell’essenzialità e, al contempo, della compattezza

contenutistica. La pregevole prefazione dell’illuminato

poeta e fine critico Dante Maffia ne traccia con perizia

le linee distintive, “vestendo” la silloge del miglior abito

cui abbia potuto aspirare. Non a caso Maffia parla di

una “macerazione lenta e limpida che porta ad esprimersi

con chiarezza e semplicità”.

Gabriella Maggio, ex insegnante ora in pensione, nel

corso della sua carriera letteraria che l’ha vista collaborare

attivamente con la Libreria Spazio Cultura di

Palermo, vincere importanti premi letterari e pubblicare

– prima di questo volume – la silloge Emozioni

senza compiacimento (2019), appare all’attento lettore

dei suoi versi come una donna resiliente dalle capacità

comunicative assai rare. Il dettato linguistico dei suoi

componimenti (pochi, è vero, ma in grado di aprire

mondi vasti, a noi paralleli o, in quanto al passato,

da noi fedelmente ricercati) predilige uno stile per lo

più asciutto in cui la parola è generalmente fruibile in

via automatica, in altre circostanze fanno capolino altre

costruzioni leggermente più elaborate fondate su

un’esigenza di dire tramite il dato evocativo. Non infrequenti

appaiono le analogie; alcuni versi sembrano

addensarsi attorno a immagini ben definite, a loro volta

plausibili chiavi di lettura e fili rossi distintivi dell’intera

“narrazione per immagini”. Mi pare di avvertire anche

una lieve adesione a quella poetica del frammento che

fa dell’essenzialità e della rievocazione per squarci del

reale il motivo di partenza per ricondurre poi, in chiave

sinottica, a una visione di completezza e di globalità

dela vasta gamma dei temi a lei cari. Il titolo della raccolta,

“echi”, ben chiarifica il rimando a un qualcosa che

si è prodotto in un altro spazio-tempo e ha avuto un

prolungamento in un dopo. La poesia (e la letteratura

tutta) dato al fenomenale mezzo (se ben usato) dell’intertestualità

e della rievocazione di fonti, non è proprio

un bagaglio inesauribile di echi, di voci che ritornano,

di linguaggi e messaggi lanciati in altre età, riletti e fatti

propri? Rientrano negli “echi” della Maggio i componimenti

che parlano di uno ieri apparentemente lontano

(così come le figure importanti della nonna e del genitore

paterno) eppure ancora percepibili in quei riflessi

intimi. Sono echi non sonori, privi della loro dimensione

prettamente uditiva, ma che esemplificano quel

profondo radicamento a un prima che connette doppiamente

la Nostra, donna prima che poetessa, tanto

alle origini ancestrali quanto al cambio progressivo

della società e alla fluidità del presente. L’immagine di

copertina, che propone una sorta di sdoppiamento (e

rispecchiamento) dell’autrice tra una Gabriella Maggio

reale (a sinistra), in carne e ossa (ritratta, immaginiamo,

durante uno dei tanti eventi a cui prende parte) e

di una Gabriella Maggio in forma di oleogramma (viene

da pensare anche al risultato di un possibile “ricalco”

su carta con la non più utilizzata carta copiativa),

fa riflettere su questo scambio tra età, tra mutazioni

che il nostro io più o meno coscientemente vive e realizza

nel corso dell’esistenza. Le due donne sembrano

colloquiare in maniera molto garbata e interessata (lo

sguardo della Gabriella reale ci fa pensare questo) ed

è in questo interscambio di vedute tra le due donne,

sfaccettature della medesima persona, che prendono

piede le liriche della Nostra, in un flusso di coscienza

inarrestabile, giunto a noi grazie alla trascrizione di

momenti della memoria, gioie ritrovate, istanti cruciali,

epifanie e riflessioni. Nella raccolta, che si compone

di trentaquattro liriche, vi è il dato emotivo-sensoriale

della donna, la sua autenticità di essere senziente legata

al mondo degli aletti e circoscritta nel baluardo della

memoria personale e familiare (Maffia richiama giustamente

la massima sabiana della “poesia onesta”) ma

anche il dato socio-politico di questa età scapestrata.

Quest’ultimo è ben evidenziato nella poesia che chiude

il libro dedicata ai poveri disgraziati di Mariupol, Kiev e

di tutta l’Ucraina, che da troppi mesi vivono il dramma

del conflitto: “le betulle / […] / s’aprono un varco nelle

voragini / nei palazzi avvolti dalle fiamme”. Come ulteriore

“eco” le betulle della Nostra non possono non ricordare

quelle dell’ampia foresta in prossimità di Chernobyl

(nella sempre martoriata Ucraina) che nel 1986,

a seguito del grave disastro radioattivo, per gli alti tassi

di tossicità assunsero una colorazione rossastra, anomala,

frutto della pesante contaminazione, prima di

trovare la morte.

Lorenzo Spurio

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