Maria Luisa Toffanin, dalla voce che dischiude,
potente, profetica, sonora, dedica quasi tutte le sue undici liriche al tempo
insospettato e terribile della pandemia, al “mistero del vento virale -
terzo conflitto globale”. La guerra è
un conflitto tra Stati, tra paesi che trascinano i popoli gli uni contro
gli altri. C’è un nemico fisico. In questo caso l’avversario è esogeno, non lo si può combattere con le armi di distruzione della guerra.
Contro il virus le armi sono cura e prevenzione, il contrario della guerra.
E la Poetessa, sempre attenta al sociale, risponde con versi
ispirati dalla universalità della preghiera, della compassione. Risponde
invocando “pietà dei morti, pietà dei vivi”. Se è vero
che la musica può toccare direttamente il
corpo e sconvolgerlo, provocare danza e canto, strappare magicamente l'uomo a
se stesso, le odi della Nostra, che richiamano in più occasioni le tematiche
leopardiane - la siepe, la ginestra, - chiedono alla “vita di avanzare
pure sui fili del telefono”. E l’Autrice, tesa ad arco verso il prossimo,
volge lo sguardo ai bambini, che in tempo di pandemia patiscono la sindrome da
deprivazione sensoriale, e inventa per loro giochi simili al carnevale “con
guanti e mascherine / che si può anche cantare tutti in coro / come a Natale”. La
lirica – filastrocca dedicata ai piccini ci consente di visitare il realismo
magico, caro al grande Gianni Rodari. La Toffanin è artista
poliedrica, che visita i territori della poesia con rara disinvoltura e
conosce la resilienza, il coraggio, la creatività delle persone in
apparenza più deboli. Il cantico è volto a “questo presente – effimera
sosta / di una bianca farfalla tra il suo verde / perenne. / Ma lei già palpita
vibra le ali subito tese / in un nuovo progetto di volo”, ai miracoli della
Natura, nella consapevolezza che “Le cose sono
unite da legami invisibili:
non si può cogliere un fiore senza
turbare una stella.” (A.
Einstein) Nel maggio 2020, in pieno tempo di Coronavirus, si spense
il grande pianista Ezio Bosso e la poetessa non può esimersi dal dedicare alla
sua musica una lirica che tocca vette impensabili. L’artista conviveva con un
cancro, eppure era solito dire che la malattia non era la sua identità,
rappresentava più una questione estetica. Aveva cambiato i suoi ritmi, ogni
tanto lo spingeva a “evaporare”, ma non temeva che gli togliesse la
vita. La Toffanin gli attribuisce giustamente la scintilla dell’eternità: “Così
nel tempo eterno permani / bellezza intima / che si fa armonia – canto di
vita”. Nella lirica “Naufraga” l’Autrice si rivolge a Robinson Crusoe
per esprimere il suo dolore sulla “landa / desertificata dalla furia
virale”. Versi originalissimi, che mettono in luce la differenza tra
il marinaio che vive per ventotto anni su un’isola deserta presso la costa del
Venezuela e l’esistenza riempita solo “dall’empietà dei media”. La
poesia, come spesso avviene nelle opere della straordinaria Poetessa padovana,
ci sorprende e ci accarezza con una chiusa in levare, presagio di giorni nuovi
che diano senso al nostro percorso terreno. Il rossetto, “raggio di
sole stampato sulle labbra”, lungi dall’essere un semplice cosmetico
diviene il simbolo del sorriso negato, dell’impossibilità di far affacciare
l’anima alla finestra del viso attraverso l’arcobaleno delle labbra. La
mascherina costringe a rispolverare un’espressione tenera, sorridere con gli
occhi, nell’attesa che torni “quella luce quella parte di me”, come
recita la Toffanin, che consente di comunicare il saluto, la gioia,
l’affermazione, la vicinanza. Mi è sembrato significativo che l’Autrice non
citasse l’abbraccio o il bacio come messaggi d’amore banditi. La mascherina
l’ha ferita nel profondo, l’ha resa fantasma di se stessa, l’ha espropriata
della sua natura. E in effetti la mascherina riveste un ruolo determinante per
coloro che sono soliti dare senso e verità al sorriso, eludendo il concetto di
maschera sociale. La Nostra è donna e artista profondamente vera. La
lirica “Per una nascita”, che ha fatto vibrare le corde del mio cuore, lo
dimostra. La Toffanin commuove e rompe gli stampi. Celebra con il suo
canto melodioso la vita che va avanti attraverso versi lievi come incantesimi: “No,
non può morire il mondo / se anche una sola madre / arde di fede immensa nella
vita / che in lei fiorita avanza”. Le nascite sono relative anche al
rinnovarsi della primavera, al tappeto di stelle nel quale ‘brilla il
sorriso di Dio’. Il controcanto della Nostra si palesa in questi versi
e nella lirica “Emozioni”, che vede la Poesia divenire il linguaggio
che le è proprio e le consente di esprimere l’esperienza mistica, i moti della
grazia, l’estasi al di là del ‘limbo’ nel quale si trova a vivere. I versi sono
caratterizzati da un andamento armonico del flusso sonoro dei termini adottati
e nasce il volo. Nel volo sul proprio spartito interiore la
Toffanin insegue Gelsomina, il meraviglioso ingenuo personaggio
interpretato da Giulietta Masina nel film “La strada” di Federico Fellini,
creatura di poesia pura, venduta a un rozzo girovago che si esibisce nel paese
con giochi di forza e abusa di lei. Il film scorre sulle note della poetica del
candore di Nino Rota, caro al cuore dell’Autrice. Le ali spalancate sulla musica
tentano di abbracciare anche l’amico Andrea Zanzotto, poeta senza tempo di
Pieve di Soligo, e in questi voli pindarici la Poetessa ci coinvolge nella
vertigine della bellezza assoluta. “Fragile l’oggi alla pulsione dei
numeri / oscuro cammino il domani eterna / voce la bellezza / promessa che
dolore e morte vince e / sublima”. Le undici liriche terminano nel
maggio del 2022 con un tuffo nei colori del giardino, luogo quasi di culto per
l’Autrice, che è solita rivolgersi ai fiori con rispetto e con atteggiamento
amicale, e in quest’occasione celebra la clematide, “risorsa a noi
etica estetica / riflessa nei tuoi occhi pervinca / riaperti al mattino / come
all’infanzia del mondo”. L’azione dei fiori rafforza la qualità
opposta allo squilibrio esistente, essi insegnano ad attendere, a non
disperare, a non dare per scontata ogni piccola cura, ci allenano alla pazienza
e alla meraviglia. La Toffanin, pur lontana da Teocrito, come spirito può
senz’altro definirsi ‘musa bucolica’ dotata del lirismo appassionato, della
consapevolezza che “Cantare in verità è un / altro respiro, / Un respiro sul
nulla. Un soffiare nel Dio. Un vento.” (Rainer Maria Rilker)
Maria Rizzi
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