martedì 25 marzo 2025

XXVIII PREMIO NAZIONALE MIMESIS di poesia 2025

 IL XXVIII PREMIO NAZIONALE MIMESIS

 di poesia 2025

di seguito nominato Premio, è indetto e organizzato dall’Associazione Culturale Teatrale Mimesis (Comune di Itri - LT), con il supporto di Wikiamo web agency, A. Caramanica Editore, il blog Alla volta di Leucade e il Circolo IPLAC.

 

REGOLAMENTO

SEZIONE A) Poesia inedita: Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema libero, in lingua italiana o in uno dei dialetti d’Italia (con traduzione e indicazione della provenienza). Per poesia inedita s’intende mai divulgata tramite qualsiasi mezzo, né associabile all’autore. In caso contrario, l’autore potrà darne notizia alla Segreteria (prima della pubblicazione della graduatoria definitiva) che provvederà a spostarla nella sezione B.

SEZIONE B) Poesia edita: Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema libero, in lingua italiana o in uno dei dialetti d’Italia (con traduzione e indicazione della provenienza). Non si può partecipare con opere già premiate in questo concorso.

L’inosservanza delle regole comporterà l’esclusione dei testi anche a premi attribuiti.

GIURIA DEL PREMIO

Presidente Nazario Pardini (ex ordinario di Lingua e Letteratura Italiana, poeta, critico letterario); vice pres. Patrizia Stefanelli (presidente dell’Associazione C. T. Mimesis, poetessa, commediografa, regista teatrale); Pierluigi Albertoni (poeta, scrittore, drammaturgo, regista teatrale e cinematografico, critico d’Arte); Vittorio Di Ruocco (poeta, scrittore, dirigente ARPAC); Alessandro Izzi (docente, poeta, autore teatrale, narratore, saggista); Menotti Lerro (docente, poeta, scrittore, drammaturgo e critico letterario); Mario Manfio (poeta vincitore 2024, scrittore, pittore, scultore); Daniela Quieti (poetessa, scrittrice, giornalista pubblicista); Paolo Stefanini (poeta vincitore 2024, accademico); Segretario: Giovanni Martone.

La Giuria, pro bono e con giudizio insindacabile, valuterà le liriche in forma anonima e stilerà una graduatoria di 12 vincitori per sezione.

Le opere premiate saranno pubblicate in un volume a spese del Premio. I poeti, conservando tutti i diritti, ne autorizzano la stampa senza nulla a pretendere.

PREMI SEZIONE A Poesia inedita

 classificato: € 500, targa con motivazione incisa, 5 copie dell’antologia.

 classificato: € 200, targa con motivazione incisa, 5 copie dell’antologia.

 classificato: € 100, targa con motivazione incisa, 5 copie dell’antologia.

VINCITORI dal 4° CLASSIFICATO: Targa con incisione della poesia, 5 copie dell’antologia.

PREMI SEZIONE B Poesia edita

classificato: Contratto editoriale per la pubblicazione di una silloge di 64 pagine in 100 copie, targa con motivazione, 5 copie dell’antologia.

 classificato: € 200, targa con motivazione, 5 copie dell’antologia;

 classificato: € 100, targa con motivazione, 5 copie dell’antologia.

VINCITORI dal 4° CLASSIFICATO: Targa con incisione della poesia, 5 copie dell’antologia.

PREMIO “NICOLA MAGGIARRA” Trofeo e una copia dell’antologia al poeta primo classificato tra i poeti della provincia di Latina (non presente tra i 24 vincitori).

PREMIO SPECIALE “GIURIA STAMPA”

Conferita a una poesia, tra le 24 vincitrici, dai giornalisti: Franco CairoOrazio La RoccaGaetano OrticelliOrazio Ruggieri.

La Segreteria, mantenendo la graduatoria, spedirà a proprie spese la targa e un’antologia. Per i premi in denaro e il contratto editoriale è richiesta la presenza degli autori.

La serata di premiazione, preceduta da un aperitivo, si terrà a Itri nella terza settimana del mese di agosto 2025.

MODALITÀ D’ISCRIZIONE

L’iscrizione al concorso prevede un contributo di €15 per una sezione e €25 per due, da versare tramite:

-ricarica PostePay n. 5333171222725364 intestata a Patrizia Stefanelli Cod. Fiscale STFPRZ60D50D708D. Causale: Contributo per spese di segreteria.

-PayPal a: info@associazionemimesis.com

-bonifico verso Associazione Culturale Teatrale Mimesis IBAN IT 04N 01030 74000 000000658870 MPS filiale di Itri (LT). Causale: Contributo per spese di segreteria.

INVIO OPERE: entro il 9 giugno 2025

Tramite e-mail a info@associazionemimesis.com

Scrivere nell’oggetto: Premio Nazionale Mimesis, nome e cognome del poeta partecipante, sezione.

Allegare tre file: 1) Le poesie senza alcun segno particolare in un unico file formato word, carattere Times New Roman 12; 2) dati anagrafici, domicilio, n° di telefono, indirizzo e-mail; 3) copia del versamento.

Tramite servizio postale: a Giovanni Martone, Contrada Campanaro Alto, 9 - 04020 Itri (LT). Spedire una copia di ogni poesia con i dati personali e la sezione in cui si concorre. Accludere al plico copia della quota contributiva versata. Farà fede il timbro postale.

Tutti gli autori riceveranno notifica della corretta ricezione delle opere e dell’iscrizione al Premio.

Risultati in www.associazionemimesis.com

htthps://www.facebook.com/premiomimesis/ e nel blog Alla volta di Leucade. La segreteria del Premio contatterà i vincitori, tramite e-mail e telefono, almeno 15 giorni prima della data di premiazione. L’autore, con la partecipazione al concorso, accetta le norme del bando, dichiara la proprietà delle opere, acconsente al trattamento dei dati personali ai sensi del d. Lgs. Nr.196/2003. Telefoni utili: 3475243092/ 3403243843.

Donatella Zanello :" Tutti i colori del mare "

TUTTI I COLORI DEL MARE, MURSIA 2018 : sulle sponde del Golfo dei Poeti si snodano i racconti di tre generazioni, tutte, in un modo o nell'altro, legate dal mare. Sul filo dei ricordi si naviga lungo un secolo di storia, tra marittimi con il cuore a terra e i piedi saldati sul ponte delle navi commerciali che all'inizio del Novecento facevano la spola con l'America. Si attraversano le onde burrascose della Prima e della Seconda guerra mondiale e poi gli anni del Dopoguerra e del benessere, che fanno sprofondare i valori del mare antico. Il mare che cambia ed è sempre uguale, su cui uomini e donne navigano in un lungo viaggio tra passato e futuro.













 

Donatella Zanello è nata a La Spezia dove vive e lavora. Laureata in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Pisa è autrice di poesia, narrativa e saggistica. Ha pubblicato numerose sillogi di poesia ed ottenuto  molti riconoscimenti tra i quali il Premio Montale Fuori di Casa nel 2015. Presiede la Giuria del Premio Nazionale di Poesia “Cesare Orsini”. Nel 2018 ha pubblicato con la casa editrice Ugo Mursia il romanzo Tutti i colori del mare.

 


lunedì 24 marzo 2025

RICORDI LIEVI ED OLTRE di ALBINO BARRESI con prefazione di Michele Miano



 

GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di poesie:

RICORDI LIEVI ED OLTRE di ALBINO BARRESI

con prefazione di Michele Miano

 

 

 

Pubblicato il libro di poesie dal titolo “Ricordi lievi ed oltre” di Albino Barresi, con prefazione di Michele Miano, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

Di origine calabrese, Albino Barresi si dedica all’insegnamento dopo avere esercitato per qualche tempo l’attività forense. Menzionato in vari premi di poesia, sue liriche sono state editate in repertori letterari. Ha pubblicato nel 1991 il volume di poesia Il dolore dell’uomo. Ha al suo attivo anche pubblicazioni in campo scolastico.

 

«Una vita

solo una vita

vorrò sentire

perché il profumo della zagara

non resti un sogno di una terra

di un ideale

di un essere che non c’è…» (Solo una vita).

 

 

Già il titolo della silloge d’esordio racchiude quel sentimento ineluttabile in chiave ungarettiana che è poi quel substrato che sta alla base dell’ispirazione poetica di Albino Barresi.

Una poesia che sa di aerea luce, aggiungiamo, reduci dalla lettura delle sue liriche, terse di quell’aria che penetra nel profondo, col suo profumo d’azzurro, certe mattine d’inverno e che ti fa ricordare che sei vivo. È una poesia che porta in sé il raro dono dell’immediatezza, che si spinge oltre l’attitudine figurativa, intrinseca ad ogni atto genuinamente poetico, per farsi voce delle cose più semplici per modularsi in versi di consistenza impalpabile. Immagini che lievitano sulle trame dei pensieri, quasi a confondersi con essi in tenui dissolvenze. Nel fluire dei suoi versi emerge il senso profondo di una corrispondenza simpatetica con la natura, che rifugge gli oscuramenti che si lascia inondare dalla luce del sole. Il suo verso si rivolge proprio alle estreme resistenze dell’animo umano a quel guizzo d’infanzia represso che improvviso risignifica lo squallore della totale alienazione assurda della nostra quotidianità. Si leggano i seguenti versi emblematici:

 

«… uomini che vivono nonostante tutto

nel magma di un’umanità cancrenosa

incandescente ed utopica dentro...» (Sentieri interiori).

 

E ancora:

 

«… In quest’orgia

di illusioni

alti e bassi di emozioni

naufragando mi cullo

nel mare infinito» (Un giorno).

 

Ma se il poeta si dimostra a disagio nelle ristrettezze dell’esistenza, lo stesso dedica un canto che nascendo dal cuore intende privilegiare la mente e lo spirito.

 

«… Oggi così viviamo

come in attesa

in bilico tra un mare di sogni

e una realtà costellata

di amari drammi…» (Flebile luce).

 

Albino Barresi cerca nel tessuto del pensiero di giungere a conoscere il mistero della vita, tentando di coglierne quella essenza che spesso sfugge al controllo razionale. Il poeta si riallaccia a canoni culturali sempre presenti nella poesia di ogni tempo, confermando che nell’uomo taluni valori non possono essere perduti. Questo accade quando il poeta cerca negli abissi delle propria coscienza una risposta alle proprie speranze, come in Amico:

 

«…Voglia di sentimenti forti

affetti diffusamente sentiti

dentro le vie del cuore

eternamente racchiusi»

 

o Dentro il mio cuore:

 

«…Dentro il mio cuore

dissonanti armonie

hanno crogiolato

i pensieri

che affollano

e si disperdono…».

 

 

L’intensità del sentimento in alcune liriche lascia il posto ad immagini piene di pathos dove i contenuti assumono una certa consistenza e che trascendono il dato reale. La sua poesia è un libro aperto dell’anima così sensibile e traboccante di desiderio di conoscenza ma anche di volontà di creare attingendo ad una esperienza di vita vissuta. Egli trae dalla viva realtà del vissuto gran parte della sua opera, ma non disdegna le istanze del pensiero quando i versi nascono da una profonda meditazione sugli eventi e sui fatti umani. Severo con se stesso, il poeta spesso infonde nel verso i segni di una profonda spiritualità.

 

In sintesi la poesia di Albino Barresi porta un messaggio pienamente costruttivo: assume una pienezza di vita non fine a se stessa ma aperta a richiami che portano a pensare e a meditare sulle fondamentali ragioni dell’esistenza. Una poesia che scava nel profondo quale parametro del mondo esterno e che indaga nella speranza di capirsi meglio.

E di questi tempi dobbiamo solo trarne ammonimento.

 

Michele Miano

 

 

Albino Barresi, Ricordi lievi ed oltre, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-58-5, mianoposta@gmail.com.

 

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L’AUTORE

 

Albino Barresi, nato a Villa San Giovanni (R.C.), ha una lunga carriera nel Ministero dell’Istruzione come docente, preside, dirigente scolastico e dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Verona per un triennio. Ha al suo attivo numerose esperienze amministrative, ge­stionali e formative nel Comparto Scuola per conto del MIUR. Ha pubblicato vari testi in ambito scolastico e la raccolta di poesie Il dolore dell’uomo (1991).

 

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Sandro Angelucci legge:" IL TEMPO RAPPRESO. I LUOGHI INTERIORI" ED. CITTA’ DI CASTELLO. 2024. Pp.102. di Angela Ambrosini

 

IL COSTO DELL’ETERNITÀ

 

Ebbene sì, iniziamo dall’ultima delle poesie che compongono la raccolta che, questa sera, abbiamo l’onore e il piacere di presentare, a Roma, nella storica libreria HoraFelix (punto di riferimento, d’incontro e di confronto, degli eventi I.P.la C nella Capitale).

L’Autrice, Angela Ambrosini, ci raggiunge da Città di Castello, facendoci dono di opere molto spesso ispirate dal cuore verde della sua regione, l’Umbria, (tanto prossima - sia geograficamente che spiritualmente - ai paesaggi della città in cui vivo).

Dopo la breve digressione - chiamiamola così - panoramica sui suoi luoghi, vorrei avere dalla Poetessa l’autorizzazione (qualora ciò sia possibile) a leggervi - per esteso - la succitata lirica.

 

Tempus manet

 

Tutto quello che resta della mia vita

è il tempo. Tempo che ramifica nel

tempo, insemina la carne,

infuria negli ipogei della mente,

gli stessi che il giorno lenisce

d’inganni quieti e certi, certi

come la vita che è trascorsa,

come la vita che trascorre.

È il tempo stagione dell’animo

perpetua, nell’effimero gorgo di

azioni e mutamenti, di incontri

e di addii, nostra terra di riporto

a stemperarne le orme salde

e aspre d’infaticabile destriero.

Ma nel volo dei giorni non fugge

né allenta la presa:

sta, spia, insidia, come radice

che da crepacci di abissi aerea rinserri

in fulmineo cappio il piede.

E noi qui, indumenti del destino,

un cambio dopo l’altro a propiziare

nuove finzioni e nuovi clamori

mentre inenarrabile, colpo a colpo,

dai sagrati del cielo,

tempus manet.

 

Il tempo resta, dunque, permane; è “stagione dell’animo perpetua” - scrive la Ambrosini -. Non soltanto, ma è tutto ciò che rimane della sua e della nostra vita.

Interessante, e motivo di riflessione, sarà a questo punto sfogliare il libro a ritroso fino a tornare al testo d’esordio che s’intitola Ruit hora: ossia il tempo che scorre, che incessantemente precipita e ci sfugge. Sarebbe, tuttavia, inesatto e superficiale riscontrare una sorta di contraddittorietà in tutto questo.

In genere, quando si pensa al tempo, ci si riferisce a quello quotidiano, contraddistinto dal succedersi delle ore, dei giorni, delle albe e dei tramonti, perché è, in noi, la necessità di circoscriverlo per definire qualcosa di astratto che, altrimenti, non potremmo concepire. È, però, una visione parziale, un’idea - quella che ci facciamo - non esaustiva e sufficiente ad abbracciare un concetto tanto inafferrabile e sconfinato. Ciononostante, la nostra finitudine non sembra spingersi oltre, a meno che non si faccia ricorso ad una particolare intuizione.

È quello che è accaduto alla nostra Poetessa, la quale non si è accontentata dell’opinione comune: l’ha fatta sua, ma scavando dentro di sé ha avuto delle risposte che nessun elemento di tipo razionale avrebbe mai potuto fornirle.

“[…] Ci si può librare in dimensione atemporale, scegliere la metafora, la similitudine, l’allegoria, per posare con levità le urgenze del vivere e nascere nuovi […]” - afferma Maria Rizzi nel corpo della sua raffinata e sapiente prefazione -, ci si può liberare dalle costrizioni, dalle gabbie della vita ordinaria - ribadisco -.

Questa introspezione alla ricerca di una categoria temporale intima ed interiore ha permesso all’Autrice di mettersi in comunicazione con noi, con il nostro alter ego, nell’unico modo possibile: affidando cioè ai versi, alla lingua della parola poetica il delicato compito di esprimere l’inesprimibile.

Dalla lirica d’apertura, l’incipit: “Non voglio sapere del suadente / dissolversi del tempo / in vortici voraci.”, e la chiusa: “Non voglio sapere del suadente / dissolversi del tempo / se è il tempo a sospingermi / ancora oltre i solchi del tempo.”. Nel mezzo, “qualcosa di persistente e vero” (per dirla con lei) risale dalla memoria, ma non sono ricordi nostalgici, che il passato ha ormai seppellito, tutt’altro: sono “soffio d’infinito”, dal quale adesso, qui, nel presente, si sente investita.

Ecco allora che gli stati in cui abbiamo rinchiuso il tempo (passato, presente e futuro) riacquistano la loro libertà assoluta: il passato, più che di trasportare immagini sbiadite, si preoccupa  che le stesse ci giungano più vive che mai; il presente torna ad essere il tempo di Dio (come giustamente viene definito) perché - sostiene Hobbes nell’esergo voluto in testa all’opera - l’eternità è un momento del presente. Infine il futuro, che non è più la proiezione dei desideri, troppo spesso utopici, in un domani non ancora esistente ma volo dell’immaginazione che supera la realtà delle cose.

E’ la stessa Ambrosini a cantarlo: da Amor fati: “Non mi basta la certezza dell’oggi / né il senso di ieri, neppure, / se l’avessi, la fiducia nel domani. / Spiegami il tempo, spiegami la sua linea / curvarsi insonne per riannodare / i passi nella spirale di sempre. / Spiegami la memoria trasudare / oltre i confini dell’io / per attingere a un pozzo / d’ombre e di specchi / infiniti.”.

Si è finora disquisito dei contenuti, del tema portante della raccolta, che dimostra, senza dubbi, la sua natura sillogistica in quanto non florilegio ma vera e propria scelta di testi strettamente inerenti la ricerca poetica messa in atto dalla scrittrice. Non bisogna dimenticare, però, che la poesia è una particolare forma di scrittura, l’unica in grado di esprimersi sia attraverso i significanti che i significati, l’unica in cui la forma è anche sostanza.

Perché queste considerazioni? Ma perché Il tempo rappreso è un libro che risponde esattamente a questi requisiti: una silloge appunto, vale a dire - per mio conto - il più alto livello di creatività che possa essere raggiunto in ambito letterario. Qui c’è tutto: dalla filosofia alla scienza, dalla ragione all’immaginazione, dal canto alla riflessione.

Ho - in apertura - parlato di una forte ispirazione, promossa dalla sua terra e non solo: si passa dai luoghi dell’infanzia a quelli del dolore, dai paesaggi fisici a quelli dell’anima con una naturalezza disarmante. Da Infanzia: “Sentivo il tepore degli orti / farsi germoglio a sera /. . . . / Non l’ansia del poi / m’era compagna: / solo il tonfo della pioggia / ostinato alle ringhiere /. . . . / Poi, di nuovo / a piedi nudi il giorno / aspettavo inarcarsi / d’attese avido, / d’addii avaro. / Non più sentivo / nel giro dei cieli / il cappio del tempo / stringersi piano.” (Il tempo non è un cappio al collo se lo si accetta come fanno i bambini, che vivono l'infanzia senza retro-pensieri e non si curano del passare dei giorni). Da Memento: “Quaggiù, nelle suture della storia, / avvinghiati al filo sdrucito del ricordo, / noi esistiamo. /. . . . / noi qui sotto, da questa profondissima, / inesausta verità, / noi, tralci di storia, della vostra storia, / noi, qui, sappiatelo, / silentes loquimur.” (Piena di pathos e davvero intensa questa lirica, che incarna le voci dei martiri delle foibe). Da Sui colli dell'Umbria: “[…] I declivi ondosi / dei tuoi fianchi, le trine guardinghe / dei borghi nella luce tagliente / delle tramontane a sera /. . . . / E il verso d’usignolo che culla fu / ai miei sonni, tonfo si fa nell’eco / al ricordo […]” (Il canto della e alla sua terra). Da La casa del tempo: “[…] scacciare il germe del naufragio / per farne nuova spiga, / questa è la sfida che ci è data. / Questo è ciò che m’appartiene. […]” (Ma per farlo non dobbiamo opporci alla fuga dei giorni bensì lasciare che fuggano. Questo loro succedersi - potremmo dire - è il costo dell'eternità).

Siamo giunti al termine ma prima di prendere commiato mi urge sottolineare un altro aspetto di questa poesia, un aspetto formale che, non per questo - come detto -, va sminuito.

La costruzione del verso, nella Ambrosini, ha una sua specifica ed originale struttura che la rende riconoscibile tra gli altri: una nota senz’altro di merito per un poeta autentico. Molto efficaci, ad esempio, le due scelte formali dell’incipit di Ruit hora: l'allitterazione (“in vortici voraci”) prima, e la particolare posizione del verbo, poi (“in questo che s’insinua fiato di memoria”) che s'intromette (s'insinua appunto) tra l'aggettivo e quel "fiato di memoria", consentono una più felice e poetica resa dei significati-significanti.

Ma è solo un esempio: tutto il libro è connotato dalla musicalità di una scrittura che fa costantemente uso delle figure retoriche nel suo procedere, persuadendoci della verità dell’affermazione di Camillo Sbarbaro che riserva ai poeti, “A noi - scrive - che non abbiamo altra felicità che di parole”, questa gratificante condizione esistenziale.

 

 

 

 

Sandro Angelucci

 

 

 

 ANGELA AMBROSINI. IL TEMPO RAPPRESO. I LUOGHI INTERIORI ED. CITTA’ DI CASTELLO. 2024. Pp.102.

Ritratti di poesia

 


Giovanni Chiesa.........


 

venerdì 7 marzo 2025

Anita Menegozzo...............

 Temprati dagli eventi

domati dagli affetti
noi si diventa vecchi
eppure continuiamo 
a scrivere dei versi
dando la stura dignitosamente 
ai nostri sentimenti più riposti.
Ha ancora senso diventare saggi
stringendo i rari denti a noi rimasti?
Guardati dalle nubi
siam tutti un po' virtuosi e un po' indecenti
Ma in tempi come questi
tarati sotto i tacchi degli ignavi
è già un bel risultato essere umani



Ho un Dio che se ne sta per conto suo
in quanto con l'età si è fatto schivo
In qualche circostanza fa eccezione
il varo di una nave 
un bacio sulla fronte 
le prove generali di un concerto
Ma a un premio letterario ,per esempio
oppure a un'assemblea di condominio
di rado si fa vivo
Si fa di giorno in giorno più discreto
e fa il rumore stretto necessario
perché ci voglia orecchio per sentirlo
Mi tratta quasi sempre
come vorrebbe essere trattato
con un certo riserbo ma con garbo
Ha un fare un po' saccente ma bonario
direi più intransigente che severo
La notte si trattiene pensieroso
e siede a lungo ai piedi del mio letto
Mi guarda mentre sogno
Se vede che sorrido
a chissà quale volto ormai perduto
o se gemo nel sonno
in preda a qualche dubbio senza senso
rimane lì materno premuroso
fino a un mio qualche accenno di risveglio
Svanisce quasi sempre diffondendo 
quell'intimo profumo mattiniero
di pane burro e zucchero e di fieno

Sandro Angelucci legge :" I colori dell'Iride " di Maria Rizzi


 “ […] Mi chiamo Marcello Desi, ho cinquantaquattro anni e vivo a circa dieci chilometri da qui. Stamattina mentre uscivo dal lavoro […] ho visto l’uomo in questione […] uscire da un piccolo supermercato e dirigersi verso la zona dove c’è la Caritas […] ‘Andava lì?’ insiste la De Falco. ‘No, si figuri dottoressa. Lo immagina un soggetto simile che si reca in parrocchia? Aveva negli occhi la scintilla della paura…’. […] La De Falco…chiede all’agente Rondelli di sottoporre al teste la foto di Martinelli. ‘Dobbiamo essere certi che si tratta di lui!’… ‘Dottoressa riconoscerei un uomo tra centinaia, sono un fisionomista eccellente…’. Desi rasenta l’insolenza e non rappresenta il miglior interlocutore per gli uomini di legge. […] Marcello Desi acconsente malvolentieri ad accompagnare (per un sopralluogo) gli uomini del commissario nonostante abiti in quella zona. ‘Mia moglie non gradirebbe sapere che sto collaborando a questo caso. Sono vicende squallide e terribili e non vogliamo essere invischiati’. ‘Solo terribili’ replica Ferragni, ‘due adolescenti morte meritano rispetto e collaborazione’. L’uomo imperturbabile commenta: ‘Due extracomunitarie, dottore. Mi sembra cosa ben diversa. Sono prostitute, i guai se li vanno a cercare’. […] ‘Due ragazzine, signor Desi. Uccise barbaramente. Costrette a prostituirsi, come lei, che è un uomo di mondo, sa bene.’ […].

Ho fatto precedere alle mie parole quelle del romanzo di Maria Rizzi perché sono consapevole che l’opera possa presentarsi al lettore anche autonomamente, tanto fluida e senza fronzoli risulta al fruitore la sua decifrazione. La scrittrice si rivolge direttamente ai cuori ed alle anime di chi vuole seguirla lungo la strada di una narrazione che fa rabbrividire per lo squallore sordido e sporco che, dalle caverne infette, porta alla luce del Sole.

E non si limita alla denuncia di personaggi malavitosi, che trattano le loro simili come merce da sfruttare per i loschi e luridi affari dei quali sono protagonisti, bensì estende il disprezzo anche a coloro che - apparentemente distinti - sono conniventi, pur mettendosi a disposizione della giustizia. Abbiamo appena ascoltato le parole viscide e vigliacche del teste, che non arriverebbe a quello cui sono capaci di giungere i malviventi, ma per il quale, le ragazzine sono soltanto prostitute extracomunitarie depravate, indegne d’essere considerate esseri umani.

Il brano estratto è, perciò, fedele esempio di una narrazione che prende di petto non i cattivi - tra virgolette - ma la cattiveria tout court, la disumanità e l’indifferenza delle persone che, a vario titolo, entrano a far parte della vicenda. È in queste situazioni difficoltose che si mettono a nudo i migliori pregi o i peggiori difetti. Ognuno di noi sa di non essere perfetto ma sono in pochi quelli che, nonostante tutto, lo riconoscono. Le prove della vita sono un setaccio attraverso il quale si deve passare cercando di filtrare il più possibile, altrimenti ci si ritrova al di là insieme alle scorie.

La protagonista, Miriam De Falco, dirige il commissariato della città che le ha dato i natali; la sua famiglia (marito e due figli) risiede a Roma, dove anche lei viveva fino al ricevimento dell’incarico sopracitato. Ovviamente questo la costringe ad allontanarsi dagli affetti. Pur telefonando quasi ogni sera ai suoi cari, la donna patisce la lontananza, tuttavia - ligia al dovere, che la scelta di entrare in Polizia le impone - s’immerge, anima e corpo, in un caso che risulterà di non facile risoluzione e metterà a rischio non solo la sua resistenza e il suo equilibrio interiore ma la stabilità dell’intera squadra che comanda. Miriam non si sente un “capo” e sa che gli uomini ai suoi ordini (compresa una donna: l’ispettrice Girotti) rispettano i gradi, sebbene il suo atteggiamento verso di loro sia alla pari e finisca con il farli sentire tutti accomunati dallo stesso bisogno di dare il meglio nelle indagini che seguiranno, in un’atmosfera di reciproca stima e fiducia.

Da quanto detto sembrerebbe evincersi d’essere di fronte ad un romanzo d’azione, un poliziesco. Perché ho usato il condizionale? Di certo non per smentire l’appartenenza del libro a quel genere, bensì per tirarlo fuori da una classificazione riduttiva che ne pregiudicherebbe altre, e più profonde, verità.

La qualità del narrato va - a mio parere - rintracciata nello scavo interiore, che prende vita dai momenti più intensi, dalle circostanze più difficili, dagli abbattimenti nonché dalle riprese di spirito di ognuno dei personaggi (buoni e cattivi) del racconto. Lo scandaglio non risparmia nessuno perché tutti hanno qualcosa d’importante nascosto tra le pieghe dell’anima (criminali inclusi, nei quali è paradossale parlare di emozioni, eppure…).

È chiaro che la trama presenta svariati momenti di coinvolgimento, che spingono il lettore a prendere parte ed immaginare situazioni di, purtroppo, assoluto squallore, ma questo mare di nefandezze è disinquinato dal filtro di un’umanità che mai ci lascia con l’amaro in bocca, opponendosi costantemente al predominio del male.

L’autrice non lesina mai di mettere in bocca a Miriam parole di conforto e di speranza; come quando, dopo aver incontrato Gianni, l’uomo della sua vita, che le fa la sorpresa di andare a trovarla perché ha compreso “che la donna vive una sorta di crepuscolo della coscienza” e non gli è mai capitato “di sentirla in questo stato”, tanto che, richiamandola al telefono, le dice: “Ti abbraccio e riparto” rendendosi conto delle difficoltà che attanagliano la moglie. Appena ascoltate queste parole, senza parlare le viene da pensare che “Al di là di tutto il male esiste uno spazio, lì ci incontreremo”. ‘Sei qui?’ - esclama - ‘presa da un sentimento difficile da definire, un misto di panico e gioia.’ […] ‘Non riuscivo a restare a casa sussurra lui, mentre la guarda, e si perde nell’azzurro degli occhi tanto cari’ […] Lei sorride e lo bacia. E Gianni non bacia solo le sue labbra, bacia la sua rabbia, la sua paura, i suoi dubbi, il suo coraggio”. Trascorsa la notte abbracciati, al mattino il marito esordisce: ‘Non mi molli subito. Andiamo a fare colazione. Poi ti accompagno in ufficio’ […] Miriam beve il suo primo caffè con Gianni e mormora: ‘Forse ci penserà il mare a perdonare questo lungo inverno’. ‘La mia poetessa in divisa…’ risponde l’uomo, mentre le stringe la mano […] Lui parte e la donna che varca la porta dell’ufficio non è la stessa del giorno prima […] La prima ad accorgersene è l’ispettrice Girotti […] ‘Quale miracolo le ha permesso di riprendersi, dottoressa? Io mi sento così stanca che non ho chiuso occhio. La scalata mi sembra infinita’. ‘Non è merito del sonno, in questo periodo sto sentendo spesso parlare di miracoli, anche se sono circondata da sventure. Forse le disgrazie scavano in noi miniere nascoste…’”.

Non ci si riferisca, tuttavia, soltanto ai momenti felici (come quelli dello stralcio sopra riportato), la sensibilità poetica della donna commissario, della poliziotta, viene fuori anche nel pieno dello scoramento: “Miriam, mentre sta per entrare nell’alloggio, nota il cielo trafitto di stelle. Pensa che si trovano ad anni luce di distanza. Ciò che si vede di loro non esiste più. Sono solo bugie. Il tiglio (l’ultimo amico con cui si ferma a parlare quando ritorna al suo alloggio) la attende e lei mormora tristemente ‘Per fortuna hai avuto il tempo di crescere prima che arrivassi io, altrimenti non avresti frequentato il cielo’”. Quello con il tiglio è  davvero un rapporto di amicizia profonda: “Il tiglio la attende e non può fare a meno di fermarsi un attimo a guardarlo e a sussurrargli: ‘Oggi ho ascoltato la tua lezione, ma non saprò mai emularti, hai le unghie sporche di azzurro a furia di scavare dentro il cielo’.”. Se questa non è poesia!

La natura tutta è fonte di ispirazione per il commissario/poeta. Ispirazione e distrazione nei momenti in cui si colpevolizza addossandosi responsabilità in prima persona: “Miriam si distrae. Osserva gli oleandri che costeggiano il viale. Il discorso vale anche per loro. La libertà delle foglie che abbandonano i rami è direttamente correlata alla responsabilità di tornare ogni primavera.”. Se si osservassero i comportamenti degli altri esseri del creato, e si riflettesse, avremmo tutte le risposte che vorremmo e tutti gli esempi da seguire per la corretta evoluzione della specie umana, che - al contrario - prende le distanze dalla natura per svincolarsi, in nome di un libero arbitrio di comodo, senza rendersi conto che quelle leggi sono necessarie, e ubbidendo non si corre il rischio d’imprigionarsi né quello di sbagliare. Siamo suoi figli e forse, come i nostri figli, vogliamo affrancarci dalla genitrice per esigenze di autonomia e libertà, salvo poi - in età più matura - accorgersi che aveva ragione. Gli errori si pagano e ce ne stiamo avvedendo, ma non è ancora sufficiente per cambiare rotta e, anche qui, non emuliamo la natura, che sa essere (noi diremmo crudele) ma sempre in nome di un equilibrio sano e universale.

Non credo d’essere andato fuori tema con la digressione, non lo credo perché la scrittura di Maria Rizzi, in quest’esito, è intensamente calata negli elementi naturali. Nel libro ci sono momenti di assoluta durezza, eppure i temporali, sebbene frequenti, sono sempre seguiti dalla comparsa degli arcobaleni che non colorano soltanto il cielo ma portano l’iride ovunque, persino nelle pozzanghere che si formano e si mescolano alla sporcizia sulla strada.

“[…­­­­­­] forse è la poliziotta l’alter ego della sua personalità, avrebbe desiderato scrivere. […]”. E, nel testo, moltissimi sono i ricorsi alla poesia, che si esplica, senza infingimenti, nei frequenti flashbacks che, parallelamente alla storia portano avanti la liricità dei ricordi. Tanto che - al termine - il commissario, Miriam, l’autrice coincidono.

Si, perché - conoscendo Maria - si deve parlare di un romanzo autobiografico, che nulla toglie alla bellezza dell’opera, anzi la accresce, connotandola per un’ulteriore qualità: l’autenticità di chi scrive

 

Sandro Angelucci