Conferma di una propensione all’arte della ricerca e alla scrittura
saggistica da parte dell’Autrice, la quale, in questo ambito ha già pubblicato
altri studi: il primo su Fulvio Orga: (Bum
Bum e altri racconti – Verso il futuro, 1978; 2) Nicola Buonopane: (Le
commedie – voce Altirpina n. 25, Centro Studi «G. Criscuoli», Polig. Irpina
Lioni, 1992); 3) Gaetano Cipriano: Cristoforo Colombo, Poligrafica Irpina,
Nusco 1992); rivelazione della genialità di un poeta dell’Ottocento, noto e
celebrato in vita, inserito tra i minori poi, in seguito lasciato nel
dimenticatoio.
Già lo spessore del volume (270 pagine) ci
dice dell’impegno ermeneutico di Luisa Martiniello, nota come poetessa, con
all’attivo tre volumi di liriche: La
rondine sul filo (Editrice Ferraro, Napoli, 1998); La casa del sole (Editrice Ferraro, Napoli, 2003); il verso della vita (Editrice
Ferraro, Napoli, 2009); un quarto volume
dovrebbe vedere la luce quanto prima.
Strutturato secondo la logica della
consequenzialità e dell’evoluzione storica delle potenzialità spirituali ed
espressive del soggetto preso in esame, “il
volume propone l’esame critico di tutta la produzione letteraria del presbitero
P. P. Parzanese, terzo di undici
figli, nato dall’unione di Giuseppe con
Giovanna Farètra [di
Grottaminarda]”. Fin
dall’infanzia si manifestò “malaticcio ed
irrequieto” e tutta la sua vita “fu
travagliata da continue infermità”. Brillava la sua intelligenza,
accentuata dall’amore per lo studio, condotto in solitudine, con la sofferenza
della “malinconia e della taciturnità”.
Conobbe le angherie e le brutalità dei suoi educatori, in genere sacerdoti, i
quali non gli lesinavano duri castighi per il più piccolo fallo o
disattenzione. La sua sfiducia e risentimento contro la classe sacerdotale lo
portarono ad esprimere giudizi negativi anche per gli insegnanti che ebbe in
seminario, luogo considerato “un
bordello, sozzo e barbaramente condotto” da gente “con cervello piccolo e gretto, scostumata
ed ignorante”.
Se dai suoi precettori non ebbe altro che “busse, picchiate, sprangate e staffilate”,
nell’ambiente natale conobbe la più nera indifferenza, pari a quella sopportata
da Giacomo Leopardi nella sua Recanati. In tanto squallore si levano limpide e
chiare la forza dell’eloquenza e la fiamma della poesia; non meno alto e
lampeggiante l’amore per la Patria, coltivando il sogno rivoluzionario della
realizzazione dell’indipendenza italiana, affrancata dal dominio straniero.
Intellettuale eclettico, attivo e propositivo,
con una solida cultura classica e biblica, e di una corretta conoscenza di
lingue straniere (inglese, francese, tedesco), che gli offrì l’estro a cimentarsi in traduzione (e
imitazioni) di testi da Byron, Hugo, Lamartine, Fauriel, Goethe…
Non meno salda l’erudizione in ambito
filosofico, ottenuta con lo studio dei maggiori sistemi dell’ideologia
speculativa.
Il volume propone l’esame critico di tutta la
produzione letteraria del presbitero, poeta, oratore, traduttore e divulgatore
di scrittori stranieri, da Byron ,Schlegel, Burger, Hugo, Lamartine, Fauriel, Goethe, a Klopstock…, su le riviste
dell’epoca: Il Lucifero, il Poliorama pittoresco, Omnibus, Iride, ove chiarisce
anche la sua posizione nella polemica classico-romantica dopo l’opera di De l’Alemagne di De Staël: bisogna che la letteratura apra le ali a più largo volo che finora non
fece, per rivelare i segreti dell’anima meglio che non seppero gli antichi,
intuonare cantici di speranza e di fede, scrivere per il popolo più che per le
accademie, rinfocolare nei petti il desiderio di affratellarci in una grande
famiglia…
Scrisse
molto, sia in versi che in prosa, elevandosi alla dimensione di poeta “cantore
della fraternità umana”, traendo ispirazione dalle “fatiche e sventure”
del popolo. Da qui l’iniziale giudizio, frettoloso e riduttivo, del conterraneo
Francesco De Sanctis che lo qualificò “poeta del villaggio”, apprezzandone,
però, l’attività di imitatore e conoscitore di autori stranieri.
Per
Benedetto Croce “il buon canonico” P. P. Parzanese era da annoverare tra
i migliori poeti popolari, da preferirlo a Pascoli nelle scuole elementari per
la capacità di comporre testi aventi il carattere di “poesia pratica”, aderente
alla realtà epocale ed ambientale.
La critica postdesanctisiana ha compiuto una
vigorosa opera di “rilettura” e di rivalutazione dell’intera produzione
letteraria di Pietro Paolo Parzanese, che era ampiamente coerente con
l’intento di armonizzare la sua ricerca
espressiva sul piano del contenuto, della forma e dello stile, in modo da
renderla comprensiva e facilmente assimilabile dalle masse popolari dell’Irpinia
e non solo, delle quali auspicava un’uscita non soltanto dallo stato di
secolare indigenza, ma anche una maturazione spirituale e culturale, tale da
elevarle alla concretezza di una conquista umana, inclusiva di dignità e virtù
evangeliche, da permettere a ciascun individuo
d’inserirsi meritoriamente e
responsabilmente nella comunità sociale.
Martiniello ci propone anche un Parzanese che
coltivava il sogno rivoluzionario della realizzazione dell’indipendenza
italiana, affrancata dal dominio straniero; è del 1841 la canzone La Patria mia, dalla raccolta Fiori e stelle, pubblicata durante il
regime borbonico, un inno all’Italia unita,
sogno ribadito poi nel canto Qual
è la patria degli italiani?: Iddio
la pose colle sue mani/ a piè dell’Alpi sino a Pachino/ per l’ampio dorso
dell’Appennino. In Sono italiano
del 1848 la bandiera è il tricolore,
dato dall’unione di una rosa vermiglia
e un gelsomino e una foglia d’alloro.
Martiniello ci propone soprattutto un
Parzanese appassionato lettore e commentatore del poema dantesco con la
pubblicazione dei manoscritti inediti,
in appendice all’opera, dal carteggio F. Lo Parco, conservato presso la
Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli, sì da fissare una data
ben precisa negli studi danteschi nell’Italia meridionale, ovvero prima della
grande scuola napoletana di De Sanctis e Settembrini.
Alla luce della vastità, varietà e consistenza
dottrinaria dei suoi scritti, ma anche dalle note critiche, qui riportate, dei vari
studiosi che hanno analizzato i suoi lavori, si ricava l’impressione che, in
rapporto al suo tempo, egli era molto di più di uno “scrittore di provincia”:
era un personaggio geniale, di enorme statura intellettuale e culturale,
frequentatore dei salotti letterari più in voga di Napoli.
Una “gloria
letteraria” non soltanto del nostro
Meridione, P. P. Parzanese. E in questa prospettiva valutativa si configura
l’ardita ed encomiabile pubblicazione, scandita con passione e rigore
metodologico da Luisa Martiniello, che rende piena giustizia ad un valente
intellettuale Meridionale con l’aspirazione ad un posto d’onore nella Storia
della letteratura italiana.
Una gloria da affiancare ai tanti illustri
scrittori e poeti entrati a far parte dell’ampio patrimonio culturale del Sud, tra cui, tanto per citarne qualcuno,
Giovanni Verga, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Rocco Scotellaro, Leonardo
Sinisgalli… e, vorrei aggiungere, Pasquale Martiniello (Mirabella Eclano, 1928
– 2010), genitore di Luisa, che ha speso una vita nel dettare versi con
l’obiettivo di liberare le masse popolari dalla “palude politica / di giunchi marci e acque fedite”, irpino dalla
poderosa creatività, caratterizzata da una personale visione della realtà
societaria, talmente distante dai principi universali scaturiti dalla saviezza umana, da disporre il poeta ad
un’assidua critica del presente mediante l’arte della poesia, in cui fu,
indubbiamente, un originale e autentico maestro.
Grato a Luisa per avermi offerto in lettura un
testo esemplare, che rende piena giustizia ad un valente intellettuale
Meridionale con l’aspirazione ad un posto d’onore nella storia della
letteratura italiana, mi dispongo a ripercorrere il sentiero battuto con una
rilettura del volume, per vagliare compiutamente la preziosità di una
straordinaria risorsa culturale.
Antonio Crecchia
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