venerdì 7 marzo 2025

Sandro Angelucci legge :" I colori dell'Iride " di Maria Rizzi


 “ […] Mi chiamo Marcello Desi, ho cinquantaquattro anni e vivo a circa dieci chilometri da qui. Stamattina mentre uscivo dal lavoro […] ho visto l’uomo in questione […] uscire da un piccolo supermercato e dirigersi verso la zona dove c’è la Caritas […] ‘Andava lì?’ insiste la De Falco. ‘No, si figuri dottoressa. Lo immagina un soggetto simile che si reca in parrocchia? Aveva negli occhi la scintilla della paura…’. […] La De Falco…chiede all’agente Rondelli di sottoporre al teste la foto di Martinelli. ‘Dobbiamo essere certi che si tratta di lui!’… ‘Dottoressa riconoscerei un uomo tra centinaia, sono un fisionomista eccellente…’. Desi rasenta l’insolenza e non rappresenta il miglior interlocutore per gli uomini di legge. […] Marcello Desi acconsente malvolentieri ad accompagnare (per un sopralluogo) gli uomini del commissario nonostante abiti in quella zona. ‘Mia moglie non gradirebbe sapere che sto collaborando a questo caso. Sono vicende squallide e terribili e non vogliamo essere invischiati’. ‘Solo terribili’ replica Ferragni, ‘due adolescenti morte meritano rispetto e collaborazione’. L’uomo imperturbabile commenta: ‘Due extracomunitarie, dottore. Mi sembra cosa ben diversa. Sono prostitute, i guai se li vanno a cercare’. […] ‘Due ragazzine, signor Desi. Uccise barbaramente. Costrette a prostituirsi, come lei, che è un uomo di mondo, sa bene.’ […].

Ho fatto precedere alle mie parole quelle del romanzo di Maria Rizzi perché sono consapevole che l’opera possa presentarsi al lettore anche autonomamente, tanto fluida e senza fronzoli risulta al fruitore la sua decifrazione. La scrittrice si rivolge direttamente ai cuori ed alle anime di chi vuole seguirla lungo la strada di una narrazione che fa rabbrividire per lo squallore sordido e sporco che, dalle caverne infette, porta alla luce del Sole.

E non si limita alla denuncia di personaggi malavitosi, che trattano le loro simili come merce da sfruttare per i loschi e luridi affari dei quali sono protagonisti, bensì estende il disprezzo anche a coloro che - apparentemente distinti - sono conniventi, pur mettendosi a disposizione della giustizia. Abbiamo appena ascoltato le parole viscide e vigliacche del teste, che non arriverebbe a quello cui sono capaci di giungere i malviventi, ma per il quale, le ragazzine sono soltanto prostitute extracomunitarie depravate, indegne d’essere considerate esseri umani.

Il brano estratto è, perciò, fedele esempio di una narrazione che prende di petto non i cattivi - tra virgolette - ma la cattiveria tout court, la disumanità e l’indifferenza delle persone che, a vario titolo, entrano a far parte della vicenda. È in queste situazioni difficoltose che si mettono a nudo i migliori pregi o i peggiori difetti. Ognuno di noi sa di non essere perfetto ma sono in pochi quelli che, nonostante tutto, lo riconoscono. Le prove della vita sono un setaccio attraverso il quale si deve passare cercando di filtrare il più possibile, altrimenti ci si ritrova al di là insieme alle scorie.

La protagonista, Miriam De Falco, dirige il commissariato della città che le ha dato i natali; la sua famiglia (marito e due figli) risiede a Roma, dove anche lei viveva fino al ricevimento dell’incarico sopracitato. Ovviamente questo la costringe ad allontanarsi dagli affetti. Pur telefonando quasi ogni sera ai suoi cari, la donna patisce la lontananza, tuttavia - ligia al dovere, che la scelta di entrare in Polizia le impone - s’immerge, anima e corpo, in un caso che risulterà di non facile risoluzione e metterà a rischio non solo la sua resistenza e il suo equilibrio interiore ma la stabilità dell’intera squadra che comanda. Miriam non si sente un “capo” e sa che gli uomini ai suoi ordini (compresa una donna: l’ispettrice Girotti) rispettano i gradi, sebbene il suo atteggiamento verso di loro sia alla pari e finisca con il farli sentire tutti accomunati dallo stesso bisogno di dare il meglio nelle indagini che seguiranno, in un’atmosfera di reciproca stima e fiducia.

Da quanto detto sembrerebbe evincersi d’essere di fronte ad un romanzo d’azione, un poliziesco. Perché ho usato il condizionale? Di certo non per smentire l’appartenenza del libro a quel genere, bensì per tirarlo fuori da una classificazione riduttiva che ne pregiudicherebbe altre, e più profonde, verità.

La qualità del narrato va - a mio parere - rintracciata nello scavo interiore, che prende vita dai momenti più intensi, dalle circostanze più difficili, dagli abbattimenti nonché dalle riprese di spirito di ognuno dei personaggi (buoni e cattivi) del racconto. Lo scandaglio non risparmia nessuno perché tutti hanno qualcosa d’importante nascosto tra le pieghe dell’anima (criminali inclusi, nei quali è paradossale parlare di emozioni, eppure…).

È chiaro che la trama presenta svariati momenti di coinvolgimento, che spingono il lettore a prendere parte ed immaginare situazioni di, purtroppo, assoluto squallore, ma questo mare di nefandezze è disinquinato dal filtro di un’umanità che mai ci lascia con l’amaro in bocca, opponendosi costantemente al predominio del male.

L’autrice non lesina mai di mettere in bocca a Miriam parole di conforto e di speranza; come quando, dopo aver incontrato Gianni, l’uomo della sua vita, che le fa la sorpresa di andare a trovarla perché ha compreso “che la donna vive una sorta di crepuscolo della coscienza” e non gli è mai capitato “di sentirla in questo stato”, tanto che, richiamandola al telefono, le dice: “Ti abbraccio e riparto” rendendosi conto delle difficoltà che attanagliano la moglie. Appena ascoltate queste parole, senza parlare le viene da pensare che “Al di là di tutto il male esiste uno spazio, lì ci incontreremo”. ‘Sei qui?’ - esclama - ‘presa da un sentimento difficile da definire, un misto di panico e gioia.’ […] ‘Non riuscivo a restare a casa sussurra lui, mentre la guarda, e si perde nell’azzurro degli occhi tanto cari’ […] Lei sorride e lo bacia. E Gianni non bacia solo le sue labbra, bacia la sua rabbia, la sua paura, i suoi dubbi, il suo coraggio”. Trascorsa la notte abbracciati, al mattino il marito esordisce: ‘Non mi molli subito. Andiamo a fare colazione. Poi ti accompagno in ufficio’ […] Miriam beve il suo primo caffè con Gianni e mormora: ‘Forse ci penserà il mare a perdonare questo lungo inverno’. ‘La mia poetessa in divisa…’ risponde l’uomo, mentre le stringe la mano […] Lui parte e la donna che varca la porta dell’ufficio non è la stessa del giorno prima […] La prima ad accorgersene è l’ispettrice Girotti […] ‘Quale miracolo le ha permesso di riprendersi, dottoressa? Io mi sento così stanca che non ho chiuso occhio. La scalata mi sembra infinita’. ‘Non è merito del sonno, in questo periodo sto sentendo spesso parlare di miracoli, anche se sono circondata da sventure. Forse le disgrazie scavano in noi miniere nascoste…’”.

Non ci si riferisca, tuttavia, soltanto ai momenti felici (come quelli dello stralcio sopra riportato), la sensibilità poetica della donna commissario, della poliziotta, viene fuori anche nel pieno dello scoramento: “Miriam, mentre sta per entrare nell’alloggio, nota il cielo trafitto di stelle. Pensa che si trovano ad anni luce di distanza. Ciò che si vede di loro non esiste più. Sono solo bugie. Il tiglio (l’ultimo amico con cui si ferma a parlare quando ritorna al suo alloggio) la attende e lei mormora tristemente ‘Per fortuna hai avuto il tempo di crescere prima che arrivassi io, altrimenti non avresti frequentato il cielo’”. Quello con il tiglio è  davvero un rapporto di amicizia profonda: “Il tiglio la attende e non può fare a meno di fermarsi un attimo a guardarlo e a sussurrargli: ‘Oggi ho ascoltato la tua lezione, ma non saprò mai emularti, hai le unghie sporche di azzurro a furia di scavare dentro il cielo’.”. Se questa non è poesia!

La natura tutta è fonte di ispirazione per il commissario/poeta. Ispirazione e distrazione nei momenti in cui si colpevolizza addossandosi responsabilità in prima persona: “Miriam si distrae. Osserva gli oleandri che costeggiano il viale. Il discorso vale anche per loro. La libertà delle foglie che abbandonano i rami è direttamente correlata alla responsabilità di tornare ogni primavera.”. Se si osservassero i comportamenti degli altri esseri del creato, e si riflettesse, avremmo tutte le risposte che vorremmo e tutti gli esempi da seguire per la corretta evoluzione della specie umana, che - al contrario - prende le distanze dalla natura per svincolarsi, in nome di un libero arbitrio di comodo, senza rendersi conto che quelle leggi sono necessarie, e ubbidendo non si corre il rischio d’imprigionarsi né quello di sbagliare. Siamo suoi figli e forse, come i nostri figli, vogliamo affrancarci dalla genitrice per esigenze di autonomia e libertà, salvo poi - in età più matura - accorgersi che aveva ragione. Gli errori si pagano e ce ne stiamo avvedendo, ma non è ancora sufficiente per cambiare rotta e, anche qui, non emuliamo la natura, che sa essere (noi diremmo crudele) ma sempre in nome di un equilibrio sano e universale.

Non credo d’essere andato fuori tema con la digressione, non lo credo perché la scrittura di Maria Rizzi, in quest’esito, è intensamente calata negli elementi naturali. Nel libro ci sono momenti di assoluta durezza, eppure i temporali, sebbene frequenti, sono sempre seguiti dalla comparsa degli arcobaleni che non colorano soltanto il cielo ma portano l’iride ovunque, persino nelle pozzanghere che si formano e si mescolano alla sporcizia sulla strada.

“[…­­­­­­] forse è la poliziotta l’alter ego della sua personalità, avrebbe desiderato scrivere. […]”. E, nel testo, moltissimi sono i ricorsi alla poesia, che si esplica, senza infingimenti, nei frequenti flashbacks che, parallelamente alla storia portano avanti la liricità dei ricordi. Tanto che - al termine - il commissario, Miriam, l’autrice coincidono.

Si, perché - conoscendo Maria - si deve parlare di un romanzo autobiografico, che nulla toglie alla bellezza dell’opera, anzi la accresce, connotandola per un’ulteriore qualità: l’autenticità di chi scrive

 

Sandro Angelucci          

1 commento:

  1. Ringrazio Nazario per aver dato spazio sul suo blog alla mia recensione su "L'arcobaleno nelle pozzanghere" dell'amica carissima Maria Rizzi. Un abbraccio fraterno a te, amico mio!

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