Nonostante tale realtà antropologica, ritengo
opportuno ascoltare il monito di Eva Cantarella: a parere dell’illustre
sociologa impegnata nella lotta per l’eguaglianza di genere, «ancora oggi è
indispensabile capire cosa è cambiato nelle relazioni tra i sessi, e in che
direzione e perché» (L’ambiguo malanno,
1981, Editori Riuniti).
Senza dubbio, i modelli classici basilari
per milioni di ragazze e studentesse appartenenti alla cultura neolatina,
appresi molto presto, pur ricchi di enorme spessore artistico, sono da inserire
in un femminismo abbastanza discusso. A campione, consideriamo la tragedia
sofoclea Ἀντιγόνη (Antigone, 442 a.C.),
dedicata a una κόρη (kòre) la quale, osserva
la Cantarella, pur nell’estrema ribellione in grado di farle affrontare
coraggiosamente la morte, nel ribadire la legge naturale contro uno stato
maschilista, contiene brani dove il tragediografo mostra di coltivare una Weltanschauung in cui la figura muliebre
subisce la volontà, il potere dell’uomo.
Infatti, Αἵμων (Emone), promesso sposo di
Antigone, figlio di Κρέων (Creonte), cioè il re di Tebe che l’ha condannata a
morte, vuole salvarla e intercede per lei. Il padre lo accusa di essere «schiavo
di donna», lo ammonisce a «non far mai getto della
ragione per il piacere di una donna», poiché è meglio, se si deve cadere, «cadere
per mano di un uomo». Il giovane ascolta il monito e
si arrende: «Nessun matrimonio sarà stimato da me più importante da conseguire,
che l’essere guidato da te». Il fidanzato di Antigone, a dispetto
dell’obbedienza al volere del genitore, si suiciderà accanto al cadavere dell’amata.
Ma vorrei acquisire con voi una piccola
dose di coraggio, perché nel 1938 Carl Gustav Jung, in Gli aspetti
psicologici dell’archetipo della Madre (contenuto in Gli
archetipi e l’inconscio collettivo, 1997, Bollati Boringhieri), ha
sottolineato:
La
magica autorità del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale che
trascende i limiti dell’intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante;
ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della
magica trasformazione, della rinascita; l’istinto o l’impulso soccorrevole.
Nell’iconografia di epoca antichissima
troviamo l’immagine, sotto forma di piccole statue, di un ente supremo definito
Grande Madre da archeologi, etnologi, storici della religione. Racconta il
filosofo Umberto Galimberti (Le origini
del pensiero filosofico greco, Mondadori 2019):
Nell’area
mediterranea ne sono state reperite cinquantacinque contro le cinque maschili,
atipiche e malfatte, che rappresentano giovanetti in tenera età. Ciò lascia
supporre che la divinità maschile subentri solo in un secondo momento e che il
rango della divinità-figlio sia stato conferito solo successivamente dalla
divinità madre.
Il passato (anche recente) non è stato
benevolo nei nostri confronti, ciononostante, grazie alle battaglie di ieri abbiamo
raggiunto i notevoli traguardi odierni.
Non basta: dovremo continuare a lottare,
ciascuna con le singole competenze affinché si stabilizzi quanto finora
conquistato e si proceda verso ulteriori obiettivi di emancipazione, diritti,
libertà. Ma – ed esiste sempre un “ma” – riguardo agli strumenti che la donna,
allo scopo di adempiere a fini ritenuti legittimi, ha deciso di utilizzare,
essi non sono sempre stati ammissibili o da sostenere in pieno.
Alludo, nello scegliere di affrontare le
vicende del popolo ebraico, alle figure delle tre “eroine della Bibbia”: Ester,
Rut e Giuditta.
In ordine di apparizione – diremmo oggi –
ecco Rut, di origine moabita, alla quale, per disgrazia, muore il marito ebreo e,
poco dopo, la suocera subisce il medesimo lutto. Le rappresentanti del “gentil
sesso” (si diceva una volta!), in virtù di quelle remote leggi, nella vedovanza
perdevano i diritti civili ed erano destinate a una vita di stenti: Rut giunge
a seconde nozze con l’ebreo Booz e aiuta l’anziana suocera.
Ad apparire per seconda tocca a Ester,
dotata di spiccata propensione diplomatica: cela la propria identità, sposa il
re persiano e riesce a salvare la sua gente dallo sterminio.
Infine, Giuditta – יְהוּדִית, “lodata” o “ebrea”,
Yəhudit, forma coniugata dal maschile Giuda, יהודה, Yehûdâh – vuol dire “donna
giudea” per indicare ogni figura femminile inserita nell’antico Israele. Nel
racconto biblico vive nell’immaginaria Betulia, lessema risalente a Betel, בֵּית־אֵל
ovvero “casa di Dio”: insomma, un τόπος (tòpos) ideale per donne ideali.
Un giorno, per cattiva sorte, l’esercito
persiano intraprende un lungo assedio a Betulia al punto che il popolo, ridotto
allo stremo dalla fame, pensa alla resa.
Allora Giuditta, bellissima e giovane vedova,
elabora una strategia di salvezza: abbigliata con eleganza, profumata delle
migliori essenze, indossa gioielli di pregio e, dopo aver implorato la fiducia
dei sacerdoti, esce dalle mura e arriva all’accampamento nemico: chiede di
essere ricevuta dal capo persiano Oloferne (هولوفرنس) perché, comunica alle
sentinelle di guardia, possiede per l’alto ufficiale «informazioni
sicure» (in un’altra versione tradotta, leggiamo: «Ho per lui parole di verità»). Sostiene di essere stata maltrattata dai
concittadini, di non voler morire o diventare schiava: quindi, promette di
consegnare la città senza dover combattere.
Affascinato dallo splendore della fanciulla,
Oloferne se ne invaghisce e la accoglie per due notti nella tenda, ma Giuditta non
si concede. Il terzo giorno, alla fine di un festino, rimasta sola con il
comandante ubriaco, approfitta del suo sonno profondo, afferra la spada, gli
mozza la testa, la infila in un sacco e in piena notte torna a casa. Quando la
mattina dopo i soldati scoprono l’orrenda scena, si disperano, le truppe sono
sbandate, molti fuggono. In quel momento l’esercito ebraico esce dalle mura e disperde
gli aggressori.
Giuditta viene portata in trionfo e acclamata
dal sommo sacerdote con queste parole:
Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto
di Israele, tu splendido onore del nostro popolo.
L’eroina della Bibbia ha agito bene? oppure
ha peccato? Non saprei, non dispongo di alcuno strumento obiettivo all’altezza
di fornire un giudizio inequivocabile di natura morale.
Nondimeno, molti secoli dopo, queste frasi
sono state inserite in un solenne canto religioso francescano intitolato Tota
pulchra es, Maria, “Tutta bella sei, Maria” (“bella” intesa nei termini di
non essere stata macchiata dal peccato originale). Può sembrare in prima
istanza un paradosso: a Maria Vergine vengono rivolte le stesse parole adottate
dalla Bibbia nell’elogiare Giuditta. Magari la tradizione ha intravisto in lei
una qualche immagine da collegare alla Madre di Cristo.
Il quesito, i dubbi iniziali, divengono
ancora più incalzanti: com’è possibile, mi chiedo, che i commentatori del libro
di Giuditta abbiano avvertito la necessità di elaborare un movente legittimo al
suo comportamento violento? hanno o non hanno contestato, insomma, una simile condotta
etica?
Nell’analisi dell’argomento, però, risulta giusto
sottolineare come Giuditta non si sia concessa a Oloferne, inoltre rispetti le
usanze alimentari portando con sé cibo usuale per non contaminarsi con quello
impuro, chieda e ottenga, infine, di recitare le preghiere al di fuori dell’accampamento.
Eppure, le sue azioni hanno lasciato perplessi
i moralisti di ogni tempo. Innanzitutto, un agire imprudente, tale da
comportare il rischio di essere coinvolta nell’harem di Oloferne al prezzo
estremo di perdere l’onestà. L’eroina, quasi non bastasse, strumentalizza il
simbolo eclettico della bellezza riducendolo ad adescamento sessuale nudo e
crudo. La fanciulla, del resto, non disdegna di ricorrere a numerose bugie e, pur
avendo promesso a Oloferne «parole di verità», per realizzare lo scopo lo
raggira con “parole di menzogna”, risultando un’abile ingannatrice.
Infine, l’uccisione durante il sonno
comporta un vile atto di tradimento, oltretutto gestito con modalità da definire
con l’attuale sostantivo “splatter”, con tanto di testa tagliata, corpo
decapitato caduto dal letto, lenzuolo insanguinato e, a corollario del delitto,
il macabro trofeo, issato sulla lancia, messo in evidenza sulle mura della città.
Giuditta è la sorella ideale di Giaele (יָעֵל,
Ya’el), altro significativo personaggio dell’Antico Testamento. La giovanetta ospita
un generale nemico del popolo ebraico, lo spinge a bere in eccesso e, una volta
addormentato, con un martello gli conficca un picchetto nella tempia.
Nell’ode Marzo 1821 Alessandro
Manzoni l’ha rievocata:
Quel Dio che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio ed il colpo guidò.
A ben vedere, nello scrittore, turbato dai
crimini legati a Marianna de Leyva, protettivo verso il microcosmo di simplicitas dell’operaia Lucia, emerge (aggiungerebbe
la Cantarella) una prevenzione al limite del maschilismo: se compie un atto
così forte, altro non potrebbe essere se non «maschia».
Ora, conosciuto il carattere sacro riservato
dagli orientali all’ospite straniero, l’episodio di Giaele lascia disorientati.
Non nascondo quanto, presi nella loro individualità, i gesti delle due donne abbiano
suscitato in me qualcosa di simile al rifiuto e alla condanna, al di là, comunque,
del tener conto di come queste “sorelle” non agiscano in un campo referenziale pertinente
la coscienza, bensì nell’input ineffabile
della fede.
Per decifrare il messaggio biblico, il
personaggio di Giuditta - lo ricordiamo - potrebbe non essere mai esistito o aver
agito in numerose “Giuditte” adeguate nella storia a farsi carico della
debolezza del “sesso forte”. I capi di Betulia vengono infatti descritti nella
loro codardia, mentre sfidano Dio con un ultimatum:
Resistiamo ancora cinque giorni. In questo tempo il
Signore Dio nostro volgerà su di noi la sua misericordia. Se, passati questi
cinque giorni, non ci giunge alcun soccorso, allora ci arrenderemo.
Giuditta non condivide una simile concezione
quasi “magica” della religione: al contrario, bisogna “affidarsi” al Signore con
totale semplicità e, sin dagli inizi, la giovane mostra coscienza di costituire
un mero strumento nelle mani divine. In sostanza, l’intero episodio coincide
con il celebrare una “guerra santa” condotta da una sola donna.
La Bibbia induce lettrici e lettori
ad attendere il dispiegarsi di interventi divini fragorosi, cataclismi cosmici,
voci tonanti dal cielo, mari aperti poi richiusi. Nel libro di Giuditta, invece,
il Creatore interviene servendosi degli “ultimi”, del livello più umile della
rappresentatività umana in forma incarnata (un “credo” pregiudiziale, è ovvio,
in vigore all’epoca). L’ebreo Bob Dylan, solo ventiduenne, nella canzone The
Times They Are A-Changin’, rielaborando le parole di Gesù nel Vangelo
di Matteo, farà proprio il monito:
And
there’s no tellin’ who
That
it’s namin’
For
the loser now
Will
be later to win
L’Onnipotente, insomma, scende a livello di
schiavo, di una persona priva di diritti nella cultura del vicino Oriente di
quasi tremila anni orsono. Entrando in scena attraverso una donna, si serve di
lei lasciandole usare le doti muliebri per eccellenza: la bellezza, il calcolo,
l’ironia, la seduzione aggressiva, la calma, la freddezza.
In breve, Giuditta non investe il ruolo di angelo
vendicatore, piuttosto di creatura vòlta a ribaltare un’oppressione arcana allo
scopo, sì, di guadagnare la vittoria, guidata però da un essere superiore
indiscusso. Per la mèta raggiunta, Dio ha messo all’erta l’area umana
disponibile più indifesa, più fragile, e per farlo, è vero, l’ha armata di
violenza.
Non è sempre stato così, perché, per
rimanere nell’ambito dell’aura persiana, secoli dopo, ecco Shahrazād (شهرزاد),
figlia del gran visir ne Le mille e una
notte (هزار و یک شب), raccolta di novelle arabo-perso-egizio-indiane. La
ragazza si offre come sposa al re Shahriyār, il quale coltiva l’usanza omicida
di eliminare le mogli la prima notte di nozze. L’avvenente fanciulla tenta di
metter fine al macabro cerimoniale scegliendo di agire con l’astuzia e
l’intelligenza: insomma, se riferita ai modelli maschili epici, una sorta di epigono
di Odisseo e non di Achille. Ogni notte Sharazad lo tiene occupato raccontando
vicende favolistiche, dense di aspettative e colpi di scena: rinviando l’epilogo
di volta in volta al giorno successivo, intrattiene il sultano per ben tre
anni. Dulcis in fundo, Shahriyār, innamorato di lei, si ravvede e la
sposa per sempre.
Cinzia Baldazzi
Ringrazio Adriano Camerini per le ricerche storiche su varie civiltà effettuate nel corso della stesura del testo.
Carissimo Nazario, grazie da parte mia e di tutte coloro che trovano ospitalità nel blog dedicato alla grande Saffo.
RispondiEliminaLa presente narrazione si offre come spunto di riflessione sulla donna in occasione della ricorrenza del 8 marzo mettendo in luce attraverso diversi racconti e citazioni di classici tra il sacro e il profano le numerose qualità della donna che sa essere madre, saggia e avvenente, ma anche guerriera, ribelle e astuta evidenziando ciò che scrisse anche la Fallaci: "Essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai".
RispondiEliminaMaria Poerio
In questo breve saggio Cinzia Baldazzi riesce in pieno nel suo intento evocativo. Nel chiamare a raccolta il folto numero di "sorelle" (illuminata definizione delle donne, specialmente quelle verso cui si nutre ammirazione) fa sì che la figura biblica di Giuditta - capace di ribellarsi con grazia muliebre - rinvii al coraggio insito nel sentirsi donna e non solo "gentil sesso".
RispondiEliminaImpossibile non pensare alle donne iraniane che combattono, spesso contro padri e mariti, per la libertà e i diritti civili, finendo in carcere senza potersi esprimere. Una condizione ben più drammatica di quella di Giuditta ed oggi quasi ignorata dai "media". Notizia lasciata alle Associazioni spesso inascoltate. Un tempo non troppo lontano, a queste donne fiere di essere donna sarebbe stata dedicata una manifestazione a settimana in segno di solidarietà.
Tuttavia nell'articolo spicca la forza, declinata nelle sue accezioni, dell'universo-donna, così che per ciascuna l'8 marzo non sia una mera ricorrenza sul calendario bensì uno strumento di forza.
Luisa Sisti
Complimenti per l'accuratezza che spicca nella descrizione ben dettagliata dell'articolo. La figura della donna eccelle in ogni sfumatura tracciando il percorso della propria evoluzione in un mondo in cui ha dovuto affrontare la subordinazione dettata dalle regole maschili.
RispondiEliminaGrazie a Cinzia Baldazzi che ha espresso nel mini saggio a 365 gradi in occasione della giornata internazionale della donna, che nasce all' inizio del 900 con un significato sociale molto importante, per la rivendicazione dei diritti della donna e la parità di genere.
RispondiEliminaPremetto, prima di commentare le tue considerazioni sull’8 marzo, che non amo la bibbia e le sue “storie” (Ho letto troppo tempo fa queto libro, sarebbe meglio dire libri, e tante cose non le ricordo) ma mi ritorna in mente un libro fondamentalista che si presta anche a letture ed interpretazioni che sono servite e servono anche da alibi per la pulizia etnica in Palestina.
RispondiEliminaÈ un testo pieno del potere maschile che neanche io come uomo ho mai amato.
Ho sempre invece amato la cultura Greca e quel tanto che conosco delle tragedie.
Antigone è un mio idolo laico ma non disdegno, bibbia a parte, le figura di Giuditta.
Se mi consenti ti faccio un piccolo rimprovero: perché hai messo il quadro di Caravaggio e non quello di Artemisia Gentileschi?
La mia risposta è tutta in questo mio “rimprovero”, bastava tener conto della storia di questa grande pittrice e del perché abbia realizzato questa grande opera (a mio avviso anche più toccante del pur “meraviglioso” lavoro del Merisi).
Parto da qui per dire che la grandezza di questa magnifica figura di donna vive proprio in questo capolavoro che invocando una vendetta “sublimata” in un quadro, riesce ad essere più liberatoria di troppo femminismo di maniera.
Serve per ribadire ancora una volta che L’ARTE E LA BELLEZZA SALVERANNO IL MONDO e che è forse l’unica cosa capace di colmare le aporie e i conflitti tra i “sessi” opposti.
Non ho disdegnato, come sempre, le tue costruzioni “Artemisiane” (Consentini questo neologismo!) ma accogli con clemenza femminile queste mie considerazioni un po’ controcorrente.
Di Paolo Valerio
Complimenti Cinzia per l'accuratezza che spicca nella descrizione ben dettagliata dell'articolo. La figura della donna eccelle in ogni sfumatura tracciando il percorso della propria evoluzione in un mondo in cui ha dovuto affrontare la subordinazione dettata dalle regole maschili. Molto fluido ed analitico colpisce anche un'analisi profonda della donna dalla creazione alla sua evoluzione. Un caro saluto a domenica!
RispondiEliminaCara Cinzia, grazie per il tuo articolo molto interessante denso dì riferimenti storici. Le tante donne da te evocate sono esempi per tutte noi. Il tuo articolo offre un momento per riflettere sulle sfide che ancora le donne affrontano e promuove l'uguaglianza di genere. Le donne, con la loro forza, resilienza e creatività, continuano a ispirare cambiamenti positivi nel mondo. Celebriamo le loro storie, i loro successi e il loro contributo fondamentale alla società!
RispondiEliminaBellissimo articolo, offre l'occasione di riflettere sulle numerose capacità e qualità della donna, che, proprio come madre natura, può essere dolce e amabile, terribile e spietata.
RispondiElimina
RispondiEliminaEssere donna dall’antichità ai giorni nostri non è mai stato facile. Quante lotte abbiamo fatto, quante ne facciamo e quante ne faremo. Eppure, noi non ci arrendiamo mai, continuiamo ad andare avanti, a testa alta e a non sottostare ai soprusi, alle prevaricazioni, alle violenze. Non dobbiamo mollare mai. Buon 8 marzo a tutte e tutti.
Rita D’Andrea
Per Cinzia, rifletto grazie alle sue colte parole riguardo due donne: la mamma di Gesù, Maria pura santa, e Giuditta ebrea anche lei, donna valente ... Donne che Dio ci ha lasciato come ricordo perché il sacro scritto dice: “Ricorderai i giusti per i secoli dei secoli”.
RispondiEliminaNatalia Judith Korenblum
Grazie a Cinzia Baldazzi per il mini-saggio a 365 gradi in occasione della Giornata Internazionale della Donna, che nasce all’inizio del ‘900 con un significato sociale molto importante, per la rivendicazione dei diritti femminili e la parità di genere.
RispondiEliminaPiero Sponze
Complimenti per l'accuratezza che spicca nella descrizione ben dettagliata dell'articolo. La figura della donna eccelle in ogni sfumatura tracciando il percorso della propria evoluzione in un mondo in cui ha dovuto affrontare la subordinazione dettata dalle regole maschili.
RispondiEliminaOrnella Garbari
Ciao Cinzia, questo articolo è molto interessante. Personalmente, non apprezzo molto il modello di Giuditta, ma bisogna considerare il fatto che la Bibbia è stata scritta in tempi molto remoti. Infatti, molte pagine della Bibbia sono poco comprensibili e molto lontane come modo di pensare dei tempi nostri. Anche il Dio della Bibbia è davvero diverso da quello del Nuovo Testamento. Ti ringrazio per aver condiviso il tuo magnifico articolo.
RispondiEliminaSilvia Di Pietro
Cosa sarebbe successo in un mondo privo di donne? Domanda che provoca, ma che indubbiamente stimola a riflettere. Come scrive la dr.ssa Cinzia Baldazzi, senza le donne non esisterebbe il pianeta terra. E' difficile immaginare l'universo senza quell'atto di procreazione indispensabile per la continuazione della specie, senza il calore e la tenerezza propria della maternità. Quindi, non è possibile provare a disegnare un mondo orfano di genere femminile. Quando è stato concepito l'essere maschile e quello femminile? Non lo sappiamo. Età della pietra, del ferro; nei graffiti trovati nelle caverne vi è larga testimonianza di uomini cacciatori e di donne intente ad accudire e allevare la prole. Ecco, l'uomo cacciatore, l'uomo che secondo l'epoca e la conoscenza, usa armi rudimentali e non per il sostentamento, per difendersi, per uccidere, per sottomettere. E' da qui che forse nasce quel maschilismo che nel corso dei secoli si è radicato fino ad essere difficile da sradicare. Cinzia cita Antigone; nel 442 aC, quando il maschilismo era onore e potere, una giovane Antigone sfida le leggi dello Stato, ha il coraggio di ribellarsi. Forte della dignità umana di dare sepoltura al fratello, disobbedisce. L'hanno o si è uccisa? Di certo c'è solo la forza di una donna che non cede a soprusi e veti e l'amore di Emone che accusato di essere, cosa allora altamente vergognosa, “schiavo di donna” mette fine all'onta trafiggendosi con la spada. Che mondo sarebbe senza la donna? La donna è amore, amore fino a morirne. Shakespeare, la storia d'amore si ripete. Giulietta, fanciulla non convenzionale, non accetta gli ordini imposti dalla famiglia, il suo amore, il suo carattere è forte fino a trovare la morte. Quando si dice donne! Donne non fragili, donne battagliere capaci di capovolgere ordini e leggi, donne divinamente donne, donne che ancora oggi, nonostante le lotte per l'uguaglianza, soffrono e cadono sotto lo scudiscio del maschio. Non sempre però, certi comportamenti femminili sono legittimi o da ammirare, ma come dicevano gli antichi “il fine giustifica i mezzi”. Sempre? Mi piace soffermarmi sulla storia di Ruth. Ruth e Noemi, nuora e suocera, ex sacerdotessa del male una, ebrea l'altra. Entrambe restano vedove e qui, la disuguaglianza, l'essere diversamente donne senza alcun diritto, diventa punto di forza, Ruth non abbandona Noemi, le due donne, nella cattiva sorte, in forza dell'amore, fanno squadra, si aiutano. Ed è Noemi a suggerire alla nuora come comportarsi, come accettare le attenzioni, come usare la sua femminilità per contrarre matrimonio con Booz. Mi ha sempre affascinato la figura di queste due donne così diverse e così simili, creature che per raggiungere il fine non usano mezzi cruenti. Noemi conosce la grazia e la bellezza interiore di Ruth, sa che possiede dolcezza e modi, armi potenti per far innamorare Booz e a Booz, ricco uomo, folgorato da tanta beltà non resta che sposarla. Nel libro di Ruth, possiamo già intravvedere l'avvento del Nuovo Testamento, la dignità della donna esaltata da Cristo. Non più la violenza di Giuditta, ma, le doti, le capacità femminili per raggiungere il fine, fine, incarnato per eccellenza dalla Madre di Gesù nell'atto di schiacciare la testa al serpente. Potrà mai esserci un angolo della terra senza donne? No. Dante scrisse “Colui che tutto puote”; secondo la tradizione cristiana Colui che può, ha creato e investito la donna di ogni bene e di ogni responsabilità. Ella sarà sempre luce e guida amorevole di buoni e cattivi e, purtroppo, anche madre dei tanti maschi che odiano le donne, maschi che non riescono a comprendere che proprio da una donna sono stati partoriti. Grazie, Cinzia, per questo 8 marzo di storia, per Giuditta, Ester e Ruth; grazie, sempre riesci a farci riflettere e capire eventi antichi e moderni. Buon 8 marzo a te cara Cinzia. Buon 8 marzo a tutte. Con garbo e costanza, mai abbassare la guardia.
RispondiEliminaAntonietta Siviero
Il bellissimo articolo di Cinzia Baldazzi,
RispondiEliminaoffre un’analisi profonda sul ruolo delle figure femminili nella cultura e nella storia, mettendo in luce la contraddizione tra la loro forza intrinseca e la loro subordinazione in molte società. Attraverso esempi classici, l’autrice esplora la persistenza di un’immagine archetipica della donna come portatrice di saggezza e trasformazione. Il testo invita a una riflessione critica sulla lotta per l’emancipazione, riconoscendo i successi ottenuti ma anche le sfide ancora aperte.
El conocimiento es importante porque nos hace conoscere otranto realidad… però no determina.
RispondiEliminaEl universo fue creato por todo ser vivente... includendo a la mujer en la terra... donde las classe sociale determinante a la mujer en un segundo espacio.
Por lo tanto es justo y necessario conoscere nuestra realidad para lograr una verdadera emancipacion.
No debemos olvidar la historia de la mujer donde dejaron su vida y alli questo estampado por sempre este glorioso 8 de marzo.
Beatriz Doris Ochante
Le parole di Cinzia Baldazzi hanno un dono, ogni volta mi fanno viaggiare. Un viaggio breve ma intenso ed affascinante e con un che di onirico, questa volta nel seguire un invisibile filo di Arianna e così toccare alcune figure femminili, apparentemente scollegate e differenti tra loro ma tutte quante, in realtà, strettamente legate al substrato genetico e culturale che fa della nostra civiltà occidentale quello che è, laddove le radici ebraico-cristiane si intrecciano senza scandalo a quelle pagane dell’antica Grecia.
RispondiEliminaLa condizione femminile, soggetta alle inique leggi degli uomini (intesi proprio come genere maschile) ma allo stesso tempo in grado di giocare secondo quelle regole imposte e avere, sovente, la meglio sugli ingiusti. Ma a quale prezzo, si chiede l’autrice? La seduzione e l’inganno sono le uniche armi che la storia ha lasciato a disposizione delle donne contro la violenza e la forza bruta del sesso maschile, ma la via di Giuditta può davvero considerarsi l’unica? Ci sono strade più onorevoli da percorrere, per non farsi sopraffare?
Del resto la donna è contraddizione, specialmente in una narrazione che è scritta da autori uomini. Eros e thanatos, indissolubilmente uniti e che da sempre affascinano e insieme terrorizzano il maschio, che prova ad esorcizzarli come può. Fascino e doppiezza, scaltrezza e inganno. La donna è peccatrice per eccellenza, eppure non è forse una donna l’unico essere umano della storia ad essere nato senza peccato?
Mi è rimasto fortemente impresso, dai lontani tempi delle letture liceali, come la narrazione “al maschile” abbia cercato di negare alla donna perfino il ruolo di generatrice di vita. Clitennestra uccide a tradimento il marito Agamennone per vendicare la figlia Ifigenia, da lui sacrificata per ingraziarsi gli dei. L’altro figlio, Oreste, viene praticamente costretto dal dio Apollo al matricidio per vendicare, a sua volta, il padre. Le Erinni non ci stanno e lo mettono sotto processo, ed è qui che l’avvocato difensore, lo stesso Apollo (Eschilo per bocca del dio?), sostiene che più grave crimine è l’omicidio del marito che quello della madre, poiché a suo dire la “vis generatrice”, mettiamola così, è solo quella dell’uomo. E così Oreste viene assolto, tra l’altro con il voto decisivo di un’altra donna (Atena).
Cosa dire, la lotta contro le sopraffazioni continua. Confidando per il futuro in giurie più obiettive, e ringraziando come sempre Cinzia per nutrire le nostre menti con le sue dissertazioni.
Cara Cinzia, leggerti è come bere una sorsata di acqua fresca che disseta. Il tuo procedere leggero, tra le righe, sopra le righe, conduce il lettore nella tua dimensione finemente culturale.
RispondiEliminaHo letto e riletto d’un fiato e a partire dagli albori, quelli di tremila anni or sono, rendi comprensioni, stimoli riflessioni sullo stato sociale e morale della donna.
Certo all’inizio il mondo era al femminile, la madre terra, opulenta, generosa, materna, le numerose statuette ritrovate come tu dici, lo rappresentano. Ed era certo un equilibrio stabile e benefico, pro-sociale.
Giuditta, donna dell’Antico testamento, viene citata, non a caso, anche da Papa Francesco nel libro “Sei Unica” dedicato al genio femminile. La giovane vedova, di belle fattezze e saggia, sprona gli uomini del suo popolo, ormai sfiduciati, a non abbandonare la lotta contro il nemico, a ritrovare la fede in Dio. Ella è decisa ad agire per la salvezza anche se ciò comporta consegnare alla morte. Da una donna scaturirà il coraggio nelle opere, la forza nel combattere.
Il progetto divino è ben chiaro e delineato: la donna è l’essere umano in grado di compiere grandi azioni nonostante sia la più indifesa, la più fragile (cit.). La donna è l’essere delegato all’armonia, alla pace e alla speranza, e Dio ne è convinto e affida a lei la salvezza a costo di armarla di violenza. (cit.)
È chiaro che ogni rivoluzione, ogni ribaltamento, ogni mutamento sarà possibile per mano di donna. Non rimane altro che convincersene (e non è poca roba, ahimè).
Complimenti del saggio, come sempre esaustivo e completo.
Rosalba Griesi
Cara Cinzia, ho letto d’un fiato il tuo saggio dove evochi le “ donne” quelle che ammiriamo e hanno dato esempio di coraggio e non solo appartenenza al gentil sesso, ma ad aver coscienza di essere donna.
RispondiEliminaLa figura biblica di Giuditta e’ una tra queste e tra le tue nominate perché ’ e’ capace di ribellarsi, nonostante sia una donna.
Ed e’ così che vengono in mente tutte le altre donne che vivono senza libertà’ e non si vedono riconosciuti i loro diritti civili in quanto donne. Sono donne che ancora oggi combattono, spesso contro padri padroni e mariti violenti , per la loro libertà per vedere rispettati i loro diritti come persone, in parità con gli uomini, finendo in carcere senza poter dire la propria e sotto torture inaudite che spesso i Media ignorano. Notizia diffuse da Associazioni che riferiscono senza aver ottenuto un attento ascolto.
Tuttavia in questo breve saggio spicca la forza della donna, declinata nelle sue accezioni, in modo che l'8 marzo non sia solo una mera ricorrenza sul calendario per celebrare la Festa della Donna, ma che tramite una presa di coscienza collettiva possa essere un vero strumento di cambiamento verso la libertà e verso la conquista di altri nuovi diritti come la parità salariale, quella di carriera ed altri ancora, tutti diritti che applicati possono incidere al contrasto della povertà generale ( uno dei mali piu recenti).
Grazie a te, cara Cinzia Baldazzi. ❤️🙏🌸😍🌼
È proprio vero.Le parole di Cinzia Baldazzi ci fanno viaggiare nel mondo dei suoi pensieri e delle sue colte considerazioni. Nella Giornata Mondiale dedicata alla Donna, questo 2025 appare denso di luci ed ombre e di una sempre maggiore consapevolezza del valore e della condizione femminili. Apprendo con gioia che è stata presentata una proposta di legge contro il femminicidio, considerato come reato a sè.
RispondiEliminaVari sono i temi e le figure di donne analizzate da Cinzia; le donne bibliche, Rut, Ester, Giudittta e Giaele risultano forti e vittoriose contro il nemico, utilizzando le arti della seduzione per poi ucciderlo e venire acclamate come vere eroine che salvano il proprio popolo. Scene cruente da un mondo antico rappresentato nella Bibbia, che poneva la vendetta e la sconfitta del nemico come valori. Morire in guerra era un privilegio. Quindi non mi stupisce affatto che le donne della Bibbia avessero un tale comportamento. Certo che l'arte/arma della seduzione, dal punto di vista maschile, continua ad essere potente anche al giorno d'oggi in alcune culture, altrimenti non si capirebbe perchè le donne dovrebbero girare velate dalla testa ai piedi per evitare agli uomini di cadere in tentazione. Altrimenti non si capirebbe il "victim blaming" nei processi per stupro.
Per secoli il ruolo delle donne è stato definito dalla capacità di sedurre, pensiamo all'idea di femme fatale attribuita erroneamente a Lucrezia Borgia a causa dell'omonima tragedia di Victor Hugo, in seguito musicata da Donizetti.
Pensiamo alle antiche regine, come Cleopatra. Pensiamo alla Mirandolina di Goldoni.
In contrasto con la femme fatale ecco la figura di Maria, la Madre "Tota pulchra", che io amo per essere Colei che accoglie il dolore del mondo, come nella Pietà di Michelangelo.
Bisogna però osservare come tale meravigliosa figura sia stata utilizzata per confinare la donna nel ruolo di madre accudiente, priva di qualsiasi connotazione legata alla sessualità. Si veda, a proposito di una tale tipologia, l'archetipo junghiano citato da Cinzia ma anche un punto di vista maschile riferibile, a parer mio, al complessso edipico di freudiana memoria.
Ricordo un Sacerdote, professore di religione alle Medie, che ci dettò ( la classe era tutta femminile) un brano di una qualche Enciclica di Giovanni XXIII, che riguardava il ruolo delle donne: "...Voi, che con la mano spingete la culla...". Era un ruolo essenzialmente materno dal punto di vista della Chiesa, anch'esso maschile.
Le donne, obbedienti e mansuete, si sono poi in gran parte emancipate, e non c'è donna oggi che veda come unico scopo di realizzazione la maternità.
La domanda che ci si pone è: a che punto siamo?
Direi ad un punto di non ritorno, nonostante i tempi confusi e violenti che viviamo, nonostante il tragico aumento dei femminicidi davanti alla consapevole libertà delle donne.
Che sono, dirò, ripetendo il motto dei movimenti femministi dei '70, "Né streghe, né madonne".
Solo donne.
Isabella Sordi
Carissima Cinzia, ho letto, come sempre, con estremo interesse il tuo articolo, o, per meglio dire, il tuo saggio, prendendo come spunto l'8 marzo, sulla figura di celebri donne, come Giuditta, Sherazade, Ruth, ed altre, riportate nella Bibbia, o nella letteratura orientale. Non mi soffermerò su quello che, secondo il mio parere, determini la giustezza o meno di atti, anche violenti, compiuti da donne, comunque determinati dall'incrollabile desiderio di giustizia, spesso giustificati dalla volontà divina.
RispondiEliminaNella ricorrenza dell'8 marzo - data, beninteso, che dovrebbe essere ricordata ogni giorno dell'anno - quello che è importante è il ribadire il concetto di eguaglianza nei diritti e nei doveri tra uomo e donna. Non voglio cadere nella retorica, tra l'altro non veritiera, che le ragioni, le qualità e le virtù siano sempre o in gran parte appannaggio del sesso femminile; di sicuro, la donna storicamente è stata, per millenni, subordinata al volere ed alla libertà dell'uomo (ed ancora lo è in molte realtà sociali, religiose, lavorative, familiari).
Oggi, per lo meno nella nostra società occidentale alla quale apparteniamo, sono stati fatti moltissimi passi avanti nell'emancipazione femminile, ma c'è sicuramente ancora da lavorare in questo percorso. L'importante è sforzarsi di mantenere un equilibrio, in cui il riconoscimento di diritti e doveri sia stabilito sulla base della persona, e non del sesso. Naturalmente, le implicazioni sociali, culturali e religiose ancora mantengono un peso non indifferente in questa lotta per l'emancipazione femminile in vaste aree del pianeta, ma penso, ottimisticamente, che il tempo renderà giustizia al fine della parità tra i sessi, evitando fughe in avanti, che rischiano di riproporre il problema, stavolta in senso ribaltato.
Come medico, sono molto soddisfatto che ormai le colleghe abbiano raggiunto, in certi settori specifici, la parità, o, spesso, la maggioranza numerica, alla quale si associa spesso una qualità, una perseveranza ed un'umanità superiore al sesso maschile. Ho sempre avuto, nella stragrande maggioranza dei casi, un ottimo e proficuo rapporto di collaborazione e di dialettica con le colleghe nella professione medica. Solo in una minima percentuale ho intravisto una sorta di rivalsa nei confronti della figura medica maschile, ma probabilmente, più per ragioni strettamente di carattere e di problematiche personali.
Infine, vorrei che facessimo in modo che un domani, come una società che, arrivata ad un estremo grado di civiltà, non avesse più bisogno di eroi, non si debbano ancora "festeggiare" i sacrosanti diritti delle donne, perché, finalmente, significherebbe che tale obiettivo fosse stato raggiunto.
Nicola Foti
L'autrice offre una lettura originale di Giuditta come eroina di una "guerra santa" al femminile, evidenziando come Dio si manifesti attraverso i più deboli. La sua riflessione sulla violenza e l'inganno, strumenti di liberazione, risuona con l'attualità, spingendoci a interrogarci sul ruolo delle donne nei conflitti contemporanei.
RispondiEliminaIl saggio esplora dell'autrice il potere simbolico della donna, dalla Grande Madre a Maria, evidenziando come tale potere sia stato sia celebrato che negato nel corso della storia.
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