Il 4 Giugno 2025, sul blog L’Ombra delle Parole, esce un mini-saggio, firmato Dario Villatico, intitolato «ἐὰν μὴ ἔλπηθαι ἀνέλπιστον οὐκ ἐξευρήσει, ἀνεξερεύνητον ἐὸν καὶ ἄπορον. Se non speri l’insperato, non lo troverai, perché è inaccessibile e impraticabile (Eraclito, B 18) A proposito del vaso di Pandora di Dino Villatico […]», con riferimento: Sul vaso di Pandora (Dino Villatico)
NOTE A MARGINE SUL VASO DI PANDORA DI DINO VILLATICO
Le ricostruzioni storiografiche di Dino Villatico sono sempre significative.
Da esperto e appassionato della materia [mio il maggior volume internazionale di Law and Literature, è stato Grecità marginale e suggestioni etico-giuridiche (IF Press, Università Pontificia), con antecedente, meno maturo, in L'ontologia civica di Eraclito d'Efeso (Liminamentis Editore)], menzioni ripetute di apprezzamento da Rossetti e Mouraviev e un fastidio inveterato verso le ricostruzioni fantasy (cfr. fantastiche, trad. a favore dei > di 75 anni) di Eva Cantarella (vicina/lontana di dipartimento), mi accingo, con massima curiosità acribica, a introdurre una serie di riflessioni, in ordine cronologico:
1. Omero non esiste. Iliade e Odissea, μῆνις e νόστοι, composte, aedicamente, in maniera stratificata, introducono - con una forma estrema di semplificazione- due momenti del medioevo ellenico (Eric Havelock): la colonizzazione micenea e i νόστοι verso i regni ellenici, con la caduta della centralità di Micene. Lo dimostra la distinzione, nell’Iliade, tra ἄναξ/βασιλεῖς, e la scomparsa dell’ἄναξ (wanax miceneo) nell’Odissea. L’Achille, della μῆνις, del κλέος e del κῦδος, è un βασιλεύς ferito nell’onore: ciò che è stato definito come il «vocabolo d’esordio della letteratura occidentale» non ha categoricamente niente di fatalistico; e non ha niente di fatalistico l’ombra/simulacro (εἴδωλον) di Achille, condannata alla absentia memoriae e interessata unicamente a demarcare la continuazione della sua dinastia (sorte di Peleo e Neottolemo). L’escatologia ellenica - a differenza dell’escatologia micenea- modera tra absentia memoriae e speranza (ἐλπίς), nella continuità della casata: una escatologia non fatalistica della speranza, che confluisce nel rifiuto della παιδεία kalokagathoica a favore della morale contadina eretica delle Ἔργα καὶ Ἡμέραι esiodee (antecedente chorastico della πόλις).
2. La famigerata storia del vaso di Pandora, accennata, di sfuggita, nella Θεογονία esiodea e raccontata nelle Ἔργα καὶ Ἡμέραι, trova un interessantissimo antecedente - come sostiene Villatico- nel canto Ω dell’Iliade, col riscatto del cadavere di Ettore. Esempio di δίκη è la distinzione tra πίθος del male e del bene, mescolato, a discrezione, da Zeus (ἄναξ); nelle Ἔργα καὶ Ἡμέραι il vaso è un πίθος (non una pelike, non un loutrophoros, non uno psykter). Il trapasso dalla δίκη arcaica come ερινύς alla δίκη civica come ristabilimento del κόσμος ha come indice un semplice πίθος, un vaso, inteso come enorme recipiente di immagazzinaggio usato da un mondo contadino (lontane dalle origini del mito le interpretazioni ontologiche del Gorgia). La teodicea antica sarebbe una miso-dicea, come nel mondo ebraico? No. Prima di tutto, la mitologia esiodea è molto antinomica: nella Θεογονία la donna, innominata, è definita come καλὸν κακόν; nelle Ἔργα καὶ Ἡμέραι è nominata, contemporaneamente, καλὸν κακόν e πάνδωρος. Poi, nel mondo di fine medio evo ellenico si affrontano due mitologie: la mitologia esiodea della donna creata da Efesto, come una sorta di cyborg female (D. Haraway), di matrice adamica, e la mitologia extra-esiodea della sua nascita dalla terra, nelle rappresentazioni iconiche vascolari, vicina al culto della Magna mater di Çatal Hüyük e al racconto dell’Enuma ilu awilum (identificazione Akhkhiyawā/Achei).
3. Il frammento «ἐὰν μὴ ἔλπηται ανέλπιστον οὐκ ἐξευρήσει, ανεξερεύνητον ἐὸν καὶ ἄπορον» [B 18]. Mi armo del mio consuntissimo Diels/Kranz (magone). La serie A del chiarissimo di Efeso (basata su Aristotele e Diogene Laerzio) non cita mai il famigerato B 18. La dossografia - serie B- diversa dalle biografie o frammenti diretti, vittima in misura maggiore del c.d. hermeneutischer Zirkel (Gadamer) o della fortune analitica, non trova l’unanimità dell’assemblea accademica: B 18 sarebbe, con la tipica strategia degli opposti, una interpolazione escatologica cristiana di Clemente (Stromata), connesso indissolubilmente al fr. B 27, ricostruito erroneamente come «Οι ἄνθρωποι ἐπὶ θανάτου ἀναμένουσιν ἃ οὔτε προσδοκῶσι οὔτε πιστεύουσι», senza l’inserimento del verbo ἐλπίζω (Reale risistema il Kranz «ἀνθρώπους μένει ἀποθανόντας ἅσσα οὐκ ἔλπονται οὐδὲ δοκέουσιν»). L’ἐλπίζω è la chiave di traduzione: Giannantoni, Colli e Reale, in assoluta maggioranza, traducono l’«insperabile», connettendosi alla lettura epistemologica del frammento, su derivazione senofanea; Pasquali e Diano, interpretando il binomio B 18 e B 27, subordinato all’interesse escatologico di Clemente, traducono l’«insperato». L’unanimità degli studiosi contemporanei traduce: «Se uno non spera, non potrà trovare l’insperabile [...]» e «Gli uomini, con la morte, trovano ciò che non sperano (insperabile) [...]». Il termine ἀνέλπιστος, ad eccezione della traduzione tucididea non comune di «disperato», significa, letteralmente, «insperato»: c’è una forte sfida tra interpretazione ontologica di Platone e epistemologica di Aristotele, sul campo di battaglia di Eraclito. Tertium datur: la linea interpretativa - che seguo- Mondolfo/Capizzi/Moureviev, si disinteressa di B 18 e B 27 (consideratele interpretazioni escatologiche cristiane) e della visione epistemologica (considerata una forzatura aristotelica): l’ontologia civica di Eraclito esclude entrambi i frammenti dossografici.
Le conclusioni di questo viaggio dal medioevo ellenico all’instaurarsi, nella Grecità marginale, di aristocrazie cittadine conduce ad una conclusione interessante: il mondo antico non conosce una escatologia fatalistica o una concezione fatalistica della vita, fino al momento della tragedia: c’è una weltanschauung dell’ἐλπίζω, della «speranza», del fare, rappresentata dai momenti storici delle colonizzazioni, micenee, achee, ionico/eolico/doriche e dall’instaurazione, molto lasca, di aristocrazie cittadine dotate di una chora, orientate alla realizzazione della struttura della πόλις. L’ ἐλπίς rimane in fondo al πίθος come un dono di πάνδωρος alla civiltà ellenica: chiusa nel πίθος è tutelata dall’arbitrio distributivo dell’ἄναξ Zeus, accettato nel medioevo ellenico dell’Iliade, contestato nel tardo medioevo ellenico dell’Odissea, ri-difeso dal retroguardista Esiodo (che non accetta, nel suo mondo contadino, che un donna abbia diritto di toccare, cioè aprire/chiudere, un πίθος nel magazzino del marito), contestato dalle aristocrazie di βασιλεῖς delle città della Grecia marginale del VII/VI con l’introduzione di un nuovo concetto di δίκη (cfr. Il diritto costituzionale arcaico di Eraclito/Ermodoro a Efeso). Centrale, nel mondo antico è il dilemma dell’ἀρχή, risolto a Roma con il riconoscimento della dittatura dello ius: corollario del dilemma dell’ἀρχή è il tentativo etico di distinguere πίθος del bene e πίθος del male.
Nella storiografia della storia, inoltre, ogni concezione progressiva è stata sostituita, con l’ausilio delle intuizioni di Lyotard e della complexity theory di Morin e Maturana, in una visione diagrammatica a linee di alternanza evoluzione/involuzione.
Per la concezione aristotelica della «speranza» come illusione, ci sarebbe da aprire un dibattito infinito: il neoaristotelismo contemporaneo, di matrice tedesca, neo-scolastica, francese o italiana, inserisce la «speranza» tra le virtù etiche; da ridiscutere anche il riduzionismo interpretativo o ontologico (Platone) o naturalistico (Aristotele) sulla c.d. Pre-socratica (categoria stroriograficamente discutibile): tertium datur. Ringrazio Dario Villatico che con una bella ricostruzione storiografica, senza nessun fondamento storico. ha reindirizzato momentaneamente il mio interesse verso studi che non avrò le forze di continuare a sostenere, in maniera significativa, con saggi, collettanei e monografie.
Questo non significa disprezzare Dino Villatico e ultra-settantenni della cultura italiana. Non significa d-i-s-p-r-e-z-z-a-r-e Dino Villatico. La Generazione X di cinquantenni docenti universitari associati o cultori della materia che non usino l’escamotage della libera docenza (mai abrogata, entrata in disuso, e riconducibile in uso, con l’assenso dell’ordinario o dell’emerito entrati in ruolo con cooptazioni e concorsi “truccati”), in totale assenza di concorsi universitari seri nell’ultimo ventennio, rivendicano il ruolo di prot-agonisti della cultura italiana tardomoderna, carichi di lauree, dottorati e master, davanti ad interpretazioni anacronistiche e, in toto, sorpassate dei nuclei teoretici centrali della cultura tardomoderna. Ciò non significa esaltare la Generazione X, fatta al 90% di freelance cinquantenni, col dottorato, non in grado di distinguere Esiodo da Esopo e arroccati nelle loro specializzazioni (un fisico non ha l’obbligo deontologico di conoscere Radbruch o Bava Beccaris o Tarchetti?). Significa ottenere, con continui attacchi hijacking, che il 10% di intelle(a)ttuali della Generazione X, addestrati - come rottweiler- ad un concetto olistico di cultura, di stralciare dalla cultura italiana inutili tuttologi, docenti di liceo, senza dottorati o molteplici specializzazioni, fuori età (apprezzata la scelta dignitosa di un fine intellettuale, sconosciuto a masse e addetti ai lavori ignoranti come asini, laureato con Calogero e Capizzi [!!!], U. Vicaretti, di abbandonare ogni forma di dibattito culturale successivamente alla fine della carriera accademica, ritirandosi a studi individuali). L’accademia italiana dialoga (direttamente) con Sloterdijk, Morozov, Saito, Berleant, Leddy, Curi, Lipovetsky, Didi-Huberman, Baumgarten o Onfray; se troviamo citazioni di reperti archeologici metafisici come Freud, Lacan, Heidegger o Marx, rivendichiamo l’annientamento critico dello scrittore anacronistico, da studiosi tardomoderni. Montale, Luzi, Bertolucci, Caproni, Sereni, Penna, Zanzotto, Giudici, Rosselli, essendo la disgrazia modernista d'Europa, hanno causato il disinteresse del lettore verso ogni forma di «poesia». Qualcuno segnali a Berardinelli di visionare molto bene la lezione del classicista Bruno Gentili, imparare e tacere. La Generazione X si è rotta le balle: nel nome del tardomodernismo chiediamo a tutti i cinquantenni doc di attaccare, con critiche continue e dettagliate (mai replicate o replicate con sciocchezze Rubik) le sciocchezze anacronistiche dei vecchi studiosi del XX secolo. L’intelle(a)ttuale deve sostituire l’intellettuale.
Ivan
Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha introdotto in Italia la materia della Law
and Literature. Ha diffuso saggi su filosofi italiani e su etica e teoria
del diritto del mondo antico; ha collaborato con con numerose riviste italiane
e internazionali. Tra 2007 e 2024 sono uscite varie sue
raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana,
con A&B Editrice, Versi Introversi, Mostri, Galata
morente, Carmina non dant damen, Scarti di
magazzino, Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, Cherchez
la troika e La malattia invettiva con Limina
Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il Guastatore,
con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni e Kolektivne
NSEAE con Divinafollia. È stato fondatore e direttore della rivista
letteraria Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è stato
fondatore e direttore della rivista letteraria L’Arrivista; è
stato direttore esecutivo della rivista filosofica internazionale Información
Filosófica. Ha fondato una quindicina di case editrici socialiste
autogestite. Ha scritto/curato 150 volumi, scritto 1000 saggi, fondato un
movimento d'avanguardia (NeoN-avanguardismo, approvato da Zygmunt Bauman), e
steso un Anti-Manifesto NeoN-Avanguardista, È menzionato nei maggiori manuali
universitari di storia della letteratura, storiografia filosofica e nei
maggiori volumi di critica letteraria.Il suo volume La malattia invettiva
vince Raduga, menzione della critica al Montano e allo Strega. Viene inserito
nell’Atlante dei poeti italiani contemporanei dell’Università di Bologna
ed è inserito molteplici volte nella maggiore rivista internazionale di
letteratura, Gradiva. I suoi versi sono tradotti in venticinque lingue. Nel
2024, dopo sei anni di ritiro totale allo studio accademico, rientra nel mondo
artistico italiano e fonda il collettivo NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia
estetica) [https://kolektivnenseae.wordpress.com/].
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