domenica 2 settembre 2012

N. Pardini: nota a "L'ape e il calabrone, di C. Consoli


Nazario Pardini

Carmelo Consoli. L'ape e il calabrone. Edizioni del Leone. Venezia. 2012. Pp. 80. Euro 10 

Un testo, L’ape e il calabrone, di grande nervatura umana ed ultra/umana. Commovente fino a lacerarti la carne, ma, al contempo, rasserenante in quel perpetuo connubio dell'ape e il calabrone che signori del verbo e del creato continuano in una salda e nutrita sacca d’anima a vivere fra giardini e profumi di bucolica memoria. Elegia di grande respiro. Calvario di sofferenza, ma reazione memoriale. Di una memoria, sì!, che cerca di far suo ogni avvenimento in cui la bella regina dominava (e domina!) incontrastata per bellezza e per amore. E ritornano luoghi, tramonti, paesaggi, incontri, progetti; ritornano vivi. E la natura si mescita in questo dipanarsi di sogni, di affetti, di propositi, di amore, di vita. La natura si fa disponibile e collabora a che questa fiumana di acqua cristallina prenda forza e si faccia corpo visivo, icona di stati d’animo.   : "Vorrei portarti ancora e ancora/ alle spiagge bianchissime di Cuba,/ ai tramonti stellati di Kelkam,…” (Pp. 45). “Sai Franca c’è una casa di baci e carezze,/ la nostra arnia dismessa di voli e ronzii/ dove muore il giorno e risorge a interi silenzi…” (Pp.44). “Franca ti porto la lista dei progetti,/ per domani, la vita, l’amore/ come fosse cofanetto di diamanti,/ scrigno di cose preziose da respirare.” (Pp. 47). E spesso è l’uso del presente a tradire l’ineluttabilità del tempo. E’ la grande forza che l’animo trova per rendere reale la perpetuazione di un miraggio, la resistenza all’azzeramento. E Consoli riesce in maniera magistrale a dare consistenza a questo magma interiore con un verbo di grande timbro evocativo. La parola si dilata, s’intreccia, si ammorbidisce, si rattiene, si prolunga per assecondare i ritmi ora nostalgici ora figurativi, ma sempre saturi di un’anima tornata a rivivere: “Sappi che qua nulla è cambiato della terra che sognammo,/ lo stesso orizzonte arcobaleno, l’uguale fragranza dei giardini/ c’è nella luce che ora m’avvolge” (Pp. 71). Quanta voglia di dire in questi versi estesi fino all’impossibile! quanto spazio necessita allo spirito per diluirsi in corpo! E forse Consoli, nel suo tentativo di azzardare lo sguardo oltre i confini, non è detto che non riesca a fare di un’immagine una presenza forte, reale e impossibilmente possibile per la sua vita. A volte è tanto grande un desiderio, è tanto prepotente da squarciare le nubi dei dubbi, da tramutare un mero sogno in ciò che veramente è: “Ah! Amore mio sarebbe come rinascere/ tra campi di lavanda e spianate di sole/ se tu ritornassi e mi parlassi/ come sanno fare gli angeli/ con una carezza dolce/ e uno sguardo d’amore/…" (Pp. 69).    

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