sabato 8 settembre 2012

M. Grazia Ferraris su Scrittori dimenticati


Wisława Szymborska ( Bnin (Kórnik),1923, Cracovia, 2012, premio Nobel 1966).

Il festival della letteratura di Mantova propone quest’anno più incontri per parlare di Wisława Szymborska.
È stata una poetessa sconosciuta in Italia…fino all’assegnazione del Nobel e trascurata poi anche nel proseguo. Finalmente…ed ironicamente, come a lei piaceva,  la morte ha fatto giustizia.
Apparteneva -dice di sé-  a “ un ambiente intellettuale, o per meglio dire colto, con molti libri e nessun poeta".  Nel 1931 si trasferì con la famiglia a Cracovia, città alla quale è stata sempre legata: vi ha studiato, vi ha lavorato e vi ha sempre soggiornato, fino alla morte.
Durante la  Seconda guerra mondiale nel 1939, frequentò  gli studi liceali sotto l'occupazione tedesca, seguendo corsi clandestini e conseguendo il diploma nel 1941.  A partire dal 1943, lavorò come dipendente delle ferrovie e riuscì a evitare la deportazione in Germania come lavoratrice forzata. In questo periodo cominciò timidamente la sua carriera di artista.
Nel 1945, finita la guerra,  agli artisti polacchi fu imposto il Realismo socialista e  lo scritto della Szymborska fu attaccato come poco leggibile, “inaccessibile alle masse”.  Ma con la sua terza raccolta, Richiamo allo Yeti, del 1957, ha iniziato una strada autonoma, volta ad ascoltare se stessa, rivelando un sentimento di disillusione verso la politica ufficiale.  Ben presto venne coinvolta nel locale ambiente letterario, dove incontrò Czesław Miłosz, altro premio Nobel, che la influenzò profondamente. Dal 1953 al 1966 fu redattrice del settimanale letterario di Cracovia «Życie Literackie» («Vita letteraria»). Dice di sé, parlando umoristicamente in terza persona: “E' una donna comune che scrive poesie fuori dal comune accessibili a tutti”, ed altrettanto umoristicamente scrive in anticipo il suo epitaffio:

Qui giace come virgola antiquata
l’autrice di qualche poesia. La terra l’ha degnata
dell’eterno riposo, sebbene la defunta
dai gruppi letterari stesse ben distante.
E anche sulla tomba di meglio non c’è niente
di queste poche rime, d’un gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,
e sulla sorte di Szymborska medita un istante.( Epitaffio. Da Sale.1962)
 
Una poesia la sua che ha reagito alla doppia esperienza del nazismo e del comunismo, stabilendo un diverso rapporto con la storia, con il problema della verità, con l' espressione dell' io.
Scrive della sua formazione: “ Ho fatto parte di una generazione che ha creduto. Io credevo.
Svolgevo i miei compiti in versi con il convincimento di far bene. E' stata la peggiore esperienza della mia vita": si percepisce una dolente autoironia.
“Nel mio caso si tratta di versi. Ho fatto parte di una generazione che ha creduto che il sistema comunista fosse un sistema che assicurava la felicità del genere umano Sì, lo abbiamo creduto Bisogna però dire che eravamo giovani, stupidi e ingenui.  C' era stata la guerra e volevamo con tutte le nostre forze amare il genere umano mentre bisognerebbe amare gli individui…Ero allora convinta della fondatezza di quello che scrivevo… se non  fosse per questa tristezza, per questo senso di colpa, forse non rimpiangerei le esperienze di quegli anni. Senza di essi non avrei mai saputo che cos’è la fede in una ragione unica.”

Che cos’è la poesia?, si chiede .. . “Ci siamo ricordati dell’aforisma di Carl Sandburg: - La poesia è un diario scritto da un animale marino che vive sulla terra e vorrebbe volare.-
La poesia come del resto tutta la letteratura, trae le sue forze vitali dal mondo in cui viviamo, da vicissitudini davvero vissute, da esperienze davvero sofferte e pensieri autonomamente pensati.
 Il mondo deve di continuo essere descritto daccapo, perché dopotutto non è mai lo stesso di una volta non foss’altro perché un tempo noi non c’eravamo.”
Nel discorso fatto in occasione del Nobel,  dice che le piacerebbe incontrare l’Ecclesiaste, il più grande poeta di tutti i tempi, colui che ha scritto «Nulla di nuovo sotto il sole».  Gli prenderebbe la mano e gli direbbe: «però tu stesso sei nato nuovo sotto il sole. E il poema di cui sei autore è anch’esso nuovo sotto il sole»...
“ L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”. Apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra.
Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so” sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta.  Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla ricerca. Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”.  
Dopo il grande successo dello Yeti  pubblicò Sale, 1962,  e Uno spasso, 1967,in cui emerge  la sua distanza dai modelli poetici tradizionali, l’uso insolito della metafora, la quotidianità, un mondo dietro il quale si nascondono altri mondi possibili, quelli<immaginati e non mondi>, la scelta della poesia feriale, senza concessioni al letterario o al sublime, aliena da ogni retorica, accompagnata da arguzia e ironia, come dimostra in Hania, dedicata alla domestica di casa.

Eccola, questa è Hania, la buona domestica./ E queste sono aureole, e sono padelle.
E il cavaliere col drago è un dipinto sacro./ E il drago è la vanità in questa nostra valle.
E questo è il rosario di Hania, non i coralli./ E queste le scarpe che ha consunto in ginocchio.
E questo il fazzoletto nero come la veglia,/ quando dal campanile suona il primo rintocco.
Lei ha visto il diavolo spolverando lo specchio:/ era livido- padre- a righe gialle, eccome,
e mi ha fissato laido e ha storto la bocca/ e cosa succederà se ha scritto il mio nome?
Perciò fa offerte in chiesa e per la santa messa/ e comprerà un cuore con la fiamma argentata.
Da quando costruiscono la nuova canonica,/ il prezzo dei diavoli ha avuto un’impennata.
È assai costoso trar l’anima di tentazione,/ e intanto la vecchiaia con sbatter d’ossa avanza.
Hania è così magra, talmente senza niente,/ che si smarrirà nella Cruna dell’Ago immensa.
…Ammaestrata all’umiltà, nulla chiede in compenso./ L’accompagna per via un’ombra- il lutto del corpo,/
 e il suo fazzoletto sdrucito latra al vento.

Nel dicembre 1970, dopo uno scontro sanguinoso con gli operai dei cantieri navali, nel quale dozzine di lavoratori vennero uccisi dalle forze dell'ordine, Edward Gierek, prese la guida del partito e apportò modifiche importanti per l'economia polacca. Tuttavia le proteste popolari continuavano ad infuriare e, nonostante Gierek avesse rappresentato un'innovazione per l'economia, che dalla sua riforma divenne più liberale, fu costretto a presentare le sue dimissioni da  segretario nel 1980.  La Polonia di Gierek,attraversata da una crisi profonda ma ancora ingessata,  sfocerà in Solidarnosc.
W. Scrive Utopia, dove lucidamente coglie le contraddizioni del momento.

Isola dove tutto si chiarisce./ Qui ci si può fondare su prove.
L’unica strada è quella dell’accesso./ Gli arbusti fin si piegano sotto le risposte.
Qui cresce l’albero della Giusta Ipotesi/ Con rami districati da sempre.
Di abbagliante linearità è l’albero del Senno/ Presso la fonte detta Ah Dunque è Così.
Più ti addentri nel bosco, più si allarga/ La Valle dell’Evidenza.
Se sorge un dubbio, il vento lo disperde….
A destra una grotta in cui giace il senso./ A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la verità e lieve viene a galla./ Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla cima si spazia sull’Essenza delle Cose.
Malgrado le sue attrattive l’isola è deserta,/ e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il mare./ Come se da qui si andasse soltanto via,
immergendosi irrevocabilmente nell’abisso./ Nella vita inconcepibile.

 Si impegnò per il sindacato clandestino Solidarność.  Pensando alla situazione delle donne nella tragica storia polacca scrive La moglie di Lot:

Guardai indietro, dicono, per curiosità,/ ma, curiosità a parte, potevo avere altri motivi.
Guardai indietro rimpiangendo la mia coppa d’argento.
Per distrazione-mentre allacciavo il sandalo./ Per non dover più guardare la nuca proba
Di mio marito, Lot./ Per l’improvvisa certezza che se fossi morta/
Non si sarebbe neppure fermato.
…Colpita dal silenzio, sperando che Dio ci avesse ripensato.
Le nostre due figlie stavano già sparendo oltre la cima del colle.
Sentii in me la vecchiaia. Il distacco./ La futilità del vagare. Il torpore.
Guardai indietro posando per terra il fagotto.
Guardai indietro non sapendo dove mettere il piede….
Guardai indietro per solitudine./ Per la vergogna di fuggire di nascosto.
Per la voglia di gridare, di tornare./ O forse solo quando si alzò il vento
Che mi sciolse i capelli e sollevò la veste…./Guardai indietro per l’ira….
Guardai indietro non per mia volontà./….No, no. Io continuavo a correre,/
mi trascinavo e sollevavo,/ finchè il buio non piombò dal cielo,
e con esso ghiaia ardente e uccelli morti.
Mancandomi l’aria, mi rigirai più volte./ Chi mi avesse visto poteva pensare che danzassi.
Non escludo che i miei occhi fossero aperti.
È possibile che sia caduta con il viso rivolto verso la città.

La sua poesia è unica nel suo genere ed è più facile descriverla dicendo ciò che essa non è: non è romantica, non è antiromantica, non è avanguardista, non è retorica, non è nichilista, non è sperimentale. La parola più ricorrente nelle sue opere è in effetti la parola "non".
Ciò che rende la sua poesia così speciale è la continua ricerca dell' altra faccia della medaglia, di una prospettiva diversa. In un dramma teatrale preferisce l' ultimo atto, quando cala il sipario, e  i morti si rialzano e gli attori tornano a essere se stessi.

Le interessa il mondo della natura e degli animali. Scettica per natura, vuole sempre vedere le cose almeno sotto “sei diversi punti di vista.”
Nella poesia La cipolla  conduce la descrizione della perfezione vegetale attraverso la contrapposizione con la struttura imperfetta dell’uomo,  ma al termine del componimento compare una conclusione, nella giocosità espressiva, pur irrimediabile:

La cipolla è un’altra cosa./ Interiora non ne ha.
Completamente cipolla/ Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,/ cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro/ senza provare timore.

In noi ignoto e selve/ di pelle appena coperti,
interni d’inferno,/ violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,/ non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,/ fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,/ riuscita è la cipolla….
La cipolla, d’accordo:/ il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole/ da sé si avvolge in tondo.

In noi – grasso, nervi, vene,/ muchi e secrezione.
E a noi resta negata/ l’idiozia della perfezione.

Ne Il gatto in un appartamento vuoto ricorda la morte del poeta  Kornel Filipowicz che fu suo marito, analizzando, senza coinvolgimenti sentimentali, il dolore animale, talvolta più espressivo e comunicativo di quello lacrimoso, patetico  degli esseri umani:

Morire- questo a un gatto non si fa./ Perché cosa può fare un gatto/ in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti./ Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,/ eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,/ eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.

Si sentono passi sulle scale,/ ma non son quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino/ non è quella di prima.

… Qui c’era qualcuno, c’era,/ poi d’un tratto è scomparso/ e si ostina a non esserci.

In ogni armadio si è guardato./ Sui ripiani si è corso./ Sotto il tappeto si è controllato.
…Che altro si può fare./ Aspettare e dormire.

Che lui provi solo a tornare,/ che si faccia vedere.
Imparerà allora/ che con un gatto non si fa così.
Gli si andrà incontro/ come se proprio non se ne avesse voglia,pian pianino,
 su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.

La chiave per comprendere il suo stile lucido, incisivo,  sono le sue variazioni sovversive sulla retorica familiare: riesce a  far apparire il fenomeno più banale come un miracolo.
Ci fa vedere ogni cosa, sia le cose grandi sia quelle piccole, sia gli esseri umani che la storia, con occhi nuovi e acuti. Con una precisione ostinata rende chiare le sue immagini conducendo il lettore a un riconoscimento misterioso: apriamo gli occhi in un buio che sparisce gradualmente.
Tuttavia la Szymborska non cerca segreti. Li porta in superficie usando le sue immagini come una vanga.  Un esempio:  In lode di mia sorella:

Mia sorella non scrive poesie,/ né penso che si metterà a scrivere poesie.
Ha preso dalla madre, che non scriveva poesie,/ e dal padre, che anche lui non scriveva poesie.
Sotto il tetto di mia sorella mi sento sicura:/ suo marito mai e poi mai scriverebbe poesie.
E anche se ciò suona ripetitivo come una litania,/ nessuno dei miei parenti scrive poesie.

Nei suoi cassetti non ci sono vecchie poesie,/ né ce n’è di recenti nella sua borsetta.
E quando mia sorella mi invita a pranzo,/ so che non ha intenzione di leggermi poesie.
Fa minestre squisite senza secondi fini,/ e il suo caffè non si rovescia sui manoscritti.
….
Mia sorella pratica una discreta prosa orale,/ e tutta la sua opera scritta consiste in cartoline
il cui testo promette la stessa cosa ogni anno:/  che al ritorno dalle vacanze/ tutto quanto
tutto/ tutto racconterà.

 Un linguaggio femminile che manifesta  una tensione non verso i fatti come tali, le tesi, i sistemi, ma verso lo spazio della contingenza..
Sa  utilizzare  espedienti retorici quali l'ironia, il paradosso, la contraddizione e la litote, per illustrare i temi filosofici e le ossessioni sottostanti. È  una miniaturista, le cui poesie compatte spesso evocano ampi enigmi esistenziali.  Si caratterizza per l'introspezione intellettuale, l'arguzia e la succinta ed elegante scelta delle parole, la semplicità.  Così per il tema dell’amore. Si domanda che cosa è un amore felice.

Un amore felice. È normale?/ È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri/ Che non vedono il mondo?

Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,/ i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così- in premio di che? di nulla;/ la luce giunge da nessun luogo-
perché proprio su questi, e non su altri?/ Ciò offende giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi accumulati con cura?/ Butta giù la morale dal piedestallo?
Sì, infrange e butta giù.

Guardate i due felici:/ se almeno dissimulassero un po’,
 si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono- è un insulto./ In che lingua parlano- comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,/ quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano-
sembra un complotto contro l’umanità!

È difficile immaginare dove si finirebbe/ se il loro esempio fosse imitabile…..
Un amore felice. Ma è necessario?/ Il tatto e la ragione impongono di tacerne
Come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita./ Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.

…Chi non conosce l' amore felice / dica pure che in nessun luogo esiste l' amore felice.
 Con tale fede gli sara' piu' lieve vivere e morire.

La lotta intrapresa dalla Szymborska contro qualsiasi forma di totalitarismo è una lotta discreta, le parole sono le sue armi, quasi avesse  paura delle grandi idee, delle dichiarazioni e dei discorsi solenni. Sa come colpire con pungente ironia i sentimentalismi e l' inadeguatezza politica .
Difende i suoi compatrioti, la scolorita routine giornaliera, la vita che deve sempre andare avanti.
 La sua posizione fondamentale è profondamente scettica, diffida del pathos, soprattutto se rivolto all' umanità o alla collettività. Ed è priva di ideali e di sacralità:

 "Dopo ogni guerra/ c' è chi deve ripulire.
 In fondo un po' d' ordine/ da solo non si fa... Chi sapeva
 di che si trattava,/ deve fare posto a quelli/
che ne sanno poco. E meno di poco... E infine assolutamente nulla.
 Sull' erba che ha ricoperto le cause e gli effetti,
 c' è chi deve starsene disteso/ con una spiga tra i denti,
 perso a fissare le nuvole". (La fine e l' inizio (1993):

Sono versi che fanno chiarezza, disinnescano l’inganno e mettono in risalto i veri contorni della cose, sono un antidoto all’illusione, all’apparenza, alla mancanza di intelligenza.





Nessun commento:

Posta un commento