lunedì 3 settembre 2012

N. Pardini: Lettura di due opere di Ines Betta Montanelli


Lettura di:

Ines Betta Montanelli. Lo specchio ritrovato. Bastogi. Foggia. 2007. Pp. 110. 8.00
Ines Betta Montanelli. Il chiaro enigma. Bastogi. Foggia. 2004. Pp.128. 8.50

Bella sorpresa! Dono veramente gradito questi due libri di poesia della poetessa Ines Betta Montanelli, esponente di spicco con esperienza di lungo corso nella letteratura poetica contemporanea. Casa Editrice Bastogi. Una edizione curata nella scelta della carta, nella impaginatura, nella veste grafica. Ho sfogliato, voglioso di entrare nel merito, le pagine color avorio e ne ho gustato lo sfrigolio, assaporandone il sapido profumo di stampa. E poi curioso e ghiotto di etimi,  significati, significanti, accostamenti, intrecci verbali e di figure stilistiche mi sono dato ad una lettura attenta e puntigliosa.
  Un poetare forte, nerboruto, intenso, ora dolce, ora reattivo quello di queste pagine: un ossimorico travaglio  esistenziale, direi, su cui ha gran peso una memoria feconda di impulsi umani ed ultra/umani. Poetare fatto di costrutti generosi ed espansi per affiancare il più possibile l’intensità emotiva della Nostra. Tante le cose da dire, tante le emozioni suscitate dal fatto di esistere in spazi circoscritti, e vincolanti per un’anima volta ad ampliare gli sguardi oltre gli orizzonti:

Nel sogno riaffiorano i volti
che ancora non sapevamo
e mentre un bagliore di cielo
ora li pervade – noi -
brancolando nel buio ci perdiamo
in vani soliloqui, in fremente attesa
d’eterna Luce (Pp. 96 da Il chiaro enigma).

Sì!, perché la vita è un enigma. E il mistero di esistere s’insinua come motivo conduttore nel dipanarsi dei versi, tanto che l’opera da soggettiva si fa estremamente oggettiva per le sue motivazioni intrinseche. Capta con immediatezza la sensibilità del lettore:

Se giungesse almeno una voce
a decifrarmi gli enigmi insoluti (Pp. 97 ivi).

Tutto si racchiude nel mistero
“del tempo infinito” (Pp. 59 ivi).

Ognuno la fa sua.
Il memoriale è vita, vita nuova, carico di pathos, di nostalgia, ma soprattutto del senso di precarietà dell’essere. Tutto è inconsistente e fuggitivo:

Eravamo due gocce iridescenti
sull’onda azzurra della giovinezza.
Fluiscono dal cuore segrete parole
che consuonano a salmi sulfurei di stelle (Pp. 68 ivi)

Veliero fantasma la vita.
Un attimo – e via (16 ivi).

E si accavallano fatti, episodi, sprazzi di memoria; tornano pungenti dopo lunga decantazione, e chiedono di tornare a vivere con la loro forza immaginifica. La realtà è un conto. Ma quella rivissuta, sedimentata, rifiorisce attorniata da un sentimento ora forte, ora dolce, ma pur sempre generoso e tanto potente da tradurre la realtà stessa in immagini, serbatoio importante per la  poesia. La poetessa si rende conto, pur riducendo il ricordo ad un momento di nirvana edenico, di serenità e di riposo, si rende conto dell’ineluttabilità del tempo, della sua inconsistenza e di quanto sia enigmatico il fatto di essere e di esistere sulla scena della nostra con/parsa:

Ora è tempo di mete dolorose,
di addii e noi
siamo soltanto resti di memorie vagabonde (Pp. 106 ivi).
  
Ci si sente veramente soli, allora, e impotenti e melanconici di fronte alla nostra miseria, se confrontati con l’enigma della pluralità del tutto:

Gli ultimi pulviscoli di sogni
si disperdono
 al soffio struggente
di un’infinita malinconia (Pp. 69 ivi).

Anche perché sorge spontaneo il dubbio cruciale del nostro spleen: a chi le nostre memorie? a quale isola, a quale credo il patrimonio del nostro essere? noi chi siamo? quale il futuro di tanta passione umana?
  Forse è la Poesia l’unica possibile isola a cui affidare questo nostro irripetibile patrimonio. Lei ci aiuta, ci avvicina, ci lusinga, ci promette anche qualcosa, forse l’unico qualcosa che possa vincere il tempo e faccia delle memorie un ambito storico degno di restare. Sì!, perché la vita è un battito d’ali e quindi urge viverla:

Qui più nulla è miracolo ormai!
L’ansia di vivere
urge e divora (Pp. 64 ivi)

La vita è un battito d’ali
un canto d’amore smarrito nel tempo (Pp. 95 ivi).

ma tutto passa con ogni illusione:

 Venite, venite, sogni
a placare l’inquietudine del cuore
che se ne sta in silenzio, smarrito,
a guardare la  vita che passa
e con lei ogni illusione (Pp. 118 ivi).

   E quante volte si è soli con noi stessi e con le nostre meditazioni! È proprio allora che la solitudine si fa terreno fertile e per la poesia e per gli slanci di cuore verso slarghi di Cielo:

Quando si è soli
si può anche cadere in ginocchio
e pregarti, Signore (Pp. 51 da Lo specchio ritrovato).

Ma non è detto che le ingiustizie del mondo che covano fra le inadempienze umane non facciano vacillare anche quella fede che si fa forte nella nostra solitudine:

Correnti di ingiustizie e di potere
mentre i bambini urlano la loro fame
e i vecchi l’abbandono.

Forse anche Dio si è stancato di noi (Pp. 46 ivi).

E il tempo è breve, il dubbio sull’esistere si fa pressante, il redde rationem è impellente in questo nostro segmento improponibile per la voragine dell’infinito:

A nessuno è dato sapere
se al tornare dell’estate ci saremo (Pp. 44 ivi).

Mai sapremo quante ore di sole
ancora per noi, quanti inganni
si faranno catena (Pp. 45 ivi).

Questo magma di sentimenti, questa forza emotiva, questi interrogativi esistenziali, questa pluralità di un’anima slanciata alla ricerca di se stressa convalidano un verbo di grande spessore prosodico ed etimo-fonico. La parola è concreta, meditata, sofferta, è spontaneamente maliziosa da far risaltare tutta l’esperienza poetica della Nostra. Mai i passi di maggiore intensità lirico-emotiva debordano in struggenti sentimentalismi di passatismo. Ma tutto il pensiero, tutta la costruzione intellettivo-sentimentale di Betta Montanelli è arginata da un verbo attento e puntuale, ora disteso, ora rattenuto, ora secco, ora prolungato in versi ipermetrici, a seconda delle richieste dell’anima. Ed è soprattutto la natura a fare da supporto al dettato poetico della Nostra. La natura con tutte le sue sinenergie figurative. È nello sguardo inquieto dell’autunno, o nella vite rossa, o nell’ammasso degli sterpi, o nel pallore della luna, o nella profondità del buio, o nella luce dei colli, o nelle gemme dei rami, che l’Autrice trova la consistenza del suo sentire, l’equivalenza con la vita: il nascere, il vivere, il decadere, lo scorrere, e il dilemma dello spazio temporale. E Lo specchio ritrovato riluce e riflette belle presenze, immagini preziose quali diamanti nello scrigno dell’anima. Ma con poco presente e tanto imperfetto. Perché il presente fugge, è inafferrabile, non c’è modo di trattenerlo un solo attimo per parlargli e chiedergli dei perché dell’esistenza. Ed è per questo che la poetessa nella sua incredulità così pensosa si rivolge al SIGNORE “Cieca e sorda, ma con Te nel cuore/ toccata dal Tuo amore/ per guardare quieta/ oltre la vita” (Pp. 35 ivi).


 Nazario Pardini                         Arena Metato 02/09/2012

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