martedì 16 luglio 2013

LUISA MARTINIELLO: LETTURA DI "NEI RISVOLTI DEL TEMPO" DI A. CRECCHIA

Antonio Crecchia: Nei risvolti del tempo, Ediemme -Cronache Italiane, SA, 2012



Luisa Martiniello

Questa raccolta è connotata dallo scorrere del tempo, visto come “maledizione” che divora le stagioni, le insegue. Il loro transitare ha “la fretta/dei lampi che sfidano i temporali”. Le rughe portano il poeta a ritrovarsi “sconosciuto a me stesso,/con lo sguardo nel vetro/che mi legge nell’anima/la trasparenza d’una vita/al sole della malinconia” .Egli si perde tra una “gramigna di giorni piatti…nel groviglio di una dolente stagione” e , mentre  trionfante passa un’altra estate “sulle macerie dell’anima”, la sua solitudine  si rispecchia in quella dei monti “piegati/al martirio d’una solitudine senza fine”. Il biancore del gelo e della neve non sono altro che ferite alla terra “colta nel sonno disteso dell’inverno” e il loro peso pare faccia sentire il gemere degli ulivi, l’angoscia dell’ essere “crocefissi al letto dell’inedia”, la precarietà nell’ evento registrato nella sua “furia insana”. Nel suo furore  il vento imprime altri strazi :“lividi letali/su cespi di begonie/lasciate a morire /sul granito dei davanzali” al chiarore di in una folgore che  la notte “sbrindella”, così come   la tempesta di un’ora. Altrove il vento quale respiro del tempo “divora l’agonia delle foglie”. Scorre la melodia dell’acqua  da una rupe  e il poeta ripropone  la sua tristezza con l’analogia di “brandelli dell’anima” quali “morbide bende/ sul vuoto insonoro dei pensieri.” Quando  pare che sia raggiunta una situazione di pace  ecco che i sogni ,ormai  con ali frante, sono “sulla roccia franosa del Nulla”. La stagione fredda ritaglia “l’eco rugginosa del ruscello” nel mentre la vita tenta di risollevare il capo di una primula “alla meraviglia del giorno” o tenere gemme ansiose si affacciano al “chiarore dell’alba”. Gli sterpi “secchi e rugginosi” fanno da sfondo al ricordo di nomi e volti che avevano la parola “fresca chiara loquace”, nomi che non si trovano neppure più sulle croci, “fuscelli travolti dall’onda gelida/dei venti di tramontana”. Lo sguardo del poeta si posa su  un rio che “sprofonda nella guazza/della malinconia mattinale”  o su  le foglie  lungo i viali che “migrano il respiro della morte,/l’effigie della mia tristezza/addossata alla corteccia/rugosa di vecchi platani,/perpetua la solennità d’un rito/che unisce l’alfa all’omega.” Se il “monotono dondolare di rami/negati al colloquio con gli uccelli” colgono la Natura in una distesa solitudine, anche il papavero è colto alla fiamma del sole e “reclina il capo ai giorni maturi dell’estate”, la testa piegata dei girasoli nella stagione in declino e il giorno appena sorto portano all’assorta adorazione del cielo azzurro “tempio antico/di vergine solitudine e meditazione”. “La parabola della vita declinerà come raggio di sole” ,ma l’autore nei suoi versi reclama una voce che “avrà la timida afonia dell’eterno”.
La vita è oltre la dimora di pietre e cemento nella sera “brunita”, ma le case di fronte sembrano “loculi serrati”, hanno l’ingresso sbarrato dalle “catene di silenzio” . Il silenzio opprime, ma lascia spazio ad ascoltare la “risonanza di vuoti stellari, la segreta armonia /oltre le stimmate dell’Io”. La sera riporta la tristezza che fa sanguinare antiche ferite e reclama “un lento morire /alla soglia sbarrata del divenire” .La solitudine è un’altra parola chiave, voce di solitudine ,di pena è la voce della terra affannata dal “catrame dei secoli”: mani insanguinate, olocausti, risse, vanità, ingordigia portano ad una agonia lenta. Il cuore del poeta è gravato dalla solitudine ,assente “quella musica umana” ,alacre, che inondava la sua valle. Un canto dalla limpidezza del cristallo lo porta a condannare la farsa, a snidare “serpenti viscidi e squamosi”, eredi di una “retorica trita e adusata”, intrisi di insania. Nella “bara dell’anno” c’è “la lista nera di infamie e miserie,/l’elenco delle croci ancora da piantare”. Nella palude dei giorni  emergono la dialettica di Pilato, il fervore agnostico dei farisei e i “feroci rottweiler della violenza gratuita”.  Il poeta rimpiange la perduta la saggezza dei padri  “incisa sulla pietra, sigillo del tempo”.
C’è un sonno che non ignora “i battiti che scandisce il tempo”, è quello de “l’arcano richiamo dell’Eterno” che serra tra le sue braccia gli amici di una vita :Rita , Romelia, Nicola, Emerico Giachey : “quella penna che tante pagine/ha ricamato con un filo d’oro,/inossidabile alle ingiurie del tempo”, il dantista Corrado Gizzi.
L’inverno strappa via col vento le foglie gialle dei pioppi che “ se ne vanno leggere/come anime di morti” e “nel furore d’un inverno senza fine” l’autore ricorda l’aspra lotta di Pasquale Martiniello contro “un abusivo tiranno” che credeva di avere snidato, poeta “fiero, austero guerriero che muore /con l’arma in pugno e il cuore puro”, dai  versi “creati a sfida di aquile/rapaci, in segno di riscatto e redenzione /per tempi nuovi”. Di lui “resta la parola, il farsi del pensiero,/…il canto…/in cui saetti…/scansi i veli a paravento di vergogne,/ipocrisie, inganni, scandali e menzogne;/sollevi il bastone della giustizia divina/contro le odiate bestie assurte a casta/di pavoni d’oro, con lingue sciolte,/occhi cupidi e artigli di sparvieri razziatori…”.Nell’altra lirica  “Quis custodiet custodes ?”,sempre a lui dedicata ,il poeta Crecchia, sembra voglia aggiornarlo sulla misura ormai stracolma delle nefandezze che si sono verificate dopo la sua dipartita e amareggiato gli confessa che il suo biasimo non ha impedito alla casta di “saccheggiare ”in spregio alla vis della morale tante volta richiamata, anzi come api moleste col ronzio delle loro mani abili e moleste non ha preso a stimolo nessun suo verso per “inibire/voglia di potere e appetiti” e “preme con piede di porco fiscale/sulla pelle rinsecchita/di  chi non sciala/ma vive alla giornata”. L’autore invita come novello Dante l’Italia dalla mani “incallite e vigorose” a snidare e scacciare “dalle poltrone dorate/gli scoliasti canterini di bugie,” che falsano “la tormentata democrazia”.
Se l’inverno “sparge chiodi di tristezza” non è spenta la fede e le mani del poeta “mordono/il legno della croce” che apre a nuove sfide nel giorno nuovo che “si salda alla vita” e la poesia è l’arma da usare per scacciare il tedio, inveire contro “la vecchia dinastia di Caino che continua a rivoltare “fango nella palude del tempo” e “il balsamo del sole” dopo la notte razziatrice di gazze e faine ricorda che “la poesia è un rivolo d’acqua chiara/che brilla alle radici del divenire” e che solo il pensiero  può condurci, smagliata la trama, oltre  il “ buio lordo del tempo”.
Crecchia non rinuncia a innalzare un vessillo a difesa di memorie e parole e in questo testo attraverso il canto della perdita e del dolore ,pur nutrendosi di malinconia, accumula il furore proteso a schiudere versi toccanti e pungenti contro una parabola del vivere che non può avere come fine la rassegnazione agli eventi e  giorni senza scopo. La parola è scolpita, incisa nel foglio- marmo del tempo e pulsa in uno stile  di forte intensità e pregnanza.

Luisa Martiniello


3 commenti:

  1. La recensione di Luisa Martiniello ha un taglio di grande impatto ed efficacia che poggia sulla scelta di parlare della poesia lasciando la parola all'autore, il quale si esprime attraverso le numerose citazioni, intelligentemente individuate e giustapposte. Una lettura, dunque, che vede il poeta come protagonista che interloquisce direttamente con il lettore. In tale ottica la recensione (peraltro molto viva e fervida) assolve in pieno il suo compito di informare e proporre.
    E dunque complimenti a L. Martiniello e al poeta A. Crecchia!
    Pasquale Balestriere

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  2. Mi sembra una pregevole interpretazione delle valenze più recondite dell'anima di questo autore che personalmente, non conoscevo anche se ne ho sentito parlare. Complimenti.

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  3. Antonio Crecchia, si distingue soprattutto per il suo vigore letterario, come fa notare e sottolinea la curatrice di questa critica Prof. Martinello.

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