domenica 17 novembre 2013

L'ANGOLO DEL VERNACOLO

Da: Nazario Pardini. "Un campagnolo in città". ETS. Pisa. 1999



‘R difetto della pace

Per di’ la verità questi enno i tempi
che ci rendano ‘n po' tutti disturbati:
ric’è la guerra! E tanti son li scempi
che m’ha lassato drento ritrattati.

M’arriordo mi’ pà’ con ir carretto
(lo riopriva ‘olla stoia de’ ‘orbelli
doppo avecci arrangiato drento un lletto
per rifugiammici ‘nsieme a’ mi’ fratelli).

Per noi pareva ‘n gioo. Poi ci schiaffava
‘n mezzo alla lagna delle raganelle
tra ‘ll’argini d’un fosso. Bruciavano i bengala
er tremolìo leggero delle stelle.

Cari figlioli, ‘r difetto della pace
è forse di pensà’ che sia ‘n eterno,
è forse di pensà’ che ‘r male tace,
e che ‘n agguato non ci sia l’inferno.

              


‘R tango di Beppe

Svolazzava la musia senza posa
tra le lucine sparse e un po' soffuse;
stringeva Beppe ‘n ballo la su’ Rosa
ma ‘n’odore ‘mprovviso lo ‘onfuse.

“Caro ‘r mi’ Beppe ho ll’alito  pesante
perchè stamani andiedi dar dentista
a riparammi i denti ‘on un ber ponte
che poi vedè’ se allunghi un po' la vista.”

“ Propio, ‘ara Rosa, sì!, gliè un po' pesante!
Nun lo volevo dì’, ma da vicino,
gliè ‘nutile mentì’ per fà’ ‘r galante,

si sente propio ‘r puzzo, Diobonino!
Nun è che sotto ‘r ponte, ’ome succede,
cian fatto i su’ bisogni  e nun si vede?”


                                                                      

Arano                                         
                                       
S’allungano le prode sur pendìo,
aprano lente ‘r sorco dritta e manca (*)
indifferenti ar parpito der fio
che stende atterra la su’ foglia stanca.

Stanno di guardia i passeri ar filare
per adocchià’ i baetti sur riverto,
e tutti quanti pronti a svolazzare
stanno appostati ‘oll’occhio ben esperto.

Vola nell’aria ll’urlo der biforco
che vole ‘ostringe manca a stà’ ner sorco,
vola ‘r muggito delle bestie a valle
che stendano per terra cacca a balle.

Certo ‘r Signore pensa a tutti i mali,
vedi? Alle vacche nun gni ha ffato ll’ali!
T’immagini volassero  le vacche,
quante le teste piene di patacche.

Ma poi, a pensacci bene, qui dda noi
potrebbano volà’ sia vacche ‘he boi,
tanto ci siemo ‘mmersi fino ar collo,
e ci si nota ‘n mezzo senza ‘ontrollo.

                                       


(*) Dritta e manca sono le due mucche attaccate al giogo: quella a destra e quella a sinistra

2 commenti:

  1. Mi son chiesto più volte perché quando leggo il Pardini vernacolare mi vien da pensare al Fucini dei "Cento sonetti pisani". Analogie linguistiche? Non credo, perché Fucini scriveva oltre un secolo fa. Corregionalità? Forse, ma vagamente.
    Quello che a me pare accosti notevolmente Pardini a Fucini (a parte la rima) è l'ironia sapida e salace, vitalistica e un po' guascone di quei simpaticissimi toscan(acc)i che "non te la fanno buona", come si dice dalle mie parti, cioè non ti risparmiano qualche ammicco mordace o irridente, burlesco o sarcastico, se hai la ventura di capitargli a tiro. Salvo poi a scoprirci, sotto, un'umanità partecipe e, magari, dolente.
    Dico questo non riferendomi evidentemente solo ai tre componimenti qui presenti ma ad una più ampia produzione poetica in vernacolo del nostro amico Nazario. Il quale è poeta "ad ampio spettro" e cura le malattie dell'animo proprio come gli antibiotici ad ampio raggio di attività curano quelle del corpo.

    Pasquale Balestriere

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  2. I versi vernacolari di Nazario Pardini stanno a testimoniare quanto la lingua madre evidenzi la sincerità, la spontaneità del suo fare poesia, quanto la stessa sia connaturata in lui.
    Il dialetto - si sa - tende ad essere sarcastico, dice le verità più crude sempre "con il sorriso in bocca" ma, così facendo, rivela ed esprime drammi operando una sorta di catarsi irraggiungibile, forse, con l'impiego della lingua ufficiale.
    Si pensi a "R difetto della pace": quanta saggezza popolare! Certo, anche la pace ha le sue mancanze e la più grande è quella "di pensa' che sia in eterno". Si legga "'R tango di Beppe": un ballo che perde ogni forma di distaccata eleganza ed acquista, invece, ancor più passione. Si rifletta su "Arano", sulla sua armonia dai toni vagamente pascoliani, intrisa, ancora una volta di tanto senno ("Certo 'r Signore pensa a tutti i mali / vedi? Alle vacche nun gni ha ffatto ll'ali!") e tanta amara constatazione ("Ma, poi, a pensacci bene, qui dda noi / potrebbano vola' sia vacche 'he boi") tanto, nel letame, siamo immersi fino al collo.
    Grazie, Nazario (credo di poterlo dire a nome di tutti) per questa ventata d'aria pura; maleodorante soltanto per chi ha la puzza sotto il naso.

    Sandro Angelucci

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