martedì 30 giugno 2015

MAURIZIO DONTE "L'INFINITO" DI GIACOMO LEOPARDI

Avevo in mente di scrivere qualcosa sulla poetica.... ma... vedo che ci ha già pensato lei, e mi ritrovo appieno nelle sue parole.
Ha ragione, il lessico non giunge  a descrivere i moti del cuore di un poeta, è limitato anch'esso come siamo limitati noi, nella nostra finitezza.
Ed è vero che la poesia è mare, è proiezione oltre l'orizzonte, oltre lo spazio e la vita stessa...
L'infinito di Leopardi ben di questo dice...

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

ecco, interminati spazi, e sovrumani silenzi e profondissima quiete, io nel pensier mi fingo... ove per poco il cuor non si spaura.
Il senso di vertigine che si prova sull'abisso dell'inconoscibile, sul limitare di un'esistenza che si sa finita, in rapporto al proprio desiderio d'eternità, eternità che però angoscia e sgomenta, in quanto anch'essa inconoscibile, incommensurabile, infinita e impossibile da concepire con la mente terrena. Non resta che il salto, dalla scogliera, o il volo della fede, o di Icaro, non si sa bene, nulla è certo,…

Maurizio Donte


4 commenti:

  1. Ogni volta che rileggo “L’infinito” leopardiano, mi sovviene un haiku del grande Matsuo Basho che, tradotto, recita così:

    “quando io guardo attentamente
    vedo il nazuna in fiore
    presso la siepe”

    mentre in lingua originale è:

    “yoku mireba
    nazuna hana saku
    kakine kana”

    Ciò che mi riconduce a Leopardi è quel verbo, “mireba (guardare attentamente)” così simile, anche foneticamente, al suo “mirando” e col medesimo significato che, allo stesso modo, sprigiona stupore e meraviglia. Leopardi come Basho riesce a vedere quel “di più” che altri non vedono. Questa è la sensibilità funzionale del poeta: uno sguardo attento e illuminato sulle cose che permette di oltrepassare ogni apparenza sino a raggiungerne l’essenza.
    Il nazuna è un fiore banale, quasi disprezzabile perché considerato una pianta infestante, come la gramigna, eppure Basho, quando lo vede prova ammirazione (determinata da quel “kana”, che in giapponese è una particella esclamativa) e si rende conto di quanta “divina gloria” possiede quel piccolo fiore se in esso si può vedere il mistero abissale della vita o dell’essere.
    Scriveva Tennyson:

    “Fiore che spunti dal muro screpolato,
    Io ti colgo dalla fessura; –
    Ti tengo qui, la radice e tutto, nella mia mano,
    Piccolo fiore – ma se potrò capire
    Ciò che sei, la radice e tutto, e tutto in tutto,
    Saprò che cosa sono Dio e l’uomo.”

    A differenza di Tennyson, che per comprendere ha bisogno di ”sradicare” il fiore, di possederlo incurante persino della vita del fiore stesso, Basho si limita ad una serena e pacata contemplazione nella quale il mistero del nazuna si rivela per quello che è, senza alcun bisogno di spiegazioni o ulteriori parole. La vita si dà, così, interamente, nell’atto stesso dello stare in essa.
    I due diversi approcci sono determinati, ovviamente dalle due diverse mentalità: quella occidentale di Tennyson e quella orientale di Basho.
    L’atto contemplativo e risolutivo leopardiano è, a mio avviso, molto più vicino alla sensibilità orientale:
    il “guardo è escluso”, dice il Poeta, “ma…”. E con una avversativa s’introduce in quell’atto di pacata (sedendo) e attenta contemplazione (mirando) per cui “il guardo” non è più “escluso” ed anzi si apre alla visone di “interminati spazi” e persino alla visione di ciò che non si può vedere (semmai udire), ovvero di “sovrumani silenzi” oltre la siepe (“di là da quella”). Lo spaurirsi del cuore è un esclamativo un po’ come lo è il “kana” di Basho. Non è sgomento, e lo dice con quel “ove per poco” ma, quasi certamente l’ammirata meraviglia, a sbigottire il cuore.

    Grazie, Maurizio, per avermi dato la possibilità di esprimere la mia riflessione. Questa lirica leopardiana è una delle meraviglie della nostra Letteratura.

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    1. Carissima Lorena,
      grazie a te per questa analisi puntuale e così approfondita, sintomo di una cultura poetica che si estende ben al di là dell'italica siepe della cultura.
      Ora vedi, ogni volta che rileggo l'Infinito, per poco il cuor non si spaura pure a me: ho negli occhi quel luogo isolato e pur vicinissimo a Palazzo Leopardi, tanto da essere l'ultima propaggine dei giardini stessi dove Giacomo e i fratelli giocavano, nelle ore in cui erano liberi dagli studi...è quello il luogo intimo, di Leopardi, il luogo da cui parla alla Luna, e naufraga nell'infinito mare dell'orizzonte senza tempo che ha davanti.
      La sua vista, come ben dici, va molto oltre l'umano, egli coglie il silenzio, la natura, l'oblio che essa da alle volte, in momenti particolari.
      Come la piazzetta davanti al palazzo, dove i fanciulli, giocando fanno un "lieto romore", o la non lontana "Torre antica" del Passero Solitario, sono i suoi luoghi, usatissimi, eppure odiati, che tutti i giorni (e le notti) gli suggeriscono le suggestioni, i profondissimi pensieri, le riflessioni così vivide, che ancora, dopo quasi duecento anni, ancora ci colpiscono così tanto.
      Si, davvero Poeta è chi va oltre, chi percepisce anche in cose banali, viste tutti i giorni, l'infinito, l'aldilà, l'oltre. Le cose e i sentimenti al di là delle mere apparenze da tutti percepite. Il poeta ha una seconda vista, interiore, che gli rivela quello che gli altri non vedono, di qui, lo stupore, quando si leggono poesie come le sue.

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    2. scusate il refuso: intendevo dire " al di là della siepe dei nostri autori, uno sguardo, quello di Lorena, gettato oltre il limiti della letteratura italiana"

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  2. Ho dimenticato la firma:

    Lorena Turri

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