sabato 7 novembre 2015

FRANCO CAMPEGIANI: "L'ANIMA FUGGENTE. DI RESCIGNO IL RACCONTO INFINITO"


Franco Campegiani collaboratore di Lèucade

Gianni Rescigno

L'anima fuggente
Di Rescigno il racconto infinito

Ho grande rammarico per non essere riuscito a conoscere di persona Gianni Rescigno. Mi mise in contatto con lui il comune amico Sandro Angelucci e tutti insieme progettammo una sua venuta a Roma, per presentarne l'opera in occasione dell'uscita del saggio di Sandro sulla sua produzione poetica. Purtroppo non riuscimmo nell'intento, ma io ricordo le lunghe chiacchierate telefoniche con Gianni, durante le quali venivo investito da una carica straordinaria di umanità e di poesia. Una poesia legata alla terra, al mare, al cielo, alla vita, che traspirava da ogni poro e si palesava anche nel parlato di Gianni Rescigno. Con questo ricordo vivo e sanguigno di lui, della sua persona semplice e verace, mi accingo a svolgere questa relazione, sulla scorta del saggio di Angelucci, "Di Rescigno il racconto infinito", edito nel 2014.
Numerosi esegeti, e di prim'ordine, si sono occupati della poesia del poeta cilentano e forse sarebbe stato meglio lasciare la parola a qualcuno di loro. Se tuttavia io mi sento autorizzato a parlarne, è in nome di una condivisione poetica e umana che me lo fa sentire vicino, così come vicino sento l'autore del saggio. Quella di Rescigno è una poesia carica di valori morali, religiosi, esistenziali, legati alla natura e al grande archetipo della cultura contadina, alla vita del popolo e di tutti gli esseri che appaiono e scompaiono, viandanti cosmici da e verso un fascinoso mistero. C'è la cognizione di un tempo che scorre veloce, ma senza rimpianti o dispiaceri, nella fiducia che ciò che scompare non fa che sparire dentro se stesso, riassorbito nel flusso universale dell'Essere e del proprio mistero.
Dicevo che è un lavoro fortemente ispirato, questo di Angelucci, e ciò la dice lunga sul rapporto instauratosi con il suo Maestro, un Maestro di umiltà che sarebbe meglio definire fratello maggiore, o più semplicemente compagno di viaggio. E qui permettetemi di spezzare una lancia in favore delle affinità elettive, delle consonanze poetiche, di quella vicinanza di ispirazione che secondo alcuni nuocerebbe all'oggettività e alla neutralità del lavoro critico. Mi chiedo come si possa restare freddi di fronte ad una poetica, ad una visione del mondo, ad un Mito. Possiamo restarne indifferenti, questo si, e in quel caso non ce ne occupiamo. Ma se ne siamo rapiti, si scatena l'uragano. Un risveglio dello spirito che non ci chiede di divenire partigiani. Cosa, questa, che fanno i dottrinari pedanti e pedestri che, guarda caso, accampano sempre pretese oggettivistiche (il che equivale a dire soggettivistiche, data l'opinabilità di ogni dottrina).
La poesia è universale, non oggettiva o soggettiva. E la critica che se ne occupa non è che una possibilità ulteriore per la poesia, che evoca gli archetipi, di risorgere attraverso uno specchio interpretativo. E' anch'essa un'attività creativa, tesa a ri-creare in modi originali ed autonomi quei sensi o valori universali che abbiamo dentro, ma che dimentichiamo a causa dei condizionamenti collettivi. Sta qui l'universalità dei linguaggi creativi, il cui ruolo non è di parlare astrattamente a tutti in maniera oggettiva, né tantomeno di raccontare vicende intimistiche che non interessano nessuno, bensì quello di rivelare verità nascoste, l'essenza più intima del reale, toccando le corde più segrete di ogni uomo singolo.
L'anima fuggente è il titolo dato al presente convegno: un titolo che è un potente ossimòro. Esso crea infatti un rapporto paradossale tra identità e diversità, tra ciò che è eterno ed immutabile (l'anima), e ciò che è fuggevole e perituro (il tempo). La poetica rescignana è tutta giocata sulla messa a fuoco di tale fascinosa relazione, e il lavoro critico di Sandro Angelucci non è che un'amplificazione, ricca di variazioni tematiche, di tale visione. Ciò che è identico a sé è sempre diverso da sé: questo significa Anime fuggenti. Assoluto e relativo si cercano e si respingono. Sono distinti e diversi, ma complementari. L'anima incorruttibile, che appartiene all'eterno, prende corpo, si proietta nelle contaminazioni del tempo, le attraversa per ritrovarsi vergine e illesa al termine dell'esperienza. Per cui "la caducità è sostanza, carne dell'eterno", scrive Sandro Angelucci.
Ed è la weltanschauung di Gianni Rescigno. Non a caso Anime fuggenti è il titolo di uno dei suoi più recenti testi poetici. Sandro titola il suo saggio "Di Rescigno il racconto infinito", alludendo appunto al viaggio che l'essere compie da e verso l'infinito. Questo saggio è a sua volta un volo pindarico nell'universo del poeta cilentano. Sono novanta pagine in cui l'aliante del critico, poeta egli stesso, si tuffa ad ali spiegate in un volo altissimo e al tempo stesso radente, preso nelle correnti ascensionali e plananti della poesia rescignana. Pagine equilibrate, fatte di terra e di sangue, ma eteree e rarefatte a un tempo, che ci parlano dell'Angelo che ci affianca, della nostra identità nascosta, che "sarebbe un errore identificare con un'entità imprecisabile, immune dalle sofferenze, relegata in un iperuranio vuoto ed indolente; no, l'angelo è molto più reale di quanto si creda, è qui con noi, ma bisogna avere occhi per vederlo anche dove non penseremmo di trovarlo".
E' evidente che si parla di fede. Attenzione però: la fede dei poeti non è la fede dei teologi, dei dottrinari. Non è la fede nel dogma, ma è la fede nel mistero, in quell'ignota forza che sostiene e spinge a rinascere dalle sconfitte, dai naufragi, dalle morti, dalle disperazioni. Una fiducia nella vita, un amore che è lotta, ed è saggezza atavica, sapienza innata, anteriore alla nascita di ogni cultura, di ogni filosofia, di ogni intellettualismo. E' la fede di sempre, non costruita sul piano storico. Una fede nativa, originaria, purissima, che viene dal mistero, dal sacro primordiale, pur non disdegnando di ricorrere a simbologie convenzionali. Nel romanzo "Il soldato Giovanni", la matrona Giuseppa, terza moglie del protagonista, così si esprime in punto di morte: "Nessun prete... il Padreterno sa tutto di me. Datemi una brocca di vino... Il vino m'ha aiutato a campare, m'aiuterà a morire".
Di questa fede è testimone la poesia di Rescigno. Una fede elementare, assolutamente priva di elementi feticistici. E non si dica che questo è Romanticismo. I romantici si affidavano all'irrazionale, alle fantasie oniriche, mentre qui si parla di realtà, di sofferenza, di un incanto che porta sulle proprie spalle il disincanto, il dolore. Solo la Croce apre le porte del Paradiso. Questa è concretezza e questo è Gianni Rescigno: un cristiano autentico, ma io direi anche un pagano autentico, con un cuore incontaminato che ben conosce le contaminazioni del mondo. Ne Il soldato Giovanni, egli fa dire a Nicola, commilitone del protagonista, morente sul campo: “Tutti gli uomini tirano acqua al proprio mulino. T’imbrogliano talmente le carte in tavola fino a che non sai più che pensare... E non distingui chi ha torto e chi ha ragione”.
Grandezze e meschinità si compenetrano in questa visione equilibrata e saggia della vita. "Siamo quelli che vorrebbero amare. / Siamo quelli che non lo sanno fare. / Noi siamo e non siamo. / Siamo il respiro e il sospiro. / Vita e morte in ogni istante. / Ogni istante eternità e fine". Il canto di Gianni Rescigno si innesta nel grande filone poetico del realismo contadino e con molta intelligenza critica Angelucci conduce un confronto tra il nostro poeta ed il russo Sergej Esenin. Identiche le radici popolari, legate al mito della Terra Madre, al sentimento sacrale per la natura. Due strade differenti, di cui l'una conduce alla disperazione per la fine della cultura contadina, e l'altra alla certezza dolorosa dell'immortalità dell'archetipo contadino. Due modi diversi per dire che per rinascere occorre morire: conoscenza ben nota, da sempre, nelle arcaiche religioni contadine.
Quello di Rescigno è un terrestrismo edenico, tanto più etereo quanto più profondamente sanguigno e carnale. Non è visionarietà contemplativa ed ascetica. Si può volare al solo patto di restare saldamente radicati al suolo, alla forza di gravità. Ed ecco figure di contadini, di pescatori, di popolani, di emigranti, di vite spezzate che tuttavia non disperano: “Antonio: mio amico. / Basso tarchiato, il petto mantello / di peli. Ben nato, colpito da polio / a tre anni”. E’ insuperabile, Rescigno, nella pietas, nella partecipazione fraterna, antiretorica, ai dolori di tutti i viventi. Derelitti, emarginati, uomini e donne feriti nel corpo e nell’anima, che tuttavia accettano con forza d’animo e senza battere ciglio il loro stato. Egli parla di un’umanità sofferente, di uomini e donne semplici che accettano rudemente il dolore. Residui di una cultura immarcescibile, dove la coscienza del male (i sogni “che cadono ad uno ad uno / come colombe uccise nel volo”) possiede una funzione catartica, rinnovatrice, anziché distruttrice.

Franco Campegiani



1 commento:

  1. Franco, con il suo superbo intervento, ha 'chiuso il cerchio', consentitemi l'espressione non adeguata, di quel pomeriggio magico, che ha rivisto 'vivere' la Grandezza del Poeta Gianni Rescigno... Con la sensibilità che ben conosco, il nostro Poeta - filosofo ha messo in luce quanto il Poeta fosse teso ad arco verso gli emarginati, verso 'gli uomini e le donne semplici, che accettano rudemente il dolore'. Ovviamente ha affrontato tematiche di altissimo spessore, legate alla fede, al mito, 'al flusso dell'essere e del proprio mistero'. Con nerbo incisivo, efficace, coinvolgente e con umanità struggente, Franco ci ha donato il Rescigno Artista in tutte le sue sfaccettature e si é legato, inevitabilmente, al Saggio dell'amico di sempre, Sandro Angelucci, "Di Rescigno. Il racconto infinito". Una relazione che ha offerto numerosi tributi e che ha reso noi tutti infinitamente più ricchi!
    Grazie, amico carissimo...
    Maria Rizzi

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