mercoledì 21 settembre 2016

M. GRAZIA FERRARIS: LETTURA DI "PROMETEO" DI U. CERIO



Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade

Rileggendo il Prometeo di U.Cerio

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Il rapido scorrere delle pubblicazioni su Leucade spesso non dà tempo per  la rilettura adeguata di  testi che ben lo meritano… Poi capita di ritornarvi, quasi per caso..,  come per il  Prometeo di U. Cerio.
Si parlava con amici di teatro…, dell’ indimenticabile  Luca Ronconi attivo al “Piccolo” milanese, e della sua trilogia Le Baccanti- Le Rane-  Il Prometeo soprattutto…al quale ho assistito, inebriata dalla recitazione eccezionale di attori come Warner Bentivegna, Paola Bigatto, Franco Branciaroli.., ma in particolare dalla regia e scenografia- gonfia ed essenziale ad un tempo, sonora e vuota, barocca ed elementare, superba e disperata, lo scoglio onnipresente attorno al quale tutto lo spettacolo si dipana in una esplosione di significati  allusivi - che costituiscono l’originale interpretazione di Ronconi - attraverso la lettura di Eschilo- del nostro mondo, dove gli uomini che “avevano occhi e non vedevano”,  non ci sono, ma sono destinatari di un dono, il fuoco, ossia la civilizzazione, dono che non si sa quanto avvelenato. Già:
« Guardate il dio incatenato e doloroso, il nemico di Zeus, il detestato da tutti gli dei, perché amò i mortali oltre misura » (Prometeo incatenato, Eschilo), il Titano che viene raggiunto da vari personaggi, che tentano di portargli conforto e consiglio: le Oceanine, Oceano ed Io, cui Prometeo, drammaticamente solo ed  immobile, può solo manifestare la propria sofferenza e il proprio sdegno e  raccontare di sé.
 Operazione tragica  e  complessa che la storia ha interpretato in molteplici modi fino a  quello romantico e suggestivo della ribellione e della compassione in cui il Titano si erge orgoglioso a diventare l’oppositore di Zeus, campione dei sottoposti.

Rileggo il testo di Cerio e cerco di  individuare il nodo poetico che cattura il suo personaggio: il “suo” Prometeo(“dove sei, mio Prometeo” ) è l’eroe cui si rivolge laicamente, che chiama in causa l’uomo -piccolo e triste-  cui il dono del fuoco ( da non dimenticare le infinite valenze simboliche) non è stato né accettato né valorizzato: “gli uomini non hanno serbato ferola dove nascondere il fuoco”; rimane nella vaga memoria della perdita del dono solo il vacuo lamento, la vanità, l’incapacità di seguirne l’esempio, la mancanza di dignità, di ribellione.
 Il Prometeo di Cerio non risponde.
  “Ed ora dove sei, mio Prometeo,/ rapito da una morte disperata,/vagante tra spazi stellari/ o negli inferi di Ade maledetta/ -un’altra aquila a divorarti il cuore-”
Il discorso da universale ricerca del significato del mito- storico e morale- diventa personale, interrogativo, intimo, con echi di pessimismo sconsolato: “Ed io non so, non so dov’è l’anima,/ quale viaggio prepara/Oltre il breve fluire del mio fiume.”
Prevale la sfiducia, la mancanza di speranza: “Nessuno più ruba il fuoco agli Dei/ e l’amore si è perso”; resta fermo il  “dolore  tra le scarne certezze perdute”.
L’augurio si mescola ormai con la sofferenza dell’ultima anche se inutile preghiera:
    “Donami una scintilla,/ ancora, ch’io possa scaldare il cuore/e l’anima,/ E donami certezze
mentre risali in un Olimpo umano.”
Echi della grande poesia del Novecento (Montale-Quasimodo) permangono saldi a guidare la ricerca del Nostro:
“…cerco l’armonia di cetra cava/ che non ritrovo”, culminanti nella domanda di cui  si sa ben prevedere la risposta:
     “Perché non dirti, oggi, a me fratello,/ pure se secoli ci separano?”

Vado a leggere i tre commenti esemplari: illuminante nella sua limpida esposizione quello di P. Balestriere:
“… Cerio ama il mito che sa elemento fondante ( e dunque necessario) della vita, momento di crescita e di inveramento di quegli ideali ai quali ogni essere pensante non può fare a meno di ispirarsi . E del titano, generoso amico dell'uomo, rivive la nobile e dolorosa vicenda che entra d'impeto nella grettezza dei nostri giorni ed  elegge Prometeo a simbolo tutto umano di scoperta e di rivolta, di progresso e di coraggio”.
Storico il commento di U. Vicaretti:
“Umberto Cerio compie un viaggio rivelatore nella storia dell’uomo, condensando non tanto, e non solo, l’evoluzione sentimentale ed esistenziale del genere umano (…), ma anche, quella “politica” e “sociale” degli uomini e delle donne, viaggiatori stremati dell’umana avventura, naufraghi avviliti e sopraffatti dall’odio e dalla barbarie, dalla violenza e dalla sofferenza, dalle guerre, dalla ferocia, dal sangue”. … E’ quindi l’uomo stesso ad essere chiamato in causa: invocazione, denuncia, desiderio di riscatto”.
Mi fermerei qui: da parte mia sono affascinata da quello che scrive il filosofo Gaston Bachelard a proposito del mito di Prometeo: “Il mito di Prometeo rappresenta il desiderio dell'uomo di diventare, intellettualmente, simile agli dèi”, quindi il mito di Prometeo si direbbe il mito per eccellenza: il più fecondo, il più segreto, forse il più rappresentativo della cultura occidentale.
 Se c’è stato “peccato”, è il peccato della superbia intellettuale come quella di Adamo ed Eva nel Genesi (la “scienza del bene e del male”), un “complesso di Edipo della vita intellettuale”. E  lo strumento psicoanalitico dovrà agire sul versante soggettivo in quanto sono gli uomini con le loro aspirazioni, speranze, credenze fantasie e desideri spesso inespressi , confusi, spesso egoistici, che rendono drammatica la storia.
La nota di F. Campegiani invece mi induce a un supplemento di pensiero:
Forse quello che vuole dirci la leggenda è che l'uomo ha dentro se stesso il divino e sbaglia a proiettarlo tutto fuori di sé.” Un rovesciamento della posizione.
 “Prometeo sarebbe così il prototipo dell'uomo che riscopre le proprie origini divine, anziché dell'uomo che si ribella platealmente alla divinità…l'umanità sembra avere dimenticato l'esempio di un "uomo fatto immortale", capace di tornare al mitico tempo in cui il conflitto non c'era e gli uomini erano addirittura ammessi alla presenza degli dei, in momenti di grande convivialità. “
E la ripetuta  invocazione ceriana , allora, cela e rivela a un tempo un dialogo del poeta con se stesso, con il suo alterego o con il suo daimon, con il divino che pulsa dentro di sé.
…È una tesi importante, suggestiva, “difficile”  quella che assorbe l’attento e lucido commentatore e che Campegiani- filosofo va ripetutamente rimeditando e riproponendoci ; mi induce a riflettere positivamente sul suo pensiero che ricerca il divino dentro l’uomo e che in questo momento storico così malinconicamente “terrestre”, di uomini che pur avendo occhi non sanno vedere ( “l’ orribile vuoto che si appresta oltre la memoria del tempo”) suscita in me forte emozione, quella dell’utopia.


Maria Grazia Ferraris

28 commenti:

  1. “ Quanto asserisce Gaston Bachelard è sintesi e felice acribia , come la chiosa dell’Autrice a immediata conferma .
    Un abbraccio e un Augurio di Buon Tutto .
    leopoldo attolico-

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  2. molto interessante, ricca di implicazioni e spunti di riflessione importanti, grazie!

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  3. Intervento di spessore e coinvolgente.
    maurizio soldini

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  4. ho rilanciato nella pagina facebook http://on.fb.me/sTX0OW
    e in http://twitter.com/#!/faraeditore

    Buonissime cose da Alessandro
    http://www.faraeditore.it
    Alessandro Ramberti

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  5. Una lettura attenta, viva che coinvolge profondamente.
    Bonifacio Vincenzi

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  6. Non ci si può astenere dal soffermarsi a riflettere, dopo una lettura così importante. Dipingo l'immagine di un uomo, o meglio, di un Uomo da sempre sospeso tra il bene e il male. Impegnato nella ricerca di se stesso e della "propria perfezione", dimentica di fare proprio un grande concetto: l'importanza della vita stessa.

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  7. Gli interventi della prof.ssa M.G. Ferraris che ci offre spesso su questo blog sono molto ricche di riflessioni e utili ad alimentare un pensiero fuori dal clangore quotidiano. Leggere commenti e analisi di questo spessore è arricchente ed induce all'approfondimento sia leggendo il bel poemetto di Umberto Cerio, che dei commenti "illuminanti". Un occasione utile per guardare all'evoluzione del dialogo tra l'uomo e il mito e degli ideali che ogni uomo dovrebbe fare propri.

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  8. I commenti di M.G. Ferraris sono sempre interessanti e pregnanti, ma non solo, hanno il fascino della creatività che va oltre la vasta cultura specifica. La si sente in ogni espressione, che amplia e arricchisce i testi commentati. Molto bella e coinvolgente la nota conclusiva del suo commento.
    Personalmente trovo nel mito di Prometeo una ulteriore prova della natura umana, varia ma sempre uguale a se stessa nei suoi slanci e nelle sue ribellioni. Ricordiamo Giobbe! In definitiva l'uomo è sempre l'uomo, anche se custode e testimone di quella scintilla divina che lo attraversa.
    Un grazie alla eccellente critica.
    Edda Conte.

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  9. Grazie per questa ispirante analisi del mito e della sua esposizione letteraria e per la capacità di rimarcarne sinteticamente i poli. Ispirante e utile per chi pratica, anche se, nel mio caso, indegnamente, l'azzardo di scrivere.

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  10. Complimenti a questo commento che anima Prometeo a Leucade ....in collaborazione poetica! Penso comunque che tale mito non vada scisso dal Protagora di Platone. Nel meraviglioso dialogo e' Zeus che tramite Hermes, dona all'umanita' - il logos - senza il quale non ci sarebbe convivenza civile e tantomeno artistica.Il fuoco della tecnica non basta all'arte umana.
    Miriam Binda

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  11. Davvero illuminante, provocatoria, questa lettura di Maria Grazia Ferraris. Commentando la figura di Prometeo quale si evince dal testo di Umberto Cerio, la Ferraris lancia uno sguardo lucido e appassionato nel cuore dell'odierna civilta occidentale che sembrerebbe avere smarrito il cammino della ricerca e della conoscenza. Un vero grido di dolore verso la nostra civiltà che ha dimenticato Prometeo. Da ciò l'accorato invito agli uomini a ripensarlo, e non nella visione eschilea del titano che si ribella platealmente alla divinità, ma di Cerio, che lo vuole in lotta con se stesso per liberare l'origine divina che è in lui. Una concezione seducente, moderna e intrigante, che la Ferraris finisce alla fine per fare propria, convinta, anche lei, che l'uomo occidentale del nostro tempo possa uscire dalla crisi seguendo l'esempio di questo moderno Prometeo, guidato oltre che dall'amore del divino, anche dal bisogno di utopia.
    Giuseppe Leone

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  12. Complimenti a Maria Grazia Ferraris per la sua ricca e seducente disanima che rende la figura di Prometeo quanto mai viva ed attuale.
    Valeria Serofilli
    WebSite:www.valeriaserofilli.it

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  13. L'esegesi della Ferraris denota la sua grande conoscenza e la sua infinita profondità di pensiero che conduce per mano il lettore verso riflessioni e meditazioni su un tema antico ma sempre attuale.
    Emma Mazzuca

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  14. È un dio cattivo e invidioso quello che nega il fuoco agli uomini, rivendicando a sé soltanto questo elemento, simbolo del progresso, della civiltà e dell’intelligenza, e condannando l’umanità a vivere nel buio dell’antiragione? Oppure quel dio non esiste e l’uomo quel fuoco lo aveva dentro di sé fin dall’origine, quasi che fosse lui stesso a possedere prerogative divine, perdendole poi con la sua sprezzante malvagità?
    Ho letto con molto interesse lo scritto della professoressa Maria Grazia Ferraris sul Prometeo di U.Cerio, lasciandomi coinvolgere dalla sua limpida prosa e dalla sua colta analisi su questo affascinante semidio della mitologia greca, che sta a rappresentare l’uomo ribelle, teso a penetrare nei segreti, a lui negati, della trascendenza, oppure simboleggia l’eterna aspirazione dell’uomo a inseguire “virtute e conoscenza”, recuperando a se stesso la sua primordiale divinità.

    Vittorio Verducci

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  15. Maria Grazia Ferraris possiede un'acutezza critica straordinaria e la ringrazio per aver messo a fuoco le pulsioni più vive del mio intelletto e del mio spirito, intervenendo da par suo in merito alla struggente invocazione ceriana rivolta a Prometeo: "il mito per eccellenza", lei dice, "il più fecondo, il più segreto, forse il più rappresentativo della cultura occidentale". Credo abbia ragione.
    Franco Campegiani

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  16. Intervento significativo e illuminante. Rallegramenti vivissimi!

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  17. Utilizzare il mito in un lavoro letterario,è un'operazione intellettuale di grande profondità, oltre che estremamente gradevole. È uno dei motivi del mio amore per Pasolini. Franco Campegiani ed altri parlano di una scoperta del divino che è in noi. Una riscoperta di una spiritualità non legata a schemi codificati, quindi molto spesso bloccati dalle nostre passioni, ma che emerge liberamente quasi sorgiva, quasi come una fonte che non può fare a meno di sgorgare perché la falda da cui proviene è gonfia d’acqua. Leggevo alcuni teologi ortodossi rifugiatisi in Francia dopo la rivoluzione russa, in particolare Paul Evdokimov e Olivier Clement. Parlano di una divino umanità, un divino che torna tra gli uomini e li porta essere veramente uomini. È la possibilità di riscoprire la spiritualità nel mondo contemporaneo, tanto avverso alla trascendenza quanto bisognoso di qualcosa di “oltre”.
    L’evoluzione dell’umanità passa dall’eroismo di Prometeo, che lotta pur sapendo l’impossibilità di una vittoria personale, ma anzi giocandosi l’eternità-altro che paradiso pieno di vergini- per portare avanti l’umanità. L’unico premio è l’intima coscienza di aver seguito la giustizia. Nell’ombra intravedo Camus, l’Homme Revoltè, il mito di Sisifo, vivere una moralità oltre se stessi che promuove l’umanità …
    Non mi dilungo oltre, ma già questi scorci sono un premio, un momento strappato alla banalità quotidiana. È anche il segno di avere qualcosa da dire con la letteratura, che essa può, nella sua estrema debolezza, cambiare il mondo.

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  18. Commento su commento: un inizio di giornata magnifico questo intervento di L. Giordano! Un pensiero che condivido appieno e che mi invita non solo a continuare nella speranza ma a complimentarmi con chi scrive e pensa con questi principi. Grazie!

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  19. Sono rimasta incantata dalla profondità della Ferraris.Illuminanti le Sue parole. Rendono attuali e profondamente toccanti le vicende di un Classico che ci riporta alla vera ( e forse,oggi, da alcuni travisata) essenza del vivere umano nel quale robusta scorre la linfa dei più profondi sentimenti.
    Un gioiello che arricchisce il diadema letterario rappresentato da 'Alla volta di Leucade'
    Con stima i più cordiali saluti
    Valeria Massari

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  20. M. G. Ferraris sa come interpretare il mito e ne ha una capacità di lettura non schematica.
    I commenti che si stanno succedendo lo confermano.
    Desidero prendere spunto da quello di Casuscelli per esprimere la mia opinione: "Un occasione utile - scrive - per guardare all'evoluzione del dialogo tra l'uomo e il mito e degli ideali che ogni uomo dovrebbe fare propri.", al quale volentieri aggiungo che l'opportunità è buona anche per riappropriarci delle nostre "origini divine" (senza superbia, però), come la Nostra non manca di ricordare citando la nota di Campegiani al "Prometeo" di Cerio.

    Sandro Angelucci

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  21. Questo -come chiamarlo-? breve saggio sul mio Prometeo di Maria Grazia Ferraris, che prima di ogni cosa desidero ringraziare, per l'impegno culturale e l'onestà intellettuale profusi, va oltre il semplice commento di un poemetto ove in prima istanza è posto il confronto tra divinità e umanità, tra antichi e moderni, tra accettazione e ribellione, tra dolore e scelta di libertà, tra vita e morte, tra la semplicità disarmante della visione eschilea e il destino attuale dell'uomo ("orribile vuoto che si appresta oltre la memoria del tempo"). Il mio impegno nasceva, come alcuni commenti sottolineano, dall'incontro-confronto tra l'uomo antico e l'uomo moderno. Quest'ultimo da tale confronto esce impoverito e alquanto malconcio, pur nella ricerca di Prometeo, che si è accorto di aver perduto, e si ritrova annichilito "piccolo e triste" per la sua incapacità al sapere, alla conoscenza, alla ribellione per la libertà, alla luce, perché l'uomo non ha meritato il dolore di Prometeo derivato dalla terribile punizione cui è stato sottoposto. In me la conoscenza di Prometeo ha determinato dolore profondo:"Mi sei precipitato nell'anima,/ hai scavato nelle molli viscere in cerca del mio dolore/ e tra le scarne certezze perdute...../ Ma mi hai donato umanità profonda". Allora che senso deve avere questa umanità?
    Durante la stesura del testo, molto spontanea, l'oscillazione della mia lettura, fatte le scelte dell'interpretazione delle varie parti del mito, è stata duplice: da un lato quella di cercare l'uomo nel divino (è anche l'aspirazione -realizzata- di Prometeo , senza dubbio alcuno corretta, dall'altro la provocazione della lettura di cercare l'uomo nel divino, per una nuova palingenesi. Di fatto quando Prometeo riceve l'immortalità da Chirone vi è il passaggio della ricerca del divino nell'uomo: ma ormai siamo a vicenda conclusa. Il dono - i doni- (per le valenze simboliche molteplici del fuoco) arrivano all'uomo da Prometeo-uomo.
    A Maria Grazia Ferraris e agli altri commentatori ringraziamenti e complimenti vivissimi.
    Umberto Cerio

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  22. Al capoverso "Durante la stesura, ecc". dove è scritto "da un lato quella di cercare l'uomo nel divino" leggi:" quella di cercare il divino nell'uomo" (è anche l'aspirazione -realizzata- di Prometeo) ecc. Chiedo scusa per l'inversione che toglie chiarezza al periodo.
    Umberto Cerio

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  23. Credo che l'idea del divino nell'uomo sia solo un'utopia dettata dall'orgoglio e dall'ambizione. Mi pare più accettabile il pensiero di Bachelard che vede piuttosto l'uomo in lotta per conquistare qualcosa del divino. Il pensiero dominante dei nostri giorni rappresenta un'umanità sempre più distante dal divino, soltanto il mito ci suggerisce delle vie di fuga e per questo Prometeo è per noi il mito dei miti.

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    1. Non sono d'accordo con questa interpretazione di Vettorello(con tutta la stima per l'amico e per il poeta, s'intende). Il motivo è semplice: cercare il divino nell'uomo impone all'uomo di cercare la propria umiltà. Presuntuoso e profondamente utopistico è a mio avviso cercarlo al di fuori di sé.
      Franco Campegiani

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  24. Ecco il supremo ammonimento: la conoscenza attraverso il dolore
    Ecco il mito di Prometeo che soccorre liberatore del dubbio eschileo, mito che diventa un simbolo, che celebra Zeus quale trionfatore del primitivo mondo titanico e della sua forza provocante, traboccante di hybris. L’ordine, che torna sempre a stabilirsi contro ogni violazione, l’ordine che non solo i pensieri e desideri umani non devono mai oltrepassare, ma a cui la stessa creazione titanica della civiltà umana deve alla fine subordinarsi, prevale sul caos. Tale il senso del dolore anche laddove non l’intendiamo.
    Dunque è lodevole non chi trasgredisce ma chi rispetta la legge. Tema sempre attuale.
    Di contro Socrate per rispetto della legge rifiuta di fuggire dalla prigione, in quanto esse, le leggi, lo avevano condannato e chi subisce la condanna non può mettere in discussione quanto lo legge ha stabilito.
    Tuttavia ci soccorre la poesia, vale a dire quel salto di qualità, quel sogno ad occhi aperti, quell’oltre che pare possibile anche nell’irrazionalità, quel saper cogliere una scintilla di luce anche nel buoi più tetro.
    Ecco allora che possiamo concordare che Prometeo appare la figura dell’eroe, una specie di rambo, di supereroe dei fumetti , che porta caos ovunque ma mira al bene dell’umanità.
    La nostra fantasia ha bisogno di questo, la nostra piccolezza ha bisogno di azioni eclatanti, di azioni e gesti estremi, ha bisogno in una sola parola di stupirsi. E lo stupore, si sa, attiene alla poesia.
    Il tragico, in poesia, è proprio nella non coincidentia oppositorum. Nella coincidenza, è la normalità, la banalità.
    E veniamo al nostro Autore.
    Concordo con la lettura di M.Grazia Ferraris nell’intravedere nei versi di U. Cerio la sconsolata presa di coscienza della realtà, che è poi l’incapacità dell’uomo di cogliere le infinite opportunità che la vita offre. Forse perché manca nel poeta come in ciascuno di noi il nostro prometeo, eroico e romantico, capace di dare slancio e senso a tutto ciò che ci circonda, innanzitutto alla nostra azione. Possediamo tutti grandi doni, ma li lasciamo languire senza investirli. Siamo come colui che conserva sotto terra il talento e non lo fa fruttificare.
    “rimane nella vaga memoria della perdita del dono solo il vacuo lamento, la vanità, l’incapacità di seguirne l’esempio, la mancanza di dignità, di ribellione”.(M.G.Ferraris)
    Vuoto, mancanza di senso allora coglie il Poeta:
    “Ed io non so, non so dov’è l’anima,/ quale viaggio prepara/Oltre il breve fluire del mio fiume.”
    Si coglie qui nei versi di U. Cerio tutta la nostalgia del tempo che scorre via senza che abbia colto il senso della vita, il senso della fine...troppo inerte la volontà, troppo ignavo lo spirito, troppo dolorosa la ricerca e disperato il tentativo di creare, di crearsi la favola della vita.
    Adriana Pedicini
    fine seconda e ultima parte del commento

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  25. Buona parte di tutti i commenti letti fanno elogio, come giusto, all'esegesi perfetta della Prof. M, G, Ferraris la quale da par suo sa ben sviscerare il retro contenuto del poemetto in argomento e con un pathos convincente e stimolante perciò i miei più sinceri complimenti di stima ed ammirazioe che mi sento e voglio ripiegare totamente nei confronti dell'autore U. Cerio per la fatica certamente immane di tempo, sonno perduto profusa per portare a termine tale gioiello letterario. E' un canto accorato o, se si vuole, un o il più alto lamento dell'uomo del 3° millennio per come, Lui stesso, si è data questa esistenza che certamente non è consona alla sua essenza uomo. Il progresso tecnologico sarebbe dovuto andare di pari passo con quello sociale, umano al fine di soddisfare il più possibile anche le ragioni del cuore. Il discorso merita copiosi approfondimenti qui impossibile esternarli.
    Il Prof. Pardini mi perdoni se oso esprimere il disappunto così chiaramente esèpresso dalla Prof. Ferraris in testa al suo scritto. Spesso non si ha il tempo di leggere, su Leucade, un articolo che già un'altro lo sovrasta con la conseguenza che, magari distrattamente viene eluso. Pasqualino Cinnirella

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  26. Non è facile commentare uno scritto, un’opera in prosa o poesia se non vi sia stata una lettura diretta. Rischiamo di fare la fine dei commentator de’ commentator d’Omero (al posto di traduttor de’ traduttor d’Omero ). Tuttavia quel che mi viene da dire in tale circostanza lo dirò se non altro per rispettare il gentile invito del caro amico Nazario Pardini.
    Prometeo non è un Dio e non è un uomo. Non è annoverato tra gli dei olimpici. È un Titano con tutte le prerogative e i limiti del caso. La sua azione è tuttavia nuova, inattesa, ambivalente e fuorviante. E consiste tutta nella sua natura e nella sua condotta.
    “Liberamente, sì, liberamente io fallai, non lo nego. Per soccorrere altrui, io stesso mi procurai tormento”
    Prom. 266
    Eppure la sua colpa non deve essere considerata in senso individualistico, poiché il tragico è quello della creatività spirituale.
    In Esiodo Prometeo è l’empio, punito da Zeus per aver compiuto un’azione tracotante, il furto del fuoco.
    In Eschilo Prometeo è lo spirito creatore di civiltà, che pone su basi salde l’incerta vita degli uomini. Il Titano non è solo ethos, è anche spirito.
    Per Eschilo la colpevolezza di Prometeo non consiste certamente nel furto del fuoco quale delitto contro la proprietà degli dei, ma secondo il valore simbolico e spirituale che quell’atto ha per il tragediografo, in una più profonda manchevolezza del beneficio che Prometeo aveva recato all’umanità col suo dono meraviglioso.
    Nel suo amore immenso vorrebbe strappare l’umanità dalle sofferenze ma, nella superba veemenza del suo impeto creativo, rimane egli stesso un titano, separatosi dai suoi fratelli titani perché volevano riconoscere la sola forza bruta. Il suo spirito anzi, per quanto ad un livello superiore, è più titanico dell’indole dei suoi rozzi fratelli. Di qui la rassegnazione del coro
    “Io rabbrividisco al vederti dilaniato da mille dolori. Ché, non tremando davanti a Zeus, di tuo arbitrio troppo tu giovi ai mortali, o Prometeo. Ma com’è la benevolenza stessa a te sì inclemente, o amico! Dì, dove hai difesa? Dov’è l’aiuto dei mortali?Non vedesti l’ansimante trasognata impotenza che tiene in ceppi la cieca stirpe degli uomini? Non mai i folli desideri dei mortali vinceranno il saldo ordinamento di Zeus”
    Pro.546
    fine prima parte del commento
    Adriana Pedicini

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  27. Come sempre, Maria Grazia Ferraris riesce a cogliere, con la sua analisi, i sensi profondi della scrittura poetica, mettendo in luce significati solo evocati e tracce appena suggerite, nella definizione di un’interpretazione complessa e ardita. Nell’interpellare Prometeo il poeta U. Cerio rivela tutta la drammatica consapevolezza della inettitudine umana che naufraga nella rinuncia al riscatto, ma, al contempo, osa proporre se stesso come possibile erede di un divino non in conflitto con gli dei.

    “Donami una scintilla,/ ancora, ch’io possa scaldare il cuore/ e l’anima (...).

    Intorno a questo potentissimo passaggio, Maria Grazia Ferraris, ha saputo costruire e offrire una sua splendida e intrigante lettura.

    Silvia Venuti

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