mercoledì 5 aprile 2017

ULISSE E IL CANE ARGO





Così dicean tra lor, quando Argo, il cane, 
Ch’ivi giacea, del pazïente Ulisse, 
La testa, ed ambo sollevò gli orecchi. 
Nutrillo un giorno di sua man l’eroe, 
Ma còrne, spinto dal suo fato a Troia, 
Poco frutto poté. Bensì condurlo 
Contra i lepri, ed i cervi, e le silvestri 
Capre solea la gioventù robusta. 
Negletto allor giacea nel molto fimo 
Di muli e buoi sparso alle porte innanzi, 
Finché i poderi a fecondar d’Ulisse 
Nel togliessero i servi. Ivi il buon cane, 
Di turpi zecche pien, corcato stava. 
Com’egli vide il suo signor più presso, 
E, benché tra quei cenci, il riconobbe, 
Squassò la coda festeggiando, ed ambe 
Le orecchie, che drizzate avea da prima, 
Cader lasciò; ma incontro al suo signore 
Muover, siccome un dì, gli fu disdetto. 
Ulisse, riguardatolo, s’asterse 
Con man furtiva dalla guancia il pianto, 
Celandosi da Eumeo, cui disse tosto: 
Eumeo, quale stupor! Nel fimo giace 
Cotesto, che a me par cane sì bello. 
Ma non so se del pari ei fu veloce, 
O nulla valse, come quei da mensa 
Cui nutron per bellezza i lor padroni. 
E tu così gli rispondesti, Eumeo: 
Del mio Re lungi morto è questo il cane. 
Se tal fosse di corpo e d’atti, quale 
Lasciollo, a Troia veleggiando, Ulisse, 
Sì veloce a vederlo e sì gagliardo, 
Gran maraviglia ne trarresti: fiera 
Non adocchiava, che del folto bosco 
Gli fuggisse nel fondo, e la cui traccia 
Perdesse mai. Or l’infortunio ei sente. 
Perì d’Itaca lunge il suo padrone, 
Né più curan di lui le pigre ancelle: 
Ché pochi dì stanno in cervello i servi, 
Quando il padrone lor più non impera. 
L’onniveggente di Saturno figlio 
Mezza toglie ad un uom la sua virtude, 
Come sopra gli giunga il dì servile. 
Ciò detto, il piè nel sontuoso albergo 
Mise, e avviossi drittamente ai Proci; 
Ed Argo, il fido can, poscia che visto 
Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse, 
gli occhi nel sonno della morte chiuse.

1 commento:

  1. Caro Nazario,
    ti ringrazio di averci proposto uno dei brani più belli dell'Odissea, che mi ha sempre emozionato e che, insieme ad altri, ha reso immortale il canto di Omero. Di nuovo grazie
    Umberto Cerio

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