sabato 20 maggio 2017

N. PARDINI: PREFAZIONE A "RIBALTAMENTI" DI FRANCO CAMPEGIANI



Franco Campegiani,
collaboratore di lèucade


Franco Campegiani: Ribaltamenti. David and Matthaus Edizioni. Serrungarina (PU). 2017. Pgg. 172. € 14,90



Scrivere su questa opera di Franco Campegiani significa andare al fondo del suo pensiero, della plurivocità di un artista a tutto tondo. Dacché l’autore è filosofo, sì, ma anche poeta, critico, saggista, cultore d’arte, con un animo pieno zeppo di input emotivi che lo rendono audace, polivalente e novatore nel campo letterario di oggigiorno. E ogni angolo della sua personalità si rifà a una teoria ben salda e precisa; a un modo di vedere la vita e la morte, l’universo umano e il suo palingenetico evolversi, con criteri ben delineati che sono alla base della autenticità, della freschezza e della compattezza del suo pensiero. Franco Campegiani è ligio alla sua filosofia e ne fa carburante per un racconto magistrale, armonico, umano e umanistico, ontologico e paradigmatico, paratattico e oggettivo, apodittico e odeporico-intimistico verso mete di rinascita e di miti. E non è certo un mitologo, quanto, piuttosto, un mitopoieta. Uno scrittore che fa del mito un’attualizzazione personale e vivace, lontano da un orfismo statico e immobile; vicino a un progetto che fa dell’uomo un essere attore, interprete primo di una natura madre primigenia rigenerata. In lui tutto è evoluzione, tutto è crescita e collaborazione verso una meta nuova, nutrita di un naturismo in stretta, simbiotica empatia con gli esseri umani. Con coloro che pensano all’ambiente non come cosa da sfruttare e da gettare, ma come armonia, come vegetazione utile alla respirazione, come ruscelli chiari e freschi per dissetare, come terra generosa nel dare frutti sani del color del tramonto e dal sapore eternamente piacevole e nutriente; un ambiente atto a ospitare ogni essere del creato affinché ognuno possa ricuperare quella parte di sé mancante, quel lato determinante per la sua complessa semplicità; un ambiente in simbiotica empatia con coloro che ripescano dall’antico quel nerbo, da cui l’umanità si è scostata, per farne un “inno al pane” di memoria varujaniana da trasferire oltre i limiti del tempo. Una natura amica di un essere che ritorna ad amarla perché gioisce di esserne figlio, figlio che non ha bisogno di cercare nel padre la sua identità, dacché l’ha nell’anima, come creatura vivente facente parte di un tutto che lo contiene, di un tutto che ha il passato, il presente e il futuro embricati indissolubilmente per il bene di un progetto voluto da un Ente Supremo; sentito da un novello abitante dei campi e dei frutteti, dei mari e dei cieli, della poesia e della vita; quell’abitante alla ricerca dell’alter ego, di quella parte di sé smarrita, che può dargli la piena identità solamente rinvenendola. Qui non si tratta sicuramente della solita storia di una Euridice e un Orfeo chiusi in un tempo passato e senza futuro, ma di un mito che si fa fortemente auspicante e visionario, infinito, diacronico; di una umanità che si fa universale, perché tale universalità è in ciascuno di noi. Quel ciascuno che vive la sua esperienza personale come se fosse di tutti, dove non esiste un’unica faccia della medaglia o solo bene o solo male, ma in cui convivono gli estremi di una vicissitudine che nella loro simbiotica fusione fanno l’anima del mondo: Caino e Abele, il giorno e la notte, l’ordine e il caos, l’alfa e l’omega, l’Ulisse e il Nessuno... Senza l’uno non esisterebbe l’altro, senza la notte non esisterebbe il giorno. Una teoria più passionale che razionale. Una visione facilmente traducibile in poesia, come il nostro autore ha avuto occasione di dimostrare nelle sue sillogi vincitrici di importanti premi letterari per la loro originalità. E non è facile accordare poesia e filosofia, dacché la prima ha come pilastri d’appoggio sentimento, parola, memoriale e musicalità, elementi che fanno della realtà
materia di decantazione affinché la realtà stessa si traduca in immagine: quindi passione, lirismo, libertà emotiva, che richiedono un verbo ardito, polivalente e multiplo per affiancare interiorità volte all’eccelso; la parola è di creazione umana, virtuale; l’anima è ultraumana e la difficoltà sta proprio nella ricerca di quella “forma” desanctisiana che determini l’equilibrio fra dire e sentire. La seconda è basata sulla speculazione razionale, fatta di compattezza teorica e dimostrativa. Il suo scopo principale è la chiarezza del linguaggio e l’obiettivo da perseguire; quindi di un linguismo scientifico avulso da figure allusive e affondi simbolici. Già ebbi a dire a
proposito della silloge Ver Sacrum: “... Dunque, se per poesia s’intende sentimento, immaginazione, sogno, ragione anche, a patto che sia zuppata nel pozzo infinito e misterioso dell’inconscio umano; e se poesia è attacco di note pucciniane su uno spartito che fa dell’armonia il sottofondo indispensabile del poiein; per il filosofo può diventare arduo il lavoro di coniugazione, a meno che faccia della parola quell’avventura di traslati, e di slanci iperbolici che vadano oltre il pensiero scientifico, che vadano oltre, insomma. E, venendo al sodo, la prima cosa a colpirmi, dopo le due letture, è stata la narrazione dell’uomo che parla di sé come essere sociale in conflitto, con impeto e riflessione, (ossimorica dicotomia che si farà teoria dei simbiotici contrasti in Campegiani) con l’intenzione di circoscrivere al suo ego il male di esistere, il taedium vitae, e fare di sé il componente involontario di una società in fallimento: ‘pro tempore i diritti umani/sono scesi dall’alto./Non farne squallide parole,/giornali ingialliti,/comizi,manifesti,/bla-bla-bla-bla.’ (Civiltà pirata). Ma il suo dettato è talmente e soggettivamente sentito che da ragione si somatizza in spirito universale, in messaggio forte di condanna e di speranza. Ver sacrum, quindi, come visione di una novella primavera che riporti l’uomo a ritrovare se stesso, la sua umanità, alla ricostruzione ancestrale di un tessuto sociale.
Ver sacrum, quale messianico annuncio, mitopoiesi di un’età dell’oro, preannuncio di terre feconde, di soli splendenti e di connubi rinnovati fra l’uomo e l’essere che è dentro di noi. Un mondo che si è allontanato sempre più dalla spiritualità, per naufragare in un materialismo che disconosce ‘il valore intrinseco della valorizzazione umana’ (dalla prefazione di Ninnj Di Stefano Busà). (...) Cercare in Leopardi il filosofo è un errore commesso più volte. In Leopardi ha valore quel progetto speculativo, tutt’altro che pessimistico, che ha nome poetica. Perché in lui vince il sentimento sulla ragione e la ragione stessa è disposta a favorire il più possibile l’espandersi dell’atto poetico. E in Campegiani tutto si risolve in Poesia: la parola si arrotonda, si contorce, si dilata, si amplifica, si smorza o si affievolisce in quell’azione di farsi unica responsabile della riuscita estetica...”. Quindi, difficile è marcare il confine fra poesia e filosofia in un uomo che fa della vita un dono alle vigne, un’apertura a squarci di cielo che piovono luce, una passionale dedizione ai profumi di campo, serbatoi di poesia. E anche se in questo testo gli intenti speculativi sono apparenti, non è detto che una vena calliopea non ne emerga, che brandelli di quei profumi non giungano all’olfatto di noi lettori. Mi piace concludere con la stessa nota critica che a suo tempo stilai su un suo scritto: “Cultura vasta, quindi, ma anche, e, soprattutto, spiccata personalità nell’utilizzo delle molteplici citazioni non a uso di una becera sapientia vocis, ma finalizzate a una dimostrazione organica, e autentica per vivacità intellettiva. Questo è il metodo. Non deve essere campato in aria o approssimativo, ma basato su dati di fatto che convergano verso l’enunciato. Basta, e non è poco, citare il passo che tratta la differenza fra mythos e epistéme, fra mitopoietica e mitologia, per constatare, soprattutto per chi conosce le teorie di Campegiani, la grande coerenza del suo dire; e quella conclusione che si staglia in alto, quasi come regola umanamente umana e infinitamente saporosa di Poesia: “Colui che non coltiva le origini (le proprie origini), non ha un pensiero proprio, autonomo, ossia un pensiero problematico, lungamente sofferto e meditato, ma un pensiero duplicato su quello altrui”. È una chiusa da ciliegina sulla torta.

Nazario Pardini



4 commenti:

  1. Non finirò mai di ringraziare l'amico e maestro Nazario Pardini. In questa prefazione al mio testo, scritta con una partecipazione empatica fuori del comune (ma chi lo conosce è abituato al versante critico del suo impegno artistico, fondato su grandi slanci e tranfert emotivi), egli pone in evidenza molti aspetti del mio universo interiore, da sempre diviso tra le ragioni del sangue e quelle del pensiero. Una dicotomia, una biforcazione dell'anima che è e resta comunque unitaria. Perché, come dice il mio mentore, cogliendo il tratto forse più significativo del mio modo di vivere e pensare, "non esiste un'unica faccia della medaglia... : (c'è) Caino e Abele, il giorno e la notte, l'ordine e il caos, l'alfa e l'omega, l'Ulisse e il Nessuno... Senza l'uno non esisterebbe l'altro, senza la notte non esisterebbe il giorno". Mi sento davvero compreso e penso che questa pagina possa aiutare i lettori ad avvicinarsi amichevolmente alle mie elucubrazioni mentali.
    Franco Campegiani

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  2. Grazie,amico. Troppo generoso! Il fatto sta che tu ci hai regalato pagine di storia umana, di vicissitudine emotiva e filosofica di grande intensità poetica. Dacché la vera poesia è tutta nel polemos degli opposti; nella confluenza dei due poli in un ruscello che compatto e scorrevole si avvia verso il mare, ma non per annullarsi, ma per ritrovare la sua essenzialità nella totalità del tutto. Noi stessi siamo pedine di un insieme che in qualche maniera ci brilla dentro.
    Nazario

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  3. L’introduzione ricca, articolata, colta ed empatica del saggio di Campegiani scritto da N. Pardini, accompagnata dai due interventi successivi induce a leggere il testo. Vale nondimeno la pena di ricordare anche la postfazione di S. Angelucci dal titolo “Vogando verso l’equilibrio dinamico”, che offre una chiave interpretativa di uno dei temi che stanno alla base dell’argomentare di Franco C.. È il tema dell’armonia che viene sviluppato in modo analitico e problematico, il tema dell’equilibrio, della dualità, dell’incontro dei contrari, della purezza e della contaminazione. Colpisce l’originalità della tesi, l’affrontare deciso e dialettico le problematiche dai “confini” del nostro incerto sapere.
    Per sviluppare la sua tesi F.C. articola il suo pensiero riflettendo su temi significativi: il corpo e l’anima è il primo, l’apparire di contro all’essere, il comportamento standardizzato ed omologato di contro all’autentico, libertà e necessità….l’irrazionale e il caos, il Mito, la Sapienza…, della relazione, della autocoscienza, del pensiero manicheo che si contrappone a quello eracliteo. Cultura filosofica che si fonda su un’analisi originale del pensiero dei presocratici e spazia fino al pensiero contemporaneo.
    Tutti i miti delle origini parlano di questa alleanza primigenia e di questa impervia armonia che risponde a quella visione profondamente interiore e misterica della vita magistralmente espressa nel motto socratico e delfico del "conosci te stesso". Eraclito: un maestro, aristocratico… Per lui la vera armonia è la tensione tra i contrasti. “Il Bene ed il Male appartengono al medesimo ceppo…. L'altro con cui si dialoga è prima d'ogni altra cosa l'altro di noi stessi, l'altro che noi stessi siamo.”
    Bisogna riscoprire un atteggiamento nuovo, attingere agli archetipi, all'humanitas di sempre che sta fuori dal tempo e proprio per questo è sempre nell'attualità: questa mi pare la convinzione più profonda del ricercatore. Come dire: una rivoluzione dialettica.
    Colpisce l’originalità della tesi, dai “confini” del nostro incerto sapere. Colpisce la chiarezza della sua analisi e la linearità della esposizione, che fa della riflessione filosofica, mai oggi troppo praticata, un tema cui applicarsi con curiosità e rinnovato interesse.

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    1. Maria Grazia Ferraris legge in profondità. La ringrazio per l'attenzione che mi dedica e per la grande apertura mentale con cui affronta le mie tematiche (ma chi la conosce sa che questa è la caratteristica che sempre la contraddistingue). Tanti sono gli argomenti cui lei accenna, dall'analisi dei presocratici, culminante nel motto socratico e delfico del "conosci te stesso", alla possibilità per l'uomo d'oggi di attingere di nuovo agli archetipi che, proprio vivendo fuori dal tempo, sono sempre nell'attualità. "Una rivoluzione dialettica", lei afferma, aggiungendo che la riflessione - e ciò mi emoziona tantissimo - stimola interesse e curiosità.
      Franco Campegiani

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