sabato 20 dicembre 2025

Angela Ambrosini Legge : L’OMAGGIO DI MICHELE MIANO AL PADRE GUIDO “SO CHE TI PRENDERAI CURA DI ME”

 

 

 


Pubblicato nel mese di giugno 2025, è stato presentato il 10 dicembre scorso, a Milano, il libro di Michele Miano, So che ti prenderai cura di me, dal sottotitolo Poesie e appunti, dedicato al ricordo del padre Guido, scomparso nel 2022 e fondatore nel 1955 della casa editrice Guido Miano Editore, tra le più solide ed accurate realtà editoriali del nostro paese. Con l’evento, che tra altre illustri personalità ha visto la partecipazione del poeta e critico letterario Maurizio Cucchi, si è voluto celebrare anche il settantesimo anno di attività della casa editrice.

Il volume è espressamente definito dal suo autore (sulla scorta di una scherzosa nomenclatura paterna) uno Zibaldone di poesie vecchie e nuove, giudizi critici sulle stesse, stralci di memorie sia private che afferenti all’attività editoriale di famiglia, foto ricordo della cerchia domestica come pure dell’ampia legione di insigni intellettuali, scrittori e personaggi dello spettacolo assidui frequentatori della casa editrice Guido Miano e della sua famiglia. Questo è il contenuto del piccolo scrigno di grandi affetti e grandi esperienze culturali che Michele Miano (co-editore di Guido Miano Editore insieme al fratello Carmelo e alla madre Elena) ci consegna in omaggio alla memoria del genitore, senza mai tralasciare la figura dello zio Alessandro, “poeta dell’Assoluto” e nel cui solco di impegno giornalistico e culturale nacque la realtà della casa editrice. Una realtà fertile maturata in un terreno dissodato e seminato a dovere con la pazienza, la perizia e la devozione di chi sa aspettare la stagione futura senza crucciarsi sulle incertezze di quella attuale. Come qualsiasi buon agricoltore farebbe. E ottimo agricoltore è stato Guido Miano, instancabile promotore di cultura, attento agli orientamenti delle correnti contemporanee senza mai obliare il patrimonio della tradizione. Il trasferimento della sede editoriale da Catania a Milano stette a dimostrare la duttilità della casa editrice, aperta a nuove sfide ed esigenze. Nella dettagliata sezione “La storia di Guido Miano Editore”, il figlio Michele documenta le varie fasi dell’azienda di famiglia a cominciare da quelle che preludono alla sua fondazione con il varo della rivista Davide, istituita nel 1951 dallo zio Alessandro, nella quale gravitarono i più grandi nomi del Novecento tra cui ricordiamo Pasolini, Sciascia, Turoldo, Papini, Don Luigi Sturzo, Luzi, tanto per citarne solo alcuni. Successivamente, la data del 18 giugno 1955 segna la nascita ufficiale della Casa Editrice Guido Miano in una misteriosa coincidenza con quel 18 giugno che sessantasette anni dopo, nel 2022, avrebbe segnato il termine della parabola terrena di Guido, il suo fondatore. La “Guido Miano Editore” da subito si configurerà in un complesso e completo articolarsi di collane e opere non solo nel settore della poesia, ma anche della filosofia, della critica letteraria e persino della musica del Novecento, trattata nella collana Il Cammeo blu conosciuta e apprezzata anche da Ennio Morricone. Lo spirito eclettico di Guido Miano dette vita anche a una prestigiosa Scuola di Giornalismo fondata nel 1957 (e di cui lo stesso Guido fu per ben quarant’anni direttore) organizzata intorno a quattordici discipline insegnate da docenti e giornalisti di chiara fama. Michele Miano nel suo volume non può non dar conto del vasto repertorio di opere e iniziative editoriali confluite, tra tante altre, nelle varie edizioni del Dizionario Autori Italiani Contemporanei, nella Storia della Letteratura Italiana dal secondo novecento a oggi e nei volumi critici di Analisi poetica sovranazionale del terzo millennio, opere nelle quali in diversi casi ho l’onore di figurare con recensioni ricevute, anche ad opera dello stesso Guido, e in altre occasioni con recensioni da me rese a vari autori propostimi dalla casa editrice, tra i quali campeggia lo stesso fondatore. Al riguardo, trascrivo in calce, a mo’ di omaggio, la mia recensione alla densa silloge di Guido Miano, Lamento dell’emigrante, uscita nel 2017 nella collana “Alcyone 2000” con le premesse critiche di Franco Lanza e Gualtiero De Santi e le annotazioni, nella sezione “Antologia essenziale della critica”, di Franco Lanza, Bruno Maier, Maurizio Cucchi e la mia.

Dopo il cospicuo testo di critica estetica Sulle tracce di Nausicaa, 1999, la compiuta prova lirica del Lamento dell’emigrante (alcune cui poesie sono state musicate) è isolato esempio di pubblicazione della propria opera da parte di Guido Miano che ha sempre anteposto la produzione altrui a quella personale, lo sguardo sempre volto all’ampio orizzonte culturale dei nostri tempi, e non solo italiano. “Niente per sé e tutto per gli altri”, giustamente afferma il figlio Michele nella “lettera” d’apertura idealmente indirizzata al padre, ricordando anche la frase di Marc Chagall, amatissimo da Guido: “Il mio lavoro è preghiera”. E non a caso “preghiera-soliloquio” definisce l’autore questo suo volumetto nel quale rivolge al genitore lo struggente pensiero “So che ti prenderai cura di me”.

Nella sezione poetica compresa nel libro, Michele Miano salda l’indagine sulla natura alla ricerca di un senso delle vicende umane, nella predilezione per il tempo verbale presente che annulla le distanze dal passato e dal futuro, dilatandoli in un’eterna contingenza: “grumi di ricordi / riecheggiano in chilometri d’asfalto /…/E il giorno è come la notte, / la notte è come il giorno. /Oggi, domani e dopodomani” (Ricordi). E ancora: “Scivolo tra i silenzi di questa notte /…/ nel torpore di una vita /rimasta in bilico sul baratro/ …/Ed ecco, l’alba, foriera di nuove illusioni” (Silenzio). Altrove, sembra trovare la giusta ottica per la decifrazione del reale tingendo il verso di una piacevole musicalità dal sapore aforistico: “La natura, le sue trame, i suoi canti / e la vita come un’immagine vana che / si mette a fuoco solo quando si è distanti” (da Sensazioni-Paesaggi dell’anima) dove il marcato enjambement ha il potere di creare un sussulto di attesa nella percezione della realtà. La sezione dedicata all’amato zio Alessandro si apre, forse proprio perché trascinata dall’onda emotiva del passato, con il ricorso all’uso dei tempi passati sui quali si snodano i primi tre “Frammenti”, nel terzo dei quali occhieggia una luna simbolica, colma d’inquietudine e opaca nel buio della vita in un efficace ritmo anaforico a spirale “M’ero a forza aggrappato alla luna. / E a lungo ho viaggiato, / sradicato d’amore ho gridato / e pregato, sofferto e gridato. /…/ E aggrappato alla luna / che ora sventola triste /a tramontana”.

Lo spaccato poetico si chiude con una meditazione disincantata sulla nostra epoca, “Passerà questo tempo balordo” (in Deltaplano), in un’attitudine di umanissima pietas verso “gli emarginati dal progresso: gli invisibili” ai quali è dedicata la lirica Il nostro tempo, corroborata dalla lirica Ai nuovi disperati che reca in epigrafe (in un richiamo crediamo deliberato all’opera paterna) il Lamento del profugo. In attesa della prossima silloge, l’autore (in una lirica nella quale la poetessa e critico letterario Ninnj Di Stefano Busà ravvisa “il massimo della resa stilistica di Michele Miano”) riflette quasi senza consapevolezza: Oltre, il mio orizzonte, / le risposte che non ho / in un quaderno ancora senza titolo” (in Sensazioni-Paesaggi dell’anima).

In virtù del tempo dell’Avvento nel quale ci troviamo, chiudiamo le nostre considerazioni con i gravi, taglienti versi della poesia Natale:

“Natale dei poveri e dei reietti, /Natale di Cristo, / Natale, ora, dei ricchi e grassi. / Ma quando verrà il vero Natale? / Oh, Signore, non son degno di oggi / ma forse del domani”.

  

 

Angela Ambrosini

 

 

 

Angela Ambrosini: recensione al volume di GUIDO MIANO, Lamento dell’emigrante, Miano Editore, 2017, Collana Alcyone 2002 (in “Antologia essenziale della critica”, pp. 128-131).

 

   “Morde lo sguardo il filo della lama, / la baldanza felina cede e smaga / percorsa da brividi, demente; /... / ‘Ora depongo l’elmo e a spada. / Ma non mi piego in un letto di rose, /affondo scarni artigli nella piaga’ ” (Guerriero ferito).

   Un linguaggio petroso, duttile, fortemente evocativo: parole come pietre conficcate nel verso a stimolare nel lettore un atto mentale, più che una visualizzazione concreta del significato. Quali che siano infatti i riferimenti, spesso pittorici, al vasto universo della natura, invocato altresì con una nomenclatura solida e puntigliosa, il significato sottinteso predomina sulla plasticità del significante che a sua volta si dissolve in una musicalità rarefatta e quasi generatrice di nuovi significati. Ingegnose e in sordina riecheggiano rime (“E’ l’acerbo colore di vinaccia / che distende, già fidente di marzo, / orizzonti di peltro senza traccia”, in Nebbia), assonanze (“ Si leva ancora un grumo d’aria insonne, / rischiara i volti e il cielo, / la nebbia poi risale informe”, ibidem), allitterazioni  (“di cui il caso ha crivellato il cuore”, in Tempo), paronomasie (“nella rete che sovrana mi sovrasta”, ibidem), a delineare un ritmo avvolgente ma impalpabile, mai invadente, su cui si snoda in penombra una filosofia in dialogo con scene di un universo ora domestico (“Sulla cresta ignuda del cardo / la terra incide teneri germogli”, in Sciarada), ora venato di classiche vibrazioni (“Deponi l’elmo alato e lo scudo, / .../ da specchi curvi acefala Sfinge / impone un altro gioco .../, in La Sfinge) e che qua e là svela una dialettica amara sulla civiltà moderna (“l’alambicco scarno del progresso”, in Tempo), pur senza compiaciute, polverose dannazioni retoriche. D’altro canto, il linguaggio corposo e a volte visionario, sicuramente ereditato anche dalla tradizione siciliana, non può che scostarsi, sia per solida cultura personale che per la pluridecennale militanza nella Casa Editrice di famiglia, da ogni forma di tenue effusione lirica. Se mai è l’ascesi della parola (di questo “monolitico /.../ verbo”, in Il verso) a diventare “quasi litania perenne” (Ibidem) per farsi cifra di un dettato poetico quasi mistico che Guido Miano amorevolmente rincorre anche nei “brogliacci” delle poesie lasciategli dal fratello Alessandro (vedasi la poesia a lui dedicata, Attese), dalla più autorevole critica definito “Poeta dell’Assoluto”.

   Stessa sete di trascendenza trapela dai versi di Guido (“Solo in cielo emergiamo a chiari lidi”, in Il cervo) che, rivolgendosi alla memoria del fratello riflette “Da comignoli d’ombra poi sprigioni / al cielo alti cerchi d’aurore”, in Attese).

   Non a caso Mario Luzi, fraternamente attento al messaggio poetico di Guido, gli dedicò la sua Cosmografia improvvisa, ispiratagli dal passaggio della cometa di Halley. Nella lirica Luzi mette a confronto la rapida, effimera parabola dell’umanità, quel “suo rigore già di salma”, con “la purità dell’essere” di quella “numinosa sfera”.

Altrove Guido Miano, a voler similmente ribadire l’incrollabile fiducia nella dimensione trascendentale, annuncia che “la Luce annullerà i tramonti” (in Hombre) o, pungolato dal timore umanissimo del dubbio, incalza, rivolto al cielo “C’è uno spiraglio almeno d’ombra lieve / nell’orizzonte tuo vasto / che conduce a quella meta?” (in Tempo). Ma è solo un’incrinatura nel brulicante scenario di una fede che riscatta da qualsiasi fallace interpretazione del reale, visto anche nel segreto ordito di un eterno ritorno: “se dall’alto ti chiama il cielo / non spergiurare l’eco, / è lui il maestro / dell’antico Tempio della storia. / Forse sapremo ancora / dov’è l’incanto della preghiera” (in Preghiera).

   Lungi da una scrittura ornamentale di vacua elegia, purtroppo troppo spesso  propinata dallo smaccato consumismo intimista di molti circuiti letterari, la poesia di Guido Miano (e non potrebbe essere altrimenti, dato il ruolo editoriale che ricopre da molti anni e di scrittore) induce a interrogazioni di forte pregnanza meditativa, tali da poter far nostra la riflessione di Giovanni Paolo II: “Sono proprio i poeti che hanno composto le più belle preghiere”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Angela Ambrosini

Bollettino n. 220 Lunigiana Dantesca

 

Nessun commento:

Posta un commento