Pubblicato nel mese di giugno 2025, è stato presentato il 10 dicembre
scorso, a Milano, il libro di Michele Miano, So che ti prenderai cura di me,
dal sottotitolo Poesie e appunti, dedicato al ricordo del padre Guido,
scomparso nel 2022 e fondatore nel 1955 della casa editrice Guido Miano
Editore, tra le più solide ed accurate realtà editoriali del nostro paese. Con
l’evento, che tra altre illustri personalità ha visto la partecipazione del
poeta e critico letterario Maurizio Cucchi, si è voluto celebrare anche il
settantesimo anno di attività della casa editrice.
Il volume è espressamente definito dal suo autore (sulla scorta di una
scherzosa nomenclatura paterna) uno Zibaldone di poesie vecchie e nuove,
giudizi critici sulle stesse, stralci di memorie sia private che afferenti
all’attività editoriale di famiglia, foto ricordo della cerchia domestica come
pure dell’ampia legione di insigni intellettuali, scrittori e personaggi dello
spettacolo assidui frequentatori della casa editrice Guido Miano e della sua
famiglia. Questo è il contenuto del piccolo scrigno di grandi affetti e grandi
esperienze culturali che Michele Miano (co-editore di Guido Miano Editore
insieme al fratello Carmelo e alla madre Elena) ci consegna in omaggio alla
memoria del genitore, senza mai tralasciare la figura dello zio Alessandro,
“poeta dell’Assoluto” e nel cui solco di impegno giornalistico e culturale
nacque la realtà della casa editrice. Una realtà fertile maturata in un terreno
dissodato e seminato a dovere con la pazienza, la perizia e la devozione di chi
sa aspettare la stagione futura senza crucciarsi sulle incertezze di quella
attuale. Come qualsiasi buon agricoltore farebbe. E ottimo agricoltore è stato
Guido Miano, instancabile promotore di cultura, attento agli orientamenti delle
correnti contemporanee senza mai obliare il patrimonio della tradizione. Il
trasferimento della sede editoriale da Catania a Milano stette a dimostrare la duttilità
della casa editrice, aperta a nuove sfide ed esigenze. Nella dettagliata sezione
“La storia di Guido Miano Editore”, il figlio Michele documenta le varie fasi
dell’azienda di famiglia a cominciare da quelle che preludono alla sua
fondazione con il varo della rivista Davide, istituita nel 1951 dallo
zio Alessandro, nella quale gravitarono i più grandi nomi del Novecento tra cui
ricordiamo Pasolini, Sciascia, Turoldo, Papini, Don Luigi Sturzo, Luzi, tanto
per citarne solo alcuni. Successivamente, la data del 18 giugno 1955 segna la
nascita ufficiale della Casa Editrice Guido Miano in una misteriosa coincidenza
con quel 18 giugno che sessantasette anni dopo, nel 2022, avrebbe segnato il
termine della parabola terrena di Guido, il suo fondatore. La “Guido Miano
Editore” da subito si configurerà in un complesso e completo articolarsi di
collane e opere non solo nel settore della poesia, ma anche della filosofia, della
critica letteraria e persino della musica del Novecento, trattata nella collana
Il Cammeo blu conosciuta e apprezzata anche da Ennio Morricone. Lo
spirito eclettico di Guido Miano dette vita anche a una prestigiosa Scuola di
Giornalismo fondata nel 1957 (e di cui lo stesso Guido fu per ben quarant’anni
direttore) organizzata intorno a quattordici discipline insegnate da docenti e
giornalisti di chiara fama. Michele Miano nel suo volume non può non dar conto
del vasto repertorio di opere e iniziative editoriali confluite, tra tante
altre, nelle varie edizioni del Dizionario Autori Italiani Contemporanei,
nella Storia della Letteratura Italiana dal secondo novecento a oggi e
nei volumi critici di Analisi poetica sovranazionale del terzo millennio,
opere nelle quali in diversi casi ho l’onore di figurare con recensioni ricevute,
anche ad opera dello stesso Guido, e in altre occasioni con recensioni da me
rese a vari autori propostimi dalla casa editrice, tra i quali campeggia lo
stesso fondatore. Al riguardo, trascrivo in calce, a mo’ di omaggio, la mia recensione
alla densa silloge di Guido Miano, Lamento dell’emigrante,
uscita nel 2017 nella collana “Alcyone 2000” con le premesse critiche di Franco
Lanza e Gualtiero De Santi e le annotazioni, nella sezione “Antologia
essenziale della critica”, di Franco Lanza, Bruno Maier, Maurizio Cucchi e la
mia.
Dopo il cospicuo testo di critica estetica Sulle tracce di Nausicaa,
1999, la compiuta prova lirica del Lamento dell’emigrante (alcune cui
poesie sono state musicate) è isolato esempio di pubblicazione della propria
opera da parte di Guido Miano che ha sempre anteposto la produzione altrui a
quella personale, lo sguardo sempre volto all’ampio orizzonte culturale dei
nostri tempi, e non solo italiano. “Niente per sé e tutto per gli altri”,
giustamente afferma il figlio Michele nella “lettera” d’apertura idealmente indirizzata
al padre, ricordando anche la frase di Marc Chagall, amatissimo da Guido: “Il
mio lavoro è preghiera”. E non a caso “preghiera-soliloquio” definisce l’autore
questo suo volumetto nel quale rivolge al genitore lo struggente pensiero “So
che ti prenderai cura di me”.
Nella sezione poetica compresa nel libro, Michele Miano salda l’indagine
sulla natura alla ricerca di un senso delle vicende umane, nella predilezione
per il tempo verbale presente che annulla le distanze dal passato e dal futuro,
dilatandoli in un’eterna contingenza: “grumi di ricordi / riecheggiano in
chilometri d’asfalto /…/E il giorno è come la notte, / la notte è come il
giorno. /Oggi, domani e dopodomani” (Ricordi). E ancora: “Scivolo tra i
silenzi di questa notte /…/ nel torpore di una vita /rimasta in bilico sul
baratro/ …/Ed ecco, l’alba, foriera di nuove illusioni” (Silenzio).
Altrove, sembra trovare la giusta ottica per la decifrazione del reale tingendo
il verso di una piacevole musicalità dal sapore aforistico: “La natura, le sue
trame, i suoi canti / e la vita come un’immagine vana che / si mette a fuoco
solo quando si è distanti” (da Sensazioni-Paesaggi dell’anima) dove il
marcato enjambement ha il potere di creare un sussulto di attesa nella
percezione della realtà. La sezione dedicata all’amato zio Alessandro si apre,
forse proprio perché trascinata dall’onda emotiva del passato, con il ricorso
all’uso dei tempi passati sui quali si snodano i primi tre “Frammenti”, nel
terzo dei quali occhieggia una luna simbolica, colma d’inquietudine e opaca nel
buio della vita in un efficace ritmo anaforico a spirale “M’ero a forza
aggrappato alla luna. / E a lungo ho viaggiato, / sradicato d’amore ho gridato
/ e pregato, sofferto e gridato. /…/ E aggrappato alla luna / che ora sventola
triste /a tramontana”.
Lo spaccato poetico si chiude con una meditazione disincantata sulla
nostra epoca, “Passerà questo tempo balordo” (in Deltaplano), in un’attitudine
di umanissima pietas verso “gli emarginati dal progresso: gli
invisibili” ai quali è dedicata la lirica Il nostro tempo, corroborata
dalla lirica Ai nuovi disperati che reca in epigrafe (in un richiamo
crediamo deliberato all’opera paterna) il Lamento del profugo. In attesa
della prossima silloge, l’autore (in una lirica nella quale la poetessa e
critico letterario Ninnj Di Stefano Busà ravvisa “il massimo della resa
stilistica di Michele Miano”) riflette quasi senza consapevolezza: “Oltre,
il mio orizzonte, / le risposte che non ho / in un quaderno ancora senza
titolo” (in Sensazioni-Paesaggi dell’anima).
In virtù del tempo dell’Avvento nel quale ci troviamo, chiudiamo le
nostre considerazioni con i gravi, taglienti versi della poesia Natale:
“Natale dei poveri e dei reietti, /Natale di Cristo, / Natale, ora, dei
ricchi e grassi. / Ma quando verrà il vero Natale? / Oh, Signore, non son degno
di oggi / ma forse del domani”.
Angela Ambrosini
Angela Ambrosini: recensione al volume di GUIDO MIANO, Lamento dell’emigrante, Miano Editore, 2017, Collana Alcyone
2002 (in “Antologia essenziale della critica”, pp. 128-131).
“Morde lo sguardo il filo della lama, / la
baldanza felina cede e smaga / percorsa da brividi, demente; /... / ‘Ora
depongo l’elmo e a spada. / Ma non mi piego in un letto di rose, /affondo
scarni artigli nella piaga’ ” (Guerriero
ferito).
Un linguaggio petroso, duttile, fortemente
evocativo: parole come pietre conficcate nel verso a stimolare nel lettore un
atto mentale, più che una visualizzazione concreta del significato. Quali che
siano infatti i riferimenti, spesso pittorici, al vasto universo della natura,
invocato altresì con una nomenclatura solida e puntigliosa, il significato
sottinteso predomina sulla plasticità del significante che a sua volta si
dissolve in una musicalità rarefatta e quasi generatrice di nuovi significati.
Ingegnose e in sordina riecheggiano rime (“E’ l’acerbo colore di vinaccia / che
distende, già fidente di marzo, / orizzonti di peltro senza traccia”, in Nebbia), assonanze (“ Si leva ancora un
grumo d’aria insonne, / rischiara i volti e il cielo, / la nebbia poi risale
informe”, ibidem),
allitterazioni (“di cui il caso ha
crivellato il cuore”, in Tempo), paronomasie
(“nella rete che sovrana mi sovrasta”, ibidem),
a delineare un ritmo avvolgente ma impalpabile, mai invadente, su cui si snoda
in penombra una filosofia in dialogo con scene di un universo ora domestico
(“Sulla cresta ignuda del cardo / la terra incide teneri germogli”, in Sciarada), ora venato di classiche
vibrazioni (“Deponi l’elmo alato e lo scudo, / .../ da specchi curvi acefala
Sfinge / impone un altro gioco .../, in La
Sfinge) e che qua e là svela una dialettica amara sulla civiltà moderna
(“l’alambicco scarno del progresso”, in Tempo),
pur senza compiaciute, polverose dannazioni retoriche. D’altro canto, il
linguaggio corposo e a volte visionario, sicuramente ereditato anche dalla
tradizione siciliana, non può che scostarsi, sia per solida cultura personale
che per la pluridecennale militanza nella Casa Editrice di famiglia, da ogni
forma di tenue effusione lirica. Se mai è l’ascesi della parola (di questo
“monolitico /.../ verbo”, in Il verso)
a diventare “quasi litania perenne” (Ibidem)
per farsi cifra di un dettato poetico quasi mistico che Guido Miano
amorevolmente rincorre anche nei “brogliacci” delle poesie lasciategli dal
fratello Alessandro (vedasi la poesia a lui dedicata, Attese), dalla più autorevole critica definito “Poeta
dell’Assoluto”.
Stessa sete di trascendenza trapela dai
versi di Guido (“Solo in cielo emergiamo a chiari lidi”, in Il cervo) che, rivolgendosi alla memoria
del fratello riflette “Da comignoli d’ombra poi sprigioni / al cielo alti
cerchi d’aurore”, in Attese).
Non a caso Mario Luzi, fraternamente attento
al messaggio poetico di Guido, gli dedicò la sua Cosmografia improvvisa, ispiratagli dal passaggio della cometa di
Halley. Nella lirica Luzi mette a confronto la rapida, effimera parabola
dell’umanità, quel “suo rigore già di salma”, con “la purità dell’essere” di
quella “numinosa sfera”.
Altrove Guido Miano, a
voler similmente ribadire l’incrollabile fiducia nella dimensione
trascendentale, annuncia che “la Luce annullerà i tramonti” (in Hombre) o, pungolato dal timore
umanissimo del dubbio, incalza, rivolto al cielo “C’è uno spiraglio almeno
d’ombra lieve / nell’orizzonte tuo vasto / che conduce a quella meta?” (in Tempo). Ma è solo un’incrinatura nel brulicante
scenario di una fede che riscatta da qualsiasi fallace interpretazione del
reale, visto anche nel segreto ordito di un eterno ritorno: “se dall’alto ti
chiama il cielo / non spergiurare l’eco, / è lui il maestro / dell’antico
Tempio della storia. / Forse sapremo ancora / dov’è l’incanto della preghiera”
(in Preghiera).
Lungi da una scrittura ornamentale di vacua elegia, purtroppo troppo spesso propinata dallo smaccato consumismo intimista di molti circuiti letterari, la poesia di Guido Miano (e non potrebbe essere altrimenti, dato il ruolo editoriale che ricopre da molti anni e di scrittore) induce a interrogazioni di forte pregnanza meditativa, tali da poter far nostra la riflessione di Giovanni Paolo II: “Sono proprio i poeti che hanno composto le più belle preghiere”. Angela Ambrosini
Bollettino n. 220 Lunigiana Dantesca
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