mercoledì 8 agosto 2012

Maria Rizzi: Sul molo (Racconto)





Curriculum Maria Rizzi

Nata a Bologna nel 1957, si laurea in Sociologia a Napoli nel 1980. Da 30 anni vive a Roma con il marito e due figli.
Pubblica nel1991 il primo volume di poesie “Il coraggio di scegliere le ali”(Edizioni del Leone), nel 1995 “I cancelli del vento” ( Firenze Libri), nel 1997 “ Siamo nuvole”( Club degli Autori Melegnano), nel 2000 “Aironi nel vento”  (Casa  Editrice Menna). Nel 2002 il libro “Ombre di sogni” nasce dal bonus della Casa Editrice Menna per il conseguimento del primo premio. Nel 2003 comincia a cimentarsi in prosa e i suoi racconti ottengono immediati riscontri nei vari Concorsi. Nel 2004 fonda, insieme ad altri 13 soci, tra cui il padre, anch’Egli Poeta di grande talento, scomparso nel giugno del 2007, il circolo culturale I.P.LA.C. (Insieme per la Cultura), allo scopo di dare lustro a un’associazione totalmente diversa dalle altre negli intenti e nei contenuti. Il circolo, la cui residenza è a Mestre,  ha un organo ufficiale, il giornalino “Voci” e indice ogni anno un Concorso Letterario che attribuisce il Premio Speciale “Nicola Rizzi” al miglior sonetto.
L’autrice da molti anni si dedica a presentazioni di libri, recensioni, prefazioni, conferenze, organizzazioni di eventi e nel marzo del 2012 è uscito il suo primo romanzo noir “Anime Graffiate”, edito dai tipi della CORPO12.


Sul molo

Il petto di Aurora batte sillabe perse, s’addensano i pensieri, fagottini di neve, il senso del tempo cede il testimone al sogno.
Lei e Marcello sul molo. Nel mare le navi lanciano grida di ferro simili agli urli degli alberi quando vengono abbattuti. Loro si accucciano accanto al faro. Aurora ha pelle di porcellana, capelli castani ribelli, gli occhi di fuoco. Lo scirocco soffia pollini, petali e polvere e Marcello si consuma in baci e promesse per proteggerla e proteggersi dalle trame invisibili che lo allontanano da lei.
Talvolta sembrano poche le ragioni per dire la verità e quelle per mentire appaiono infinite.
Sono trascorsi venti anni. Aurora è sul molo, come ogni sera.  All’ombra del faro.
E’ l’imbrunire, il mistero irrisolto del giorno, vicino alle ombre eppure distante dalla notte. Il loro momento. Continua ad attenderlo. Persa in pensieri che hanno rinunciato ai suoni.
Dal giorno in cui Marcello non si è presentato all’appuntamento la donna ha cominciato a morire.
Troppo stanca la madre per sostenerla. Sapeva che il giovane fragile e ambizioso non avrebbe mai scelto come sposa la figlia di una ragazza-madre che lavorava come donna delle pulizie. Aurora era un’esplosione di vita e di progetti, ma si era adattata a stare alla cassa del bar del porto, relegando nel cassetto il sofferto e inutile diploma di scuola superiore.
Liliana, la figlia del direttore di banca, rappresentava la sicurezza, il futuro. Marcello la frequentava e a poco a poco se ne innamorava. Di quell’amore senza incanti che talvolta rappresenta una solida base per i rapporti duraturi:  è sposato con lei da vent’anni, lavora in banca come funzionario, ha tre figli e conduce una vita agiata. Si è trasferito in centro e non è mai tornato nella zona del porto.
Aurora, dopo la morte improvvisa della madre, vive nella Casa-Famiglia “Le Mimose”.
I medici l’hanno dichiarata incapace di intendere. Ha bisogno di assistenza  e di cure. Non parla, mangia pochissimo e si occupa della propria persona come di un ospite sgradito. Molti la credono malata di mente, i più sensibili autistica.
Di certo tutti gli assistenti sanno che all’imbrunire devono accompagnarla sul molo. Nel pomeriggio comincia a dimenarsi come un’invasata e a correre verso il cancello. Il senso della sua esistenza è tutto lì. Nell’appuntamento con il nulla. 
Rannicchiata sulle pietre erose dalla spuma, sembra una piccola statua di dolore. E dà segni di vita.
Riverberano gli occhi dell’antico fuoco e le labbra inaridite soffiano sussurri. Sembra placarsi il tormento. A nessuno è dato ascoltare il frastuono delle voci di dentro.
 “Bellissimo arabesco il tuo viso affilato, gli occhi d’oro intarsiati di sfumature verde minerale, i riccioli neri, il mento quadrato con la dolce fossetta . Quante stagioni hanno cercato di cancellarlo! Quale vento crudele vuole falciarlo nell’ora azzurra del giorno, di ogni giorno del nostro tempo?”
Aurora avverte il mondo come puro baccano. L’unica isola tranquilla il fiato dell’incontro con il suo amore. Nelle stanze del cuore le domande hanno compiuto per anni il loro dannato girotondo. Le risposte rappresentavano rumori lontani, crudeli. La storia si è fermata sul molo. E, all’ombra del vecchio faro ricomincerà…
Al bar del porto, lo stesso nel quale aveva lavorato come cassiera, tutti sanno di lei. La chiamano “la matta”. Non la prendono in giro. Non più. E’ una figura abituale, stagliata sull’imbrunire.
La vita sembra impennarsi di fronte alle vicende scontate.
 Nel bar maleodorante di sudore, birra e salmastro entra un avventore. E’ magro, muscoloso e ossuto, di carnagione scura. Ha una barba rada brizzolata, gli occhi grigio-verdi. Veste in jeans, giubbotto di pelle e scarpe da ginnastica.
Ordina una birra e si siede a sorseggiarla davanti al locale, di fronte al faro. La sagoma di Aurora oscilla nel vento della sera e sembra buffa marionetta manovrata da un invisibile filo.
L’uomo non stacca gli occhi dal suo profilo. I due anziani che giocano a carte al tavolino accanto al suo gli si rivolgono con voce impastata dall’alcool: “E’ la matta”, dice il primo senza interesse;  “Muore d’amore da vent’anni”, aggiunge  l’altro con tono pietoso.
L’uomo ascolta in silenzio. Abita a pochi chilometri, guida il camion per intere giornate e non si è mai fermato al porto. Non conosce la vicenda della ”matta innamorata”.
Chiede maggiori delucidazioni all’anziano barista e questi conferma la storia di Aurora: “Avrebbe dovuto vederla da ragazzina…uno schianto. Lavorava qui, alla cassa, ma non dava confidenza a nessuno. Viveva per lui, per quel verme che l’ha illusa e abbandonata da un giorno all’altro. Dicono che nessuno impazzisce  o muore per amore, beh… Aurora è la dimostrazione del contrario. Ha meno di quarant’anni e guardi com’è ridotta…Uno spettro, una vecchia senza voce, senza testa, senza… Lasciamo perdere, è meglio.” 
Lo sconosciuto posa la birra, si alza, si dirige verso la piccola figura rannicchiata sul molo.
Gli assistenti sono soliti trascorrere le due ore della sera nel pub. La donna non va controllata, solo accompagnata e attesa. I riti sono sempre gli stessi e non corre pericoli.
Il profumo d’acqua salata e di alghe investe le narici e flutti indolenti lambiscono le rocce. Il mare diviene l’unico orizzonte. L’uomo ha semplicemente attraversato la strada e, di colpo, comprende di trovarsi su un’isola. L’ultimo sole lacera il manto delle nuvole con il suo rosso acceso e Aurora prende consistenza. E’ bella, nonostante tutto. Magrissima, trascurata, con i capelli aridi e sfibrati, gli occhi spenti solcati da un ventaglio di rughe. Bella e fiera. Dondola su se stessa persa in sussurri impercettibili e possiede una grazia quasi commovente.
“Nel gioco della vita ha estratto il bastoncino più corto”, pensa l’uomo avvicinandosi con cautela.
Un battito di ciglia e Aurora avverte la presenza. Ha maturato un istinto quasi ferino.
Si volta, incrocia lo sguardo verde-fiume dello sconosciuto e…perde l’orientamento. Inaspettato avverte il colpo al plesso della nostalgia. Marcello è lì, come ogni sera e la guarda con la consueta, infinita tenerezza.
Tutto è compiuto. Rotola l’anima in amore, eccitata, priva di freni inibitori… S’innalza, con colpo d’ala, in puro abbandono.
 I due si ritrovano abbracciati. L’uomo comprende l’equivoco, ma è tardi. Aurora ha carezze, sguardi, attese che lo coinvolgono. Non può ferirla. Non più. E quanto sono caldi quei raggi di pietra umida che lo trattengono, quanto è lieve il tocco delle mani gracili!
“Amore”, sussurra la donna con voce stentata di bimba e avvicina le labbra di sale alle sue di birra e tabacco.
Amore… nessuno lo chiama così da un’eternità. Lo sconosciuto è sposato con una donna sterile di grembo e di sentimenti. Condividono la casa, i soldi, i pasti e null’altro.
Aurora è il canto che non ha mai ascoltato. Accarezza ogni palmo della sua pelle, si perde in baci lunghissimi e continua a sussurrare quella parola dimenticata che non gli appartiene.
Entrano con semplicità nella vertigine dell’abbandono. La vita di sempre va avanti senza di loro.
In mare le navi lanciano grida di ferro, le ombre scendono lentamente. La donna piange di gioia. Le fanno male i desideri, il cuore, i capelli… Lo bacia con disperazione per ingannare il tempo, indurlo a fermarsi, a divenire istantanea di un altro giorno, di un’altra vita.
Aurora riprende l’uomo dentro di sé, dove non potrà più succedergli niente e il camionista tocca l’acme della musica che non gli appartiene piangendo come un bimbo. 
Intanto gli assistenti, un po’ intontiti e un po’ sbronzi escono dal pub. Aurora non è sul molo, come sempre. Uno dei due giovani corre verso il faro preoccupato e, scorgendo i corpi seminudi degli amanti, si lancia istintivamente sull’uomo. “Corri”, urla, rivolgendosi al collega, “uno stronzo la sta violentando!”
Lo sconosciuto viene inghiottito di colpo dalle tenebre. I due assistenti lo riempiono di calci e pugni, aiutati dai clienti del bar accorsi in un baleno. Il barista chiama i carabinieri e l’ambulanza.
Nel caos Aurora perde ogni punto di riferimento. Stanno massacrando Marcello. Nessuno ha pietà del loro amore. Non è pronta a perderlo di nuovo. Non dopo l’estasi di luce, dopo aver respirato all’unisono con il suo respiro e pianto le sue stesse lacrime.
Il mare non sostiene lo sguardo, ma i piedi. Di colpo ne è convinta. E, come angelo smarrito, abbandona a passi svelti il molo per tuffarsi tra le creste di spuma.
Un assistente non esita a seguirla. Recupera l’esile corpo e, senza fatica lo trascina verso le rocce. Aurora non dà segni di vita.
Il 118 e le macchine dei carabinieri giungono sul posto. Il camionista, pestato a sangue, si lascia arrestare. Non avrebbe la forza e le parole per difendersi.
Aurora viene visitata dal medico e dall’anestesista. Il fisico debilitato ha ceduto subito.
Come sole sbiadito d’inverno, la donna è tramontata in un mare freddo e distante, così come aveva trascorso il suo flebile giorno. Diafana, sopraffatta dalle vite degli altri, sorda agli ambigui bisbigli, alle urla di fuori, stremata dai fragori di dentro. Lascia dietro di sé scie crudeli che non le appartengono.


Maria Rizzi

6 commenti:

  1. Franco Campegiani – Questa novella di Maria Rizzi, come tante altre che ho avuto il piacere di leggere (ma in questa mi sembra che la scrittrice raggiunga esiti tra i più pregevoli della sua narrativa), pone in evidenza la poetica che da sempre la ispira, aggrumata intorno alle tematiche della ferita (si legga, di lei, il recente romanzo Anime graffiate, Corpo 12 editore). Ciò che sta a cuore alla scrittrice è l’analisi della frattura esistente tra mondo psichico e mondo reale, tra aspirazioni dell’anima e degrado esistenziale. La novella si apre con la descrizione del male prodotto nella protagonista da un amore menzognero; con il resoconto di una rapina, pertanto, che la scrittura traduce con uno stile nervoso e lacerato, come un singulto interiore. Aurora impazzisce, eppure nessuna condanna affiora dalla penna della scrittrice, il cui orizzonte morale, dominato dalla Pietas, non ha nulla a che vedere con il moralismo saccente e pretenzioso. Si sviluppa piuttosto, sulla pagina, una comprensione a trecentosessanta gradi per le debolezze umane, che diventano addirittura capaci di neutralizzarsi reciprocamente, al punto che il fato avverso può imprevedibilmente trasformarsi in destino provvidenziale. E la frattura dolorosa si cicatrizza, si ricuce, si sutura. Per la pazza innamorata, scrive Maria Rizzi, “la storia si è fermata sul molo, ma all’ombra del vecchio faro ricomincerà”. In che modo? Guarda caso, ancora attraverso la menzogna e la finzione. Straordinario questo cambio di scenario. Si pensi al dono e al bene reciproco che Aurora e lo Sconosciuto (il quale non aveva mai incontrato l’amore) si fanno trovandosi sul molo. Lei addirittura rinsavisce per merito di quell’equivoco, tanto che all’insorgere di una nuova e fatale frattura (l’intervento funesto dei “giustizieri”) decide di farla finita per sempre. Ma è poi così assurdo pensare che il suicidio possa essere il sintomo di un riequilibrio psichico? Se ci pensiamo bene, Aurora in quel modo esce dal proprio isolamento psichico, diviene responsabile delle proprie scelte, oltre che consapevole dell’esistenza di un mondo esteriore. Franco Campegiani

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    1. Franco... cosa dire? Hai scritto un'altra storia, infinitamente più profonda della mia!
      sei un recensore, ma anche un 'lettore d'anime'...
      Il concetto della pietas, che mi è familiare, lo sviluppi in modo puro, incandescente, arrivando al fulcro del mio pensare, del mio 'io'.
      Mi hai fatto riflettere a lungo sul finale... tipico di te e della teoria che stai sviluppando e della quale mi sento onorata, umile allieva.
      Aurora è vittima delle vicende che vive, ma anche pienamente responsabile della scelta finale!
      Un grazie sarebbe davvero riduttivo! Ti stringo forte forte al cuore! Maria Rizzi

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  2. Loredana D'Alfonso - Maria Rizzi in questo racconto dipinge l'anima femminile, devastata dall'abbandono, con grazia infinita ma anche con una profondità lacerante....'Continua ad attenderlo. Persa in pensieri che hanno rinunciato ai suoni'... Maestra della 'Pietas', abbraccia la fragilità umana con uno sguardo sempre comprensivo, partecipe, senza lacrime facili da operetta e senza retorica. E, soprattutto, senza giudizio. Si conferma come scrittrice di primo piano proprio con 'Anime graffiate' (Corpo 12 Editore), un romanzo di grande interesse, dove la trama 'gialla', non contestualizzata di proposito,direi con grande raffinatezza, è lo spunto per parlare di quei 'graffi' dell'anima che appartengono al protagonista, ai personaggi che gli ruotano intorno, alle piccole ragazze ucraine sfruttate e calpestate, e, alla fine, a tutti noi.Loredana D'Alfonso

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  3. Lolli, amica mia...
    Leggo un'altro commento -recensione e penso alle analogie con quello di Franco. In effetti tu mi definisci in ogni circostanza "ricca di Pietas", scaldandomi il cuore e, al cospetto di Aurora, rinnovi ppremi l'acceleratore su questa caratteristica, che mi lusinga profondamente e sul riferimento costante e inconsapevole delle fragilità umane. Anche qui ti accosti al nostro amico Franco! Sono senza filtri se arrivo in modo così diretto...
    Hai citato e trattato anche il romanzo e la tua analisi è di una lucidità e di un'umanità che mi incatenano. Ti voglio bene! Maria Rizzi

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  4. Da lettrice e non "da addetta ai lavori", con semplicità ma forte coinvolgimento, esprimo il mio parere su questo scritto della carissima Maria. Il racconto è intenso, profondo; commuove, amareggia, sconvolge. Il vero protagonista, a mio avviso, è l'amore: l'amore illuso, l'amore tradito, l'amore abbandonato, l'amore negato, l'amore mai vissuto.
    E i due protagonisti sono la personificazione di questi aspetti del sentimento che, nostro malgrado, influisce e condiziona, più di ogni altro, tutta la nostra vita. E il pathos di tutto il racconto deriva proprio dall'incontro tra "l'amore abbandonato" e "l'amore negato". Il primo, nella persona di Aurora, crede di non essere più solo, crede che il periodo dell'abbandono sia miracolosamente finito. Il secondo, "l'amore negato", personificato dal camionista, crede di essere finalmente tenerezza, passione, ardore; tutto quello che non è mai stato. E l'autrice, mostrando una sensibilità decisamente non comune, descrive l'incontro, tra i due sentimenti e tra i due protagonisti, con dolcezza, con comprensione, con delicatezza per non banalizzare quello che accade; perché l'avvenimento, seppur casuale, è eccezionale; per non profanarlo, per proteggerlo "dalle urla di fuori", "dai rumori lontani, crudeli...", dal "puro baccano" del "mondo". E l'amore compie il miracolo: Aurora ritorna giovane, bella, appassionata e il camionista scopre dentro di sé il bambino che non conosceva, capace di piangere di felicità.
    E la descrizione, assolutamente mai banale ma decisamente e volutamente particolare dell'ambiente, è il coro che dà risalto alla vicenda, ai sentimenti, come in un melodramma; e così "le navi lanciano grida di ferro simili agli urli degli alberi quando vengono abbattuti"; esprimono la sofferenza di Aurora; il "mare" è "freddo e distante", come la società, superficiale, approssimativa, sbrigativa: "Molti la considerano malata di mente, i più sensibili autistica".
    E' un condensato di riflessioni sulla fragilità umana e sulle devastanti conseguenze delle ferite invisibili sulla psiche di entrambi i sessi, riflessioni che scaturiscono da un'analisi condotta sempre con sguardo benevolo, teso a comprendere, mai a condannare, questo splendido racconto di Maria Rizzi.
    Ester Cecere

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  5. Ester cara,
    devo proprio confessare di essere un privilegiata, avendo amici come voi, che leggono oltre la novella, scendono i gradini della vita e arrivano nella periferia psicologica, di quelli che magistralmentedefinisci 'amore abbandonato' e amore negato'...
    Sei vicina alla mia anima e lo dimostri cogliendo gli aspetti più reconditi delle psicologie dei personaggi, ma sei molto più in alto di me e ne dai grande prova trasformando la storia di Aurora in qualcosa di sublime!
    Ho avuto i brividi e ... ho desiderato abbracciarti!Grazie infinite, Amica Mia! Maria Rizzi

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