giovedì 25 ottobre 2012

Maria Rizzi: "Anime graffiate"




Maria Rizzi è la valente scrittrice di Roma.
Pubblica questo noir dal forte aspetto psicologico per Corpo Dodici.
Una storia da leggere d'un fiato e da apprezzare.





















PRIMO CAPITOLO



“Occorre vivere come se fosse importante”
La ragazza, d’età indefinibile, è rannicchiata contro un cassonetto.
Esile, piccola, ricorda pateticamente un feto nel grembo materno.
L’ispettore Stefano Segni ha le mani in tasca, il bavero dell’impermeabile alzato e l’inseparabile sigaretta al lato della bocca. Attende il medico legale con gli occhi stanchi di chi ha visto tanto. La città di notte un organigramma delle miserie umane, altre miserie dietro i battenti del suo vissuto. D’altro genere, ovviamente, ma sufficienti a blindare l’anima. L’esame del medico conferma l’ipotesi dei poliziotti: la giovane è morta di overdose. Difficile stabilirne l’identità visto che è priva di documenti.
L’età approssimativa intorno ai vent’anni, l’uso di stupefacenti un’abitudine vecchia, le braccia, le mani, i piedi sono un tappeto di lividi. L’ultimo ago giace accanto al braccio magrissimo. Illuminata dalla torcia la figura appare spettrale, un’adolescente vestita in modo ridicolo, dal viso pesantemente truccato. Probabilmente batteva e dai lineamenti non sembra italiana. Storia di tutti i giorni. Mentre viene redatta l’autorizzazione all’autopsia, Stefano si chiede quanto ci si abitua. Suo malgrado è costretto a rispondersi che il cinismo diviene una sorta di seconda pelle. Per andare avanti. Sorride mesto al pensiero che “occorre vivere come se fosse importante”, come disse Sartre o Camus. Il sonno è andato perduto ancora una volta. All’inizio gli sembrava insopportabile, dopo vent’anni di servizio ha imparato a stilare la graduatoria delle priorità. Il sonno occupa gli ultimi posti, si combatte con la caffeina e la forza dei nervi. Lo scotto da pagare per un’esistenza sregolata e cinica è molto alto sul piano affettivo. La salute una conseguenza degli altri fattori. Rientra nel monolocale spoglio e disordinato che occupa da un po’ di tempo e, mentre si rade, osserva il ventaglio di segni intorno agli occhi dallo sguardo spento, le occhiaie profonde. Non sta pagando il dazio dell’età, in fondo ha poco più di quarant’anni, paga il distacco con il quale s’impone di affrontare anche se stesso. Si lascia vivere. Valentina un chiodo nel cuore. Non si sente all’altezza dei suoi quindici anni tumultuosi. Sa fronteggiare le perversioni, gli omicidi, molte altre nefandezze, non le esigenze di un’adolescente. Eppure la ama disperatamente. L’ufficio lo distrae dalle riflessioni. Il rapporto della notte da stilare, le pratiche in sospeso, i caffè e le sigarette a sostenerlo.
“Le periferie ci strappano la pelle, eh Stefano?”, esordisce il collega Silvio Tanzi, con il quale divide la stanza e il lavoro. Ogni tanto sfiorano argomenti personali per celarsi in fretta dietro le reciproche diffidenze e solitudini. “A volte ho il dubbio che la nostra stessa esistenza si stia trasformando in una periferia”, commenta amaro Stefano. “Quando è stato fissato l’orario dell’autopsia?” Tanzi accenna svogliatamente alle tredici e trenta, sottolineando che non occorre presenziare. “Ci trasmetteranno notizie della battona, in fondo dandole un’età, non avremo il nome, almeno per ora. E’ sicuramente rumena o ucraina”. ‘Battona’, la ragazza morta tra i rifiuti come un gattino, è etichettata come prostituta e basta. Senza identità, senza storia, drammi, ideali.
Si diventa crudeli. “Forse vedendo le sue immagini qualcuno potrà riconoscerla; è giusto restituirla ai familiari”. Il collega lo guarda perplesso, non è da lui indulgere in considerazioni moralistiche. Le notti in bianco alla lunga giocano brutti scherzi. Tra un caffè e l’altro arriva la telefonata dell’anatomopatologo: la ragazza aveva tra i sedici e i diciotto anni, faceva uso regolare di roba non tabellata, ovvero non inserita nell’elenco delle droghe conosciute, non era italiana e non batteva, in quanto vergine. Difficile il riconoscimento, ma avrebbero comunque diffuso la foto tramite i mass-media. “Vergine? Sei sicuro di aver sentito bene?”, chiede Livio, “E cosa ci faceva con i tacchi a spillo, la gonna di pochi centimetri e il top su una strada di prostitute?” Stefano alza le spalle, rivede il corpo rannicchiato, i lividi, pensa ai probabili sedici anni. Valentina… buccia nuova, difficile sul corpo, ha quasi la stessa età. Come onda si ritira schiumando, di fronte ai suoi tentativi maldestri di avvicinarla. Forse la sta perdendo. L’incontro della domenica un rito penoso e null’altro. “Che cosa pensi di questa ragazza Stefano? Era pronta per iniziare a battere e s’è fatta la dose letale? Sa di melodramma!” “Non penso, prendo atto e trasmetto i dati. Non spetta a noi capire le scelte delle persone, dobbiamo solo escludere ogni ipotesi di omicidio e, quando è possibile, restituire brandelli di dignità alle morti”.
“Di pessimo umore oggi, vero?”, ribatte Livio irritato.
“Stanco, solo stanco. Anche di pensare”.
Impossibile comunicare al collega la ridda di considerazioni che gli affollano la mente. Per non dire dei rimpianti. Quanto ha sbagliato con Giulia? Perché ha permesso che il loro rapporto si deteriorasse senza mettere un freno all’orgoglio? Ormai se lo chiede ogni giorno. Con la rabbia dei vinti. Tanzi, nel tacito patto di silenzio sulle rispettive vite forse intuisce i suoi stati d’animo. E’ un uomo solo anche lui, senza figli, rassegnato a storie di passaggio. Ogni tanto cenano insieme in una trattoria dall’atmosfera intima e scherzano con la proprietaria definendola il loro surrogato di famiglia. “Che ne dici di un boccone caldo, Stefano?” “Vada per qualcosa da mangiare, il caffè mi sta bucando lo stomaco”. Mentre consumano il pasto frugale squillano i cercapersone. Tossicodipendenti minacciano un farmacista con i coltelli. Storia di tutti i giorni. Il tragitto a sirene spiegate, l’intervento in farmacia, i giovani in stato confusionale da ricoverare d’urgenza. Tra pochi giorni saranno in altri negozi, ciondoleranno per le strade, forse faranno la fine della ragazzina senza nome. Stefano allenato all’abbrutimento, non riesce a togliersi dalla mente l’immagine del piccolo corpo rannicchiato tra i rifiuti. Sente l’esigenza di ascoltare la voce della figlia. E’ ora di pranzo, sarà tornata dalla scuola. Le risponde Giulia. “Ciao, mi trovi per caso, sono appena rientrata. Valentina mangia da Federica e oggi si trattiene a studiare a casa sua”. “Grazie, provo sul cellulare. Per il resto tutto bene?” “Certo, ci vediamo domenica”.
La più deprimente delle comunicazioni di servizio con la donna che gli è stata accanto per otto anni di fidanzamento e tredici di matrimonio. Ascoltando la voce così neutra, diversa, avverte il peso di tutto il suo fallimento. Cerca Valentina sul cellulare, come sempre lo trova spento. La figlia adotta il metodo classico dei giovani per proteggersi dalle invadenze dei genitori e, nei suoi confronti, in particolare, tende a chiudere ogni spiraglio. Stefano, sempre più stanco, non solo per la notte, si reca alla macchinetta per l’ennesimo caffè. In corridoio un agente lo ferma per comunicargli che si è presentata una ragazza per il riconoscimento della giovane trovata morta accanto ai cassonetti. Rinuncia al caffè e segue a passo svelto il collega. Nella sala più spaziosa del Commissariato trova una ragazzina in chiaro stato di choc. Ha i capelli chiarissimi, lunghi, occhi verde giada inquietanti, labbra e viso truccati da clown, abiti altrettanto bizzarri. Trema come una foglia e le lacrime le rigano le guance, tracciando patetici solchi sulla cipria e il fard. L’agente precisa che ha già fornito i dati, dichiarando l’origine ucraina e che parla benino l’italiano. Stefano le si siede accanto, le chiede se gradisce qualcosa di caldo e, vedendola negare con sguardo assente, invita l’agente a portarle comunque una camomilla e un cornetto. Non vuole darle fretta.
“Mi chiamo Christa”, esordisce la giovane, “conosco la ragaza di foto… eravamo molto amiche”. Sul verbo al passato, teneramente sbagliato, scoppia a piangere senza freni. Il tremore aumenta, sembra una crisi convulsiva. “Christa, capisco il tuo dolore, cerca di calmarti e di permetterci di aiutare almeno te”. La ragazza continua a singhiozzare. Stefano le sfiora una mano. Ha le unghie rosicchiate come Valentina, la pelle disidrata e quei terribili lividi. Si buca anche lei. “Non guardare mie mani, non drogo, anzi sì, ma mi fanno loro, come facevano con Lila. Ho paura, se sanno sono qui mi amazano!” “Nessuno potrà toccarti, ti do la mia parola che sarai protetta. Devi cercare di calmarti, però, e raccontare le cose con esattezza”. Christa beve qualche sorso di camomilla, rifiuta invece il cornetto, nonostante l’evidente stato di deperimento. “Siamo in Italia da sei mesi. Da piccole già eramo amiche. Le famiglie, povere, cercano di avere lavoro. Così dei zii ci hanno fatto partire per lavoro qui. Come baby sitter o per aiuti in case. Una signora ci ha dato sua casa. Noi non posiamo credere a storia così”. Neppure Stefano riesce a crederci, eppure le conosce da tanto. La tratta delle donne straniere. Delle minorenni nella maggior parte dei casi. “Io ho paura. Loro cattivi. La signora fa gentile, ma se dici ‘no’ parla coi uomini e loro danno botte”.
“Hai detto che “vi fanno”, cosa intendi Christa? Come?”
“Per fare lavoro su strada fanno con roba, così noi non faciamo storie”. “Intendi che vi aiutano a iniziare il mestiere con la droga?”
“Quando fanno noi vomita, trema e poi non capisce. Io sono andata su strada senza capire. Per non essere fatta ho imparato lavoro. Ora mi buca solo se do pochi soldi”. Stefano avverte un moto di rabbia violento. “Cos’è successo a Lila? Hanno sbagliato la dose?”
“Lila non vuole battere, lei forte. Più forte di me. Pure da piccola dice no e mantiene. Loro la fanno, lei vomita, risiste. Loro danno botte. Lei risiste. Loro vestono, mandano in strada. Lei non batte, si mette nei portoni. Loro non hanno soldi e la fanno di più. Lei malata, molto. Non mangia, dorme sempre. Una sera l’uomo più vecchio la porta via. Non la vedo. La ragazza con me dice che la televisione la fa vedere. La vedo pure io. Chi è stato?”
Stefano la segue narrare, scandendo le sillabe di una lingua difficile con caparbietà. La ragazza chiede di andare in bagno; approfittando della sua assenza si rivolge all’agente addetto alla trascrizione chiedendogli di convocare il Commissario. “Il caso ha preso un’altra svolta, necessita di indagini e arresti a tappeto. Lila è stata uccisa!” Adolescenti… e la sua Valentina cresce in questo mondo dove ogni nefandezza è possibile e la fiducia diviene una merce accuratamente razionata. Cresce senza di lui. Cerca il cellulare e digita il numero della figlia: ‘Non raggiungibile’. “A cosa servono questi aggeggi maledetti?” L’agente ascolta i mugugni e si permette d’intervenire asserendo che anche i suoi figli usano i cellulari per giocare, scrivere messaggi, non per comunicare. Eppure sono piccoli. Christa rientra. I due uomini la guardano allibiti. Si è lavata il viso ed è un’altra persona, per precisione una bellissima ragazzina. “Cosa mi fate ora?” “Ti proteggiamo. Tu ci aiuti a prenderli, a punirli e noi ci occupiamo di te e delle altre ragazze”.
“Lila non torna più…” “No, non torna, ma nessun’altra rischia di finire come lei”. “Non dite queste cose ai zii, a mamma e papà. Io ho vergogna, loro muoiono se voi dite!” Non morirebbero, Stefano lo sa bene, ma non può ferire ulteriormente la ragazza. “Li tranquillizzeremo, inventeremo bugie, ma per ora non puoi rivederli, devi entrare nel nostro programma di protezione” “Dove mi porti?” “Ti ospitiamo in un luogo sicuro insieme alle tue amiche e lasciamo passare un po’ di tempo”. “Non batto più?” “Mai più”.
Il Commissario Liveri fa il suo ingresso nella sala. E’ un uomo giovane, aitante, piuttosto formale nei rapporti. Ha già preso atto della situazione, ma vuole leggere la testimonianza di Christa e studiare una linea d’azione. Anche il suo atteggiamento distaccato vacilla di fronte all’adolescente. “La vittima era sua coetanea?”, chiede a Stefano e questi annuisce cupamente. “Sedici anni, sembra incredibile”, e, rivolgendosi a Christa, domanda: “Avevate molti clienti?” Lei è destabilizzata dall’intervento irruento dell’uomo. Inoltre ha difficoltà a capire il termine ‘clienti’. Stefano comprende il suo disagio, le presenta il Commissario, la invita a stare tranquilla e pone la domanda con parole diverse: “Quando ti mandavano in strada si fermavano molti uomini?”
“Sì, anche con machine belle!”
“Lavoro complesso”, commenta il dottor Liveri, esaminando i dati in loro possesso e mettendo al corrente il Questore della situazione.
“La ragazza rappresenta una teste preziosa quindi, mi raccomando, garantiamole condizioni di assoluta sicurezza”. Stefano annuisce e pensa che se anche non fosse una teste preziosa andrebbe protetta e accudita. Christa fornisce l’indirizzo della casa della ‘signora’, il nome di battesimo di lei e dei tre uomini che si occupano delle ragazze e afferma che dovrebbero essercene altre sei, tutte ucraine. Il Capo riunisce i collaboratori per organizzare una retata nel corso della notte, mentre la ragazza viene affidata a un’assistente sociale coadiuvata dalla psicologa. L’ispettore legge negli occhi del capo un guizzo inequivocabile. Il loro Commissariato uscirà dall’anonimato per saltare alla ribalta della cronaca. Un pasto ghiotto la vicenda della tratta delle minorenni, dell’assassinio di Lila, per i divoratori di nefandezze. Liveri è un uomo in attesa della svolta. Severo con gli altri e con se stesso, valido, ma senza molti scrupoli. Stefano sa distinguere, con onestà, il proprio cinismo difensivo da quello del collega. Il Capo lavora sul filo dell’ambizione e il caso delle ragazzine, se risolto con metodo, senza commettere errori, può rappresentare la grande occasione. Partecipa alla riunione, contribuisce a mettere a punto la linea d’azione, ma non è attraversato dal brivido del futuro eroe. Non lo abbandona la nostalgia della voce di Valentina. In un giorno simile avverte impellente il bisogno di sentirla, di forzare la diga delle reciproche inibizioni. Il cellulare un partito perso. Deve attendere la sera, richiamare a casa sperando di trovarla. L’Operazione-Ucraine è prevista per le venti. L’intero contingente del distretto sarà coinvolto e il Commissario ha chiesto rinforzi alla Questura Centrale. La tensione è palpabile. Poco prima delle venti Stefano telefona a Giulia: “Ciao, sono ancora io, non riesco a comunicare con Valentina sul cellulare. E’ tornata?” “Ciao Stefano, mi nascondi qualcosa? Cos’è questa insistenza? Valentina stasera rimane da Federica a dormire”. “Da quando si ferma la notte a casa delle amiche?” La donna respira profondamente e ostenta una calma che non prova. “Da quando è divenuta un’adolescente. Dovresti prendere atto che nostra figlia sta crescendo”. “Sono teso, vorrei poterla salutare”. Mentre parla l’uomo si accorge di ricadere nell’antica trappola e si prepara alla risposta dell’ex moglie. “La famiglia sconta il lavoro, eh, Stefano? Nel caso specifico Valentina. La chiami di continuo per mettere a tacere i tuoi fantasmi”. Un lungo silenzio, le parole, come biglie, sono rotolate sul biliardo dell’incomprensione. “Scusa, Giulia, non volevo disturbarvi. Quando la senti augurale la buonanotte anche da parte mia”. “Buonanotte. Concediti un po’ di riposo”. Riposo… a pochi minuti dall’Operazione-Ucraine.

4 commenti:

  1. L’esistenzialismo è indubbiamente il clima dominante della prosa di Maria Rizzi, scrittrice romana di origini napoletane, nota per il forte timbro psicologico del suo genere “giallo-noir”. Un esistenzialismo “sui generis”, il suo, non soltanto per queste valenze e tendenze della scrittura, ma ancor più per la trasformazione – in senso stoico, direi – della poetica dell’angoscia e del male di vivere, tipica dell’esistenzialismo contemporaneo. Con l’aggiunta di una “pietas”, che potremmo dire francescana, per la sofferenza di ogni creatura vivente, agli antipodi dello stesso stoicismo.
    Un amalgama spiazzante di vario umanesimo, pertanto, capace di fare della ferita e del dolore esistenziale un’occasione di crescita interiore e di evoluzione morale. Nelle pagine di questo primo capitolo di “Anime graffiate” – ma ancor più nelle successive, che io conosco per essermi già interessato criticamente di questo lavoro – lo sguardo rivolto alla sofferenza e alle miserie umane non è di tipo depressivo o frustrante, come accade nell’esistenzialismo o nel nichilismo in generale. Qui nessuno si piange addosso e le traversie vengono attraversate senza battere ciglio, cadendo e inciampando durante il cammino, ma rialzando comunque la testa, nella direzione di una corroborante elevazione morale dove il male ed il bene si affratellano tra di loro.
    Il capitolo si apre con l’immagine di una giovane vita spezzata dalla droga e con il proposito dell’ispettore Stefano Segni di vederci chiaro nelle ombre di quello che sembra essere fin dalle prime battute un complesso caso di malavita organizzata legato alla droga e allo sfruttamento della prostituzione minorile. Egli s’impegna a salvare le giovani vittime, nonostante la sua vita privata dissestata. Separato dalla moglie, Giulia, ha una figlia, Valentina, che viene adescata in un giro malavitoso consimile, rifiutando ogni aiuto del padre. Una storia di fallimenti esistenziali, che tuttavia non intaccano la volontà di combattere dei protagonisti e sembrano al contrario stimolarne la voglia di andare avanti nella vita.
    “Occorre vivere come se fosse importante”, diceva Sartre o Camus: massima che viene riportata a inizio capitolo dalla Rizzi a mo’ di emblema o di ricapitolazione. L’assunto, tuttavia, che in casa esistenzialista ci aspetteremmo corredato di amare conclusioni (del tipo: “anche se la vita non ha alcun senso o valore”), qui si potrebbe arguire supportato da una considerazione positiva opposta (del tipo: “ perché importante la vita lo è”). In linea con questa visione del mondo, lo stile della scrittrice risulta sanguigno e passionale, come attraversato da un brivido obliquo, da una corrente che lo rende nervoso e scattante, tumultuoso.

    Franco Campegiani



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  2. Come sempre accade, quando leggo il mio Amico immenso Franco, sono attraversata da brividi.
    Mi emoziono e, devo confessare senza ipocrisie, che mi sento un libro aperto. La sua capacità di'leggere le anime' è talmente collaudata che ogni sua recensione critica risulta innanzitutto un viaggio nei labirinti della mente...
    Non amo il verbo 'ringraziare', lo ritengo pigro, da davanzale, riduttivo... In amore occorre abbracciarsi e ritrovarsi ogni volta più vicini, più complici!
    Abbraccio Franco con tutto l'affetto che posso e m'inchino di fronte alla sua capacità introspettiva!
    Maria Rizzi

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  3. E' l'adolescenza la vera protagonista di questo noir di Maria Rizzi: l'adolescenza "delle privazioni, dell'innocenza violata, della fame d'amore" e l'adolescenza "figlia degli agi, delle sfide precoci, dell'affetto non capito". In ogni caso, un'adolescenza non vissuta, precocemente persa. Due vicende, che sono parallele per le condizioni che le hanno determinate ma non per la sostanza, s'intersecano, si sovrappongono, s'intrecciano. La tratta delle minorenni dell'Europa dell'est avviate alla prostituzione e le strade "sbagliate" imboccate da adolescenti di famiglie cosiddette bene, i cui genitori sono, tuttavia, separati. E' un argomento duro, scottante, scabroso, scioccante quello trattato da Maria Rizzi, che fa tremare il cuore e le coscienze di tutti i lettori ma, in particolar modo, dei genitori: "L'uomo lupo per lupo fa tristemente parte della storia del mondo e del crimine, ma l'uomo bestia per i bambini continua ad apparire contro-natura".
    Eppure l'autrice si muove in tanta miseria, cinismo, abiezione, perversione, senza sporcarsi e ponendo attenzione a che anche il lettore non si sporchi. Fra le "anime graffiate" Maria Rizzi si muove in punta di piedi, con la delicatezza, la dolcezza, la Pietas, che la caratterizzano e, inevitabilmente, contraddistinguono i suoi scritti. Anche nelle anime degli abietti, Maria Rizzi, pur usando un gergo duro e proprio delle situazioni che affronta, non fruga con morbosità, non indaga con accanimento, non condanna impietosa. Sembra quasi chiedere ai suoi personaggi di parlarle. Pur mostrando con dolore quello che è stato perso, esalta quello che è recuperabile, ed assolve sempre, quando possibile: "...impossibile anticipare gli eventi, prevederli....L'uomo nasce incompiuto e tale resta. Viaggia per raggiungere determinate mete e durante il cammino cade, si fa male, sbaglia. L'importante è rialzarsi, tenere alta la testa e andare avanti".
    E, paradossalmente, emerge la voglia di ricominciare a vivere delle prostitute-bambine, tradite dalle loro famiglie che le hanno vendute e, al contrario, il desiderio di lasciarsi andare dei giovani "figli degli agi, delle sfide precoci, dell'affetto non capito" che, invece, hanno genitori disposti ad aiutarli. Avvertimento garbato per i genitori odierni.
    E nella narratrice, donna dei nostri tempi ben consapevole delle brutture di cui può essere capace l'animo umano, s'intravvede, chiaramente, la moglie, la compagna, la madre, l'amica, ché nella vicenda poliziesca che avvince il lettore perché sapientemente costruita, sono trattati i temi dei rapporti tra coniugi, tra genitori e figli, tra colleghi nel posto di lavoro. Ed emerge la poetessa, ché versi di autentica poesia addolciscono la durezza dell'argomento affrontato e mitigano il dolore dei protagonisti: "Fiammeggia il tramonto in fondo alla pineta: voli di uccelli solcano le creste arancio e rosa di un cielo simile a tela di Monet".
    Il romanzo di Maria Rizzi è molto più che un noir psicologico; direi che è una scuola di vita perché, se letto con il giusto stato d'animo, offre molti spunti di riflessione: sulle insidie del mondo moderno per i ragazzi ma anche per noi adulti, sulla difficoltà dell'essere genitori oggi, sull'importanza della famiglia per i figli, sugli errori compiuti e su quelli che si possono ancora evitare.
    Una lettura completa che mi sento di consigliare a tutti, agli adulti, soprattutto se genitori, e ai ragazzi stessi.
    Ester Cecere

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  4. Ester....
    mi avvolgi in una morbida coperta di levità per l'ennesima volta! Il termine Pietas, che ricorre nella tua fulgida recensione, come in quella di Franco Campegiani, credo sia alla base della gratitudine che avverto nei vostri confronti. Avete letto il romanzo e ... 'molto più del romanzo'... Ti riveli capace di andare al di là delle storie, di comprendere le mie intenzioni, il dolore e la tenerezza che mi hanno accompagnata nel corso della stesura di "Anime Graffiate" e sei testimone dell'infinito Amore che questo libro porta in sè.
    Ester mia, credo tu possieda doti magnifiche di critica letteraria e ti abbraccio con infinito antico affetto!!!
    Maria Rizzi

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