P. Balestriere: La poesia di N. Pardini
DAL BLOG DI ANTONIO SPAGNUOLO
ASPETTI E MOTIVI DELLA POESIA DI NAZARIO
PARDINI
Io non so quale e quanta valenza artistica possano avere le
migliaia di premi letterari banditi ogni anno in Italia né con quanta onestà,
correttezza e competenza essi siano condotti e realizzati. So però che essi sono
un’occasione di conoscenza, talvolta di frequentazione (anche se solo telefonica
o più generalmente telematica), più raramente di amicizia.
È così che ho
conosciuto Nazario Pardini, come uomo e come poeta. Del tutto encomiabile
nell’una e nell’altra prospettiva.
L’humanitas, nel senso più ricco e
profondo del termine, connota splendidamente la personalità e l’opera di questo
sapido toscano, colto e gentile, generoso e ispirato; e perciò il lettore, cui
non difettino cuore e sensibilità, può disporsi ad una straordinaria avventura,
ad un percorso poetico intensamente emotivo, risolto in una dimensione di
classica armonia e compostezza.
Già nelle prime raccolte è ben evidente quale
sia per Pardini la realtà che, urgendo in lui, lo spinge irresistibilmente al
canto, reclamando voce e vita propria: è la pervasiva e transeunte bellezza
della vita, è la natura intesa come “bella d’erbe famiglia e d’animali”, ma
soprattutto come profonda essenza vitale, è il mondo degli affetti familiari, è
l’amore, è il mito della bellezza e del mondo antico. Già nelle prime raccolte
Pardini mostra di possedere gli strumenti del poeta: scrive in versi liberi, ma
impiega con una certa frequenza l’endecasillabo e il settenario; ricorre a rime,
assonanze, consonanze, allitterazioni, metafore, iterazioni con l’intento di
sottolineare, anche attraverso scarti semantici, i momenti salienti del suo
canto.
E posso dire, ora che posseggo più dei tre quarti delle pubblicazioni
del poeta pisano, che la sua poesia ha sempre sicura ed elevata dignità
letteraria, accentuato spessore umano, capacità di penetrare nel cuore e nella
mente del lettore, suscitando affetti ed emozioni.
Ma è nella splendida
silloge Alla volta di Leucade (Mauro Baroni Editore, Viareggio-Lucca, 1999, pp.
126, con prefazione di Vittorio Vettori e postfazione di Floriano Romboli) che
il poeta, con risoluta dolcezza, prende il lettore per mano e lo guida nel suo
mondo, a sentirne l’estrema ricchezza di elementi fisici, così necessari nella
sua dialettica creativa, e l’intensità dei sentimenti, la quale ben si coniuga
con un nitore formale che rivela una lunga frequentazione di autori classici:
greci (in particolare Omero e i lirici), latini ( soprattutto Lucrezio, Catullo,
Virgilio, Orazio, gli elegiaci), francesi (tra gli altri Baudelaire, Verlaine,
Rimbaud), italiani (Dante in primo luogo, poi Foscolo, Leopardi, fino a Pascoli,
D’Annunzio, Ungaretti, Montale).
Leucade, innanzitutto: l’isola delle bianche
rocce, del salto di Saffo e della catartica soluzione degli amori impossibili.
Non sono certo che qui, in qualche modo, Leucade richiami ai Dialoghi con Leucò
di Pavese, come pur sostiene Vittorio Vettori nella prefazione . Mi pare
piuttosto che il titolo ci riporti a un nome, Saffo, poetessa molto amata da
Pardini per fatto umano e artistico, e a una condizione: il ri-acquisto della
serenità, intesa come affrancamento dal turbinio delle passioni (il “gran salto”
liberava -come è noto - in un modo o nell’altro dalla sofferenza d’amore); ma
soprattutto il titolo ci riporta a un mondo, quello classico, paradigma di
bellezza, misura, armonia. In più il bianco (λευκóς -> λευκάς -> Λευκάς
-άδος, Leucade), con tutta l’area semantica che a questo colore si richiama (
chiaro, brillante, splendente, limpido, candido, sereno), allude ad un processo
di purificazione e di elevazione, ad una conquista quasi metafisica di sé, cui
anche un moderno sacerdos musarum non può sottrarsi; o magari a un’ideale
condizione da perseguire, se non da conseguire: quella di un terso e vivo
equilibrio, in cui i fili del tempo si dipanano senza sussulti per una sottesa
solida filosofia che aderisce saldamente alla vita e alle cose, pur nella
consapevolezza della loro precarietà. Anche le scelte lessicali, che talvolta
rimandano al parlato (querci, rame, ragia, moreccio, ecc.), cospirano a
realizzare questa condizione di adesione al mondo esterno nel quale e con il
quale Pardini snoda il suo percorso umano e poetico. E che ricchezza
poetica, che spessore creativo in quest’opera densa e omogenea sotto il profilo
dell’ispirazione! Le sezioni che la compongono (quattro: Stagioni -con la
sottosezione Canti liguri -, La sera di Ulisse - Poemetti serali, Fuga da
settembre, Sulle rive del Biondo e dello Xanto - Canti arcaici ) sono cementate
dai temi di canto che percorrono la silloge in ogni direzione e dichiarano la
vita, gli affetti e gli slanci del cuore. Ci troviamo di fronte a una poesia
piena e matura, descrittiva e riflessiva, di assenze e di ritorni, di scoperte e
di stupori, di ricordi e, talvolta, di rimpianti. Eppure la rievocazione non è
mai fine a sé stessa: immergersi nel passato non solo consente al poeta di
recuperare e rivivere esperienze e sensazioni, di aver consapevolezza del fluire
delle cose, ma anche di indagare la singolarità, e quasi la fissità,
dell’attimo, numero primo e realtà indivisibile della vita dell’uomo. Inoltre, la natura. Si tratta di una presenza sostanziale e dialettica
nell’intero iter creativo del poeta di Arena Metato, che ad essa fa riferimento
prima e più ancora che agli esseri umani; la natura come magna mater, compagna
di viaggio, presenza vitale; come vigore, misura, bellezza; come maestra,
esempio, monito. Natura a cui aderire come a realtà affascinante e necessaria,
non annullandosi però, non naufragandoci, ma conservando coscienza di sé e della
propria umanità. Non c’è da meravigliarsi dunque che il cielo (o il mondo
arboreo ) sia animato da colombi, passeri, rondini, falchi, tortore, aironi,
cormorani, poiane, alcioni, usignoli, folaghe, tordi, beccacce, fringuelli,
allodole, procellarie, nibbi, merli, gipeti, gabbiani, rondoni; né che i prati,
i campi, i boschi esibiscano un’opulenza vegetale: pésco, alla rinfusa e a piene
mani, gigli, ginestre, glicini, girasoli, biancospini, ninfee, equiseti, acacie,
castagni, elci, rosmarino, mirto, timo, corbezzoli, ginepri, fichi, limoni,
faggi, crescione, cipressi, pioppi, querce, peri, betulle... Vale la pena di
fermarsi qui. Ma queste occorrenze naturalistiche non hanno assolutamente nulla
di gratuito o scontato, perché ogni animale, ogni essenza arborea, arbustale o
erbacea è, nella poesia di Pardini, strettamente funzionale al singolo momento
creativo o ne è addirittura sostanza e fondamento; ed anche perché qui la natura
è segno e metafora della vita nei suoi vari aspetti e sviluppi; e provoca (al)la
poesia. Ma torniamo a Leucade, alla luminosità del sogno, alla dimora
dello spirito, all’avvincente grazia e nitidezza del mondo classico rivissuto
dal poeta con grande acutezza, padronanza e personalità, se convoca e coinvolge
nel canto i grandi poeti dell’antichità, se dà loro voce per esprimersi, se
affianca ad essi i classici moderni, se degli uni e degli altri recupera forme,
stilemi, spunti, provocazioni poetiche insomma, per dare vita a testi
squisitamente suoi, a versi che scuotono l’animo e comunicano sensazioni
irripetibili. Con in più un pizzico di malinconia, soprattutto nella sezione
Fuga da settembre, dove la poesia eponima (e finale) rappresenta, in linea con
le altre, la triste dolcezza di questo mese tanto caro al poeta, forse perché
racchiude i significati dell’autunno, di ogni autunno che -è opportuno
ricordarlo- è anche la stagione della pienezza e della maturità. Eppure a me
pare che soffermarsi solo su qualche lirica farebbe torto all’intera silloge.
Alla volta di Leucade è tutta interessante, appassiona e avvince in quanto
prodotto letterario di assoluto rispetto e testimonianza di voce poetica sicura
e verace, polimorfa e vibratile, essenziale e sofferta. Che è quella di Nazario
Pardini.
PASQUALE BALESTRIERE
Sandro Angelucci
Ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere personalmente Nazario Pardini la primavera scorsa, ed è stata immediata la percezione di comunicare, appunto, con un 'toscano, colto e gentile, generoso e ispirato', che conosce bene la complessità della parola e sa restituirne il dettato con il linguaggio dell’autentica poesia. Pardini dipana la sua/nostra straordinaria avventura 'alla volta di Leucade' alieno da insidie e pretenziose ideologie, in un 'percorso umano e poetico' attento agli accadimenti del vivere e capace ancora di commuovere.
Daniela Quieti
Sì, grazie a Pardini, l’immagine di questi amici ha potuto rifiorire. Tutto questo mi ha fatto sentire un appagamento interiore.
Ho letto con molta partecipazione quello che Balestriere ha scritto di “Alla volta di Leucade” e di Pardini. Condivido quanto ha saputo esprimere con proprietà e grazia. Conosco da molto tempo il poeta Balestriere; più volte è stato premiato in concorsi della cui giuria facevo parte. Ora, posso dire, di conoscerlo anche come “critico”. E’ altrettanto bravo come lo è nella poesia.
Un caro saluto a tutti.
Paolo Bassani
Si, grazie a Pardini, l’immagine di questi amici ha potuto rifiorire. Tutto questo mi ha fatto sentire un appagamento interiore.
Ho letto con molta partecipazione quello che Pasquale Balestriere ha scritto di “Alla volta di Leucade” e di Pardini. Condivido quanto ha saputo esprimere con proprietà e grazia. Conosco da molto tempo il poeta Balestriere; più volte è stato premiato in concorsi della cui giuria facevo parte. Ora, posso dire, di conoscerlo anche come “critico”. E’ altrettanto bravo come lo è nella poesia.
Un caro saluto a tutti.
Paolo Bassani