Recensione
a
Nadia
Chiaverini: I SEGRETI DELL’UNIVERSO
(inedito)
Ma è la memoria che non torna/ rimane nascosta
nei meandri della mente
C’è sempre vento che
scompiglia i segreti
un treno in transito
senza fermata
s’inventa ogni volta
una storia
che invece è
ancora la vita
Poesia ampia,
aperta, armoniosa, esigente, carica di input esistenziali quella di Nadia
Chiaverini. Leggerla, miscelarsi ai suoi palpiti meditativi e alle sue offerte
di generosa levatura poetica, significa assaggiare l’aspro e il dolce, il sacro,
e il profano dell’esistere. Significa farsi poeti, con tutto noi stessi, farli
nostri questi sapori contrastanti, queste dicotomiche presenze, che, intrise di
terreno, di quotidianità, si elevano ai segreti dell’universo, del vivere,
dell’esserci, del morire.
Sento a volte che
la vita affonda
Come una vite
s’avvita nel suo cardo
A volte s’intinge
morbida nel legno
A volte
s’infrange in un duro
e freddo
pezzo di metallo… (pp. 1).
Sì!, è proprio
così! La vita a volte affonda, a
volte s’intinge, a volte s’infrange. Una suggestiva e diacronica
emotività volta a cogliere, con estrema duttilità, la luce dei giorni, le ombre
delle notti; il senso delle stagioni primaverili o autunnali
del nostro andare. É doveroso pescare nei rigagnoli più nascosti di questo “poema”,
negli anfratti più ombrati per coglierne
i significanti più incisivi. E annotare che tutto confluisce in un fiume tanto ondulante
come l’anima che li ispira. Ondulante per la varietà della versificazione a
contenere tanto impatto emotivo. Ondulante per le fughe, i ritorni, le calme e
le piene, le tensioni, ed i riposi di questo viaggio. É qui la compattezza e
l’organicità dell’opera. In una visione scrupolosa, personale, tormentata,
anche, dell’esistenza. Un’esistenza infarcita di sogni, di illusioni,
delusioni, che contribuiscono a infoltire un memoriale che conturba la poetessa
per la sua fragilità. Per una fragilità che nasce e si sviluppa nelle
meditazioni che si innervano di tale sentimento. E questi messaggi da personali
si amplificano ad una significazione universale; perché sono di tutti,
appartengono all’uomo in quanto tale. Perché sa, e di questo si tormenta, che
il tutto si svolge in uno spazio ristretto. Azzardare lo sguardo oltre la siepe
provoca solo smarrimento, e conferma di questa nostra pochezza. Umana, quindi,
anche troppo umana, questa vicenda nelle sua tormentata storia personale e
sociale, e di vita e di spleen. Sì!, male di vivere. Direbbe il poeta: “Il
sogno, lo spazio, e il tempo, segnando i limiti di un fatto, ne sono anche
motivo, forte motivo di inquietudine e di elevazione spirituale”. Perché sa e
teme la poetessa di perdersi in un mare tanto vasto che incute paura. Quella
umanissima paura che il patrimonio, il grande patrimonio delle nostre memorie si
annulli in così tanto spazio. In così tanto mare indifferente a storie di
salite, e discese, di andate, e ritorni che si fanno sempre più preziose col
correre del tempo. Proprio come quelle essenze riposate in segrete, fuori dai
rumori e dalle intemperie. Che da cristalline si fanno color oro, tanto sono
preziose.
strappo le pagine
del giornale
urlo che irrompe
duro e
tagliente come un diamante
certo la vita è
abbondante
sfrontata e
sprezzante
tracima
la vita che chiama
vita mai
collaudata (pp. 1).
Dal ventre di un antico garage
-ruggine sulla
saracinesca e pareti ammuffite-
chissà cosa
risale alla luce
secchielli e
palette del mare
retini per
pescare
vecchie pagelle e
la prima cartella di scuola
di pelle rossa
barattoli di
latta e pezzi di stoffa
Mi ricordano una
lotta tra le cose
per rimanere vive
per non
scomparire
Ma è la memoria che non torna
rimane nascosta
nei meandri della mente
dove è tabula
rasa, non c’è più niente
Solo di ciò che è
importante
rimane un
bagliore, una luce
di chiavi a
mazzetti, di oggetti
tanti oggetti, di
plastica di legno di ferro
oggetti senza senso oggigiorno
oggetti senza ritorno… (pp. 5).
Sì!, forse,
esiste il timore di perdere la memoria, e non solo i piccoli suoi urgenti frangenti,
schegge di vita. É il tempo, nella sua
corsa sfrenata, che tutto corrode. E c’è questa meditazione, questa visione
eraclitea dell’essere e dell’esistere. Della labilità del presente. D’altronde
è una nostra condanna quella di vivere a terra col pensiero rivolto all’oltre.
Azzardare lo sguardo oltre i confini. É pascalianamente dicotomica questa simbiotica fusione fra
l’essere umani e il pensiero che azzarda.
Ma, qui, c’è anche un profondo
sentimento di attaccamento alla vita. Alla sua sacralità. E ai doveri dei padri
per i figli, all’amore per tutto ciò che ci circonda e ci turba per la sua
bellezza e misteriosa rarità. E tante le questioni che si addensano nell’animo
della Nostra. Come gli stessi interrogativi sulla continuità delle familiari
vicissitudini; o su quel patrimonio che si è fatto storia. Dum loquimur fugerit invida aetas. Ed è questo che turba, è questo
che infonde pathos al dipanarsi dello spartito poetico, tatuato da un’anima
fortemente irrequieta. Sì!, fugge il tempo, ma si lascia dietro un carico di
esperienze umane che si fanno vive, pesanti, soprattutto se prospettate nel lontano
futuro. Da qui i tanti dubbi che si concretizzano in versi dettati da tanta
generosità ispirativa. E la parola si fa essenziale, matura, nuova. Sconnessa,
anche; incurante dell’ordine morfosintattico; inventata nella sua forza
evocatrice, tanta la voglia di dire. La poetessa la lavora, la amplifica, la
scompone e ricompone, perché sente l’urgenza di termini finalizzati a tale
portata. Termini adatti e propensi ad affiancare tanta effusione emotiva. La
poesia per Nadia Chiaverini è lavoro, non certo scrittura nata da
un’ispirazione pensata intoccabile, ma ricerca; è ampliamento o riduzione del
verso; è insieme di enjambements e figure stilistiche che creino significanti
metrici adatti a far risaltare i ritmi varianti del cuore; insieme di accorgimenti
lessico-fonici, di astuzie, anche, frutto di esperienza sul campo. E la parola
non sempre è sufficiente a coprire gli spazi tanto misteriosi, quanto pressanti
dell’anima. Da qui, anche, l’insoddisfazione perpetua del “poeta” che non trova
mai adeguato l’incastro verbale.
Accettare il
tempo
Delle domande
senza risposte
Mentre si
stempera e dilava
La collera che
più non m’appartiene .
Abitare le parole
come una casa
Adattarle al
corpo come un abito da sera
Nuova dimora il
tempo che consola
Finché il
silenzio eterno comincerà a parlare
Come una madre
che non si dà pace
Perché ormai il tempo è scaduto
Come un piccione
finito sul selciato (pp. 2)
E c’è la natura, in questi versi, a fare da
supporto agli intenti meditativo-esistenziali della scrittrice. Una natura
sempre presente con i suoi colori, le sue ombre, o le sue luci a rendere visivi
gli impulsi emotivi. Una natura trattata in tutte le sue misure occorrenziali.
Stentano le rose quest’anno
come domande senza
risposte
fuggite come illusioni
perdute
stelle cadenti
in un cielo nero d’inchiostro
Pensa a me
quando un fulmine l’attraversa
come un pensiero perverso
non è ancora maggio
e le lucciole tintinnano la notte (pp. 1).
Le rose, le stelle cadenti, il cielo, il fulmine,
maggio, le lucciole… configurazioni di tanti segreti che danno forza e
colore, concretezza al sentire. Si traducono in allegorie di un linguaggio teso
a evidenziare i significati più intimi. É uno dei momenti di maggiore effetto
lirico. Di grande portata poetica. La musicalità intrinseca, contenuta nella
magistrale disposizione del verso libero, e il contenuto che si slarga dal soggettivo
a considerazioni oggettive “Stentano le rose quest’anno/ come domande senza
risposte/ fuggite come illusioni perdute…”
fanno di questi versi una vera melodia di suggestione plurale.
i
segreti dell’universo I
In un mondo di maschere
si nasconde
l’anima in orbite vuote
E’ la vita che
strazia e nessuno ci crede
È lo specchio la
prova:
-Davvero, ma’ , eri così?
Opera d’arte
stravolta da genio d’artista
Che gonfia le
reni e affloscia i seni
Forse tutto
poteva essere altrimenti
Lo sanno le pietre dei torrenti
Che rubano i segreti dell’universo (pp. 3).
i segreti
dell’universo II
-Quando puoi, torna presto-
Lo so, hai bisogno adesso
Quando io non ci
sono
Ti chiederò
perdono, dopo
Quando sarà tardi
Forse tutto
potrebbe essere diverso
Lo sanno le
sabbie del deserto
Che rubano i segreti dell’universo (pp. 3).
Ma quanti i segreti dell’universo. Di un
universo che ci ruota attorno, che ci assedia, che ci liscia, ci lambisce, ci
arrovella la mente, l’anima e ci stravolge. E noi ci torturiamo coi perché. Ci
poniamo questioni insolubili, e ci tormentiamo, non trovando risposte giuste.
Quello che distinguiamo è solo l’apparenza, la superficie sottile di un
misterioso processo; ma non riusciamo a districare i reconditi nessi di un
imperturbabile fieri. “Forse tutto poteva essere diverso/ …/ Lo sanno le sabbie
del deserto/ Che rubano i segreti dell’universo”. “Lo sanno le pietre dei
torrenti/ che rubano i segreti dell’universo”.
Il dubbio, il letto vuoto, la notte
insonne, fonda, il richiamo di parole, e un cielo che trattiene il respiro,
muto. Un concatenarsi di sequenze psicologiche devastanti: tentativo di
appigliarsi al sogno, per confutare una realtà amara. Ma tutto fa parte di un
gioco umano, fatto di passioni e di sconforti. Di sconfitte, forse. Ma anche
spia di un grande attaccamento alla vita, perfino a quella sua parte che più ci
addolora. E Nadia Chiaverini fa della poesia uno strumento di vibrante realismo
psicologico e filosofico. Costruito su riflessioni amare, scatenate da quello
specchio realisticamente impietoso che ci parla di tempo, di affetti, di
autunni e primavere. Di carne ci parla. E della
miseria del corpo umano dovuta a quei segreti che tanto ci assillano.
Ma anche se la Nostra , alfine, giunge
all’amara conclusione che tutto si disfa in polvere, in una misera polvere che
chiude una stagione senza dèi e senza precisi orizzonti, non è detto che in
quella pietra nera - e mi piace pensarlo - non possa vedere un futuro punto luce
quale simbolo di spiritualità e di prolungamento di vita. Quel prolungamento che
troneggia anche nel disperato grido di emorragia d’amore
“e mi stringevi la mano, amore”
Nazario
Pardini 09/02/2013
Molteplici le suggestioni che ci regali con alchimie verbali piene di fascino. Grazie Nadia. Anna
RispondiEliminasi, lo confermo... l'universo poetico di Nadia cresce insieme ai segreti magnificamente disvelati tra le righe, tra gli spazi bianchi delle sue nuove poesie. La specularità delle ultime due, poi, la trovo geniale, oltre che sentita. Grazie! Cristina
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